IL BOOM ECONOMICO Alla fine del 1963 il PNL era salito del 38% rispetto al 1958. Era un fenomeno che per intensità e rapidità superava la crescita dell'età giolittiana, quando si era vista la prima importante affermazione dell'industria italiana. I nuovi investimenti (nuove imprese o spese di ammodernamento di quelle preesistenti) rappresentavano circa il 25% del PNL. Se consideriamo che il '58 fu anno di stagnazione (solo +1,6% degl'investimenti lordi), gli anni successivi concentrano quasi l'intera crescita e con percentuali crescenti come si vede in tabella.
1959 10
1960 20,3
1961 13,7
1962 13,4
In generale, il tasso di sviluppo dell'agricoltura fu inferiore a quello dell'industria e del terziario, di modo che l'incidenza del valore prodotto dall'agricoltura sul totale diminuì : era nel 1954 il 25% del PNL, mentre nel 1962 era solo il 16%. Gl'incrementi più rilevanti erano nell'industria e in particolare quella automobilistica e degli elettrodomestici, poi nella chimica, nei derivati dal petrolio e nelle fibre sintetiche.
La crescita non dipendeva solo dall'aumentata domanda interna ma anche dalle esportazioni. Queste erano favorite sia dai prezzi italiani bassi sul mercato internazionale, sia dal fatto che gli stati industrializzati attraversavano un buon periodo; infine articoli industriali italiani e macchine utensili erano richiesti all'estero accanto ai prodotti tipici italiani : agrumi, marmi, prodotti tessili.
Si può capire perché si parli di miracolo italiano se si confrontano gl'indici della produzione industriale nella tabella seguente dei paesi CEE (comunità economica europea). L'anno di partenza è il 1958 (=100), quindi l'indice 122 si legge come +22%
STATI
ANNO_1961
ANNO_1962
ANNO_1963
BELGIO
122
130
138
LUXEMBURG
117
112
114
FRANCIA
116
123
129
RFT
126
132
136
PAESI BASSI
126
133
139
ITALIA
142
156
170

Tra aumento della prosperità all'estero e miglioramento delle attrezzature turistiche, l'Italia contò anche sul boom turistico, ma il beneficio dei prezzi vantaggiosi si esaurì presto e gli stranieri poi si orientarono verso Spagna, Grecia, Portogallo e Jugoslavia.


La formazione della CEE portò il vantaggio della riduzione dei dazi e quindi ad un aumento degli scambi commerciali tra i sei membri. La seguente tabella del commercio interno alla CEE presenta valori in milioni di $ USA e % di aumento
IMPORT_in $ IMPORT_in $ variaz.% EXPORT in $ EXPORT in $ variaz.%
STATI anno 1958 anno 1963 anno 1958 anno 1963
BELGIO+LUX 1462 2661 +82 1377 2950 +114
FRANCIA 1227 3103 +153 1136 3065 +170
RFT 1896 4275 +125 2406 5279 +119
PAESI BASSI 1518 3059 +109 1337 2662 +99
ITALIA 687 2491 +263 608 1788 +194

La Bei (banca europea degl'investimenti) investì nel ns.Paese più che altrove in considerazione dell'ampia aree di sottosviluppo. Per il 1961 l'Italia ricevette il 54% degl'investimenti, la Francia il 24% e la Germania occidentale il 17%; nell'anno successivo rispettivamente: 64%, 12% e 11%.


Il fondo europeo per l'occupazione e la riqualificazione professionale diede nei suoi due anni di vita 1.300.000 $ all'Italia, circa il doppio di quanto ricevettero Francia e Olanda.
Quindi il Mercato comune fu apprezzato dal ns.Paese perché erano evidenti i benefici e perché una più intensa integrazione della comunità avrebbe diluito in una eventuale unione politica l'estremismo di sinistra radicato nel PSI e nel PCI, mentre la popolazione degli altri stati era più moderata quando andava a votare.
Dopo quattro anni di successi della CEE anche i socialisti e i comunisti si convinsero che non aveva più senso astenersi od opporsi.
Si sviluppo il commercio italiano anche verso l'URSS: Mattei stipulò un accordo con quel governo per la fornitura di petrolio greggio in cambio di macchinari italiani. Il prezzo del greggio era inferiore di circa un dollaro a barile rispetto a quello del medioriente. Come quantitativo rappresentava circa il 30% dell'importazione italiana di petrolio. Dopo la morte di Mattei fu invece stipulato un accordo con la Esso per aumentare le importazioni di greggio dal medioriente, a fronte di un maggior fabbisogno italiano, ma non ci fu una richiesta di maggiori forniture all'URSS e la percentuale di petrolio da quel paese diminuì sul totale importato negli anni successivi.

