1- Vicissitudini del
libro “Berlusconi inchiesta sul signor TV”.
2-
Affermazioni del 3-10-2002 della tessera P2 1816.
3- Gravi offese di
Paolo Guzzanti a Prodi del 06-12-04 –
trasmesse anche da RAI-TRE senza alcuna presa di distanza durante la rassegna
stampa.
4-
Affermazioni di Andreotti sulla sentenza di
“assoluzione” per mafia . Si sognava l’Ipocrisia al Potere nei giorni belli
della Costituente?
5- Censura di D’ Alema, menzogna di Veltroni.
6-Antologia di bugie del “Premier” P2
7- Come Santoro mistifica e falsifica a proposito della presenza in studio
di G. Ruggeri (colui che ha rifiutato l’assegno in
bianco, assieme a Guarino) e della
telefonata fatta dalla tessera P2 1816 durante il “Rosso ed il Nero” del
1994.
*******
1 - Vicenda del libro
“Berlusconi inchiesta sul signor TV
Ed. Kaos Milano prima ed.
1994
Leggendo
attentamente l' introduzione del libro (del 1994) si
desume che :
1 - il libro non
doveva essere stampato e pubblicato. Perche' mai?
2 - i 2 autori
del libro non si sono "venduti", per questo sono
stati denunciati
e processati e alla fine sono stati totalmente assolti
perche' non hanno diffamato
nessuno.
3 - Berlusconi,
il "liberal"
che voleva oscurare un libro scomodo, ha invece reso falsa testimonianza e si e' salvato da galera (per sentenza in
giudicato dal 13-02-1991) grazie alla amnistia del 1989.
La
vicenda di questo libro, la censura che ha subito, e l’ostracismo, soprattutto a sinistra
di cui e’ vittima questo libro, sono la prova provata della complicita’ e della
connivenza della classe dirigente del PCI-PDS-DS con P2-tessera P2 1816.
===============================================================
da
: "Berlusconi, inchiesta sul
signor TV" ed. Kaos G. Ruggeri - M. Guarino 1994
Prima edizione
febbraio 1994 Copyright 1994 Kaos Edizioni Milano
Berlusconi - Inchiesta sul Signor TV
"Il vero potere risiede
nelle mani dei detentori di mass media" LICIO GELLI
"C'e' una grande differenza fra il Berlusconi che parla e quello
che agisce"
- INDRO MONTANELLI
Premessa
Questo libro -
alla sua seconda edizione, accuratamente approfondito
e
aggiornato, dopo la travagliata prima edizione del
marzo 1987 - non avrebbe
mai
dovuto uscire, poiché‚
il personaggio che vi e' biografato gli ha
dichiarato
guerra prima ancora che venisse
edito, e durante e dopo la sua
pubblicazione.
Il primo attacco di Berlusconi al presente libro e'
stato sferrato quando
non
era ancora stato edito. Il 25 e 26 settembre 1986, il
quotidiano "Il
Mattino" pubblicava un'inchiesta
in due puntate del giornalista
Roberto
Napoletano
intitolata Chi sara'
il padrone di Berlusconi?; Napoletano aveva
intervistato
tra gli altri Marco Borsa (allora direttore di "Italia Oggi")
e
Giovanni Ruggeri, quali
"esperti" dell'ambigua materia berlusconiana: i
temi
trattati spaziavano dal
sodalizio del Cavaliere con il
Venerabile
maestro piduista Gelli, alle erogazioni
creditizie che le banche guidate da
piduisti
avevano a suo tempo accordato alla Fininvest, dalla controversa e
per
piu' aspetti oscura "avventura edilizia" del primo Berlusconi,
ai suoi
spericolati rapporti con il chiacchierato faccendiere
Flavio Carboni, dagli
ingenti
debiti del gruppo
Fininvest, al fiasco di "
eccetera. Il
Cavaliere reagiva con un'irata lettera al quotidiano, esigendo
la
pubblicazione di una
chilometrica rettifica, nella quale scriveva:
<<Tutte le
affermazioni che il servizio del "Mattino" avrebbe materialmente
desunto da questa
incombente opera (di imminente
pubblicazione da parte
degli
Editori Riuniti [il
riferimento e' al nostro futuro libro, citato
nell'articolo,
NdA]) sono assolutamente
false>>, e seguivano
le sue
contestazioni articolate in 18 punti ciascuno dei quali
cominciava con <<E'
falso che...>>.
"Il Mattino" replicava
confermando tutte le
notizie pubblicate
nell'inchiesta del proprio inviato. A quel
punto, Berlusconi querelava
pag. 7
il
direttore Pasquale Nonno,
e l'inviato Roberto Napoletano, nonche'‚
<<altri che avessero
concorso al reato>>, e cioe' anche Giovanni Ruggeri e
Mario Guarino (stavamo
per l'appunto ultimando
la "incombente opera"
menzionata dal Cavaliere).
Ma il giudice
istruttore del Tribunale di Napoli stabilira' l'infondatezza
delle
doglianze di Berlusconi, firmando l'ordinanza di archiviazione della
sua querela.
L'uscita del nostro
libro "Berlusconi. Inchiesta sul
signor Tv" era
prevista
per il successivo ottobre 1986, presso gli Editori Riuniti (con i
quali
avevamo stipulato regolare contratto); ma l'inchiesta pubblicata dal
"Mattino" e le polemiche che
ne erano seguite avevano suscitato non meglio
precisate
"difficolta' tecniche"
da parte degli Editori Riuniti - la casa
editrice rimandava infatti l'uscita del libro di
mese in mese (verra' edito
solo nel marzo 1987).
Le ragioni delle
"difficolta' tecniche"
accampate dagli Editori Riuniti
emergeranno
alcuni anni dopo, cioe' nel
settembre 1993, nell'ambito della
inchiesta
giudiziaria "Mani pulite".
Il sostituto procuratore Tiziana
Parenti, interrogando Flavio
Di Lenardo (imprenditore editoriale, gia'
socio
della Ecolibri -
societa' collegata agli
Editori Riuniti),
apprendera'
di <<spericolate manovre
tentate da Silvio Berlusconi per
bloccare la
pubblicazione di una biografia dedicata a Sua Emittenza>> (1).
Di Lenardo
racconta al giudice Parenti di avere appreso dall'avvocato Bruno
Peloso (al tempo
amministratore delegato degli
Editori Riuniti) di un
furente
Berlusconi, il quale
alternava minacce e profferte: <<Peloso mi
disse
che Fedele Confalonieri cerco' di evitare in tutti i
modi l'uscita
del
volume perche'‚ raccontava
l'inizio dell'ascesa di Berlusconi... Il
braccio destro del padrone della Fininvest
arrivo' addirittura a ipotizzare
l'acquisto della Editori Riuniti, pur di non
vedere quel libro in vendita>>
(2);
<<I tentativi erano
accompagnati da offerte
di denaro>> (3). Le
dichiarazioni
di Di Lenardo
vengono riprese da
tutti i quotidiani;
"Avvenire" scrive: <<Il
libro e' il celeberrimo (e ormai
introvabile) "
Berlusconi Inchiesta sul signor Tv", scritto a quattro mani dai
giornalisti
Giovanni Ruggeri e
Mario Guarino. Il fatto, emerso due giorni fa, oggi
sembra sia diventato un caso nazionale. Uno dei
(1) "L'Europeo", 20 settembre
1993.
(2) "Il Messaggero", 9 settembre
1993.
(3) "Corriere della Sera", 9
settembre 1993.
pag. 8
due
autori, Giovanni Ruggeri,
dichiara: "Per impedire
l'uscita della
biografia
presso gli Editori Riuniti,
Berlusconi fece di tutto. Un giorno
si
presento' uno stretto
collaboratore di Confalonieri e mi offri' un
assegno in bianco in cambio dei diritti del
libro">> (4).
Infatti, come abbiamo denunciato piu' volte pubblicamente
(senza ricevere
alcuna
querela), nel febbraio '87 Fedele
Confalonieri ci aveva telefonato
presso
trovare un accordo"; benche'‚ noi avessimo
respinto l'offerta, ci mando' in
ufficio
il funzionario della
Fininvest Sergio Roncucci,
il quale,
ostentando un
carnet di assegni, ci aveva detto: <<Compriamo noi il vostro
libro,
a scatola chiusa.
La cifra la scrivete voi...>>, e aveva anche
ventilato di un possibile incarico a "Tv
sorrisi e canzoni"...
Nel corso della
sua deposizione al giudice Parenti, Flavio Di Lenardo ha
inoltre
dichiarato: <<Il libro
usci' ugualmente, e Berlusconi querelo' la
societa'
editrice. Pero' la
querela rientro' quando
Berlusconi fece un
grosso affare in Unione Sovietica, relativo a
contratti pubblicitari>> (5).
Effettivamente,
pubblicitaria
delle imprese occidentali destinata ai palinsesti televisivi
sovietici:
Di Lenardo ipotizza, in base alle
presunte confidenze fattegli
da
Peloso, che l'affare sia stato propiziato dagli Editori
Riuniti (casa
editrice controllata dal Pci), e che in cambio
Berlusconi abbia tra l'altro
rimesso una sua querela.
Fatto e' che, finalmente edito nel marzo 1987,
"Berlusconi. Inchiesta sul
signor
Tv" andava esaurito in pochi giorni. Una immediata
ristampa (aprile
'87) esauriva la tiratura in tre settimane.
Benche'‚ il successo di vendite
fosse
comprensibile ed evidente,
forte era il sospetto che parte
della
tiratura fosse stata sottoposta a una sistematica
opera di "rastrellamento"
da parte di "mani ignote".
Non essendo riuscito
a impedirne la
pubblicazione, Berlusconi tentava
comunque
di condannare il
libro all'anonimato. Alla sua uscita nelle
librerie (20 marzo 1987), subito il gruppo
Fininvest diramava un comunicato
minacciando
azioni legali a carico degli
autori ("colpevoli" di attentare
alla
reputazione di Berlusconi)
e contro <<gli
organi di stampa
e
d'informazione che in qualunque forma e a
qualunque titolo diano risalto al
libro in questione>>.
