FIRENZE 6-10 novembre 2002

 

FORUM SOCIALE EUROPEO

SITO FSE ESF

 

 

I RESOCONTI DELLE ASSEMBLEE

 

Documento dell'Assemblea dei movimenti sociali europei del 10 novembre

Appello contro la guerra

12-11-2002

A tutti i cittadini e le cittadine di Europa
Insieme possiamo fermare questa guerra !

Noi, movimenti sociali europei stiamo lottando per i diritti sociali e la giustizia sociale, per la democrazia e contre tutte le forme di oppressione.

Vogliamo un mondo di differenze, di libertà e di rispetto reciproco.

Crediamo che questa guerra, che sia legittimata o meno dall'Onu, sarà una catastrofe per i popoli dell'Iraq che già patiscono le conseguenze dell'embargo e del regime di Saddam Hussein, e per i popoli del Medio Oriente. Chiunque creda nella soluzione politica e democratica dei conflitti internazionali deve opporsi a questa guerra, perché sarà une guerra che puo portare a un disastro globale.

C'è già una opposizione massiccia alla guerra in ogni paese di Europa. Centinaia di migliaia di persone si sono già mobilitate per la pace.

Facciamo appello ai movimenti, ai cittadini e alle cittadine di Europa per una resistenza continentale coordinata alla guerra :

1.organizzando da subito una opposizione di massa all'attacco all'Iraq
2.in caso avvenga l'attacco, organizzando immediatamente mobilitazioni, azioni e manifestazioni nazionali il sabato immediatamente successivo
3.iniziando da ora ad organizzare manifestazioni in tutte le capitali europee il 15 di febbraio.

Possiamo fermare questa guerra.

 

 

 

GIOVEDI’ 7 novembre

 

CONFERENZA

LIBERISMO E GLOBALIZZAZIONE

 

L’Europa della Sovranità Alimentare

Per una politica agricola comune, sociale, agroecologica e del lavoro contro le politiche dell’Omc. Una scienza al servizio della società: brevetti, ogm e ricerca fuori dal controllo delle multinazionali, contro la mercificazione della vita. Ciclo corto, consumi, commercio Nord e Sud: il modello dell’equità.

Sala Leopolda 9:30 – 12:30

Interventi:

Josè Bovè (Confederation paysanne, Francia); Sergio Marelli (Pres. Ong. Italia); Hector Mondragon (Economista Colombia); Lidia Senra (Sindacato Galero Galero, Galizia, Spagna); Mamadou Cissoko (Sindacato contadino,Senegal).

Coordinamento:

Gianni Fabbris (Altragricoltura, Italia); Hege Nerland (Via Campesina, Norvegia).

 

 

“Non dobbiamo avere paura di combattere e di distruggere i campi sperimentali degli apprendisti stregoni che ci vogliono imporre i prodotti a base di Ogm”. Josè Bovè, il leader francese della Confederation paysanne, non poteva sintetizzare meglio la posizione del Social Forum sugli organismi geneticamente modificati. Alle sue parole le migliaia di persone riunite nel grande capannone dell’ex Stazione Leopolda per la conferenza sulla sovranità alimentare, sono esplose in un’ovazione. Il problema in ballo non è tanto - o almeno non solo – quello sanitario, quanto, e non ci si stancherà mai di ripeterlo, l’enorme impatto sociale ed economico dell’agricoltura transgenica.

“L’agricoltura è sempre più oggetto della guerra economica planetaria, messa in atto dalle multinazionali per controllare il mondo”, ha continuato Bovè, “una guerra diretta contro i piccoli agricoltori, sia dei paesi ricchi che dei paesi poveri. Basti pensare che l’entrata della Cina nell’organizzazione mondiale del commercio, meglio nota come WTO, si tradurrà quasi immediatamente nell’espulsione di 250 milioni di persone dalle loro terre”. Di questo si parla quindi e non di Frankestein Food o altri facili slogan.

La decisa messa in discussione del sistema del commercio mondiale e delle multinazionali è venuta anche dagli altri interventi, come la norvegese Hege Nerland o la spagnola Lidia Serna, del sindacato dei lavoratori della terra della Galizia e componente della Confederazione europea, che ha parlato senza mezzi termini di “neoliberismo che non capisce cosa siano i diritti. E le politiche agricole attuali sono concepite per favorire determinati commerci dove centrano la chimica e la farmaceutica, e non invece per soddisfare i bisogni alimentari dell’umanità”. La Serna ha rivendicato il rispetto del “diritto di tutti gli abitanti del mondo ad una alimentazione sana e il diritto di ogni popolo di essere sovrano nelle proprie scelte in materia di agricoltura”. Gianni Fabbris di Altragricoltura ha sottolineato l’importanza, per l’Europa, della sopravvivenza della civiltà contadina. E’ possibile, si è chiesto Fabbris, “ sacrificare alla legge del dominio agroalimentare delle multinazionali il nostro rapporto con la terra, il nostro diritto alla sovranità alimentare? Ovviamente no, non si può rinunciare al diritto di veder riconosciuta in Europa una funzione sociale all’agricoltura. E’ per questo che, da subito, il movimento antiliberista deve porsi come obiettivo una grande campagna per la riforma della politica agricola comunitaria.”.

Negli ultimi anni sono sempre più numerosi i ricercatori che richiamano l’attenzione sull’esistenza di alcuni problemi che non sono stati esaminati in modo esaustivo, come il rischio di contrarre allergie o di vedersi aumentare la resistenza agli antibiotici per via di alcuni geni impiegati dalle tecnologie transgeniche.

Ma il problema non è nemmeno più questo,quanto il fatto che le nuove grandi trovate dell’industria biotech non convincono nemmeno più gli investitori, che infatti fuggono dal settore. La verità è che la grande rivoluzione biotech, promessa ormai da vent’anni, non si è mai verificata; le grandi promesse degli alimenti “arricchiti” attraverso la manipolazione genetica non sono state mantenute e la bolla speculativa è scoppiata. Oggi gli Stati Uniti si ritrovano con una grande quantità di raccolti transgenici invenduti e non trovano niente di meglio che rifilarli alle Nazioni Unite, sotto forma di aiuti alimentari. Ottenendo così in primo luogo di smerciare l’invenduto e , in secondo luogo di far fuori dei mercati concorrenti. Inoltre vengono fatti passare dai media anche come “benefattori umanitari”.

Ecco così svelato il “mistero” del rifiuto dello Zambia, i cui scienziati vengono inseriti da Casadei fra un paio di virgolette – perché, lo Zambia non può avere scienziati veri? Il governo del piccolo stato africano rifiuta gli aiuti alimentari a base di Ogm, non per puro sadismo, o perché si è fatto ingannare dalla propaganda degli ambientalisti europei, ma per non condannare le prossime generazioni a vivere di carità. Fare entrare gli Ogm nel paese significa inimicarsi un mercato, come quello europeo, che compra proprio da quei paesi che possono garantire una filiera Ogm free: si tratta cioè di una difesa della tipicità dei propri prodotti.

Il mito di un movimento tutto bucolico e antiscientifico è duro a morire, anche perché serve proprio ad occultare la strategia economica e gli interessi particolari che si celano dietro all’offensiva biotech. In realtà sono stati proprio gli ambientalisti a chiedere per primi di sostenere una ricerca pubblica veramente indipendente proprio perché, ciò che non convince degli Ogm è che non sono sufficientemente esaminati prima di lanciarli sul mercato.

In buona parte dei paesi africani, non si trovano più gli economici prodotti locali che vengono tutti destinati all’esportazione – a tariffe che non bastano a sfamare i contadini- mentre i mercati  sono saturati di costosi- e poco salubri – prodotti agroindustriali. In che modo un’ulteriore spallata all’agricoltura di sussistenza, quel poco che ancora riesce a conservarsi per il mercato locale, potrebbe risolvere questa situazione.

Come al solito si continua a proporre, come cura, il virus stesso che ha causato la malattia: più esportazioni, più chimica- o biotech – e più corporation.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

SEMINARIO

LA POLITICA COME BENE COMUNE, SINISTRA E MOVIMENTI

 

Interventi:

Francois Hourtart, Susan George,Michael Brie, Vittorio Agnoletto, Chritophe Aguiton, Maco Bersani, Miguel Riera, Eustache Kouvelakis, Boris Kagarlistky, Josè Bovè, Emilio Molinari, Hilary Wainwright, Francis Wurtz, Fausto Bertinotti, Nicos Kostantopoulos, Cesare Salvi, Anne Van lanker, Alfonso pecoraro Scanio, Monica Frassoni, Mario Agostinelli, Elisabeth Gauthier, Brid Brenan.

 

Associazioni Promotrici:

Punto Rosso, Fma, Transform!, Tni.

Sala Cavaniglia  14:00-17:00

 

L’incontro organizzato da Transform, dalla associazione culturale Punto Rosso, dal Forum mondiale delle alternative e dal Transnational institute (Tni), ha riunito allo stesso tavolo alcuni dei personaggi più noti del movimento, tra cui Vittorio Agnoletto, Susan Georgee Christophe Aguiton, insieme ai rappresentanti politici italiani (Bertinotti, Salvi, Pecoraro Scanio) e europei (Anne Van Lancker, Francis Wurtz) e ha costituito già un tassello di dialogo tra movimento e forze politiche tradizionali.

