IPNU

 

 

Queste misere righe, scritte di mio pugno, contengono tutto ciò che rimane di me; ascolta, o stanco lettore, quel poco che ho da dirti sul passato d’un uomo che non ne ha.
Io non ricordo dove fui originato, ne da quale ventre o in quale casa io fui partorito, non ricordo gli anni della mia giovinezza, se pure ne ebbi una, e non rimembro dove ho appreso l’arte di muover la mia mano per tracciare i segni di questa carta; solo fui e solo ancora rimango nel mio essere, che i miei ricordi non son altro che guerra, fino a quando riescono ad arretrare.
Aprì per la prima volta gli occhi (più addietro non ricordo) sul crepuscolo d’un tetro giorno, quando già le ombre della sera erano lunghe; attorno a me, nel silenzio, un fetido puzzo e il noioso sfilare di orride mosche, io ero disteso con molti altri, ammassati uno sull’altro senza rispetto come un unico blocco reso compatto da rigida morte.
A fatica mi aprì la strada fra i tanti cadaveri: di certo guerrieri uccisi in crudo duello, e attraverso il bordo della fossa comune ritornai al regno dei vivi; addosso avevo soltanto quest’armatura, dalla quale non mi son mai più diviso, e meco portavo un logoro brando. Io non ricordavo chi fossi e, come per la prima volta, guardavo il mondo intorno con occhi di ingenuo bimbo, e il mondo che mi si presentava era grigio e tetro, giacché una tempesta gravava sul mio cimitero.
Ancor non avevo recuperato l’uso della favella che già mi aggiravo come perduta larva tra le lapidi e i cipressi, nella mia mente si radunavano le domande e i dubbi. Poi la pioggia lavò il mio viso e il sangue degli altri dalla mia armatura; una luna rotonda e piena vegliò sul mio sonno, tra i morti, quella sera, e ancora per due giorni io ivi rimasi, mentre lentamente racimolavo i frantumi della mia perduta memoria. Per primo ricordai il mio nome, cosa che fu di dolce sollievo al mio tormentato cuore.
Ma per quanto mi sforzassi di andare addietro nel passato, nient’altro di ricordar mi fu dato. E io rimasi per tre interi giorni in quello stato, senza toccare cibo, senza vedere persona viva, solo con i miei pensieri e con quei morti, che credo fossero miei fratelli, dato che con loro condivisi il fato. Se solo mi avessero potuto parlare! Essi certo sapevano chi io fossi stato prima, ma purtroppo non ci fu niente da fare.
Poi, ricordo, all’imbrunire del quarto giorno, giunse un pellegrino; con aria solenne e passo sicuro entrò nel mio cimitero. Di ampie vesti era coperto, e seco recava un bastone, senza indugio io lo avvicinai. Quello non ebbe paura di me, ed io gli chiesi: <<Ascolta pellegrino, conosci forse l’identità di codesto meschino?>>. Quegli, Ahimè, non mi conosceva.
<<Dimmi pellegrino, ove vai?>> e quegli a me: <<In contro al mio destino!>>. Rimasi colpito assai. <<Posso io teco cercare il mio?>> dissi io, e quegli a me: <<Vieni, straniero, che forse hai già fatto il tuo primo gradino>>. A quelle parole io chiesi maggiore spiegazione, e lui a me: <<Lo primo gradino verso il più alto dei troni, più alto delle montagne, al di là persino delle stelle, se questo è lo tuo destino, poiché io è la che miro!>>, ed io lo seguii.
Maul era il nome suo, e con lui ho intrapreso il mio viaggio; tuttora siamo ancora in cammino, poiché la strada è ardua assai e senza requie conduce attraverso mille battaglie e mille asperità. Ora ho raccolto le conoscenze che avevo perduto sul mondo che mi circonda, ma ancora non posso ricordare da dove io venga, tanto che pare oramai impeditomi dal fato; così, solo, attraverso la terra in perpetua ricerca, come un’anima persa che non può trovare la via al giusto riposo, vago. Mille e mille ne ho vedute, assieme al mio fratello Maul, e abbiamo viaggiato nei reami di Ran e Altarupe, fino a quando, un giorno, il nostro destino si è unito a quello di altri valorosi.
E in quel dì noi incontrammo la leggiadra Cassandra, del Dormiente Eldur la discepola diletta, e Template l’Oscuro, e Wismarill e Rakart, e il gagliardo Senta, tutti di Narva figli illustrissimi, giacché senza codardia e con dignitoso onore al grande Crondor avean fatto torto, di Teldon scegliendo d’esser seguaci. A me e a Maul piacquero di quei temerari gli spiriti audaci, e senza esitazione ad essi ci unimmo, quasi il vento, a noi sacro, con ben congeniato progetto da loro ci avesse condotto.
Così per me è iniziata una vita nuova, ma non posso dimenticare la mia interminabile ricerca, e spero solamente che il destino prima o poi mi usi clemenza. Intanto io posso solo cercare di dare la pace alle anime che non ne hanno, così ché non debbano patire travaglio e pena come io ho passato; la mia spada è sempre asservita a codesto disegno, possa, se a Teldon piace, portare equilibrio e placida morte.