Ma il Consiglio
dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia respingeva
(4) "Avvenire", 10 settembre 1993.
(5) "
pag. 9
<<l'intimidazione
preventiva e generalizzata della Fininvest>>, e in un suo
comunicato
intitolato L'Ordine sull'intimidazione della
Fininvest alla
stampa
dichiarava: <<Presa conoscenza
del comunicato diffuso
dalla
Fininvest Comunicazioni dopo
la pubblicazione del volume-pamphlet dedicato
a
Silvio Berlusconi dai giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino per i
tipi
degli Editori Riuniti,
l'Ordine dei giornalisti
della Lombardia
respinge
la manifesta inammissibilita' dell'intimidazione preventiva e
generalizzata
rivolta nel comunicato
stesso agli organi
di stampa e
d'informazione che in qualunque forma e a qualunque titolo
daranno risalto
al libro in questione>>.
La polemica Fininvest-Ordine dei
giornalisti della Lombardia
veniva
registrata
dai quotidiani con
accenti critici per
le arroganti
intimidazioni della Fininvest; scriveva ad esempio
"
<<Forse i troppi viaggi
all'estero gli hanno dato alla testa. Dal tempo in
cui
Craxi voleva scacciare il corrispondente di "Le Monde" da
Roma, non si
era
vista una cosa piu' insensata e, in fondo, anche
autolesionista>>; e
"
Ruggeri e Mario
Guarino, ha mandato in bestia Sua
Emittenza spingendolo
all'incauta
mossa, giudicata come
un inaccettabile tentativo di censura
preventiva>>.
Ma - come
e' noto - Berlusconi e' un tipo tenace, e dunque "aggirava" il
comunicato
dell'Ordine dei giornalisti
contattando personalmente alcuni
direttori
di giornali. Ad esempio, il
compianto Pietro Giorgianni,
direttore
de "
di
Sua Emittenza: <<Direttore, parlando di quel libro lei si e'
giocato la
mia
stima... Io la
riduco in poverta'>>, e Giorgianni: <<Non puo': sono
gia' povero...>>.
Dopodiche', prende avvio
l'offensiva legale. Il 12 maggio 1987, Berlusconi
presenta
due querele alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di
Milano, alle quali
fara' seguire anche la costituzione di parte civile
<<per il
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali
tutti>>. Il
potentissimo
"Sua Emittenza" (sodale
del potentissimo presidente
del
Consiglio Bettino Craxi)
si ritiene diffamato
dal contenuto di due
interviste
che gli autori
di "Berlusconi Inchiesta sul signor Tv" hanno
rilasciato,
in occasione dell'uscita
del libro, a
"l'Unita'" e a "La
Notte". Per
il servizio apparso sul quotidiano del Pci il 28 marzo 1987, la
querela
berlusconiana coinvolge, oltre
agli intervistati, l'estensore
dell'articolo
Francesco Bucchieri, e
- limitatamente alla
questione
dell"'omesso controllo" - il direttore del quotidiano comunista
Giancarlo
Bosetti.
L'illustre querelante lamenta che nell'intervista
pag. 10
sia
stata affermata l'esistenza di un procedimento penale a suo carico per
reati
valutari; inoltre, si duole del passo dell'intervista che tratteggia
il
suo impero come un "colosso d'argilla"
costituito da "scatole cinesi"
spesso vuote.
Anche la querela
del 28 marzo 1987, relativa all'articolo pubblicato da "La
Notte" il 20
marzo, e' sporta per
<<diffamazione aggravata dall'uso del
mezzo
della stampa e
dall'attribuzione di fatti
determinati (quello di
avere un processo pendente per reati
valutari)>>.
Vi si legge:
<<Sul numero del
quotidiano "
appariva
in prima pagina e a caratteri cubitali il titolo
annunciante un
Libro-bomba su Berlusconi.
Nel sottotitolo
si specificava, tra l'altro,
essere
il libro il risultato di una
"lunga indagine che mette a fuoco gli
interessi
di Berlusconi con
le loro luci e
le loro ombre". Il tutto,
corredato da una foto "a mezzo busto" del
sottoscritto e dal rinvio "a pag.
3">>.
Il testo della querela prosegue citando brani della nostra intervista
(<<"Dal nostro libro
saltano fuori cose spiacevoli: fallimenti, societa'
ombra,
mafia bianca, Ciancimino,
Calvi, Gelli">>); dopodiche'‚
il
megaeditore
craxiano e piduista argomenta: <<Il testo
dell'intervista e'
tale
da far ritenere
che tutto questo
ben di Dio [cioe' fallimenti,
societa'
ombra, mafia bianca, Ciancimino, Calvi Gelli NdA] sia
posto nel
libro
"a carico" del
sottoscritto. Per la verita', non
e' precisamente
cosi',
perche'‚ il libro
e' costruito, dal
punto di vista
della
diffamazione,
in maniera piu'
subdola ma piu' accorta... L'intervista
invece e' piu' brutale, sotto il profilo della
metodologia diffamatoria: va
giu'
dura e diretta,
perche'‚ le "cose
spiacevoli" non possono non
significare
un coinvolgimento di
Berlusconi nell'elencazione sopra
riportata
[e cioe' fallimenti
societa' ombra, mafia bianca, Ciancimino,
Calvi Gelli
NdA]>>. Ma la querela sporta dall'ex palazzinaro affiliato alla
Loggia P2 riserva
un finale "colpo di
scena": <<...Ed ecco la sorpresa:
l'articolista e' nientedimeno lo stesso
direttore del quotidiano "
Pietro Giorgianni, che
agisce evidentemente in sospetta sincronia con il
suo editore, Rusconi; quest'ultimo e' gia'
stato querelato dal sottoscritto
per un'altra intervista, rilasciata ad un
settimanale nello stesso lasso di
tempo
in cui veniva
pubblicato l'articolo di cui sopra. Anche
Ruggeri e
Guarino sono
giornalisti di casa Rusconi>>.
Berlusconi ritiene dunque che i
"rusconiani" abbiano ordito una "strategia
della diffamazione" a suo danno, come
sostiene nella querela; ma in seguito
cambiera'
idea e rimettera' la querela sporta a carico dell'editore Edilio
Rusconi. Rimettera' anche
la querela a carico di Pietro Giorgianni, il
quale
era stato querelato sia come
estensore dell'articolo, sia nella sua
veste di direttore de "La
pag. 11
Notte"
(Giorgianni verra' in seguito invitato a cena nella villa di Arcore,
e
quando il giornalista
lascera' la direzione de "
affidata
la direzione del
periodico della Silvio
Berlusconi editore
"Telepiu'"); ma il "presunto
diffamato" chiede espressamente che l'effetto
della
remissione della querela a carico
di Giorgianni non si estenda agli
altri
due querelati, e
cioe' a Ruggeri e Guarino: lui il direttore lo
perdona, ma "quei due" li vuole in
galera...
Tuttavia, il Tribunale
(presieduto da Giorgio Caimmi, giudice relatore
Fabio De Pasquale) e' di diverso avviso. <<La
richiesta del querelante>>,
si
legge nella sentenza del 27 aprile 1988, <<deve
giudicarsi quantomeno
singolare. A fondare l'effetto
estensivo basterebbe infatti il
rilievo
dell'unicita'
dei fatti contestati>>. Il
Tribunale dichiara dunque il non
luogo a procedere nei confronti di tutti i
querelati, e condanna Berlusconi
al pagamento delle spese processuali.
Stessa sorte subisce,
l'anno dopo, la
querela relativa all'intervista
pubblicata
da "l'Unita'". Berlusconi la
rimette, e con sentenza del 20
novembre
1989 il Tribunale
(presidente Paolo Carfi', giudici Fabio De
Pasquale e Claudio
Gittaredi) gli accolla
le spese del procedimento.
Secondo alcuni, la
querela che stando
alla deposizione del Di Lenardo
sarebbe
stata rimessa quando
<<Berlusconi fece un
grosso affare
pubblicitario
in Unione Sovietica>> sarebbe proprio quest'ultima.
Berlusconi sporge un'altra
querela a nostro
carico per un'ulteriore
intervista pubblicata dal
settimanale "Epoca"
(6). Il giornalista Carlo
Verdelli aveva trascritto,
nel numero di "Epoca" del 26 marzo 1987, il
colloquio-intervista
che aveva avuto
con noi in merito al libro appena
pubblicato. Gli argomenti dell'intervista erano
stati anticipati dalla
edizione
de "
particolare
(<<quella a "
battuta>>,
puntualizzava infatti nella sua querela); e dunque la "presunta
diffamazione"
era contenuta in
entrambe le testate:
e tuttavia, il
querelante
rimetteva solo la
querela a carico
de "
confermava
quella a "Epoca". Sara'
questa evidente contraddizione, questa
giuridicamente inammissibile difformita', a segnare la
sconfitta finale del
Cavaliere, dopo una
battaglia legale durata anni e combattuta in tutti e
tre i gradi di giudizio, fino alla
Cassazione.
(6)
Superfluo precisare che il settimanale della Mondadori, al tempo
dei
fatti
in questione, non
era ancora entrato
a far parte dell'impero
berlusconiano.
pag. 12
Berlusconi
sporgeva querela per l'articolo di "Epoca" il 12 maggio 1987. Il
processo
si teneva nell'autunno
del 1988 presso il Tribunale
penale di
Verona, competente per
territorio (in quanto "Epoca" si stampava in quella
citta'). Imputati di diffamazione aggravata a mezzo
stampa erano i soliti
Ruggeri e Guarino, il collega Carlo Verdelli, e per
"omesso controllo" il
direttore del settimanale Alberto Statera (7).