La folla risponde applaudendo e segnando i passaggi più importanti, quelli che con più nettezza, ma anche con un pizzico di poesia, indicano un futuro diverso. E’ quasi un urlo quello che accoglie la fine dell’intervento di Susan George (Tni) quando invita a “raccogliere tutte le forze per combattere per quello che vogliamo”.

Il suo appello all’unità in primo luogo per contrastare le politiche guerrafondaie di Bush, diventa subito entusiasmo e, più che speranza, diventa certezza. Lo spettacolo sono loro. Uomini e donne di tutte le età, sulle sedie, in piedi, per terra, che prendono appunti e che davanti alla parola socialismo pronunciata da Fausto Bertinotti, irrompono in un applauso che non lascia dubbi sul carattere di questo movimento, la cui latenza anticapitalistica è già qualcosa di più deciso, tanto da non aver paura di una parola, che Bertinotti, con un filo di ironia e forse di sarcasmo comprende tra quelle sputtanate. Sputtanata forse, ma ancora capace di far saltare la gente in piedi. E dietro quelle parole c’è un partito che è cambiato stando nel movimento “forse il solo merito che ha il nostro partito è stato quello, rompendo con una certa tradizione dei partiti Comunisti, di far parte di un movimento senza nessuna pretesa avanguardistica, ma come soggetto tra gli altri”.

Una scommessa vinta e che è di per sé una risposta a uno dei fili conduttori del dibattito, quello sul rapporto tra partiti e movimenti. Molte le risposte ma diverse le angolazioni. Ma alla fine quello che è emerso, anche dagli interventi di Pecorario Scanio e di Salvi, è la volontà di un intreccio, di battaglie comuni. In primis, come chiede la femminista italiana Maria Luisa Boccia, per “far sì che la costituzione europea contenga , come quella italiana nell’articolo 11, un no alla guerra, sostituito dal diritto alla pace”. Il presidente di Socialismo 2000 ed il portavoce dei Verdi non spiegano però,bene come il centrosinistra, di cui pure fanno parte e che ha preso mille critiche, possa in modo dialogare con chi ne contesta un punto fondamentale: questa globalizzazione non può essere né temperata né regolata. A questa globalizzazione bisogna dire un “no” secco.

Christophe Aguiton di Attac France non solo si impegna in prima persona, ma ricorda che “tutti noi ci dobbiamo battere per i bisogni di ognuno. Per chiunque soffra, per i disoccupati, i precari, per chi non ha un salario. Dobbiamo unire le diverse anime del movimento per un obiettivo comune: cambiare realmente questa Europa e questo mondo”.

Applausi scroscianti anche per Agnoletto che avverte: “Smettetela di chiamarci no global. Non siamo conrari alla globalizzazione tout court, ma a questa neoliberista, per una globalizzazione dei diritti”. “Un orizzonte che si può e si deve condividere con i partiti, là dove si hanno gli stessi obiettivi” “Questo movimento non vuole diventare un partito politico ma fare la strada insieme con tutte le forze che ne condividano gli obiettivi”. E chiude con una citazione di pace del sindaco La Pira, con un’immagine di pace che parla di una stormo immenso di rondini:”Quelle rondini della pace siamo noi”.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

CONFERENZA

DIALOGHI

 

Movimenti e lotte sindacali

 

Interventi:

Jean Lappeyre (vicepres. Ces), Annick Coupè (Groupe des 10, France), Piero Bernocchi (Cobas, Italia), Bob Crow (Rtm, GB), Marco Bersani (Attac, Italia), Mag Wompel (Caporedattore Labournet, Germania), Paul Nicolson (Via Campesina), Javier Doz (CC.OO., Spagna).

Coordinamento:

Carla Casalini (il manifesto).

Sala Palacongressi ore 17:30

 

“Non abiure ,ma solo un po’ di coerenza”. Nemmeno il tentativo da parte della presidenza risparmia a Maria Helena Andrè, rappresentante della Ces, Confederazione europea dei sindacati, una lunga selva di fischi e proteste che si leva dall’aula magna del Palacongressi. Il popolo dei no global si scalda. E come non potrebbe di fronte ad affermazioni del tipo “l’economia sociale di mercato deve sposare la giustizia sociale”?  Non solo, Andrè respinge sdegnosamente l’accusa di aver appoggiato il “patto per l’Italia” e ribadisce al tempo stesso di voler appoggiare “le lotte dei lavoratori italiani contro Berlusconi”. Un po’ di coerenza non guasta!

A parte questo episodio la giornata è scivolata via dentro un dibattito molto ricco di temi e di spunti che, insistono su un paio di domande: ce la farà il movimento sindacale, di base e confederale,a mettere a punto una piattaforma per una vera Europa sociale? E quali rapporti avrà in questa impresa con il movimento? La democrazia è parte di questo rapporto? Il Fse, ovviamente è un’occasione da non lasciarsi scappare. Anche perché mentre a Genova il rapporto con i temi del lavoro era stato surclassato daghli eventi di quei giorni, questa volta i luoghi del lavoro hanno davvero registrato il tutto esaurito.

L’impressione generale è che il cammino da fare è ancora molto lungo e che iltempo a disposizione sta per scadere. Tra poco la convenzione europea taglierà via un bel po’ di diritti, e intanto, i processi di privatizzazione soprattutto nei servizi, da una parte, e l’attacco al salario e il peggioramento delle condizioni di lavoro, dall’altra, stanno riducendo l’Europa ad un colabrodo in cui ogni sindacato pensa solo a “restare a galla” ritagliandosi il suo piccolo spazio di trattativa.

Il paradigma di analisi lo spiega bene Marco Bersani di Attac. “Sono le imprese a non voler più la concertazione. Non c’è più spazio per stemperare il capitalismo”. A dirlo non sono più soltanto i disastri sulla privatizzazione – e il sindacato dei trasporti britannico lo spiega benissimo – ma la precarizzazione galoppante, dalla quale non può più chiamarsi fuori nessuno, nemmeno più i cosiddetti lavoratori garantiti; la questione dei migranti che sono un po’ lo specchio della condizione futura. I settori più combattivi, come quello dei metalmeccanici, promettono di cominciare a parlare di punti di riferimento comuni come la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro.

“Non si può ridurre l’orario-dice Tephan Krull dell’Ig Metall – senza un’offensiva generale sul salario”. Per Annik Coupe, di Solidaires, “nonostante tutto le lotte vanno avanti. Serve un sindacato più efficace e soprattutto un sindacato che sappia pensare all’utopia.”. Insomma non c’è alcun processo spontaneo che possa portare all’unità.Bisogna sceglierlo. E la scelta bisogna cominciare a farla in piena autonomia dai partiti. Su questo punto hanno insistito in molti. Angel Crespo, delle Cc. Oo. Ha chiarito che in Spagna “nonostante il capo del governo si ostini a parlare di dialogo, lo sciopero generale è riuscito molto bene ma la lotta nazionale non è sufficiente”. Basterà questo per riuscire a convocare uno sciopero generale in tutta Europa?Giampaolo Patta della CGIL si acconteterebbe anche di coordinare le date. In attesa è meglio insistere sui punti davvero unificanti come la guerra e la costituzione europea. E’ proprio invocando uno sciopero contro la guerra che Piero Bernocchi dei Cobas riceve dalla sala un applauso scrosciante.

All’assise del sindacalismo di base sono emerse due istanze, ed anche con una certa forza , considerando che vi hanno preso parte sindacati di molti paesi europei: un chiaro richiamo al Social Forum a far emergere la contraddizione tra capitale e lavoro, e l’urgenza  di riuscire -a stabilire forme più stringenti di coordinamento tra organizzazioni sindacali antiliberiste, forme che potrebbero sfociare in alcune iniziative nel settore dei trasporti,per esempio. “Ribellarsi è possibile” dice Paolo Sabatini del Sin. Cobas.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

LE ALTRE ASSEMBLEE

 

 

Dove sta andando la comunicazione era il tema affrontato tra gli altri con Anna Pizzo di Carta, Luciana Castellina, Roberto Savio di IPS. "Il moltiplicarsi dei canali della comunicazione corrisponde a una diminuzione drastica delle fonti".

 

INFORMAZIONE E CULTURA BENI DELL'UMANITA`; DAI MONOPOLI AI NUOVI DIRITTI INDIVIDUALI E COLLETTIVI.

