Omar Wisyam
Tre Tesi di Walter Benjamin
e
una lettera
VII
Omar Wisyam traduce Walter Benjamin
Ripensate al buio e al grande freddo in questa
valle, che le grida straziano.
B. Brecht, L'opera da tre soldi
Agli storici desiderosi di penetrare nel cuore stesso di un'epoca trascorsa, Fustel de Coulanges raccomandò un giorno di fare come se non si sapesse niente di tutto ciò che è accaduto dopo di essa. Questo è esattamente il metodo opposto al quello del materialismo storico. Ciò equivaleva ad un feeling (Einfühlung) con una data epoca. Ha come origine la pigrizia di un cuore che rinuncia a cogliere l'immagine autentica del passato - un'immagine sfuggente e veloce come un lampo. Questa ignavia del cuore ha lungamente impegnato i teologi del Medioevo che trattavano di essa con il nome di accidia, come di uno dei sette peccati capitali, e riconoscendovi il fondamento della tristezza mortale. Flaubert sembra conoscerla bene per averla provata, lui che scrisse: Poche persone indovineranno quanto fu necessario essere triste per risuscitare Cartagine. Quella tristezza cederà a noi, forse, il suo segreto, alla luce della seguente questione: Chi è, in fin dei conti, colui con il quale si devono identificare i maestri dello storicismo? La risposta sarà, ineluttabilmente: il vincitore. Ora, coloro i quali, in un dato momento, detengono il potere sono gli eredi di tutti coloro che mai, in qualunque occasione, hanno mancato di vincere. Lo storico, identificandosi con il vincitore servirà irrimediabilmente gli interessi dei detentori attuali del potere. Ecco dunque che se ne è detto abbastanza per il materialista storico. Chiunque, fino ad oggi, avrà riportato la vittoria farà parte del grande corteo trionfale che cammina sopra coloro che giacciono schiacciati al suolo. Il bottino, come al solito è esposto in questo corteo, a nome dell'eredità culturale dell'umanità. Questa eredità troverà nella persona dello storico materialista un esperto in qualche modo distaccato. Lui, osservando la provenienza di questa eredità non potrà trattenere un brivido d'orrore. Giacché tutto ciò non è dovuto solamente al lavoro dei geni e dei grandi ricercatori ma anche alla servitù oscura dei loro contemporanei. Tutto ciò non testimonia la vittoria della cultura senza testimoniare, nello stesso tempo, quella della barbarie. Questa barbarie è rivelata in essa perfino nel modo in cui, nel corso delle epoche, questa eredità è caduta dalle mani di un vincitore a quelle del successivo. Lo storico materialista sarà portato piuttosto ad essere distaccato. Egli è tenuto a spazzolare contropelo il manto troppo lucido della storia.
VI
Omar Wisyam traduce Walter Benjamin
“Descrivere il passato tale e quale come è stato” ecco, dopo Ranke il compito dello storico. È una definizione del tutto chimerica. La conoscenza del passato assomiglia piuttosto all'atto con il quale ad un uomo, nel momento del pericolo, improvvisamente si presenti un ricordo che lo salvi. Il materialismo storico è impegnato a catturare un'immagine del passato come essa si presenta al soggetto, imprevista, e nell'istante stesso di un pericolo supremo. Pericolo che minaccia altrettanto i dati della tradizione che gli uomini ai quali sono destinati. Si presenta ad entrambi come uno solo e lo stesso: vale a dire come pericolo di reclutarli al servizio dell'oppressione. Ogni epoca deve, di nuovo, impegnarsi in questo rude compito: liberarsi dal conformismo di una tradizione mentre rischia di essere violata da esso. Ricordiamoci che il messia non viene solamente come il redentore, ma come il vincitore dell'Anticristo. Solo uno storico, che ha compreso che il nemico vittorioso non si arresta neanche davanti ai morti - solo questo storico - saprà attizzare nel cuore stesso degli avvenimenti passati la fiamma di una speranza. Intanto, finora, il nemico non ha cessato di trionfare.