La vicenda merita
di essere seguita attraverso il testo della sentenza
datata
16 novembre 1988
del Tribunale penale (presidente Mario Resta,
giudici a latere Giovanni Tamburino e Giovanni
Pietro Pascucci, estensore):
<<Si dolse, in
particolare, nell'atto di
querela, il Berlusconi, di due
brani contenuti in detto articolo.
.. In
primo luogo ritenne diffamatorio l'articolo laddove, dopo
che gli
autori
avevano spiegato il
perche'‚ della scelta
della casa editrice
Editori Riuniti ("Abbiamo scelto
la casa editrice del Pci perche'‚ ci
piaceva
una loro collana, I libri bianchi, quella che pubblica gli atti di
accusa
dei giudici impegnati nei processi piu' importanti: mafia, Sindona,
strage di
Bologna"), con un ardito accostamento e in risposta alla domanda
che
sorgeva spontanea di come c'entrasse Berlusconi coi processi, riferiva
come
testualmente dichiarato dagli autori del libro che "un
procedimento
penale in corso ce l'aveva anche lui: dal 1983,
per reati valutari commessi
insieme
a Flavio Carboni.
E una
vicenda poco risaputa ma la si evince,
incontrovertibilmente, dalla relazione della Commissione
parlamentare sulla
P2". In secondo luogo gravemente diffamatoria,
a giudizio del querelante,
doveva ritenersi la frase successivamente
riportata nell'articolo anch'essa
come
testuale dichiarazione degli autori del libro: "Dal nostro
libro su
Berlusconi
saltano fuori cose spiacevoli: fallimenti, societa' ombra, mafia
bianca,
Ciancimino, Calvi, Gelli" [...]>>. Si da' il caso che
all'inizio
della
fase dibattimentale noi imputati
avessimo subito chiarito che Carlo
Verdelli aveva riportato
fedelmente le nostre
dichiarazioni, e che la
notizia
del procedimento penale a carico di Berlusconi era poi
risultata
infondata. Infatti, nel procedimento penale cui ci eravamo
riferiti erano
imputati
il faccendiere Flavio
Carboni e il suo braccio destro Emilio
Pellicani, e deponendo
davanti alla Commissione d'inchiesta sulla Loggia
P2, Pellicani aveva
chiamato in causa anche Berlusconi: si trattava di una
chiamata
di correita', tant'e' vero che il faccendiere il 19 luglio
1984
aveva promosso causa civile contro Berlusconi
esigendo
(7) Non appena Berlusconi acquisira'
dalla direzione di "Epoca".
pag. 13
la
restituzione di 545
milioni che avrebbe speso per suo conto e in suo
nome
e chiedendo di
<<essere manlevato da
tutte le conseguenze a lui
derivanti
e da derivare
dal procedimento penale pendente davanti alla
Procura di Trieste>>: questo
era quanto noto al momento dell'uscita del
nostro libro e dell'intervista a
"Epoca".
Mentre al Tribunale
di Verona era in corso il processo per la querela di
Berlusconi,
ignoravamo ancora che il 6 ottobre 1988
del
Tribunale di Milano,
presieduta dal giudice Diego Curto' (8), aveva
respinto
le richieste di Pellicani (ed e' singolare che Berlusconi
abbia
ritenuto
di non informare
il Tribunale di Verona della sentenza a lui
favorevole e avversa a Pellicani - ma forse piu'
strano ancora e' il merito
della sentenza...).
Nella prima edizione
del nostro libro,
a pagina 102, avevamo scritto:
<<Pellicani sostiene trattarsi
di procedimenti per
reati valutari che
vedrebbero
coinvolto, oltre a
due societa' di
Carboni, anche Silvio
Berlusconi. Se cio'
che Pellicani afferma
corrispondesse al vero,
significherebbe
che contro Berlusconi
sarebbe in corso
(1983) un
procedimento
penale. Non ci
e' consentito soffermarci
ulteriormente su
questo
punto e di
approfondirlo, poiche'‚ scatterebbe
il reato di
violazione di
segreto istruttorio>>; al collega Verdelli non potevamo aver
dichiarato
altro - a scanso di equivoci, lo avevamo pregato di
riferirsi
alla
pagina 102 del libro, ed egli lo aveva puntualmente scritto, sia pure
con l'inevitabile imprecisione delle sintesi
troppo sommarie.
La prima udienza del
processo di Verona si teneva il 27 settembre 1988, ma
nel
frattempo si erano verificati
fatti nuovi. Il procedimento di Trieste
pendente in istruttoria a carico del duo
Carboni-Pellicani era approdato in
aula
per il pubblico
dibattimento, e quindi
era caduto il
segreto
istruttorio;
presa visione delle
carte processuali, avevamo
potuto
constatare
che Berlusconi non
figurava tra i
rinviati a giudizio,
circostanza
che infatti subito
dichiaravamo in apertura del processo di
Verona.
La sentenza ce
ne dara' atto:
<<Ruggeri ha precisato di aver potuto
recentemente
accertare l'infondatezza della notizia... Ma di quali altri
elementi erano in possesso gli autori del libro su
tale informazione?
Lo si ricava dalla memoria oggi
prodotta a firma del Ruggeri: "Ma dove la
prudenza,
il senso della misura, la cautela
nel trattare siffatta materia
vengono
da noi esercitati
al massimo e'
a proposito dell'affare
Calderugia-Nova Nuraghe. Le due
societa' - di diritto estero - possedevano
vaste aree edificabili in Sardegna;
(8)
Sulle singolari coincidenze intercorse fra il corrotto
giudice Diego
Curto' e
Fininvest-Berlusconi, cfr. pag. 221-22.
pag.14
Carboni e Berlusconi
le acquisirono per
destinare i terreni
alla
realizzazione,
in societa' tra
loro, del gigantesco
progetto di
insediamento
turistico noto come
Olbia 2... Il
cav. Berlusconi ha
dichiarato
di non aver mai sentito parlare della Calderugia e
della Nova
Nuraghe. Che smemorato! In sostanza Berlusconi
sapeva che i terreni erano
di
societa' estere, sapeva che volevano il pagamento 'in nero', sapeva che
Carboni-Comincioli
avevano ingannato l'Ufficio italiano cambi, e frodato il
fisco,
ecc. Berlusconi aveva fornito il denaro per i terreni in questione,
e
questi sono regolarmente
finiti a lui con rogito del notaio Zito di
Milano dell'aprile 1981.
Questi i fatti.
Che poi
Pellicani gli abbia
attribuito
una comunicazione giudiziaria e'
un errore deprecabile, ma non
cambia la sostanza dei fatti">>.
<<Tali
elementi>>, si legge piu' avanti nella sentenza, <<se giustificavano
la
conclusione del cointeressamento di Berlusconi all'acquisto dei terreni
e
del suo coinvolgimento nella
complicata vicenda giudiziaria,
non
autorizzavano
certo la conclusione di un suo concorso nei reati
valutari
addebitati
al Carboni>>. Era questa
considerazione che determinava la
nostra
condanna a un
milione di lire di multa
ciascuno. Per le residue
imputazioni venivamo invece assolti per insufficienza
di prove. Il collegio
giudicante
perveniva alla nostra assoluzione
"con riserva" in merito alla
frase
"societa' ombra, mafia
bianca, Ciancimino, Calvi,
Gelli", in
considerazione
del fatto che <<sono effettivamente esistiti dei
punti di
contatto
o dei legami
del Berlusconi con dette persone
e con fatti del
genere
giungendosi anche a
qualificare tali rapporti
come non
irrilevanti>>,
e inoltre perche'‚
quanto da noi affermato <<non
appare
ispirato da motivi contrari ai doveri
professionali del giornalista>>.
Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Verona erano
un duro colpo
per
il clan berlusconiano, gia'
contrariato dalla parzialissima
e
momentanea
"vittoria di Pirro".
Il mensile "Prima
comunicazione" nel
febbraio
1989 pubblicava un inserto speciale con il testo completo
della
sentenza,
e segnalava: <<Il
Tribunale di Verona
condanna i quattro
giornalisti, ma molta stampa
scrive che lo
sconfitto e'
Berlusconi>>.Infatti, "L'Espresso" scriveva
di <<clamorosa sconfitta
giudiziaria
di Berlusconi a
Verona>> (9). "Il manifesto" gli dedicava
questo
colorito articolo: <<In galera! Il grido bracardiano e' risuonato
mercoledi'
pomeriggio nell'aula di giustizia del Tribunale di Verona, ex
caserma asburgica con vista sul carcere. A
lanciarlo e' l'avvocato Domenico
Contestabile, a nome di Silvio Berlusconi e
(9) "L'Fspresso", 15 gennaio 1989.
pag. 15
all'indirizzo
di Carlo Verdelli, Alberto Statera, Giovanni Ruggeri e Mario
Guarino. Era la
quarta e ultima
udienza del processo per diffamazione
aggravata [...].
Berlusconi, che alla
sua immagine tiene molto, si era
presentato in persona alla terza udienza, nonostante
tutto quello che ha da
fare. Alla giuria
aveva raccontato delle lagrime di
mamma' alla lettura
dell'articolo.
Il suo avvocato
ha raccontato anche
delle lagrime dei
Berlusconi babies
alla lettura del libro, incautamente lasciato da papa' in
bella
evidenza sulla libreria
della villa di Arcore. "Il
sospetto come
strumento della diffamazione", ha tuonato
l'avvocato di parte civile, e per
questa
pratica da "diffamatori di
professione" ha chiesto una riparazione
pecuniaria di
100 milioni. Il pubblico ministero, da parte sua, ha chiesto
9 mesi di
reclusione per Verdelli,8
per Ruggeri-Guarino,5 per Statera
direttore
di "Epoca". Punizione esemplare per
chi lede l'immagine di
Berlusconi? La
giuria, dopo 4 ore e mezza, ha deciso che non era il caso...