 Interventi: Luciana Castellina (Italia) , Rainer Rilling (Rosa Luxemburg Found), Roberto Savio (IPS - World Social Agenda), Michalis Tremopoulos (Giornalista, Grecia), Joele Palmieri ( Le Penelope, Francia). Dove sta andando la comunicazione, nel nuovo millennio? Questo e` il grande tema che e` stato affrontato stamani nel padiglione Cavaniglia, al Forum Sociale Europeo. Si e` parlato anche di come i media dovrebbero essere intermediari culturali alla portata di tutti, e come invece sono proprieta` esclusiva dei grandi businessman della comunicazione. << Questo e` una grande opportunita`, riaprire il fondamentale dibattito sulla cultura, la democrazia e la pace>> queste dice Anna Pizzo di Carta. Gli fa eco Luciana Castellina: <>. <> dice Rainer Rilling della Rosa Luxembrug Found. << La comunicazione deve essere al servizio nostro e vostro, die cittadini- afferma Joele Plamieri giornalista francese>>. << O siete con noi o siete contro di noi - questo l'ultimatum americano contro chi mette .in dubbio la loro visione del futuro equilibrio mondiale.>> conclude il suo intervento Tremoupolos Michalis <>. Questo lo scenario prospettato da Roberto Savio responsabile Media e comunicazione Porto Alegre forum sociale mondiale. <> saluta la platea Bula Vka Ludmila del Russia Movement "Alternativs"

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

Stazione Leopolda

EUROPA E SOVRANITA’ ALIMENTARE

h.9.30-12.30

Lidia Senra - Sindicato Labrego Galego/CPE Spagna

“L’UE è protagonista delle politiche neoliberiste che negano ai popoli il diritto alla sovranità alimentare, considerando il cibo un mezzo per garantire guadagni alle aziende agricole, chimiche e farmaceutiche. E’ necessario cambiare queste politiche, garantire prezzi dignitosi ai contadini che producono cibi sani, privi di OGM, antibiotici e ormoni. Agricoltura e alimentazione devono restare fuori dal controllo dell’OMC e ciascun popolo deve poter scegliere le proprie politiche agricole.”

Hector Mondragon - Colombia, economista

“In Colombia negli ultimi 15 anni 2,5 milioni di contadini sono stati cacciati dalle loro terre per fare spazio all’estrazione del petrolio e alle grandi vie di comunicazione. In 10 anni, 1700 affiliati ai movimenti di lotta contadina sono stati uccisi. Gli USA hanno militarizzato la Colombia per controllare il petrolio del Venezuela, imposto il liberismo per commercializzare i prodotti agricoli delle multinazionali, distruggendo le produzioni  locali. Così i contadini colombiani non hanno alternative alla coltivazione illegale di coca e papavero. Ma il Plan Colombia prevede che queste coltivazioni vengano fumigate e i contadini cacciati, repressi, uccisi. “

Sergio Marelli – Pres.ONG italiane

“Il cibo non può essere considerato una merce e la sua produzione ha bisogno di regole proprie, nuove regole che valorizzino la produzione sostenibile e l’agricoltura biologica, serve un codice alimentare internazionale.

Da Firenze partiranno due campagne, una contro l’OMC, l’altra contro la fine dei sussidi alle esportazioni dei prodotti agricoli.

José Bové – Conf. paysanne Francia

“L’agricoltura è diventata strumento di dominio del pianeta e le regole del commercio prevalgono sul diritto  dei popoli a nutrirsi. L’agricoltura è oggi una nuova forma di colonialismo dei paesi del Nord verso quelli del Sud. La sovranità alimentare non è semplicemente il diritto a nutrirsi, è il primo passo per l’indipendenza politica e l’autodeterminazione. Dobbiamo lottare per il diritto all’esistenza di diversi modelli agricoli e dei mercati locali, per preservare la biodiversità, per ribadire il diritto di ciascuno a usare i propri semi senza l’obbligo dell’intermediazione delle multinazionali che detengono i brevetti delle sementi geneticamente modificate. 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

Dall’Unione Europea della Globalizzazione Liberista all’Europa delle alternative

Sala stracolma di partecipanti, coordina Antonio Tricarico (CRBM).

Lotta per la ricerca della soluzione del debito dei Paesi in via di sviluppo, accuse alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, proposte concrete di legge alternative alla linea liberista come la Tobin Tax, controllo civico sulla politica fiscale e crisi evidente della New Economy sono stati i temi principali. Il filo conduttore di tutti gli interventi è stato una spietata critica alle soluzioni recentemente proposte da G7, F.M.I, B.M denominate “Quadro strategico di lotta alla povertà”.

“ Firenze sarà l’occasione per dimostrare che il Movimento non parla solo di ideali – ha affermato Emiliano Brancaccio (Attac Italia) – ma lavorerà per dare anche risposte concrete”.

“ Stiamo assistendo a una truffa – ha detto Denise Cormanne (Cadtm, Belgio)– visto che continuiamo a dire che il debito sta diminuendo grazie a opere benevole di Paesi sviluppati mentre invece aumenta in modo incessante”.

Anche Barry Coates (The World Developement Moviment, Gran Bretagna) ha sostenuto che il mito del reddito, tanto cavalcato dalle teorie liberiste, si è dimostrato una falsità. “Dobbiamo combattere la Liberalizzazione e affrontare i problemi legati al Gatts – ha detto il relatore britannico – per controllare i mercati finanziari e garantire libertà degli investimenti al fine di sviluppare un’economia solidale”.

Mentre Christian Marazzi (Università Svizzera) ha dichiarato che il Social Forum sarà una tre giorni  per trovare il filo conduttore dell’economia mondiale. “Ci auguriamo che il Brasile, esempio di democrazia dal quale apprendere, possa testimoniare al mondo – ha detto il docente – la rivendicazione di spazi pubblici vitali”.

Quasi tutti i relatori hanno ricordato il paese sud americano, anche Serge Colin (G10 Solidaries, Francia)che si è lungamente dilungato sui tassi d’interesse, che soffocano i paesi in via di sviluppo.Molti sono stati gli interventi da parte dei partecipanti. Fiorentini, cileni, nigeriani, tutti a testimoniare il fallimento del Liberismo. Data l’unanime sfiducia nelle istituzioni è stata avanzata la richiesta di formare un nuovo partito europeo che possa incarnare gli ideali del Movimento dei Movimenti. Gli oratori hanno concluso ricordando che l’importante è continuare a cercare obbiettivi comuni sui quali confrontarsi e fare fronte unico, e divulgare maggiori informazioni per costruire nuove coscienze.

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

ALLARME ESTREMA DESTRA: LA FRATTURA SOCIALE IN EUROPA

Federica Mogherini (Sinistra giovanile) chiede come la critica di sinistra alla globalizzazione si può distinguere da quella della destra.

Hermann Dworzcak (Centro austriaco di documentazione della Resistenza) avverte che “ci confrontiamo con un fenomeno nuovo e non nostalgico, e necessitiamo di strumenti di analisi nuovi”. Tomas Krausz (Attac, Ungheria) dice che nell’Europa dell’est, le “democrazie” sono controllate dalle destre. Per Tania Assulin (Unef, sindacato studentesco Francia) la sinistra può vincere solo costruendo un’alternativa, con l’educazione al centro. Asad Rehman (Newham Monitoring Project, UK) parla della crescita del British National Party; l’estrema destra si vince se prima si vince il razzismo. Per Guido Caldiron (giornalista Liberazione) il laboratorio politico delle destre europee è l’Italia, dove una “destra plurale” fonde populismi diversi con l’identità neoliberista in comune. Il nuovo antifascismo deve integrare la critica alla globalizzazione. Per Michel Tubania (Lega per i diritti umani, Francia) il problema attuale è il passaggio delle idee dall’estrema destra alla destra istituzionale. La convivenza non è un valore scontato, va imparata. Invita anche ad avere di nuovo il coraggio dell’utopia a sinistra. Il “no pasaran” deve diventare “vinceremos”.

Tutti gli oratori concordano sulla necessità di passare a una fase di proposte concrete. Il pubblico ha ripreso questo punto, e fatto alcuni commenti sul ruolo dell’educazione e della definizione ideologica dei movimenti di estrema destra. Alcuni hanno chiesto maggiore precisione nell’uso delle categorie (populismo, estrema destra, ecc.), mentre altri hanno sostenuto la necessità di parlare di nazisti e di fascisti per evitare ogni equivoco. Un’attivista danese ha invitato a una manifestazione a Copenhagen contro il partito di estrema desta (12% alle ultime elezioni), in dicembre. Un militante del PCF, “noir, senegalo-français”, ha fatto notare che in sala c’erano al massimo due o tre di pelle scura su duecento presenti.

Nelle conclusioni, Nouno Tito (Attac Portogallo) ha invitato a promuovere l’inclusione contro l’esclusione e a garantire libertà e diritto di parola, piuttosto che sicurezza.

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

GUERRA E PACE.

 Non c'e pace senza giustizia. Prevenire i conflitti. Disobbedire alla guerra. Costruire solidarietà e cooperazione internazionale e decentrata.

Conferenza: 9.30-12.30

Sala Rastriglia

Relatori: Ariel Denis, Movimento contro la guerra in Iraq; Lindsay German, Stop the war, Gran Bretagna; Lidia Menapace (Convenzione Permanente di donne contro la guerra Italia); Hans Abrahamsson (Attac, Svezia). Coordinamento: Tonio Dell'Olio (Pax Christi).

 

Tonio Dell'Olio domanda: qual è il rapporto che esiste tra Pace e Giustizia?

Ariel Denis ritiene caduta l'illusione del neoliberalismo portatore di benessere; questo sistema genera insicurezza e violenza: "non ci può essere la pace senza lo sviluppo". "Quali sono le regole? Dobbiamo lasciare gli USA fare la guerra a chi non va bene a loro?"." Il costruire la pace vuol dire mettere insieme una serie di atteggiamento, dobbiamo promuovere una cultura della pace."