Nel quinquennio del boom abbandonarono l'agricoltura 1.380.000 persone, circa il doppio di quelle del decennio precedente (erano soprattutto meridionali ma venivano anche dall'Italia centrale e settentrionale). Si trasferivano di solito verso il centro della loro provincia, o il capoluogo di regione, o in altre regioni, in parte anche verso l'estero.
I poderi marginali di montagna e di collina, e quelli poco fertili o privi d'irrigazione, furono abbandonati e le zone furono utilizzate per il pascolo.
Il fatto che il 40% dei contadini che avevano ricevuto un appezzamento dalla riforma agraria(1950), avesse abbandonato la campagna, dimostrava l'esito fallimentare di quella riforma.
Particolarmente grave fu il fallimento della riforma siciliana che aveva puntato alla creazione di villaggi agricoli modello: nel 1964, 50 villaggi su 54 risultavano disabitati.
Nel 1959 era stato adottato il Piano Verde: non si trattava più di distribuzioni di terre ma di agevolazioni creditizie e sussidi che si aggiungevano al preesistente sistema di protezione dei prezzi agricoli.
Il richiamo però dell'industria fu più forte.
La legge del 1957 che imponeva allo Stato di indirizzare al sud il 60% dei suoi investimenti, trovò ostacoli nella realizzazione dei piani d'investimento per la mancanza di coordinamento tra centro e periferia.
Il governo decise di creare "poli di sviluppo", cioè concentrare gl'investimenti.
Ma dove? Di fronte alla prospettiva di essere discriminati, i politici eletti in alcune aree facevano pressione perché s'investisse dove avevano i loro elettori. Diversi ministeri avrebbero dovuto concorrere alla costruzione d'infrastrutture, ma non avevano sufficienti fondi nei loro bilanci o preferivano spendere diversamente; inoltre mancavano ancora le regioni a statuto ordinario. Furono creati consorzi locali di sviluppo ma i dirigenti non furono all'altezza della situazione.

Tra investimenti e sussidi risulta statisticamente che il reddito medio procapite del Sud aumentò a partire dal 1959 di più che nel Centro-nord : 6,5% contro il 5,6 (prima del'59: 3,2 al Sud contro il 5,2).

MIGRAZIONI, EDILIZIA, PREZZI.
Gli spostamenti di popolazione si tradussero in maggiori spese per i Comuni e le Province dove confluivano gl'immigrati; i bilanci erano sempre più in rosso (il disavanzo passò da 329 miliardi del 1959 a 834 del '63)e aumentarono le richieste di stanziamenti per gli enti locali a carico dello Stato, data l'insufficienza delle entrate tributarie locali (imposte sui consumi e sugli immobili).
Furono violati piani regolatori, invasi dal cemento i parchi. Il materiale edile era spesso scadente. I prezzi dei nuovi fabbricati triplicarono tra il '53 e il '63; il prezzo medio delle aree fabbricabili decuplicò.
I costi di costruzione però non erano alti per la manodopera, che era a bassa qualifica e proveniva spesso dalle campagne.
Si costruirono più appartamenti per benestanti che case popolari.
Grossi interessi erano in gioco e quando fu proposta una legge di esproprio delle aree fabbricabili a prezzi del'58, il ministro dei Lavori Pubblici fu costretto a dimettersi.
La stretta creditizia del'63, per fermare l'inflazione, frenò la speculazione immobiliare. Migliaia di appartamenti di lusso restavano invenduti, per mancanza di clientela ad alto reddito.
Negli anni 50, i prezzi erano saliti lentamente, più lentamente dell'aumento generale della produttività (il che significa che la crescita del valore prodotto era superiore a quella dei costi di produzione), anche nei primi anni del "miracolo" salirono i prezzi , ma non come
nel periodo 62\64, quando avvenne un forte aumento del

costo della vita.

Dal 1961 al '62: +5,8%; nel '63:+8,5% rispetto al 1962 e nel '64: +6,5% rispetto al'63.
Questo fenomeno dipendeva sia dall'aumento della domanda interna ed estera, sia dalla combattività sindacale (con scioperi) per cui i salari incominciarono ad inseguire l'aumento dei prezzi ( si dice spirale prezzi-salari il processo a catena per cui gli aumenti degli uni stimola l'aumento degli altri con conseguente aumento del costo del lavoro e quindi dei prezzi). Naturalmente anche il mutato clima politico avrà avuto il suo peso (il governo di centrosinistra) ma principalmente direi che contava di più la bassissima disoccupazione (3,6% della forza lavoro).
I sindacati attuarono iniziative tese all'allargamento del consenso - e quindi del tesseramento - tra i lavoratori giunti dalle campagne (in particolare la Cgil trovando per loro il lavoro e la casa. Ma anche le Acli, la Chiesa e la DC fecero dell'assistenzialismo e favorirono il collocamento; pertanto si indeboliva il ruolo dei reclutatori di manodopera, il "caporalato" che intascava percentuali per ogni lavoratore sistemato in imprese industriali o edili).
Dal 1958 al 1964 i salari aumentarono dell'80%. Questo fu l'aumento più forte registrato nei paesi del MEC, come vedete nella tabella sottostante (aumenti in % dal 1958 al'64)
stati salari costo salario per prodotto produzione
ITALIA 80 32 36
RFT 67 35 23
FRANCIA 60 27 27
PAESI BASSI 75 30 35
BELGIO 35 32 3
USA 27 22 4
GRAN BRETAGNA 36 25 10

Le imprese italiane a volte andavano oltre i salari contrattuali pur di accaparrarsi la manodopera, ma la cosa riguardò più che altro l'industria. Alcune imprese che erano competitive grazie a bassi salari, non lo furono più in mancanza d'innovazione tecnologica: questo fu il caso del settore tessile, dove al ridursi dei profitti, si ridusse ogni ulteriore possibilità di ammodernamento.
La gestione delle imprese era meno familiare che in passato, subentravano dirigenti nuovi che potevano essere o no azionisti, le competenze direzionali erano comunque sempre accentrate, anche nelle imprese pubbliche.

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