Una sentenza che
certo non puo' soddisfare Berlusconi>> (10).
Anche "l'Unita'", in
un articolo intitolato
Berlusconi amico di Gelli
querela ma i giudici
assolvono, evidenziava come il magnate di Arcore
avesse
chiesto, tramite il suo avvocato,
un risarcimento di 100 milioni a
testa,
respinto dal Tribunale,
e condanne per tutti tra i 5 e i 9 mesi:
<<Il Tribunale a
tarda sera ha
invece emesso una
sentenza diversa,
assolvendo
gli imputati proprio sulle contestazioni piu' gravi, sia
pure
per insufficienza di prove>> (11).
Ai nostri avvocati
Corso Bovio, Caterina Malavenda e
Paolo Maruzzo (che
sono
anche colleghi pubblicisti,
e ci hanno assistito con competenza
e
passione), davamo mandato di ricorrere avverso la
sentenza del Tribunale di
Verona. Il 22
ottobre 1992,
Michele Curato, consiglieri
Lionello Marini e Umberto Mariani) trasformava
l'assoluzione per insufficienza di prove in
assoluzione piena, e riduceva a
700 mila lire la multa
per avere attribuito a Berlusconi il coinvolgimento
in
reati valutari in
concorso con Carboni. Dunque,
risultava vieppiu'
legittimo, e
con l'autorevolissimo avallo del Tribunale, accostare il nome
e le gesta di Silvio Berlusconi al
Venerabile maestro piduista Licio Gelli,
al
mafioso Vito Ciancimino, al bancarottiere piduista Roberto
Calvi, e a
vicende
i fallimenti, societa'
ombra, "mafia bianca". Rimaneva
l'infinitesimale
(10) "il manifesto", 18 novembre
1988.
(11) I'Unita'". 17 novemhre 1988
pag. 16
neo
della multa per
una svista non nostra - un
minuscolo neo del quale
volevamo comunque liberarci.
L'ultimo atto e'
del 30 marzo
1993.
(presidente
Guido Guasco, consiglieri Giuseppe Ciufo, Guido Ietti, Alfonso
Malinconico, Carlo Cognetti)
accoglieva il nostro
ricorso, giusto
l'articolo
90 del vecchio
Codice di procedura
penale: <<L'impugnata
sentenza
dev'essere annullata senza rinvio>>, sentenziava
Era la vittoria
finale e completa. Di tutti e tre i gradi di giudizio,
niente e' rimasto a nostro carico, neppure la
pur modestissima multa.
L'onnipotente Cavaliere, da parte
sua, non solo doveva prendere atto della
completa
sconfitta, ma finiva nei guai per falsa testimonianza -
cioe' a
dire, l' accusatore finiva sul banco degli
imputati, ai sensi dell'art. 372
del
Codice di procedura
penale. Al Tribunale di
Verona, nel corso
dell'udienza
del 27 settembre
1988, Berlusconi aveva
deposto sotto
giuramento;
interrogato in merito
alla sua affiliazione
alla Loggia
massonica
P2, l' aveva temporalmente
collocata nell'anno 1981 (invece che
nel
1978, come noi avevamo scritto), e aveva affermato - mentendo - di non
avere
corrisposto al Venerabile
maestro Licio Gelli
alcuna quota di
iscrizione alla Loggia, al momento
dell'affiliazione. Al cospetto di queste
clamorose menzogne, avevamo inoltrato un esposto
alla Pretura di Verona.
Il 22 luglio 1989
il pretore Gabriele Nigro firmava
una sentenza
istruttoria
di <<non doversi procedere
contro l'imputato [Berlusconi NdA]
perche'‚ il fatto non costituisce reato>>.
Avverso la decisione del pretore
si
appellava il Procuratore
generale della Corte d'Appello di Venezia
Stefano Dragone.
Il processo d'Appello
aveva luogo nel maggio 1990. Dal nostro esposto alla
Pretura erano trascorsi
venti mesi, nel corso dei quali era stata varata
dal
Parlamento l'ennesima amnistia
(la ventitreesima della
storia
repubblicana);
essa diveniva operante
il 12 aprile 1990, e riguardava i
reati
commessi fino a
tutto il 24 ottobre 1989 - per
Berlusconi era un
provvidenziale
salvagente. Quando i magistrati
lo avevano convocato a
Venezia per
rispondere del reato di falsa testimonianza, l'editore piduista
aveva dichiarato: <<Spero
che la prossima amnistia, che si
annunzia non
rinunziabile,
non mi tolga il piacere di vedere
confermata la sentenza di
proscioglimento
[della Pretura, NdA] dalla Sezione istruttoria presso la
Corte di Appello di Venezia>> (12), "Amnistia non
rinunziabile"? Berlusconi
(12) "L'Espresso", 25 febbraio
1990.
pag. 17
fara'
tutto meno che
rinunciarvi, e
Battista Stigliano, consiglieri
Luigi Nunziante e Luigi Lanza, relatore)
non gli togliera' alcun piacere:
<<Ritiene il Collegio che le dichiarazioni
dell'imputato
non rispondano a
verita'... Ne consegue
quindi che il
Berlusconi, il quale,
deponendo davanti al Tribunale di Verona nella sua
qualita'
di teste-parte offesa,
ha dichiarato il
falso su questioni
pertinenti
alla causa ed
in relazione all'oggetto della
prova, ha reso
affermazioni
non estranee all'accertamento giudiziale e idonee in astratto
ad alterare il convincimento del Tribunale
stesso e cio' (a prescindere dal
mancato
utilizzo processuale delle
dichiarazioni menzognere medesime da
parte
del giudicante) ha compiutamente
realizzato gli estremi obiettivi e
subiettivi
del contestato delitto... Il reato attribuito all'imputato
va
dichiarato estinto per intervenuta amnistia>>.
Complimenti, Cavaliere!
Giovanni Ruggeri - Mario Guarino
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2 - Affermazioni del
3-10-2002 della tessera P2 1816
- Berlusconi, graziato
dalla amnistia del 1989, si permette di affermare impunemente che
l'amnistia del
- il silenzio dei dirigenti del PCI-PDS-DS
riguardo le gravi affermazioni fatte
nell'articolo lo si comprende solo se
sulla vicenda P2 i dirigenti del PCI-PDS-DS
sono sotto ricatto. (ad esempio perche' si
devono coprire iscritti del PCI iscritti anche
alla P2, ipotesi di cui sono sempre piu' convinto.)
Quando avro’
occasione, soprattutto in pubblico, chiedero’ perche’ ufficialmente i
dirigenti del partito hanno fatto orecchio da mercante.
Lo stralcio tratto dal
Giornale del 03-10-
*******
Tutta colpa dei comunisti
Sergio Moroni,
dirigente e parlamentare del Partito socialista, si toglie
la vita il 2 settembre 1992 nella sua casa
di Brescia. Aveva ricevuto tre
avvisi di garanzia, che gli contestavano il
ruolo di esattore delle
tangenti per il Psi nel settore dei rifiuti. Prima
di morire, aveva inviato
al presidente della Camera, Giorgio
Napolitano una lettera in cui
protestava contro il <<clima di pogrom>) e
contro la <<decimazione >>
casuale della classe politica, la <<ruota
della fortuna>> che <<assegna a
singoli il compito di vittinie
sacrificali>>. Ma in quella lettera Moroni
ammetteva il suo ruolo nel sistema dei
finanziamenti illeciti, poi
definitivamente confermato nelle sentenze a carico dei
suoi complici
(risultera’<<accertata e pienamente provata la
materialita’dei fatti>>, e
cioe’ che Moroni aveva ricevuto <<circa
200 milioni in totale nelle sue
mani in una cartellina tipo quelle da ufficio,
avvolta in un giornale>>).
Un suo amico e compagno
di partito, Loris Zaffra, dichiara nel gennaio 1993
al settimanale Panorama: <<Aveva
ragione il povero Sergio Moroni quando,
nella sua lettera scritta prima del suicidio
aveva parlato di ruota della
fortuna: sei stato preso, peggio per te.
Con Moroni ne avevamo discusso la scorsa estate. Aveva molto sofferto
per
il cordone sanitario che gli era stato fatto
attorno. Tangentopoli ha messo
a nudo, oltre al giro delle tangenti, la
slealta’ dei rapporti politici.
Sei stato
arrestato? Peccato per te, entri nel cesto delle mele marce. Gli
altri, che con te hanno diviso errori e
responsabilita’, si girano
dall'altra parte. Inaccettabile>>).
Dieci anni dopo,
i compagni che lo avevano ipocritamente emarginato
celebrano la memoria di Moroni. E
quelli che avevano invece inneggiato a
Mani pulite, come
Marcello Pera e lo stesso Silvio Berlusconi [pag. 174],
si ritrovano a commemorare il parlamentare
attaccando Mani pulite e i suoi
magistrati. Una
commemorazione ufficiale di Moroni viene organizzata
alla
Camera e a essa segue una lettera di Berlusconi pubblicata sul
giornale di
famiglia il 3 ottobre 2002. Nella lettera, la
corruzione viene giustificata
con l'esigenza "democratica" di
contrastare i comunisti, che potevano
disporre di finanziamenti da Mosca. Quei finanziamenti che non sono piu'
reato, sottolinea Berlusconi, grazie
all'amnistia "voluta fortissimamente
dalla sinistra" nel 1989: proprio
l'amnistia "provvidenziale" che nel 1990
aveva salvato Berlusconi dalla sua prima
condanna, quella per falsa
testimonianza sulla P2 [ pag. 115].