Lindsay German confronta le spese per le armi di Saddam Hussein (1,5 milliardi di dollari) e degli USA (396 milliardi) ed ha chiesto: "Allora, chi ha gli armamenti più pericolosi del mondo? Cosa ha fatto Putin in Russia?" Dobbiamo essere in grado di individuare  i veri nemici? Quando si eliminerà Saddam Hussein, dove andremo? Tutti debbono avere il diritto di voto sulla guerra.

Maria Styllou sottolinea l'importanza del 21 ottobre in Grecia, quando  tutti i sindacati sono scesi in Piazza contro la guerra. "Apriamo le frontiere in Grecia, chiudiamo le basi della Nato in Grecia”. Per porre fine all’ingiustizia occorre riunirsi, come in questo FSE.

Lidia Menapace inizia con la necessità di “partorire una cultura che riesca a partorire la pace”. Dobbiamo "provare a costruire un pensiero politico che escluda la guerra". Questo processo cominciò nel 1991(Iraq) e prosegue con  due importante movimenti che hanno scelto la nonviolenza: il movimento sindacale e il movimento delle donne. Propone la neutralità militare dell'Europa, dai parlamenti nazionali a quello europeo, il riciclaggio dei materiali militari,  il servizio civile diffuso e generalizzato. All’ONU devono finire i poteri di vincitori (diritto di veto), la presenza nel Consiglio di sicurezza deve essere a rotazione.

Hans Abranhamsson evidenzia gli effetti negativi della globalizzazione, processo di ingiustizia ed esclusione. C’è la possibilità di fermare questo processo attraverso movimenti sociali, in incontri come questo svolto al FSE e quello di  Porto Alegre.

Nel dibattito sono intervenuti russi, curdi, americani, tedeschi,  e altri che hanno convenuto sulla necessità di fermare ogni tipo di guerra, ogni tipo di oppressione e di creare una nuova cultura della pace.   

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

Sala Duemila

9.30-12.30

CON I SENZA DIRITTI CONTRO L’ESCLUSIONE SOCIALE

Christiane Maigre (Marce europee Belgio), Markus Drake (Disobbedienti Helsinki), Erika Biehn (Bag Shi Germania), Osaren Binoba (Coordinamento europeo sans papier) sostituisce Constance Etch bloccato alla frontiera., Jean-Baptiste. Eyrault (Droit au Logement Francia)

Coordinamento: Ilaria Lani (Udu), Andrès Barrego (Tavolo Migranti Italia)

Lani

“L’incontro vuole sancire un diritto da inserire nella Carta di Nizza, il diritto al futuro per chi non può costruire un progetto di vita autonomo nell’Europa che esclude i senza diritti: giovani, migranti, senza casa o lavoro”.

Barrego

“Si cerca di mantenere i migranti in condizione di non persone”. “Bisogna consolidare i diritti e farli rispettare organizzando forme di lotte comuni: in Italia esistono esperienze di lotte di cittadini italiani e migranti per la casa e il lavoro”.

Maigre

“Dopo una diminuzione della disoccupazione con la precarizzazione del lavoro, cresce oggi la disoccupazione con la precarietà”. “Si deregolamenta il lavoro e si impongono forme di lavoro forzato cancellando i diritti dei disoccupati. Bisogna inserire il diritto al lavoro nella Carta di Nizza”.

Drake

L’Europa del Nord, presentata come modello per l’Europa sociale, non può esserlo, perché “tutti dicono di essere contro l’esclusione sociale, ma risolvono il problema facendo finta che gli esclusi non esistano. E’ importante rendere visibili gli invisibili”.

Binoba

“Di fronte alla criminalizzazione dei migranti e all’armonizzazione delle politiche repressive è necessario creare una rete transazionale delle esperienze di resistenza, elaborando strategie politiche e forme di lotta comuni verso una mobilitazione europea per i diritti dei migranti”.

Eyrault

“Mentre in tutta Europa si assiste al degrado delle politiche della casa crescono le forme di lotta quali occupazioni collettive di case e terreni”.” Non avremo un altro mondo se i senza diritti non si mobilitano insieme per cambiare la società.

Biehn

“Sempre più c’è povertà anche dove c’è lavoro”. “Le politiche del lavoro europee erodono un sistema che prevedeva l’equa distribuzione dei diritti”.”Le associazioni devono unirsi nella lotta contro lo smantellamento dello stato sociale.

Intervengono una ventina di associazioni: tutti invitano a forme di lotta comuni contro l’esclusione per la costruzione di un’Europa dei cittadini e non del capitale.

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

INTERVISTE

 

GEZA VARGA: coltivatore di agricoltura biologica in Ungheria.

 

Gèza Varga, contadino Ungherese, fa agricoltura organica e dirige l’associazione di coltivatori che come lui combattono gli OGM nonché una cooperativa di produzioni biologiche.

 

“Nel mio paese l’utilizzo di sementi trasgeniche è proibito ma si sono verificati molti episodi di importazione di contrabbando della soia transgenica. Per quanto riguarda il cibo transgenico invece, la proibizione non è così categorica e l’obbligo all’etichettatura è previsto solo se gli OGM superano la soglia dell’uno per cento, un valore per cui non esistono test certi. A mio parere, comunque, gli OGM sono l’ultima trovata di una strategia neocolonialistache trovo di per sé disastrosa.

Prendiamo per esempio l’agricoltura organica. Se, come avviene in Ungheria, il 95% dei prodotti organici vengono esportati all’estero come materie prime alimentari, il loro valore e quindi il loro prezzo vengono abbattuti. La mia cooperativa vende l’80% della propria produzione sul mercato interno,sebbene i prodotti biologici non abbiano la diffusione che hanno in Germania o in Francia. Se i piccoli coltivatori vengono penalizzati dai prezzi e dalla politica agricola comunitaria sono destinati all’estinzione. Se poi a questo si aggiunge l’allargamento…

Per i piccoli agricoltori l’allargamento dell’UE è deleterio. Prima di tutto le sovvenzioni pensate dalla UE per dare una mano ai piccoli coltivatori, il cosiddetto piano Suppar, tagliano fuori chi si muove sotto un budget di 15.000 €, che per le popolazioni rurali è molto alto. Sotto questo tetto non riceverai alcun sussidio e dovrai sopravvivere alla doppia concorrenza provovcata dall’allargamento. Da una parte la competitività dei grandi produttori ungheresi dell’agrobusinnes diventerà ancora più feroce, dall’altra l’apertura del mercato ai prodotti agricoli europei e americani, i cui prezzi sono tenuti artificialmente bassi attraverso i sussidi, rovineranno un sacco di gente. Gli effetti saranno devastanti: almeno la metà del mezzo milione di contadini che vivono dell’agricoltura di sussistenza saranno destinati a sparire.

Le esportazioni sono figlie del mercato. E’ la logica stessa del mercato il vero nostro nemico”.

 

 

 

TOMAS EMILIO HERRERA: agricoltore in Colombia

 

Tomas Emilio Herrera proviene da un inferno, quello dei contadini della Colombia, dove dirige l’associazione nazionale mezzadri “Unità e Ricostruzione”.

 

“L’associazione è nata nel 1987, per raggruppare piccoli proprietari, braccianti e famiglie di contadini. Da 15 anni lottiamo per la riforma agraria e per proteggere i contadini dalle rimozioni forzate che negli ultimi tempi hanno assunto proporzioni allarmanti. La situazione in Colombia è molto peggiorata, in nuovo governo non ha nessuna intenzione di intavolare un dialogo con le comunità contadine e gli Usa premono il piede sull’acceleratore per l’Alca, l’accordo del libero scambio che dovrebbe aprire integralmente i mercati dell’America Latina. L’alca penalizzarà i contadini già oggi. Basti pensare che uno dei progetti dell’Alca, la strada che dovrebbe unire Caracas a Buenos Aires attraverso la Colombia, sta spazzando via tutto quello che trova. Poiché la strada attraversa terreni agricoli, i contadini vengono trasferiti con la forza. Su 15 milioni ne sono già deportati due milioni e mezzo. Le deportazioni precedono la strada, chilometro dopo chilometro.

Non sono previsti indennizzi perché i contadini non hanno intenzione di vendere la terra, e il governo lo sa bene. Stiamo parlando di una realtà di esecuzioni sommarie, di squadre della morte pagate dai latifondisti per far sparire nel nulla i sindacalisti dei contadini. Per questo è molto importante che la rete di resistenza si allarghi prima a tutte le realtà colombiane, i neri, gli indios, gli ispanici, e poi a quello dell’intero continente. L’Alca riguarda tutta l’America Latina che ancora dipende, in buona parte, dall’agricoltura di sussistenza.

