Testament
(Il dispositivo della menzogna)
Omar Wisyam traduce François Villon
1.
Nell'anno trentesimo,
in cui tutte le mie onte ho bevuto,
non del tutto folle, non del tutto savio,
nonostante tutte le pene subite,
che tutte ho ricevuto
dalla mano di Thibault d'Aussigny...
Che sia vescovo, benedicendo le vie,
ma che sia il mio, lo rinnego.
10.
Poiché debole mi sento
troppo più di beni che di salute
mentre sono in possesso pieno dei miei sensi,
sebbene poco Dio mi abbia prestato,
giacché da altri nulla ho ricevuto,
ho redatto questo testamento ponderato,
come ultima volontà,
solo, per tutto e irrevocabile.
11.
L'ho scritto nell'anno sessantuno,
in cui il buon re mi liberò
dalla dura prigione di Mehun,
e che la vita mi restituì,
a cui sono, finché il mio cuore vivrà,
tenuto, verso di lui, a umiliarmi,
cosa che farò finché morirò:
ciò che è stato ben fatto non si deve obliare.
22.
Io piango il tempo della mia giovinezza,
(nel quale mi sono più di altri sfrenato
fino all'ingresso nella vecchiaia),
perché la sua partenza me l'ha celata.
Non se n'è a piedi andata
né a cavallo: via! Come allora?
Improvvisamente se n'è volata
e non m'ha lasciato nessun dono.
23.
Andata se n'è, e io rimango,
povero di sensi e si sapere,
triste, indebolito, più nero che moro,
non ho censo, rendita, né averi;
Dei miei, il minore, voglio dirlo,
per diseredarmi s'avanza,
obliando il naturale dovere
per mancanza di un po' di sostanze.
24.
Se non rimpiango d'avere speso
per rinfrescarmi e per divertirmi;
per troppo amare niente ho venduto
che degli amici mi possano rimproverare,
o almeno che a loro costi molto caro.
Io lo dico e non credo di dire male;
di ciò mi posso vantare:
chi non ha sbagliato non deve dirlo.
25.
È di certo vero che ho amato
e amerei volentieri;
ma triste cuore, ventre affamato
che non è saziato che per un terzo
ostacolano da amorosi sentieri.
Ebbene, qualcuno ne sia ricompensato,
chi si è riempito come una botte!
Giacché la danza viene dalla panza.
26.
Eh! Dio, se avessi studiato
al tempo della mia giovinezza folle
e a buoni costumi mi fossi dedicato,
avrei casa e letto molle.
Macché, scappavo da scuola,
come fanno i bambini cattivi.
Scrivendo queste parole,
manca poco che il cuore ne sia spezzato.
28.
I miei giorni se ne sono andati errando
come, dice Giobbe, da una tela
fuggono i fili, quando il tessitore
nel suo pugno tiene l'ardente paglia:
allora, tutte le cime che salgono
d'improvviso egli taglia.
Se non temo più nulla che m'assalga
è perché la morte tutto assopisce.
29.
Dove sono i graziosi gaudenti
che ho seguito nei tempi andati,
così bene cantavano, così bene parlavano,
così piacenti nei fatti e nei detti?
Alcuni sono morti e rigidi,
di loro non c'è più niente ora:
abbiano riposo in paradiso,
e Dio salvi i rimanenti!
30.
E altri sono divenuti,
grazie a Dio, grandi signori e padroni;
altri ancora mendicano tutti nudi
e il pane non vedono che dalle vetrine;
altri sono entrati nei chiostri
dei Celestini e dei certosini,
anime vuote, piene, come per chi pesca ostriche.
Vedete la condizione tra loro diversa.
31.
Povero sono della mia giovinezza,
di povera e piccola schiatta;
mio padre non ebbe mai grandi ricchezze,
né il suo avolo, chiamato Orace;
Povertà di tutti noi segue le tracce.
Sulle tombe dei miei antenati,
le anime dei quali Dio abbracci!
non si vedono corone né scettri.
37.
Così non sono, ben considerato,
figlio d'angelo con diadema
di stella né d'altro sidereo astro.
Mio padre è morto, Dio abbia la sua anima!
Quanto è del corpo, riposa sotto la lapide.
So bene che mia madre morirà,
e lei lo sa bene, la povera donna,
e pure il figlio non resterà.
38.
So che poveri e ricchi
savi e folli, preti e laici,
nobili, villani, larghi e tirchi,
piccoli e grandi, e belli e laidi,
dame dalle ampie scollature,
di qualunque condizione,
come se ne vadano conciate,
la morte prende senza eccezione.
39.
E muore Paride o Elena,
chiunque muoia, muore in un dolore
tale che perde aria e fiato;
il suo fiele si scioglie nel suo cuore,
poi suda, Dio sa quanto sudore!
E non c'è chi dei suoi mali lo curi:
giacché figlio non c'è, fratello né sorella,
che voglia essere suo ostaggio.
40.
La morte lo fa fremere, impallidire,
il naso tagliato, le vene tese,
il collo gonfio, la carne molle,
giunture e nervi accresciuti e distesi.
Il corpo femminile, che tanto è tenero
soave, soffice, così prezioso,
dovrà attendere questi mali?
Sì, o del tutto vivo salire nei cieli.