In verita’, nel
sistema di Tangentopoli e’ stata in piu’ casi provata
l'esistenza del "cassiere unico",
che ritirava le tangenti e poi le
divideva tra i diversi partiti, comunisti
compresi: questi erano dunque in
piu' casi alleati e complici con cui spartire
il bottino, non nemici da
battere in nome della democrazia. Ma ormai le necessita’ polemiche
sovrastano la ragione e i fatti. Berlusconi, che nel
videomessaggio della
"discesa in
campo", nel 1994 [ pag. 169], criticava i partiti e rendeva
omaggio a Mani pulite, nel 2002 considera ormai i
magistrati i suoi grandi
nemici e difende non solo i vecchi partiti, ma
anche il loro illegale
sistema di finanziamento.
IL VERO COLPO DI SPUGNA
Silvio
Berlusconi, il Giornale, 3 ottobre 2002
La vicenda umana
e politica di Sergio Moroni E’ lo specchio tragico di
un'epoca inquisitoria e buia, per molti
aspetti ancora sconosciuta, un
fiume tumultuoso che travolse l'Italia, un'onda
giustizialista che fini’
per cancellare dignita’e garanzie e per
destabilizzare gli equilibri
democratici dello Stato di diritto. Tangentopoli fu
vissuta dall'opinione
pubblica, a causa anche di un cortocircuito
politico-mediatico-giudiziario,
come un'illusione salvifica, come un atto
liberatorio, ma restera’ invece
nella storia del nostro Paese come un marchio
indelebile di giustizia
parziale. E
quando la giustizia e’ parziale genera solo
ingiustizia,
seminando inquietudine e disperazione. Questo ci
ricorda Sergio Moroni, che
individuo’ nel gesto "estremo" di
togliersi la vita l'unico modo per far
sentire la propria voce e per affermare la
propria innocenza. Questo ci
devono ricordare le altre venticinque persone
che si uccisero ai tempi di
Tangentopoli.
La giustizia
penale non dovrebbe mai avere finalita’ politiche. Non puo’
averle, per definizione, perche’ la
responsabilita’ penale e’ personale.
Come
espressione della
volonta’ punitiva dello Stato per chi commette
singoli reati, essa dovrebbe esaurirsi nella
valutazione di fatti
specifici, le cui conseguenze possono, si’, essere
anche politiche, ma
soltanto come riflesso occasionale. L'esperienza
italiana ha dimostrato,
invece, che una certa giustizia puo’ portare
alla fine di un sistema
politico, all'esautorazione di un'intera classe
dirigente e puo’, in
definitiva, sostituirsi al popolo nella scelta di
chi deve governare il
Paese.
I numeri di
Tangentopoli sono emblematici nella loro crudezza:
Carlo
Giovanardi, nel
suo libro Storie di straordinaria ingiustizia ricorda che
88 deputati della
Democrazia cristiana, su un totale di 206 eletti alle
elezioni del 5 aprile 1992, furono inquisiti. Tranne quattro, sono stati
tutti prosciolti o non giudicati. Eppure quel Parlamento fu messo alla
berlina come "il Parlamento degli
inquisiti" e fu sciolto anticipatamente
malgrado esistesse ancora una maggioranza
legittimamente eletta. Lo stesso
trattamento fu riservato agli altri partiti che nella
Prima Repubblica
avevano fatto da diga, insieme alla Dc, contro il
pericolo comunista: il
Partito
socialista, il Partito socialdemocratico, il Partito repubblicano e
il Partito liberale.
Quel sistema,
caratterizzato da due blocchi ideologici, aveva esaurito la
sua ragion d'essere con la caduta del Muro di
Berlino, ma pochi se ne
accorsero. Era un
sistema consociativo consolidato da decenni, di un
difficile equilibrio di potere costantemente
"contrattato" con
l'opposizione comunista. Questa anomalia, questa assenza totale di
alternanza di governo aveva portato quel sistema a
una serie di
degenerazioni. Ma non bisogna mai dimenticare che la corsa
al finanziamento
illegale
dei partiti era stata innescata dai poderosi finanziamenti che il
Pci riceveva dall'Urss, da parte della
potenza, cioe’, che si contrapponeva
apertamente
alle democrazie occidentali. La sinistra comunista e
postcomunista
era dunque corresponsabile a pieno titolo di quella
degenerazione,
ne era anzi la causa principale.
Ma alla fine di Tangentopoli il Pds, erede
diretto del Pci travolto da una
disfatta
storica, fu l'unico tra i principali partiti a rimanere in piedi.
Cio’ avvenne, in primo luogo, per la
"provvidenziale" amnistia del 1989
voluta
fortissimamente dalla sinistra, amnistia che consenti’ di azzerare
tutti
gli effetti giudiziari del finanziamento sovietico. Quello
si’che fu
"colpo di spugna"!
Ed e’ abbastanza sconcertante che ora, a tredici anni di
distanza chi
usufrui’di quell'amnistia salvifica propugni la
definitiva eliminazione di
questo istituto. La sinistra, in questi anni, ha
raccontato una storia
assolutamente strabica della Prima Repubblica: quella
secondo cui in Italia
sarebbe esistita una "questione morale"
dalla quale pero’erano esenti,
grazie alla loro "diversita’", solo i
comunisti. Questa surrettizia
ricostruzione del fenomeno della corruzione in Italia
e’ in realta’ servita
per coprire due fenomeni che hanno prodotto
effetti disastrosi: la
trasformazione della questione morale in questione
giudiziaria e la
trasformazione dell'azione giudiziaria in azione
politica.
Quando scesero
clamorosamente in campo, i magistrati del pool di Mani
pulite poterono sostenere che il loro compito
era quello di processare un
sistema, di "combattere un fenomeno".
Non piu’ di
perseguire i singoli reati, dunque, come prevede la legge, ma
di "ripulire un sistema", "di
rivoltare l'Italia come un calzino".
Tangentopoli non
fu una rivoluzione in senso proprio ma fu sicuramente
il
tentativo di un ordine dello Stato di attribuirsi
un ruolo etico di
preminenza e politico di supplenza, con l'intento di
celebrare "un grande
processo pubblico", come ebbe a definirlo il
procuratore capo di Milano.
A quei magistrati
fu concesso di bloccare il normale iter di approvazione
delle leggi con pronunciamenti sulle scalinate
del Palazzo di Giustizia e
di usare la carcerazione preventiva per
costruire le prove attraverso le
confessioni, confessioni che in quel clima arrivavano
copiose anche da
parte degli innocenti che avevano quel solo
mezzo per uscire di galera. Si
arrivo’ perfino all'ignobile tentativo di
denigrare i suicidi: qualcuno,
quando si seppe della morte di Sergio Moroni,
insinuo’ che ci si uccide
anche per vergogna. Ma Moroni, come tanti
altri, non aveva nulla di cui
vergognarsi, avendo lealmente servito la causa del
suo partito, la cui
scomparsa ha inferto una grave perdita alla
sinistra riformista.
Moroni si tolse
la vita in preda a una lucida e sfuggente
disperazione,
come risulta chiaramente dalla lettera al
presidente della Camera
dell'epoca. In quella lettera c'e’, espresso in
forma sintetica, molto di
quello che si poteva e si doveva dire.
Voglio rileggerlo
ancora. "Un grande velo di ipocrisia (condiviso
da tutti)
ha coperto per lunghi anni i modi di vita
dei partiti e i loro sistemi di
finanziamento.
Ne’ mi pare giusto che una vicenda tanto importante e
delicata si consumi quotidianamente sulla base di
cronache giornalistiche e
televisive a cui e’ consentito di distruggere
immagine e dignita’ personale
di uomini solo riportando dichiarazioni di
altri. Mai e poi mai ho pattuito
tangenti. Eppure vengo coinvolto nel cosiddetto scandalo tangenti e
accomunato dalla definizione di 'ladro' oggi cosi’
diffusa. Non lo accetto,
nella serena coscienza di non aver mai
approfittato di una lira. Ma quando
la parola e’ flebile non resta che il
gesto."
La sua grandezza, la grandezza di Sergio Moroni, sta proprio nel
fatto che
e’ arrivato a sacrificare la vita per
superare con un gesto estremo "la
flebilita’della voce". Ma cio’ e’ proprio il contrario della
normalita’democratica. E' stato detto
che la democrazia non ha bisogno di
eroi, e se una persona equilibrata come Moroni
arrivo’ a togliersi la vita,
significa che in quel momento il giustizialismo
aveva commissariato la
democrazia. Ma
una democrazia non puo’ crescere e sviluppare le sue
potenzialita’ se e’ frenata da uno scontro di potere
fra una corrente della
magistratura che concepisce il proprio ruolo in
termini di egemonia
politica e una parte della politica, espressione
della maggioranza degli
italiani, che invece intende riaffermare le
prerogative della volonta’
popolare. Per
questo e’ giunto il momento di voltare pagina, senza
volonta’
punitive nei confronti di nessuno, ma tenendo ben
presente che la questione
giustizia in Italia e’ la questione della
legittimita’ e della sovranita’
democratica.
giustizia in senso piu’ garantista, in grado di
rafforzare il ruolo del
giudice terzo di fronte allo strapotere del
pubblico ministero, che deve
tornare a rappresentare nel processo la parte
accusatoria, e non a essere
visto come il rappresentante della legge
davanti al quale la difesa fa la
parte del sabotatore dell'ordine costituito.
L'esperienza ci ha insegnato
che dietro l'usbergo dell'obbligatorieta’
dell'azione penale spesso si e’
celata e si cela la piu’ grande
discrezionalita’, che e’ una
pericolosissima strada per realizzare la disuguaglianza
dei cittadini di
fronte alla legge. Come Sonnino invoco’ a suo
tempo il "ritorno allo
Statuto",
cosi’ noi riteniamo che si debba tornare alla Costituzione, ai
principi dello Stato di diritto.