Siamo venuti al Forum perché l’unità d’azione dei che stiamo cercando di costruire con le organizzazioni contadine latinoamericane di “Via Campesina” è solo parte di una lotta più ampia, siamo qui per far conoscere agli europei la durissima realtà colombiana, dove è evidentissimala connessione fra la difesa dei diritti umani e la difesa della sovranità alimentare. Le multinazionali pretendono di togliere il controllo nazionale sugli alimenti in ogni luogo del pianeta, vogliono espropriare la sovranità sulla biodiversità, sull’acqua sulla fauna e sulla flora. Bisogna serrare le fila del movimento di resistenza globale”.

 

 

 

RENE’ GALISSOT: intellettuale antirazzista

 

Renè Galissot insegna storia contemporanea presso l’università di Paris8, direttore del dipartimento studi Magreb-Europa, è conosciuto in Italia per il suo storico impegno antirazzista sia politico che intellettuale.

 

“Le politiche europee sull’immigrazione le chiamano politiche ma in realtà si tratta solo di operazioni di polizia. Basta con questa ipocrisia, si chiama l’immigrazione “problema” e questa è una assurdità. L’immigrazione in Europa è un fenomeno banale che c’è sempre stato. L’Europa è per sua struttura una terra di transito. Farla diventare un problema significa assumerla solo come fenomeno da controllare in funzione delle esigenze del mercato e altrimenti da reprimere.

Le frontiere si chiudono verso l’esterno ma se ne stabiliscono altre interne al continente europeo. Frontiere graduali che discriminano nell’accesso ai diritti più elementari: c’è chi è cittadino comunitario, chi potrebbe diventarlo e chi deve restare escluso. E ancghe fra chi deve restare escluso c’è la differenza fra chi da escluso serve al mercato del lavoro come clandestino e chi viene espulso con le politiche di sicurezza. E anche chi riesce a stabilizzarsi in Europa c’è discriminazione, ad esempio sull’istruzione. I titoli di studio acquisiti in alcuni continenti non vengono riconosciuti e alcune carriere sono precluse su base etnica.

In Francia ci sono 4 milioni di disoccupati e 3 milioni di persone che necessitano di sussidi. Ma ci sono anche 7 milioni di posti di lavoro nel pubblico impiego da cui sono esclusi i cittadini non comunitari. Solo un esempio. Si va sempre più verso un’immigrazione selettiva e non solo vengono stabilite quote ma si decide a priori e in base alle esigenze del mercato privato del lavoro, quali categorie possono entrare.

L’integrazione diviene un contratto ed il contratto diviene un controllo. C’è chi decide anche quello chi arriva che può o non può fare. Il tema ossessivo poi è quello della sicurezza e della delinquenza da combattere. Si combatte il clandestino, la prostituta, ma non si toccano minimamente le ragioni che portano le persone su questi terreni, tanto meno chi li sfrutta.

Si proteggono gli interessi nazionali e comunitari erigendo barriere politiche, economiche, giuridiche e culturali. C’è un neorazzismo culturale perché una politica del genere ha bisogno su una cultura su cui basarsi.In Europa si è riesumato il mito delle origini. Una assurdità. L’Europa è frutto di un meticciato continuo e permanente ed invece si ciancia di origini  e di identità discriminanti. La parola origine è la chiave per comprendere il neorazzismo culturale. Un mito di fondazione che nasce col nazismo e che rimanda alla questione ebraica. Un mito che crea forme di appartenenza ma nessuno può definirsi più o meno europeo. Si para tanto di multiculturalismo ma il multiculturalismo non va neanche spiegato, la nostra società non è fatta di tante culture separate. Uno dei pericoli da denunciare è che con il pretesto di difendere specifiche identità si accetti questa divisione fra chi è più o meno integrabile. Invece forse non esiste neanche più il concetto di cultura come si intendeva una volta. Non è a caso che il razzismo contemporaneo nasce anche dal differenzialismo multiculturale.

Le cose più urgenti da fare sono lottare per l’estenzione dei diritti per la rottura della logica che vuole la cittadinanza legata alla nazione di appartenenza. Lottare per fare in modo che casa, scuola, voto circolazione libera, servizi, assistenza, diritto d’asilo non siano cose da negoziare. Non si tratta di cose che a qualcuno possano essere negati in nome della propria provenienza o nazionalità”.

 

 

 

PAT SIKORSKI: la battaglia dei britannici dell’Rtm dentro la Ces e con le organizzazioni di base

 

L’Rtm, il sindacato britannico che comprende ferrovieri, marittimi e autisti delle metropolitane, è stato l’unica organizzazione a partecipare sia agli appuntamenti del sindacalismo di base, appuntamenti antiliberisti, sia agli incontri promossi dal sindacalismo confederale, sul tema dell’organizzaizone europea.

 

“Abbiamo deciso di partecipare ad incontri molto diversi tra loroperchè siamo un sindacato molto combattivo, divenuto tale proprio a causa della durezza della privatizzazione che ha attraversato il nostro paese. I membri del mio sindacato sono stati abituati a combattere in qualsiasi condizione e per qualsiasi motivo. Abbiamo dovuto far fronte ad una situazione davvero difficile sul fronte dei diritti, del salario e delle condizioni di lavoro. Questo ci ha radicalizzati, naturalmente. La chiave della nostra combattività risiede innanzitutto nell’aver ridotto le affiliazioni al partito laburista di quasi l’80%. Gli stessi 13 parlamentari portati dall’Rtm sono stati sostituiti da 13 nomi indicati da noi che con noi hanno concordato un programma politico chiaro almeno su quattro punti: nazionalizzazione completa delle ferrovie, nessuna privatizzazione della metro, ritiro delle leggi antisindacali e abolizione del fenomeno del cambiamento della bandiera sulle navi britaniche che sfruttano questo stratagemma per bypassare le leggi sul lavoro.

Bisogna sviluppare un’azione di lotta per gli iscritti ma anche avere chiaro che che occorre una lotta internazionale per i diritti. E poi non bisogna dimenticare il nodo dell’autonomia politica.

Noi vogliamo promuovere l’idea di una carta dei diritti  sindacali. Occorre creare subito un comitato intersindacale dei lavoratori con i tre sindacati francese, belga e britannico che partecipano al progetto Eurostar. Va poi sviluppata una campagna nazionale, da applicare anche a livello internazionale, per il ritiro di tutta la legislazione antisindacale. In GB a questa campagna hanno già aderito 16 sigle sindacali. A setembre al congresso del Tuc i delegati hanno approvato un ordine del giorno in questa direzione. E’ stata una cosa importante perché ciò non accadeva da lameno 15 anni.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

 

VENERDI’ 8 novembre

 

CONFERENZA

DIALOGHI

 

Movimento e partiti politici

Sala Cavaniglia   ore 17:30

 

Interventi: Fausto Bertinotti (Prc, Italia), Elio di Rupo (Ps Belgio), H.C.Strobele (Verdi, Germania), Oliver Besancenot (Lrc Francia), Rosi Bindi (Margherita, Italia), Vittorio Agnoletto (Social Forum), Bernard Cassen (Attac, Francia), Chris Nineham (Globalise Resistence, GB).

 

Coordinamento: Tom Benettollo (Pres. Arci)

 

