GRANDE
MANIFESTAZIONE CONTRO LA GUERRA IN AFGHANISTAN E CONTRO IL WTO RIUNITO A DOHA
Il pomeriggio del 10 Novembre 2001 a Roma, in due piazze alle
due estremità della città si svolgevano due manifestazioni assolutamente
opposte. Opposte in tutto. In primo luogo nelle idee di coloro che manifestavano:
gli uni, i seguaci di un magnate della televisione, dell’editoria, delle
assicurazioni, della finanza e, come se non bastasse anche della politica
credevano di essere diventati americani (almeno per il loro “messia”) e si
sentivano tutti commossi e addolorati per ciò che era accaduto negli USA
approvando la risposta armata in corso in queste ore; gli altri manifestavano
proprio contro la scelta da parte del parlamento di entrare in guerra a fianco
degli USA e contro la riunione del WTO che si era riunito in quei giorni in
Qatar per accordarsi sui metodi di commercio da adottare in futuro.
In questi due luoghi oltre alle idee potevamo notare anche
qualcos’altro di diverso. Da una parte c’erano
ricche signore in tacchi e pellicce, numerosi politici in doppio petto e
smoking oltre ad uno spettacolo con tanto di cantanti e scenografia da 500
milioni. Dall’altra invece una moltitudine di giovani con pochi soldi in tasca
solo per il viaggio. Ma soprattutto c’era una grande differenza di presenze:
40mila i filoamericani guerrafondai, 130mila i No Global pacifisti.
Probabilmente questo era anche il pensiero del popolo italiano che purtroppo
non è stato rispecchiato dal parlamento che ha votato al 90% per l’entrata in
guerra dell’Italia dopo 60 anni. Da una parte sventolavano le bandiere degli
USA assieme a quelle del P.d.L. e a quelle dei terroristi di stato di Israele.
Dall’altra le bandiere rosse dei lavoratori, dei neo comunisti dei centri sociali
antagonisti e quelle dell’oppresso stato palestinese.
E la gente ha deciso nettamente da che parte stare!
“Not
in my name”. No, questa guerra non potete
combatterla nel mio nome. Non lo hanno solo gridato per le strade di Roma, ma
lo hanno anche scritto su migliaia di strisce di carta bianca che poi ciascuno
dei partecipanti ha scelto di portare sul petto, sulla fronte, e persino sul
volto. Nelle speranze di tutti c’era l’idea che la manifestazione di Roma,
lanciata dal social forum della capitale,”contro la guerra e contro il WTO”,
potesse diventare una vera risposta popolare e di massa alla campagna bellica
contro l’Afghanistan. Ma nessuno alla vigilia si sarebbe probabilmente
aspettato di trovarsi di fronte a una delle più larghe e sentite mobilitazioni
di massa degli ultimi anni.
Alle cinque del pomeriggio
l’intero percorso del corteo è interamente occupato. Una vera marea umana che
riempie il centro della città e che sfila ininterrottamente dalle tre del
pomeriggio fino a sera, per stipare poi all’inverosimile la piazza del palco
per gli interventi e lo spettacolo. A più riprese la manifestazione invade le
strade: quando l’asfalto non basta più si occupano i marciapiedi, gli incroci,
ogni spazio a disposizione.E’ una folla entusiasta, consapevole che percepisce
la propria forza e che, alle ragioni della pace, al rifiuto della terribile
dinamica della guerra e del modello sociale ed economico che la produce
aggiunge i “numeri” di una vera moltitudine. I pensieri di molti vanno a Genova,
a quello che sarebbe accaduto se la repressione e la violenza non avessero
posto in secondo piano le ragioni e la voce del movimento.Per le strade di
Roma, in questo freddo sabato di Novembre sembra di sentire il calore di
Genova, prima che la morte e il fumo dei lacrimogeni cercasse di annullare
tutto. L’opposizione ed il rifiuto della guerra si intrecciano con le
mobilitazioni contro la globalizzazione liberista, dimostrando, se ce ne fosse
ancora bisogno, che proprio a Genova, ma prima ancora a Seattle e a Porto
Alegre, un altro mondo ha cominciato pian piano a mettersi in moto.”No alla
guerra militare, economica, sociale”. Lo striscione che apre la grande
manifestazione romana è portato dalle animatrici della “Marcia delle donne” e,
con loro dalle “Donne in nero”. Un segnale chiaro, che parla della guerra in
corso come di tutte le oppressioni che
attraversano il pianeta, sempre segnate dal “genere” e dalla violenza
contro le donne. In questo il corteo di Roma sembra contenerne tanti altri, nel
senso che i volti del popolo della pace che affolla le strade della città
confondono generazioni e percorsi, appartenenze e culture, perfino i colori di
striscioni e bandiere:ma c’è la chiarezza di come insieme alla guerra siano
sotto accusa il razzismo, le politiche sociali, la discriminazione per il
colore della pelle o il genere. Non sarà forse un caso che gli organizzatori
abbiano tenuto particolarmente al fatto che il corteo passasse ad esempio per
quella piazza Vittorio, divenuta un po’ il simbolo dei migranti nella capitale.