Per creare queste
condizioni intendiamo approvare tutte le riforme che
abbiamo in programma cercando nello stesso tempo
di svelenire lo scontro
politico in atto, per ricondurlo alla logica del
normale confronto
democratico. E'
difficile, pero’, dialogare con coloro che sostengono
che
il 13 maggio del 2001 "la criminalita’
organizzata ha vinto le elezioni" e
assimilano ogni tentativo di riforma della giustizia
a un atto eversivo. Ma
i fatti li smentiscono. Avevano detto che la legge sulle rogatorie avrebbe
fatto scarcerare mezza malavita italiana, e
naturalmente nulla di tutto
questo e’ accaduto. Sono arrivati fino al punto
di insultare il Parlamento,
con la scusa ipocrita di difenderlo dalla
legge sul legittimo sospetto, che
e’ una legge garantista che in Italia
esisteva gia’ e che e’ giusto e
doveroso ripristinare.
Noi, e lo dico
soprattutto a Chiara Moroni, che sta coraggiosamente
portando avanti nella Casa delle liberta’ la
battaglia iniziata da suo
padre, abbiamo il dovere di far si’ che non ci
sia una nuova Tangentopoli.
Una democrazia
che funziona sa far rispettare le sue leggi senza dover
ricorrere al giustizialismo giacobino, e non ha
bisogno ne' di sceriffi ne'
di eroi, ma di regole incorniciate in un
sistema garantista che sappia
offrire una giustizia rapida e in cui il giudice
abbia recuperato
attraverso la sua indispensabile imparzialita’ tutta
la sua autorevolezza.
Il carcere non
deve piu’ essere usato per la formazione della prova. E' il
momento di voltare pagina. Chi e’
chiamato a far rispettare le leggi dello
Stato, e puo’
dunque togliere la liberta’ a un cittadino, deve
essere
cosciente di maneggiare un'arma terribile. Il
carcere e’ l'extrema ratio
nella difesa degli interessi statuali, e mai
piu’dovra’ essere usato come
mezzo di formazione della prova.
Lo riaffermiamo
oggi, nel commosso ricordo di Sergio Moroni. Lo
riaffermeremo sempre, tenendo la nostra rotta ben
distante sia
dall'indulgenza verso la corruzione che dal
giustizialismo, due facce di
una medaglia che ha drammaticamente segnato
la nostra vita, la vita
italiana negli anni novanta. E non saranno ne’ i giacobini ne’ i
girotondini a rimettere indietro l'orologio della
Storia.
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3 - Gravi offese di Paolo
Guzzanti a Prodi
del 06-12-04
Prodi non ha
ritenuto di dover difendere il suo onore a fronte delle affermazioni che
Guzzanti fa.
Ho anche scritto a Prodi,
alla casa di Bologna in Via Gerusalemme (BO) segnalando l’articolo di Guzzanti
e per informarlo
di questo articolo e delle affermazioni veicolate a RAITRE dal giornalista Venturini del Corriere
della Sera.
*******
PAOLO GUZZANTI Il Giornale 06-12-04
Si potrebbe rispondere a
Prodi che quando
uno definisce mercenari i militanti del partito di maggioranza relativa, si qualifica politicamente come un fior di
mascalzone, punto e basta. Ma questa faccenda del
mercenario non va vista soltanto come una rissosa provocazione, una
becera trovata di un uomo dal passato cupo di ombre e scarso di luci. No,
questa mascalzonata va capita nel suo significato politico, va
spiegata. Prodi, si sa, è uno che va per le spicce.
Quando fecero il golpe contro Gorbaciov, lui si dimostrò amico dei comunisti
golpisti e lo
disse in un'intervista.
Prodi è quel signore, giova
ricordarlo, che ha mentito ai giudici, ha mentito al Parlamento e seguita a
mentire al Paese sulla storia della
seduta spiritica in cui si fece sapere che Aldo Moro, prigionièro di forze
ancora oggi oscure, ma forse chiarissime, era prigioniero a via Gradoli, salvo
scambiare il nome di quella strada con quello di un omonimo paesino.
Prodi è
quel signore che svendeva
Tutte balle: Prodi non è una mortadella, ma semmai un salame secondo molti diessini
di mia conoscenza. Non è un pacioccone, ma una persona dagli umori lividi e
vendicativi. Non è un parroco di campagna nel senso buono, ma potrebbe esserlo
nel senso cattivo: di quei «cura» dell'America Latina
che seguendo in modo contorto la teologia della liberazione, adoravano il mitra
invece che il crocefisso.
Prodi è
un uomo che finge: finge di declamare principi, finge di credere in valori, è
stato ritratto dalla stampa inglese come un disastro e dalla stampa europea
come un imbarazzo europeo. Lo spedirono li', in Europa, Cossiga e D'Alema, dopo
averlo fatto cadere con un colpo di maggioranza di un solo voto, mentre
Cossutta sulla sua via di Damasco diventava governativo.
Bene, quel Prodi pacioccone,
moderato, misurato, un po' bavoso se volete, dall'eloquio rassicurante perché
strascicato e dalla dizione mai limpida, ha fatto come certi supereroi dei
cartoni americani: è entrato in una cabina telefonica, si
a tolto il liso panciotto, si è spolverato la forfora, si è spogliato ed è
rimasto nel costume con mantellina con la grande «M» di Mascalzone, quella che
provoca turbamenti e languori a Pecoraro Scanio, a Rizzo, Cento e compagnia. Ma
anche a sinistra, gente normale e magari un po' triste ma seria come Fassino,
non ha gradito la sortita vergognosa e si e' tirato
indietro. Il Tg3 di ieri sera, l'ammiraglia della sinistra, arrossendo sullo
schermo a colori parlava
d'altro.
E dunque l'uscita di questo medium da retrobottega, di questo
presidente dell'Europa al quale gli americani, gente d'intuito, facevano
sfilare le scarpe all'aeroporto per passarle ai raggi X, ha provocato imbarazzo
e freddezza fra la gente normale del centrosinistra, che però è in minoranza,
perché il cosiddetto centrosinistra è una sinistra demenziale e all' occorrenza
violenta, che regge il timone, e una piccola sinistra normale che fa finta di
produrre idee di governo e non ci riesce.
Allora, come si
spiega la mascalzonata? Io, che non essendo un politico di professione, ho
impiegato qualche mese prima di capire come funziona
la giostra, ho dovuto imparare anche a spese mie, oltre che seguendo
l'aggressione continua e canagliesca
contro Berlusconi, che l'odio, l'agguato, l'innesco di meccanismi emotivi, sono
sempre sintomi di disperazione politica e vanno trattati come tali: eccellenti
(per noi) motivi di gioia. L'uso della parola «mercenari» è un attrezzo per disperati. È la
prova che chi era già arcisicuro di avere
la futura vittoria in tasca, sente che sta per perdere tutto.
Lettera che ho spedito a Prodi il 07-12-04
per informarlo dell’articolo di Guzzanti.
Professor
Prodi, sono un volontario che
lavora gratuitamente per lei ma non per D’Alema, Fassino, Rutelli, Bertinotti e
tutti i complici e collusi con la tessera P2 1816.
La presente per informarla
che il giorno 06/12/04 alle ore 7:30 circa, il
giornalista Franco Venturini del Corriere della Sera, a Prima Pagina di RAI
–TRE, ha dato lettura di un brano dell’articolo scritto da Paolo Guzzanti e
pubblicato su “ IL GIORNALE” del 06-12-04.
Tra l’altro Venturini ha
letto la frase che
segue piu’ avanti senza fare alcuna rettifica, quindi veda lei come procedere.
Personalmente ho fatto
immediatamente 2 telefonate al numero 800050333 dal mio cellulare 3478502650,
mentre stavo andando al lavoro.
Volevo rettificare e
precisare immediatamente alla radio che se c’e’ un matricolato bugiardo con
sentenza passata in giudicato, questi e’ la tessera P2
1816 (sentenza n. 97 n. 215/89 Reg. Gen. Della Corte di Appello
di Venezia).
Ovviamente la redazione di
Prima Pagina non mi ha richiamato neppure il giorno 07-12-04, nonostante un ulteriore sollecito fatto alla sera del 06-12-04 tramite
e-mail.
La frase che e’ stata trasmessa per radio, senza smentita e’ :
“Prodi e’ quel signore, giova
ricordarlo, che ha mentito ai giudici, ha mentito al Parlamento, e seguita a
mentire al Paese sulla storia della seduta spiritica in cui si fece sapere che
Aldo Moro, prigioniero di forze ancora oggi oscure, ma forse chiarissime, era
prigioniero a via Gradoli, salvo scambiare il nome di quella strada, con quello
di un omonimo paesino.”
Distinti saluti
Pietro
Campoli
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4 - Affermazioni di Andreotti sulla sentenza per mafia.
WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 21 MARZO 2005
Senatore
Andreotti, Le spiace se parliamo di mafia?
LETTERA APERTA
A GIULIO ANDREOTTI - A CURA DI PIERO RICCA
Egregio Senatore Andreotti, venerdì 18 marzo Lei era a Milano, a
Palazzo Marino, per raccontare la storia della Repubblica ai bambini delle
elementari. Quella sera, alla Casa della Cultura di Milano, veniva
presentato un volume di scritti di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla
mafia il 5 gennaio del 1984. La coincidenza mi ha fatto riflettere.
E ho sentito l’esigenza di scriverle questa lettera, per chiederle un
chiarimento, su un tema che avrei preferito proporle
direttamente se, l’autunno scorso, alla Fondazione Cariplo, sempre a Milano, due agenti della Digos non mi avessero
impedito di partecipare a un convegno pubblico, nel quale lei, in qualità
di ospite d’onore, ricordava la figura di Alcide De Gasperi. Censura preventiva
del dissenso, ho preso a chiamarla.
Vengo al dunque. Lei, senatore Andreotti, alla Giustizia
italiana risulta colluso con la mafia, almeno fino al
La sentenza definitiva della Corte di Cassazione ha infatti
confermato il verdetto di appello, che la assolveva per intervenuta
prescrizione del reato di associazione a delinquere, mentre per l’imputazione
di concorso in associazione mafiosa, relativa a fatti successivi al 1980, non
riteneva sufficientemente provata l’accusa. Dico bene? Prescrizione non
equivale a innocenza.