Davvero la politica è rinata. Lo dice subito Fausto Bertinotti nella conferenza su movimento e partiti politici. E lo dice in una sala talmente colma che parte dlla gente è rimasta fuori ad ascoltare, mentre tanti altri stanno per terra o addossati ai muri. Una sala che si entusiasna, applaude , applaude e canta “Bella Ciao”. La partecipazione del pubblico rompe gli steccati, interviene sui passaggi più importanti, ribadisce con gli applausi il suo no alla guerra.. Come è possibile che un movimento che rivendica la sua autonomia dai partiti saluti cì il segretario del Prc? La risposta è nella scelta di Rifondazione, quella di apertura ai movimenti, di rinuncia ad ogni pretesa egemonica e avanguardista. Nella decisione di stare fra diversi con la propria identità politica. Bertinotti dice una cosa chiara, semplice, ma fino a poco tempo fa difficile: ”La politica, quella intesa nella sua più alta espressione, non nascce dalle istituzioni, nei partiti, ma nelle strade, nelle piazze. L’alta politica rinasce qui. Qui vive la politica”.  Una posizione che si connette direttamente al Movimento dei Movimenti, alla sua radicalità e alla sua esigenza di costruire un’alternativa. Lo ribadisce ancora Bertinotti: “l’ipotesi riformista, quella che cinguettava con la globalizzazione è fallita, così come è in crisi la stessa globalizzazione”. Un’analisi confermata dal caos in cui si trova e si attorciglia il centrosinistra e dal quale si distingue, sulla guerra ma anche sul rapporto con i movimenti, quella che nel Parlamento chiamano la “Pasionaria”. C’è infatti anche Rosi Bindi alla conferenza sul rapporto fra il movimento ed i partiti politici coordinato dal presidente dell’Arci Tom Benettollo. Arriva tardi perché ha votato la finanziaria, ma viene accolta con un invito cordiale ed affettuoso al parlare al ritmo di “Rosi-Rosi”. Lei non li delude. E spiega perché: “Questo movimento è più importante di quello del ’68. Ha sollevato grandi contaddizioni, ed è in grado di dettare l’agenda ai partiti istituzionali, sia che lo vogliano o che non lo vogliano”. Ma la “Pasionaria” è ancora più decissa sulla guerra: “La risoluzione ONU votata ieriè una giustificazione preventiva. Qualora venga chiesto un voto dirò no alla guerra”. Ma alla fine Rosi Bindi non rinuncia all’involucro del centrosinistra e rivolta a Bertinotti dice: “Io mi batto perché l’Ulivo viva”. Se fosse arrivata prima si sarebbe resa conto che qui alla Fortezza , il centrosinistra è davvero messo nel cassetto, dimenticato, o nel migliore dei casi, evocato come uno spettro terribile. Bernard Cassen lo spiega a partire dall’esperienze di Attac in Francia: “Noi abbiamo colto un bisogno di critica alla globalizzazione che la sinistra moderata non era in grado di capire, per andare avanti in questa opera di decontaminazione non pensiamo di diventare partiti, ma neanche i partiti possono pensare di strumentalizzare il movimento. Si tratta di costruire, come diceva il vostro Aldo Moro, convergenze parallele tra le diverse forze, nel rispetto dell’indipendenza reciproca”. H.C.Stroeble dei Verdi Tedeschi avverte il rischio che i movimenti, diventati partiti, si burocratizzino e insiste soprattutto sulla necessità di costruire punti di unità per dire no alla guerra e per battersi per un’Europa senza confini. Ma il vivo del dibattito arriva con Oliver Besancenot della Lega Comunista rivoluzionaria. Sì proprio lui, il postino rivelazione delle ultime presidenziali francesi. Parla un linguaggio efficace, diretto e senza mezzi termini, manda a casa qualsiasi ipotesi riformista. “Quando una certa sinistra è arrivata al governo, chi stava al sindacato ha imparato che il suo partito di riferimento si comportava come la destra. E’ arrivato il momento di fare una distinzione netta tra sinistra radicale e sinistra di governo”. Una distinzione che in relazione con l’energia del movimento dovrebbe trasformarsi per Besancenot in proposte comuni per il salario minimo europeo, per una legge europea contro i licenziamenti,, per una sinistra alternativa che si estenda in tutto il Vecchio Continente. Molto netta anche la posizione di Chris Ninehan di Globalise Resistance che non lascia spazio a moderatismi di varia natura. Non tutti la pensano così. Elio di Rupo del Ps Belga si becca fischi e urla di disapprovazione quando prova a parlare di una generica sinistra: “Clinton-prova a dire-è sempre meglio di Bush, Jospin di Rafarin”. Il popolo di Firenze proprio non ci sta. E’ qui per dire no a quella ipotesi. “Non è vero – spiega Vittorio Agnoletto tra gli applausi – che siamo riformisti come ha titolato oggi un giornale. Siamo radicali e sulla base di questa radicalità misuriamo unità e dialogo”. Il no alla guerra e il no al neoliberismo sono l’unica frontiera invalicabile del movimento, sono l’unica porta chiusa di una realtà che non ha più confini e per questa ragione è la grande occasione- come chiude Bertinotti mentre i partecipanti cantano “Bandiera Rossa” – per “un’alternativa che passi attraverso la riforma radicale della politica”.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

ALTERNATIVE

 

Non violenza, disobbedienza e conflitti sociali

Sala Ghiaia  ore 17:30

 

Interventi: Alex Zanotelli (Rete Lilliput), Luca Casarini (Disobbedienti), Heidi Giuliani, Petros Costantinou (G2001 Grecia), Giorgio Cremaschi (Segr. Naz. FIOM), Monica Lanfranco (Rivista Marea) Christophe Aguiton (Attac France)

 

Coordinamento: Salvatore Cannavò (Liberazione)

 

La sala Ghiaia è colma come una scatola di sardine. Quattromila persone, forse anche più, con almeno altri duemila rimasti fuori. Al Social Forum va in scena la conferenza sulla non violenza, disobbedienza e conflitti sociali. Ma forse chiamarla conferenza è improprio, un’espressione che non rende l’idea dell’intensità di una discussione appassionata e appassionante. Un autentico evento politico, culturale, umano. Entra Haidi Giuliani assieme a Luca Casarini, facendosi largo a malapena tra i giovani ammassati a terra, e gli applausi diventano assordanti, rimbombano incessanti, rimbalzando ai quattro angoli del locale e ti rimangono in gola per minuti interi. “Carlo è vivo e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai” urla un folto gruppo di giovani :Heidi sorride con tenerezza, ma non vuole parlare della mattanza genovese ma del presente e del futuro. Mentre l’occhio digitale della cinepresa di Giuliano Giuliani la riprende da una sedia in prima fila, lei irrompe negli orecchi dei presenti con queste parole: “La stampa ci criminalizza da settimane, ma mi chiedo in cosa siamo violenti? Nel mangiare un panino, nella fila per il caffè, nel disegnare uno striscione? Dobbiamo uscire dall’inganno, costringere chi ci demonizza ad ascoltarci, parlare, parlare, parlare, dappertutto e con tutti, fare comizi in strada, sugli autobus, finchè non ci ascoltano. Intanto gli stiamo dimostrando che noi siamo pacifici. Firenze sembra vuota perché hai l’impressione che sia tutta qui in Fortezza”. Mai fino ad ora un movimento aveva compiuto una riflessione così approfonditasul significato teorico e pratico della violenza, della sua teorizzazione come delle sue pratiche. Riuscire a tenere insieme il rifiuto della prevaricazione con la piena assunzione del conflitto da generare è una delle più grandi riuscite di questo movimento. “Abbiamo tenuto duro – esclama in perfetto Castigliano Christophe Aguitton di Attac France – siamo in un nuovo ciclo di lotte, all’inizio di questo nuovo ciclo, come accadde nella fine degli anni ’60.  Abbiamo vinto la scommessa della nostra esistenza, malgrado l’11 settembre, le guerre, il clima di criminalizzazione. E lo abbiamo fatto perché siamo aperti, rompendo con il verticismo organizzativo. La nostra emancipazione e nata anche e soprattutto disobbedendo. Però conosciamo la nostra storia, la lotta armata ed i suoi disastri: per questo ci diciamo a gran voce non violenti”. Il greco Petros Costantinou di Genova 2001 pone una domanda semplice ma essenziale: “Chi usa la violenza e chi no?”. Nella sua sechezza questa interrogazione evoca immediatamente il problema del potere dei rapporti di forza, dei dominanti e dei dominati. E’ questo il paesaggio sociale del mondo, sintetizzato dal cooordinatore Salvatore Cannavò che nella sua introduzione ricorda che “Le pratiche di lotta, di ribellione, hanno a che fare con la democrazia. Come legare tali pratiche al protagonismo diretto?”. Innanzitutto non inchinandosi ai soprusi. Giorgio Cremaschi della FIOM è più che mai esplicito: “A me la parola disobbedienza piace molto. Quando sei di fronte alla prospettiva della guerra, tocchi un un punto estremo della civiltà. Come puoi non disobbedire di fronte a questo orizzonte distruttivo? E cosa fanno gli operai della Fiat, quando l’azienda non parla, non tratta, non media e licenzia senza lasciare alternative? Bisogna disobbedire. Ed è necessario disobbedire soprattutto di fronte alla vergogna della legge Bossi-Fini, un dispositivo che rende illegali non i comportamenti ma le stesse persone. Disobbedire non è solo un diritto ma un dovere morale”. Ma quali forme impiegare, quali strade percorrere e sperimentare. Nel suo toccante intervento padre Alex Zanotelli racconta l’ingiustizia e la miseria che ha conosciuto quando aiutava le persone povere in Kenia, nei poveri sobborghi di Nairobi: “E’ un lavoro duro, spesso ho avuto l’impressione di non riuscire a ottenere nulla. Però sono certo di essere stato nel posto giusto”. Luca Casarini lo osserva con dolcezza. E’ commovente osservare l’intesa elettrica, che c’è tra queste due persone, apparentemente così diverse, ma unite nel rifiuto questo mondo impossibile. Cosa vuol dire disobbedienza per un religioso di sessant’anni che ha speso la sua vita per gli esclusi? “Ricordatevi che Gesù, di fronte ai soprusidei romani ha inventato la non-violenza attiva, non ha obbedito”, conclude Zanotelli. Casarini sale sul palco ringraziando Alex e pone una questione che detta da lui sembrerebbe ingenua, ma che coglie con estrema sincerità un aspetto decisivo delle forme di lotta: “ Che cosa facciamo concretamente per fermare le guerre?, io lo ammetto non posseggo ricette, non ho soluzioni facilio preconfezionate, però sono alla ricerca , assieme a tutti voi, di nuove strade, di sperimentazioni. I contadini del Chiapasl’hanno fatto a modo loro nel loro contesto. E’ un farlo. Perché non ci si può abituare alla disperazione, non ci si può assuefare alle ingiustizie. Stiamo attenti a non compiere errori come accadde nella rivolta di Los Angeles, quando una giusta ribellione inplose in un conflitto tra poveri. Continuiamo nella ricerca e non lasciamoci intimidire da chi ci chiama violenti. Perché quando ti tolgono l’acqua da bere cosa puoi fare, se non rompere una rete e prendertela quell’acqua”.