V
Omar Wisyam traduce Walter Benjamin
L'immagine autentica del passato non appare che in un lampo. Immagine che non sorge che per eclissarsi immediatamente, nell'istante successivo. La verità, immobile, che non fa che attendere il ricercatore non corrisponde assolutamente a quel concetto di verità in fatto di storia. Esso si appoggia invece al verso di Dante che dice: è un'immagine unica, inalienabile del passato che svanisce con ogni attimo presente che non ha saputo riconoscersi osservato da essa.
Altra stesura da parte di Walter Benjamin:
La vera immagine del passato sguscia via. Proprio in quanto immagine che sfugge, nell'attimo della sua comprensibilità, sul punto di non riapparire mai più, il passato è da bloccare. “La verità non ci può scappare” - queste parole di Gottfried Keller segnano, nell'immagine della storia offerta dallo storicismo, il punto in cui essa è trapassata dal materialismo storico, dato che è un'immagine non ripetibile del passato quella che ora sta per sparire con il presente che non si sia riconosciuto in essa.
Una lettera di Walter Benjamin
commentata da Omar Wisyam
Walter Benjamin a Gerhard Scholem del 12 giugno 1938.
Argomento: il Kafka di Max Brod. Di questo libro Walter Benjamin rileva come la tesi dell'autore contraddica il suo stesso atteggiamento, per cui questo discredita la prima, che oltretutto non è esente da riserve. Per esempio, la confidenza e la bonomia dell'autore verso l'oggetto della sua biografia finisce con l'essere impietosa, come quella di chi ha avuto una ostentata intimità con un santo, perciò togliendo ogni autorità al contenuto del testo.
Max Brod è insensibile, manca di contegno, dimostra una sorprendente mancanza di tatto, di senso dei limiti e delle distanze, e questa incapacità si fa addirittura particolarmente scandalosa, quando l'autore ricorda la volontà di Franz Kafka di distruggere tutta la sua eredità letteraria. Fortunatamente Benjamin non mette in dubbio che Kafka sapesse che ciò significava essere sicuri della salvezza delle proprie carte. Benjamin si limita a rimarcare il dilettantismo e la faciloneria di Brod, la sua inadeguatezza a misurare le tensioni che percorrevano la vita dell'amico, portandolo a nutrire un'istintiva diffidenza per tutte le interpretazioni che evadano da quella strada edificante su cui vorrebbe far incamminare i lettori.
I passi interessanti della lettera, secondo me, sono i seguenti:
Intendo dire che per il singolo questa realtà [la nostra] è ormai quasi impossibile da percepire, e che il mondo di Kafka, tanto spesso così sereno e popolato di angeli, è il complemento esatto della sua epoca che si accinge a sopprimere grandi masse di abitanti di questo pianeta. L'esperienza corrispondente a quella del privato cittadino Kafka, da grandi masse verrà forse fatta solo in occasione di questa loro eliminazione.
In Kafka non si parla più di saggezza. Restano solo i prodotti della sua disgregazione. Essi sono due: c'è da una parte la diceria delle cose vere (una sorta di giornale teologico sussurrato in cui si tratta del malfamato e dell'obsoleto); l'altro prodotto di questa diatesi è la follia, che certo si è giocata integralmente il contenuto proprio della saggezza, ma in compenso preserva la piacevolezza e la distensione di cui la diceria è sempre priva.
La follia è l'essenza dei personaggi prediletti da Kafka; da don Chisciotte, agli assistenti, fino agli animali. (Essere animale per lui con ogni probabilità significava semplicemente aver rinunciato, per una sorta di pudore, alla figura e alla saggezza umana).
Il cosiddetto fallimento è rimarcato alla fine di questa lettera: una volta certo del fallimento finale, a Franz Kafka, tutto, lungo il cammino, riuscì come in sogno. Sono parole vere anche per la storia di Walter Benjamin.
Infine, a saldo, ciò che tutti sanno: l'opera di Kafka è contrassegnata rigidamente in senso negativo, quindi Benjamin inserisce tra parentesi una valutazione valida per tutto il secolo e non solo per il praghese: la sua caratterizzazione negativa sarà verosimilmente sempre più fruttuosa di quella positiva.