Se il processo fosse durato meno – e la piaga della
lunghezza dei processi, come ognun sa, reca danno ai diritti degli onesti - lei
infatti sarebbe stato condannato, in nome del Popolo Italiano.
Sicché solo per una questione procedurale – una garanzia cui l’imputato può
chiedere di rinunciare – lei, senatore a vita Andreotti, si è salvato da una
condanna per aver collaborato con l’organizzazione criminale che, sparandogli
alla nuca, ha ucciso uomini come Giuseppe Fava.
Del resto, le circostanze che sono emerse da quel processo, sul piano morale,
squalificano la sua biografia politica. In altri paesi, su queste ombre, si
sarebbe aperto un ampio dibattito. Qui no.
Mi dispiace doverle ricordare questi fatti, ma non sono soltanto fatti suoi. Non riguarda solo lei, senatore Andreotti, il
fatto che una sentenza di assoluzione per
prescrizione, riferita all’uomo di governo più longevo e rappresentativo
d’Italia, non abbia generato scandalo, tranne nella solita e sparuta cerchia di
ficcanaso con il “vizio della memoria”. Demonizzatori, ci chiamano.
Al contrario lei ha ricevuto congratulazioni dalle alte cariche istituzionali. I media l’hanno rappresentata come la vittima dell’orco
giustizialista. I patroni hanno esultato a pugni alzati. Il padrone di Casa dei
"liberali" e le sue squadre hanno colto l’occasione per un nuovo
j’accuse agli eversori in toga. Gli oppositori politici, in gran parte, sono
stati al gioco.
Si sognava l’Ipocrisia al Potere nei
giorni belli della Costituente?
E così lei, da “Cittadino al di sopra di ogni
sospetto”, continua a frequentare l’aula del Senato della Repubblica, a
presenziare a pubblici convegni con selezione all’ingresso, perfino a
raccontarci, tramite lo storiografo confidenziale Bruno Vespa, i retroscena
della storia d’Italia “da Mussolini a Berlusconi”.
Lo fa con humour, non lo nego, ma non tutto nella vita – e questo lei stesso lo
riconoscerà – può essere liquidato con un motto di spirito.
Fava, dicevo. Lui è di quelli che hanno
conosciuto il prezzo della verità. Lui certo avrebbe trovato le parole
giuste per raccontare la sua strana assoluzione. Ed è la memoria di uomini come lui – tra le tante vittime della mafia che
proprio oggi a Roma vengono ricordate dall’associazione Libera di Don Ciotti –
che mi induce a non rassegnarmi a vivere in un paese in cui le sentenze che
riguardano i potenti valgono niente, mentre le leggi vengono scritte da
prescritti e pregiudicati per mafia e corruzione. Altrimenti il sacrificio dei
giusti non avrebbe senso.
Ecco perché mi permetto di chiedere a lei, senatore Andreotti, con la
considerazione che meritano tanto la sua alta carica
quanto la sua affilata intelligenza, come può un semplice cittadino continuare
ad avere fiducia nelle istituzioni e rispetto per la legge, di fronte al
trionfo del cattivo esempio?
Come posso, mi dica, come posso convincermi che la legge abbia ancora un minimo
fondamento etico, se essa è prodotta da un Parlamento in cui siede come
senatore a vita, in mezzo a decine di pregiudicati, un cittadino considerato
dalla Giustizia colluso con la mafia, sia pure prescritto?
O forse possono bastare la sua dichiarata buona fede e la pronta solidarietà
dell’establishment a rassicurarmi?
Io non so dare una risposta serena a questi
interrogativi. Mi aiuti lei, senatore Andreotti, dall’alto della sua cristiana
saggezza. Mi risponda, mi rassicuri, mi aiuti a capire. La distinzione del
laticlavio a vita, forse, questo modesto onere può anche comportarlo.
Lei certo comprende che dopotutto il mio non è che un
appello alla parte più integra della sua coscienza, che nessuna guardia del
corpo, mediatica o di polizia, può togliere a lei la libertà di esercitare e a
me il diritto di interpellare. Un cordiale saluto, con gli auguri per una
Pasqua serena.
WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 15 APRILE 2005
Non
sono stato assolto per prescrizione
GIULIO
ANDREOTTI
Lo scorso 21 marzo il nostro
quotidiano ha pubblicato una lettera aperta,
firmata da Piero Ricca, indirizzata al senatore a vita Giulio Andreotti. Il sette volte presidente del Consiglio ha risposto. Ricca
ha infatti ricevuto una lettera, spedita tramite il
servizio postale, su carta intestata di Palazzo Madama. Pubblichiamo
di seguito il contenuto della missiva.
Caro signor Ricca, La ringrazio per avermi scritto direttamente. Io non sono stato
assolto per prescrizione. Circa il presunto incontro con il mafioso Bontade, il
"collaborante" aveva fissato una data e mi fu
facile smontarla (ero in Giappone). Fissò allora un... periodo: quello della
stagione della caccia. ll tribunale non aderì alla mia
proposta di presentare confutazione datata (come feci puntualmente sui presunti
"buchi" nei miei spostamenti in quegli anni). L'incontro con Bontade
non ha quindi insufficienza di prova, ma inesistenza
di prova. Se desidera (è un volumone) le mando copia
della sentenza. E' spiacevole che dopo dieci anni di tiro al piccione si
continui - anche da uno dei procuratori - a confondere le idee.
Con vivi saluti
Giulio Andreotti
WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 19 APRILE 2005
Prescrizione:
la sentenza parla chiaro
PIERO RICCA
Egregio senatore Andreotti, La
ringrazio molto per la risposta.
Con garbo Lei fa capire che chi come me si scandalizza nel vedere uno come Lei onorato quale senatore a vita, è una persona
dalle idee confuse. Può darsi. Prima di scagionarsi dall’accusa di aver
incontrato il mafioso Bontade, Lei afferma di non essere stato assolto per
prescrizione. Per verificarlo, Lei mi suggerisce la lettura della sentenza di appello, poi confermata dalla Cassazione, che avrebbe
posto fine al "tiro al piccione" nei Suoi confronti.
Apprezzo molto che Lei sia disponibile a inviarmene
copia e la riceverò volentieri, anche perché finora di quel
"volumone" ho letto solo qualche stralcio. Per esempio il seguente:
"Andreotti ha commesso il reato di partecipazione all'associazione per
delinquere (Cosa Nostra, ndr)... concretamente ravvisabile fino alla primavera
1980... estinto per prescrizione... L'imputato ha indotto i mafiosi a fidarsi
di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di
Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere
denunciati, ha omesso di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse,
al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza... Aveva una propensione
a intrattenere personali, amichevoli relazioni con
esponenti di vertice di Cosa Nostra... (per) utilizzare la struttura mafiosa
per interventi extra ordinem ... forme di intervento para-legale che
conferisce, a chi sia in possesso dei canali che gli consentano di
sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi
legali... La manifestazione di amichevole disponibilità verso i mafiosi è stata
consapevole e autentica e non meramente fittizia... I fatti non possono interpretarsi
come una semplice manifestazione di un comportamento solo moralmente scorretto
e di una vicinanza penalmente irrilevante, ma indicano una vera e propria
partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel
tempo"
In attesa della lettura integrale, mi permetto di chiederLe: Davvero Lei
ritiene di non essere stato assolto per prescrizione? Rientra forse tra gli
"altissimi meriti" sanciti dall’art. 59 della Costituzione la
"partecipazione alla associazione mafiosa?".
Che cosa si deve pensare di una democrazia che
permette al governante più longevo del Paese, così descritto da una sentenza
definitiva, di sedere in Parlamento come senatore a vita? E infine: non è mai
stato sfiorato dal pensiero di dimettersi, posto che per un senatore a vita
questo sia giuridicamente possibile?
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5- Censura di D’Alema –e menzogna di
Veltroni (gennaio-luglio 2000)
Corriere della Sera del 16-01-2000
PAGINA
3
EMOZIONI
Il
premier fa l’umile e non attacca mai il
<<nemico>> Berlusconi
DA
UNO DEI NOSTRI INVIATI
Gli era scappata cosi’, come scappano a lui, per eccesso di
baldanza nel corso d'una passerella trionfale: <<Certo, questo gruppo
dirigente e’ quello che e’...>>. Una
rasoiata gratuita.
Cattiva. Cosi’ inutilmente cattiva che, recuperata la scolorina che gli aveva
messo in mano Forattini nella celeberrima vignetta querelata sul dossier
Mitrokhin, D'Alema l'ha fatta diligentemente sparire dal resoconto
stenografico, distribuito ben quattro ore e mezzo dopo, come i ritoccatori
moscoviti facevano sparire dalle vecchie foto sulla piazza
Rossa le facce diventate impresentabili.
Un po' di bianchetto e, opla’! I delegati del congresso di Torino, pero’,
l'hanno sentita bene quella stonatura. E piu’ di tutti, dolorosamente, ce l'ha ancora nelle orecchie il leader attuale e formale di
quella classe dirigente: Walter Veltroni. Il quale, nel momento stesso in cui
la presidenza aveva dato la parola all'ex segretario, subito sommerso da un
acquazzone incontenibile di applausi e di entusiasmo e
di affetto, aveva avuto la prova di quanto sotto sotto forse temeva gia’. E cioe’ che il <<suo>> congresso era in realta’
suo finche’ non s'avanzava l'unico vero Conducador nel quale questo pezzo della
sinistra oggi si riconosce fino in fondo: Massimo D'Alema.
Certo, il baffuto deputato di Gallipoli che liquido’ Achille
Occhetto e si impossesso’ del partito pur avendo perduto le cosiddette
<<primarie>> e’ stato generoso di parole al miele verso l'uomo al
quale, impegnato com'era in piu’ importanti faccende di governo, affido’ il
partito, per usare le parole di Fulvia Bandoli, <<col metodo un po'
medievale della spada sulla spalla>>. L'<<amico Walter>>
di qua, l'<<amico Walter>> di la’...