 

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

L’EUROPA CENTRALE E DELL’EST NEL MONDO GLOBALIZZATO: ALTERNATIVE AL NEOLIBERISMO

Sala Rastriglia

 

Andrej Grubacic (Università di Belgrado)

"Esistono alternative al modello capitalista e neoliberista come la democrazia partecipativa, in cui il capitale aziendale, il reddito e il potere decisionale sono equamente ripartiti fra i lavoratori. Non esistono gerarchie, tutti lavorano secondo un criterio di cooperazione e autogestione”.

Alexander Buzgalin (Russia Alternative)

"L'Europa non è soltanto l'Unione, è tutto il continente.La Russia oggi è il sud del continente, dove la povertà dilaga. Dobbiamo lottare contro  il neoliberismo, responsabile del disastro russo, contro il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, ma anche contro un’ Europa che pone al centro il capitale”.

Karoly Lorant (Attac Ungheria)

In Ungheria con l'apertura dei mercati alle imprese occidentali sono morte il 30% delle aziende locali, sono finiti rapporti commerciali con gli altri paesi ex sovietici. L’economia stagna, per la prima volta c’è disoccupazione, cresce il varco tra ricchi e poveri".

Catherine Samary (Le Monde Diplomatique)

"L'Unione Europea ha finanziato i paesi dell’Est per trasformarlii economicamente e socialmente prima dell’ingresso nell’Unione. L’esito è un disastro sociale: privatizzata la sanità, distrutto il sistema di previdenza, aumentano illegalità, lavoro nero e prostituzione. Non possiamo aderire all'Unione senza aver maturato un approccio critico verso questo sistema".

Sasha Wagner (International association on world economic, Germania)

"Vogliamo un'Europa dei diritti sociali e dell’ambiente, del lavoro a tutti, giusta ed equa. Perciò dobbiamo seguire la stesura della Costituzione Europea e premere  per l'adozione della Tobin Tax".

Solidarnosc Polonia

"Si parla di successo polacco: il 55% della popolazione vive in povertà, (il 14% nell’’89)  5 milioni e mezzo di persone sottoalimentate, la metà bambini con meno di 14 anni; disoccupazione crescente, economia sull'orlo della recessione. Prima dell'89 si sperava nel libero mercato, oggi nell'ingresso in Europa. Ma del neocapitalismo i polacchi hanno già patito le conseguenze".

 

Il dibattito è stato incentrato sulle conseguenze sociali delle privatizzazioni. Convinzione comune è che il modello di capitalismo, imposto dall'Unione Europea è selvaggio e neocoloniale, perciò inaccettabile.

 

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

L’EUROPA MESSA IN SICUREZZA? CONTROLLO SOCIALE, DIRITTI NEGATI E REPRESSIONE

 sala ronda

 

Per Bruno Paladini (Mat) i Trattati europei promuovono un progetto neoliberista in cui "il blocco della libera circolazione e la criminalizzazione del conflitto sociale sono elementi chiave".

Per Aliki Papadonichelaki (Greek Social Forum) limitando i diritti sociali e civili "l’Europa rinuncia a una sua caratteristica storica."

Dolores Jiuliano (Univ. Barcellona) mostra le varie forme storiche di stigmatizzazione dei movimenti sociali. Il consenso sulle leggi di “sicurezza” si basa su attitudini mentali indotte. Le donne sono tuttora tra le principali vittime di questo meccanismo.

Per Eva Forest (attivista diritti umani, Paesi Baschi) i Paesi Baschi sono un laboratorio dove l’UE “democratica” sperimenta la repressione contro i movimenti sociali: “la parola democrazia è diventata uno scudo per la violenza di stato”. L’esperienza della sinistra basca non è il terrorismo: “venite a vedere con i vostri occhi”.

Per Luigi Ciotti (Gruppo Abele) “il tema della sicurezza è il nuovo killer”: permette politiche di esclusione dei deboli, uccide ai confini della “Fortezza Europa”, mentre i forti si fanno leggi su misura per sfuggire alla giustizia. "Non c’è bisogno di sicurezza ma di vivibilità".

Per AAmer Anwar (Globalise Resistence, UK) “democrazia non è votare ogni 5 anni”, ma è partecipazione. Gli attivisti di GR rischiano l’arresto anche solo perché ospitano amici immigrati. Contro questa logica fascista: “no all’istituzionalizzazione del razzismo”.

Fatos Lubonja (Albania) considera che i discorsi europei sulla “multiculturalità” nei Balcani sono poco credibili quando si vede quel che accade nell’UE.

Dal pubblico arrivano testimonianze di attivisti contro i centri di detenzione in tutto il mondo.

Un attivista portoghese dice che l’Europa deve farsi carico del suo passato coloniale.

Anche in Francia c’è “tolleranza zero” contro i movimenti sociali, e impunità per i crimini finanziari “organici” al sistema neoliberista.

Un “franco-senegalese” dice che la legge Bossi-Fini è come le leggi razziali fasciste. Il dibattito si conclude con un intervento di sostegno alla protesta dei detenuti nelle carceri turche.

Infine, Paladini invita a creare delle reti internazionali per promuovere conflitto sociale ed estendere i diritti: “frontiere aperte a tutte-i”.

 

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

DALLA CARTA DI NIZZA ALLA CONVENZIONE

 Nella Crisi della democrazia europea la ricerca della cittadinanza universale. Il processo di costituzione dell’Europa politica. Cittadinanza universale e democrazia europea. Una diversa integrazione europea. La democrazia partecipativa per un’Europa democratica.

Sala Duemila.

 

Coordinano Franco Russo (FSE) e Sophie Safari (FSU Francia)

Carmem San José (Iniziativa per la Carta dei diritti sociali, Madrid) “Vogliamo dare delle alternative per un’Europa diversa. Guerre e povertà mostrano la faccia del capitalismo. Il liberalismo porta mancanza di democrazia. La politica economica europea va cambiata”.

Luigi Ferraioli (Giurista, Italia) “FSE è un grande atto di democrazia, il primo embrione di una società civile europea. C’è un vuoto di partecipazione popolare nel processo per la Costituzione Europea” Ha segnalato i difetti del processo di elaborazione della Costituzione: svuotamento dei diritti sociali; assenza di norme che vincoli l’Europa alla pace; rischio di nuovi nazionalismi; chiusura dell’Europa.

Titi Di Salvo (CGIL) “I sindacati debbono mobilitare la società perché la Costituzione abbia al centro i diritti sociali”.

Boaventura Sousa Santos (Università Coimbra) Sottolinea le richieste dei popoli africani, asiatici e sudamericani: “l’Europa tutta deve sostenere la lotta contro la guerra; rispettare la diversità culturale; proteggere i diritti sociali; eliminare la discriminazione; imparare dal Sud del mondo (ad esempio, dalla democrazia partecipativa brasiliana).

Pierre Barge (Comitato per la cittadinanza e i diritti fondamentali, Francia) “Se vogliamo un’altra Europa dobbiamo organizzarci. I diritti devono essere riconosciuti anche agli stranieri che vivono in Europa.”

Antonio Manitakis (Università Thessaloniki Grecia) “Non si può costruire una cittadinanza solo sulla base di una Carta senza prima costruire una democrazia, capace di sostenere questi diritti fondamentali.”

Tutti i relatori hanno chiesto che nella Costituzione europea siano inclusi i diritti sociali fondamentali come “vincoli allo Stato e al Mercato (Ferraioli).

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

DONNE E UOMINI: CONFLITTO NECESSARIO PER UN FUTURO COMUNE (Diritti ,Cittadinanza, Democrazie)

Palacongressi

 

Le Coordinatrici  : Nadia de Mond (marcia mondiale delle donne, Italia) e Angelika Psara (giornalista Grecia) sottolineano come i rapporti fra i sessi riguardano trasversalmente tutte le problematiche sociali del mondo che cambia

Christine Delphy, (redattrice Nouvelles Questionnes Feministes, Francia )

“Parlare di cose di donne non significa parlare solo di donne, ma é un pò come il tango, bisogna essere in due. Così parlare delle radici della dominazione, dello sfruttamento e dell’eguaglianza delle donne significa parlare di entrambi i sessi. Significa riflettere sulle molteplici forme di oppressione che fondano la nostra società : l’organizzazione del lavoro che si basa sulla disuguale divisione del lavoro fra i sessi, la vita familiare che si basa sullo sfruttamento del lavoro gratuito domestico delle donne, la violenza simbolica.quotidiana. E’ dalle proprie e differenti esperienze che bisogna partire per andare oltre e mettere in comune saperi ed esperienze dei gruppi oppressi”

Laura Gonzales deTxabarri(sindacato Ela, Spagna)

“Le disuguaglianze fra i sessi sono evidenti all’interno del mercato del lavoro dove la deregulation e la flessibilizzazione delle forme di lavoro hanno accentuato la precarietà delle donne che sono le più colpite dalla segregazione occupazionale, dalle discriminazioni salariali, dai lavori atipici, dal lavoro sommerso e dalla povertà. Il ruolo del sindacato deve essere quello di estendere i servizi sociali, rinforzare la negoziazione collettiva, favorire la corresponsabilità della divisione del lavoro fra uomini e donne, all’interno di un’ottica di giustizia sociale”

 Lidia Cirillo (marcia mondiale delle donne, Italia)

“Diritto delle donne alla metà del mondo : una democrazia é autentica se equamente rappresentata da uomini e donne. E l’agire politico delle donne deve essere funzionale al “poter fare delle donne” alla .capacità di autorganizzarsi fino a quando non sarà raggiunta la parità fra uomini e donne”

Vivace dibattito sui temi della democrazia di genere, il patriarcato, il movimento femminista negli ultimi 30 anni. Ne emerge un panorama articolato del movimento delle donne all’interno del quale le non facili relazioni fra generazioni si intrecciano con le differenze fra pratiche e posizioni politiche. 

