Bisce d'Acqua I, 1904-07

Se esiste un'opera di Klimt che spicca sulle altre per sensibilità questa è Bisce d'acqua I, il cui tema (l'amore tra donne) è tra i più appassionanti nell'Europa fin de siècle, ed anche tra quelli che richiedono più coraggio e abilità ad essere interpretati nell'arte, anche se, a quel tempo ed in certi ambienti, l'amor saffico è una moda anche abbastanza consunta. Eppure Klimt riesce a darne un'interpretazione sottile ed eccitantissima, dolcemente visionaria. Visioni, quelle di Klimt, sempre divinamente femminili e, dopo Pesci d'argento e Pesci d'oro, ancora una volta acquatiche. L'artista viennese, infatti, per mettere in scena questo delicato abbraccio tutto al femminile, opta per uno scenario subacqueo denso di simbolismi, con tanto di alghe d'oro che sembrano preziosi gioielli. In questo spazio acquatico ma inondato di luce, l'abbraccio dipinto da Klimt è un languido incontro di membra allungatissime, masse di capelli, carni bianche, corpi evanescenti di donne che si trasformano in sirene e che nel contempo sembrano trasportati dalla corrente verso l'alto in un movimento non voluto, cosciente, ma un lasciarsi trasportare dalla corrente violenta della passione. Questa elevazione nulla ha di spirituale, è tutta passione, eccitazione, sensualità. Come se nel mondo poetico klimtiano, non potesse esservi ascesa se non nello sconvolgimento dei sensi. Il piccolo quadro, dove nell'accostamento delle due teste dai capelli d'oro e nell'abbraccio dei sottili corpi d'avorio, si combinano assieme fragilità e passione, è ricolmo dell'idea della metamorfosi, dell'analogia tra forma umana e vegetale. Il gioco di ambiguità tra figura e sfondo, tra bordo del velo e contorno del corpo, rende mutevole allo sguardo perfino la percezione delle forme, così nella bidimensionalità viene ad essere catturata una profondità onirica. Per realizzare quest'opera, Klimt aveva lungamente studiato gli amplessi lesbici che avvenivano tra le modelle che popolavano il suo atelier, dunque l'intenzione erotica dell'abbraccio non può essere negata; tuttavia, per evitare la censura, l'opera non fu mai descritta nei cataloghi come esplicita riproduzione dell'omosessualità femminile, e fu persino esposta a Roma nel 1911 col pudico titolo "Le sorelle".





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