Lady Aya

 

  Aya   -   Novizia della Sacra Casa   -    Congrega delle Sacerdotesse di Avalon  
 

skills e malus

  resistenza al sonno - sensi elfici  

spregio elfico   -   diffidenza umana 

   
  allineamento: caotico/buono
  carattere e tratti fisici: apparentemente solare e spesierata, il mio forse è solo un modo per nascondere la mia paura degli altri e le ferite del passato. Ho assunto qualche ''affascinante'' tratto della personalità di mio padre: un pirata.
  equipaggiamento:
   
 

la storia di Aya

  Sono nata in un villaggio sulla costa, circondato dai boschi e dalle colline; piccolo, poche case qualche bottega, molti pescatori e un’ orfanotrofio di pietra bianca.
E’ lì che vivevo io. Mia madre, una bellissima dama elfica, era morta che io ero piccola e il mio ricordo di lei si limita a poche immagini confuse, una chioma bionda, mossa, lucente più del sole… ma a parte questo non so come morì, se morì, ne tanto meno come visse. Mio padre invece era un pirata, un umano che andava in giro a divertirsi con la sua nave e il suo equipaggio di folli e fuorilegge, una brava persona però, non che fosse morto però naturalmente pur volendomi a modo suo bene, non riteneva intelligente portarmi con se nelle sue piccole…escursioni. Per questo ero stata lasciata in quella grande casa di pietra, mio padre mi veniva a trovare ogni tanto, e quelle erano le uniche occasioni in cui io potessi sorridere, poiché tra quelle fredde mura nessuno sembrava intenzionato a essermi amico, ognuno viveva nel suo piccolo mondo costellato da problemi e io, non avevo alcun diritto di entrarvi. Ne ci tenevo.
Non ricordo con felicità quel periodo della mia vita, non era solo l’indifferenza dei miei coetanei, non era la gentilezza falsa della padrona dell’orfanotrofio, che più cercava di essere ben disposta più lasciava trapelare quel senso di pietà che tanto odiavo. Lo odiavo perché mi ricordava che io non ero nulla, ne donna, perché non avevo ancora quella mentalità, ne bambina, perché la mia gaiezza era stata strappata via dal gelo della solitudine, non avevo madre e non avevo quasi un padre, non ero umana, non ero elfa…ma come ho detto non era quello che mi faceva più male, il mio cuore era riscaldato ogni tanto dalle varie creaturine di cui mi prendevo cura, o dalla speranza di una visita di mio padre o da mio padre stesso…e l’essere così strana pur pesandomi mi faceva sentire a suo modo speciale. Perciò la vera ferita si riapriva sempre la notte, quando in quel freddo edificio di pietra mi alzavo e osservavo la luna, e la pregavo di inviarmi qualcuno che mi facesse da madre. Perché è quello che più di tutto volevo. Chiudevo gli occhi e desideravo sentire il calore di due braccia che mi cingevano le spalle con affetto…
Ma essa non arrivò mai.
Ho già detto che amavo occuparmi di animaletti feriti, in particolar modo avevo preso con me una piccola cucciola di lupo. Ha smesso di vivere da molto tempo, ma ancora ogni tanto la sogno e la ringrazio perché quel giorno mi salvò la vita.
Era di indole buona e pacifica, essendo cresciuta con me, poiché sua madre l’aveva abbandonata, che la ricoprivo di cure e di affetto, perciò quando incominciò a ululare e correre verso la foresta lontano dal villaggio la seguii di corsa,preoccupata.
Seguivo il mio unico affetto e non mi accorsi di nulla, nessun presentimento. Eppure ero sempre stata una persona sensibile a questo, i miei brutti o buoni presentimenti, spesso si avveravano. Ma quel giorno non sentii nulla e quando con la mia lupacchiotta fra le braccia tornai al villaggio…esso bruciava.
Non dimenticherò mai quella sensazione di impotenza che mi assalì, perché non potevo fare nulla per quel posto…non avevo nulla da salvare….
Scappai sulla costa, dove vissi per qualche giorno, dopodiché mio padre mi trovò un giorno e da quel punto non poté fare a meno di tenermi con se.
E’ così che sono cresciuta, sul mare, in una nave piena di gente che più di tutto nella loro vita amava la libertà, anche io imparai ad amarla come prima cosa, insieme a mio padre.
Vissi allegra per qualche tempo, ma la mia vita era destinata a cambiare ancora una volta.
Su mio padre passavano gli anni di una vita breve, una vita umana. Perciò mentre io diventavo una giovane donna lui era ormai anziano, e un giorno mi chiamò nella sua cabina.
Non usò parole dolci, mi disse chiaro e conciso che non era più disposto a farmi rischiare la vita, non mi avrebbe più aiutato in questo, se lo volevo fare, l’avrei fatto da sola. Come padre e come capitano mi ordinò di lasciare la nave, prendere una scialuppa e andare dove il cuore mi dettava.
Non aveva gli occhi rossi, non era pallido, non mostrava alcun segno di tristezza eppure si capiva così bene che il suo cuore era straziato nel dirmi questo. Per il suo dolore senza lacrime che ne valevano più di mille, e per il dolore che sentivo dentro di me, nonostante odiavo chi mi dicesse cosa fare, capii che quelle parole uscivano da un cuore che si preoccupava per me e fui costretta ad obbedirgli.
E così che arrivai ad Avalon, un’isola di sogni e speranze. E nonostante io continui a desiderare una madre affettuosa come tutte le bambine, perché questo una parte del mio cuore desidererà rimanere sempre, in questa meravigliosa isola ho capito qualcosa di importante. Forse, in verità, io ho sempre avuto una madre che vegliava su di me, la vedevo ogni giorno, dall’orfanotrofio di pietra, dal ponte di una nave…era bianca, splendida e stava sempre in cielo… era la Luna.
 
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