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

L’EUROPA NEL NUOVO (DIS) ORDINE MONDIALE.

SALA CAVANIGLIA

 

Che ruolo ha l’Europa all’interno del gioco politico internazionale? E come si dovrà porre nel futuro ordine mondiale. Questi i temi toccati durante la conferenza.

<< L’11 settembre ha creato un’occasione  in più per Bush di attuare la sua politica.  Sono ben 378 miliardi di dollari, circa  il 4% del PIL degli Usa, il totale della bilancia degli armamenti>> ha detto Susan George (Attac Francia).

Ha continuato il discorso Alex Callinicos professore  alla York University in Gran Bretagna. << Questa guerra sarà la quarta dagli anni ’90.  Prima la guerra del Golfo, poi i bombardamenti nei Balcani, l’Afghanistan e ora l’Iraq>>.

<< L’evento più importante per l’Europa è la nascita di questo movimento, la possibilità di partecipare,  di incidere, informarsi e avere la possibilità di conoscere e diffondere le nostre idee>> esordisce Rossana Rossanda, giornalista del Manifesto.

Le fa eco, ancora tra gli applausi, Tobias Pfluger, dell’Imi (Associazione antimilitarista della Germania). << Vogliamo un mondo civile, un‘Europa civile e non alleanze di guerra. No alle superpotenze mondiali, all’Europa potenza mondiale e alla Germania potenza mondiale>>.

Poi è il turno di Flavio Lotti della Tavola della Pace (Italia) <<Il movimento deve accrescere la sua capacità di unire,  e il suo successo dipende dal nostro modo di agire, di pensare, di comunicare. Questo dipenderà da 2 concetti: pace e non violenza>>.

<<La Nato non ha che vedere con i diritti umani o con la protezione degli oppressi, ma solo con la protezione dei capitali economici e degli interessi dei potenti>> conclude Johana Ruziczkova di Cka Republic.

<<Il giorno dell’attacco in Afghanistan io ho pianto perché ho pensato che lì ci potevano essere centinaia di giovani come mio fratello. In quel momento non mi sono riconosciuta nel mio governo, non mi sono sentita rappresentata>> così Coelin Kelly della Fondazione delle Famiglie vittime dell’11 settembre.

Molti sono stati gli interventi dei partecipanti in un clima generale di esaltazione del movimento. Sarà necessario continuare la lotta per far incontrare i critici della globalizzazione con i pacifisti e l’appuntamento è fissato per Praga al prossimo incontro Nato.

 

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

L’EUROPA NON E’ UNA MERCE: NUOVI DIRITTI PER UN NUOVO MODELLO SOCIALE

Sala Leopolda

 

Catherine Varin (Sans papier, France) e Pino Giampietro (Cobas, Italia) coordinano l’incontro: “al di là delle critiche bisogna cogliere le opportunità aperte dalla Convenzione, il Forum deve lanciare una concezione europea dell’accesso ai servizi di interesse generale definendo nuovi parametri per un’Europa dei cittadini/e”.

Pierre Kalhfa (Attac France) insiste sul fallimento delle privatizzazioni di cui Bruxelles non fa il bilancio: “l’unico vero diritto costituzionale a livello europeo è quello alla concorrenza: i diritti fondamentali dei cittadini sono più importanti, ma non si vincerà la lotta per i servizi pubblici con battaglie a livello nazionale”.

Mirem Etxezarreta (Movimenti Sociali Catalani) parla di privatizzazione delle pensioni. In Europa manca una politica sociale. Denuncia le mistificazioni del discorso sulla crisi dello stato sociale e gli enormi interessi finanziari nascosti dietro i fondi pensione sottolineando la necessità di far capire alla gente che non è vero che ormai siamo tutti capitalisti. E’ necessario lottare per il mantenimento e il  miglioramento delle pensioni pubbliche: “non dobbiamo stare solo sulla difensiva, ma lottare contro la politica antisociale dell’UE e proporre forme positive di utilizzo dei risparmi dei lavoratori”.

Cesare Ottolini (Hic, Italia) afferma che “la questione abitativa è fondamentale e deve essere riconosciuta tra i diritti inalienabili: è necessario pensare a nuove forme di lotta”. 

Per Ulisses Garrido (CGTP, Portugal) “la privatizzazione è una controriforma ideologica. I sindacati devono lavorare alla difesa dei diritti anche a livello nazionale e domandarne di nuovi, trovando strategie comuni con il movimento”.

Bettina Schwarzmayer (National Unions of Students in Europe) denuncia la commercializzazione dell’educazione, diritto umano da garantire. Joel Decaillon (CGT, France) chiede la creazione di diritti transnazionali per i salariati e l’integrazione delle garanzie sociali nella Carta di Nizza.

Dal dibattito emerge la necessità di fare il punto sulle forme di resistenza europea, ragionare sui limiti del movimento sindacale e chiedere una moratoria delle privatizzazioni. Le conclusioni riprendono l’idea della moratoria e sottolineano la necessità di nuove politiche nei settori che riguardano i diritti delle persone.

 

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

SABATO 9 novembre

 

GUERRA E PACE

 

L’Europa civile contro la guerra infinita.

L’11 Settembre: la guerra contro l’Afghanistan, la dottrina di Bush e la lotta al terrorismo. Occidente ed Islam, dialogo o scontro? La costruzione del nemico: il ruolo dei media. Iraq: la prossima guerra?

 

Sala Duemila   ore 9.30-12.30

 

Interventi: Pietro Ingrao (Italia), Fabio Alberti (Un ponte per… Italia), Tariq Ali (New Left Review, GB), Yannis Banias (Grecia Social Forum), Patrice Cohen-Seat (Presidente Espace Marx Francia), Irene Khan (Segr. Gen Amnesty International)

 

Coordinamento: Daniela Santroni (Gc./Disobbedienti), Leo Gabriel (Euromarce, Austria)

 

 

 

“State costruendo un potere mai esistito prima nel mondo. Il potere della pace. Auguri per questo vostro viaggio”. Un lungo e calorosissimo applauso, la platea tutta in piedi, saluta la fine del commovente intervento di Pietro Ingrao. L’anziano leader della sinistra è una delle ultime voci a risuonare nella Fortezza, una voce di speranza seppure venata da una profonda amarezza.

La folla che lo acclama sono giovani e meno giovani, ragazzi e ragazze xhe si sono appena affacciati sulla scena politica, uomini e donne che la lotta ce l’anno scritta nel dna . Tutti e tutte sentono lo stesso desiderio di cambiamento, tutti e tutte ascoltano con emozione e spesso con le lacrime, le parole di Ingrao, parole che hanno un unico solo obbiettivo: la pace, nient’altro che la pace. “Tra poco – è il saluto iniziale di Ingrao – sfilerà uno straordinario corteo. Gran parte di coloro che lo animeranno sono giovani. Si potrebbe dire :”Proprio mi dispiace per Oriana Fallaci”. Il leader storico della sinistra parla piano, scandisce con lentezza quello che lui definisce “un nuovo vocabolario della pace”. Nel suo discorso così appassionato, la critica netta e radicale alla guerra preventiva, diventa una domanda urgente, quasi dolorosa: “Che fare? Come fare ad opporsi?” Lo ripete più e più volte come un monito, una necessità che non può essere rinviata. “Dobbiamo far si- è la proposta di Ingrao- che la nostra passione per la pace diventi potere politico, capacità di incidere nelle istituzioni nazionali e internazionali, di fare pressione sui governi”. Il punto di pertenza di questo percorso è senza dubbio la Costituzione, è l’articolo 11: “Non possiamo accettare che quel libretto finisca nell’armadio. Non possiamo accettare il silenzio del Presidente della Repubblica, di quelli della Camera e del Senato che sono chiamati proprio a difendere la costituzione”.”Portate la politica, questa nuova forma della politica che avete inventato, portatela dalle piazze e dalle strade nei palazzi, per conquistare il potere, il potere della pace”.

Lo dice in tutti i modi, con tutte le sfumature: è queto l’unico futuro possibile. Ingrao con la sua storia, la sua passione politica, ci crede fino in fondo; con lui tutta la platea che va al corteo con un messaggio di pace. Che subito dopo, nel bagno di folla diventerà realtà.

 

 

 

 

 

POCHE ORE DOPO QUASI UN MILIONE DI PERSONE HANNO SFILATO PER LE VIE DI FIRENZE CONTROLA POLITICA GUERRAFONDAIA DEGLI STATI UNITI E PER LA PACE PREVENTIVA

 

 

 

 

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------