“Siamo tutti clandestini “ scandiscono i manifestanti nell’entrare nella grande
piazza tra gli applausi ed i saluti dei
curiosi.
La prima immagine della
manifestazione, quella che colpisce fin dalle prime file, è di determinata
serenità. Ci sono giovani e vecchi, uomini e donne, tanti, tantissimi bambini.
Alla vigilia le forze dell’ordine avevano fatto sapere che non ci si sarebbe
dovuti coprire il viso, nessun fazzoletto o mascheratura.. Ma in realtà gli
unici nel corteo con il viso coperto sono
i ragazzini “travisati” da grandi sciarpe o quelli dentro i carrozzini,
“blindati” contro pioggia e vento. Alla testa dei manifestanti si potevano
contare ben venticinque tra auto e blindati con la sirena lampeggiante, uno
spettacolo che che da lontano poteva far pensare agli addobbi natalizi. E
agenti erano stipati ad ogni incrocio, a delimitare tutte le vie.
Ma, come la pioggia e il vento
rimasti in agguato tutto il pomeriggio, anche il dispiegamento di migliaia di
agenti, è rimasto come la cornice inutile di una iniziativa del tutto
pacifica.Lungo la strada sono rimasti, certo, tanti segni del passaggio
pacifico e allegro del corteo. Sulle vetrine delle banche, a decine sono
rimasti appiccicati piccoli manifesti che dicevano “No alle banche armate,
diserta la guerra” Sui muri della città i simboli e le parole contro la guerra.
E’ certo che la manifestazione
romana lascerà dei segni indelebili anche nella politica nazionale. Il
segretario del PRC che sfila nella prima parte del corteo, parla della “possibilità
di costruire una sinistra alternativa, una sinistra con tante voci” proprio a
partire da questo grande momento. “Non sono così sicuro che lo stragrande voto
in parlamento corrisponda all’opinione popolare. Non c’è mai stata una così
grande distanza tra il paese ufficiale e il paese reale”, aggiunge , mettendo a
confronto la manifestazione con la scelta in favore dell’intervento bellico
fatta solo mercoledì da una larga parte dei nostri politici. Vittorio Agnoletto
del Genoa Social Forum sottolinea
ancora la distanza dalle scelte parlamentari della maggior parte del paese. “Il
90% del parlamento ha votato a favore della guerra spiega Agnolotto- ma la
maggioranza del Paese, del vero Paese è qui oggi in piazza con noi. La
manifestazione corre verso il suo approdo, alla fine, prima dello spettacolo
conclusivo, decine di fiaccole accese scriveranno sul prato del Circo Massimo
“NO WAR”. Sfilano gli striscioni di alcuni dei tanti social forum che sono nati
in tutto il paese:Brescia, Teramo, Pistoia, Catania, Bologna, Livorno,
Ferrara.Accanto ci sono quelli dei quartieri di Roma e la folta delegazione di
Attac. Segue il lungo settore dei disobbedienti e Giovani Comunisti di tutta
Italia, attraversato da camion e musica; poi quello ugualmente affollato dei
Cobas. Quindi le Rdb e la sinistra sindacale. Sfilano tanti circoli di
Rifondazione e anche una piccola rappresentanza di militanti dei Ds e della
sinistra giovanile. Sotto le insegne rosse e nere sfilano gli anarchici di
varie realtà e del sindacato Usi. Poi tante associazioni, dal Altra agricoltura
alla Lipu, dal centro antirazzista di Milano Todo, cambia all’opera nomadi di
Roma. Tantissimi anche gli striscioni dei migranti e i comitati di solidarietà
con la Palestina e l’associazione Aazad
che opera per il Kurdistan. Proprio i curdi del PKK sono protagonisti di un
momento delicato della manifestazione: quando intervengono tempestivamente per
evitare che qualcuno dia fuoco alla bandiera americana. Le mille firme di
questa giornata storica sono perfino troppe per essere ricordate tutte.
Alla fine un gruppo di ragazzi spinge anche un piccolo
Berlusconi che guida un carro armato di
latta, di quelli dell’esercito americano: oggi le ragioni di chi sostiene la guerra
sono state ridotte così. Ma per tutti resta da fermare davvero ciò che sta
accadendo in Afghanistan.
Da un articolo di LIBERAZIONE
dell’ 11/11/2001