E' arrivato perfino, udite udite, a fare
autocritica. Ad ammettere che si’, Luciano Violante ha ragione nello
scrivere nel suo libro che <<a volte questo gruppo dirigente ha dato come
la sensazione di dire "lasciateci lavorare" a
un popolo della sinistra che invece si rivolgeva anche in modo sofferente per
ottenere risposte. E' vero, e io avverto questa critica come fortemente
rivolta, e giustamente, anche alla mia persona>>. Si’, una scusante la rivendica: <<Abbiamo dovuto affrontare
delle sfide molto dure nelle quali sbagliare poteva voler dire perdere con un
grave danno per il Paese>>. Pero’...
Pero’, d'accordo, ha esagerato: <<Ma e’ per
questo che apprezzo sinceramente il lavoro che stanno svolgendo Veltroni e i
compagni piu’ giovani che sta lui raccogliendo intorno a se’. Perche’ e’ un lavoro volto a mettere in comunicazione la sinistra,
piu’ di quanto io non sia riuscito a fare, con le emozioni e la passione civile
di una nuova generazione. Ed e’ un bene che questo
partito sia guidato da un gruppo dirigente capace di suscitare emozioni,
passioni, ritornando a far vivere la sinistra nel cuore del Paese piu’ di
quanto non siamo riusciti a farlo negli anni passati, quando forse abbiamo
interpretato di piu’ il nostro ruolo come quello di uno strumento politico
volto a costruire alleanze e governo>>.
Ed eccolo ammettere di non essere uomo di passioni,
confessare modesto l'incapacita’ di parlare <<alle nuove
generazioni>>, gigioneggiare sull'imbarazzo provato il giorno che una
donna lo ha incontrato e gli ha detto: <<Quando io vedo lei mi sento piu’
sicura>>. Al che dice di aver risposto che <<vogliamo
arrivare presto a una politica nella quale ciascuno
trovi la sicurezza in se stesso>>. E piu’ ostentava professione di umilta’, piu’ chiamava il congresso all'applauso. Piu’
faceva mostra di distacco (<<dovete stare tranquilli che nel momento in
cui avro’ la comprensione di non essere piu’ utile a questa difficile
transizione mi faro’ da parte...>>), piu’ incitava
al compattamento. Piu’ faceva il gesto di sfilarsi dalla corsa per la candidatura nel 2001, piu’ saliva alto dalla platea
l'urlo: <<Sei tu il nostro leader!>>.
E via via che parlava, via via che scavalcava con irridente
sicurezza tutte le calibratissime revisioni veltroniane buttando li’ disinvoltamente
che tra i socialisti democratici e i comunisti totalitari <<erano loro la
parte della sinistra che aveva ragione>>, via via che liquidava le accuse
occhettiane di aver ammazzato l'Ulivo (ricordate? <<Costituente
dell'Ulivo? Ma costituente de che?>>) ammettendo
senza problemi di esser stato talora <<spigoloso e non utile>>, via
via che riconosceva perfino qualche errore (come la nomina a sottosegretario
del camerata Romano Misserville, probabilmente) nella chiusura della crisi,
emergeva una certezza assoluta. Quella che ogni atto di piccola umilta’ fosse
funzionale a rafforzare l'immagine di un leader cosi’ forte
da potersi permettere tutto.
Per ventidue volte Walter Veltroni, nella relazione di apertura,
era andato a cercare il consenso picchiando duro sul <<nemico>>,
Silvio Berlusconi. E per decine e decine di volte il
trucco retorico era stato applicato da questo e quell'oratore. Lui mai.
Neppure una volta. Neppure per sbaglio. Voleva mostrare a tutti, el Lider
Maximo, che non ne aveva bisogno. Che per
addomesticare la <<sua>> gente gli bastava tirar fuori, coi toni spesso sprezzanti che gli sono propri contro certi
<<intellettuali>> o certi <<professori>>, quello che
gli altri, per insufficienza di carisma o di boria, non erano riusciti a tirar
fuori. L'orgoglio del partito, l'orgoglio della sinistra,
l'orgoglio del governo. Un partito, una sinistra, un
governo che lui ha reso <<vincenti>>. E
che, a sentir lui, hanno cambiato la faccia dell'Italia.
Esagerato? Boh... Non era questo cio’ che il
vecchio e ammaccato popolo rosso voleva sentirsi dire?
Gian Antonio Stella
*******
Nel luglio
Ecco come sono andate le
cose.
Descrizione dell'incontro con Veltroni sul volo Bologna-Roma.
Cronaca
di cio' che mi e' accaduto il 15-07-2000 sull'aereo
AZ1312 Roma-Bologna, scritto il 16-07-2000 ore 4:30 circa a Bruxelles a casa di
Sonia.
Mi sono svegliato alle 2:30 e non riuscivo piu' a riprendere sonno per la gravita' di cio' che mi era accaduto e che racconto.
Nel volo di linea Bologna-Roma AZ 1312 mentre ero con Katia e mi stavo recando a Bruxelles per alcuni giorni di riposo, ho avuto la possibilita' di scambiare alcune frasi con Veltroni che stava rientrando a Roma da Bologna. E' stata Katia a segnalarmi la presenza di Veltroni sull'aereo mentre saliva la scaletta.
Appena l'ho individuato ho seguito dove si e' seduto e in cuor mio ho deciso di andargli a parlare. Poiche' Katia era contraria, ho titubato un po' e alla fine, riuscendo a vincere la contrarieta' di Katia, ho deciso di alzarmi e di avvicinare Veltroni a pochi minuti dall'atterraggio a Roma.
Avendo pochi minuti a disposizione ho sfruttato questo tempo per avere la conferma di un dubbio che da tempo e' diventato una certezza grazie agli elementi che ho raccolto nel tempo. Nell'intervento fatto a Firenze il 14-07-2000 davanti a Di Pietro e Veltri avrei voluto far capire bene alla gente presente la mia certezza ma non c'e' stato il tempo visto che gli interventi di Veltri prima e Di Pietro poi si sono protratti fino alle 23:00 passate e la gente stava gia' uscendo dalla sala.
Sono comunque molto contento di come sono andate le cose a Firenze perche' grazie all'intervento limitato a certi dati essenziali, ho potuto farmi conoscere da Di Pietro che ha preso nota e mi considera un soggetto meritevole di attenzione per il lavoro che vuole portare avanti.
La certezza che ho maturato anche grazie
allo scambio veloce di battute con Veltroni e' la
seguente : questa sinistra, questo centro-sinistra si sta svendendo a
Berlusconi e a tutto cio' che esso rappresenta e impersonifica perche' vuole
bloccare
Questa ipotesi puo' apparire ardita ed azzardata ma dopo lo scambio di battute con Veltroni non lo e' piu'. Parlando con Veltroni nell'aereo ho subito toccato l'episodio della frase pronunciata da D'Alema al congresso del Lingotto e che e' stata censurata nel discorso ufficiale diffuso via Internet.
Poiche' sono sicuro che la verita' e' quella raccontata da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera il 16-01-2000, perche' se cosi' non fosse, visto il precedente Forattini-D'Alema altro che causa miliardaria piomberebbe sul "bugiardo" Stella, allora mi chiedo perche' Veltroni quando gli ho ricordato la frase pronunciata da D'Alema l'ha smentita dicendo che lui era presente, e davanti alla mia insistenza basata sul fatto che anche Stella era presente, ha confermato nuovamente la smentita circa la frase incriminata.
Poiche' la frase a D'Alema e' certamente scappata altrimenti Stella non avrebbe potuto
fare l'articolo che ha scritto, mi chiedo come
Comunque sia pero' non puo' Veltroni raccontare balle e mentire. Avrei voluto insistere ulteriormente con Veltroni riferendo altri dati in mio possesso ma non mi e' stato possibile perche' il personale di servizio aveva bisogno di passare nel corridoio con il carrello e poiche' l'aereo era oramai nella fase di atterraggio per cui ho dovuto rientrare al mio posto per allacciarmi la cintura di sicurezza.
Quelle poche battute scambiate con Veltroni mi hanno comunque permesso di capire come stiano le cose all'interno dei DS : D'Alema e' il "Berlusconi " del centro-sinistra, ha macchie di cui teme azioni da parte della magistratura (vedi la inchiesta di Gianni Barbacetto del febbraio 1998 "Tangenti rosse" apparsa sul Diario).
Questo ultimo episodio capitato casualmente mentre con Katia stavo andando a trascorrere giorni di riposo a Charleroi ospite di amici, si aggiunge agli altri dati oggettivi che possiedo e che rientrano nel goffo tentativo di coprire e negare verita' scomode. Non diffondere tali verita' permette di ingannare e confondere la pubblica opinione.
6- Premier di bugie – Travaglio – Gomez 18-05-04
Espresso 18-05-04
Premier di bugie
Dal
conflitto di interessi alla missione in Iraq. Dalle
tasse al lifting. Silvio Berlusconi vanta il governo
più longevo della Repubblica. E si pone al primo posto
per il numero di falsi
di
Peter Gomez e Marco Travaglio
Indro
Montanelli, dopo averlo avuto come editore per vent'anni, lo definiva un
"mentitore professionale". Maurizio Costanzo addirittura un
"bugiardissimo". Lui invece giura di essere
incapace di mentire. E il suo rapporto con la verità
lo ha descritto nel 1994, subito dopo la discesa in campo: "Io dico sempre
cose sincere, anche perché non ho memoria e dimenticherei le bugie. Come ci si
può fidare di chi usa la menzogna come mezzo della lotta politica? La gente
deve fidarsi solo di chi dice la verità" (2 marzo
1994). Oggi, nel momento in cui il governo di Silvio Berlusconi diventa il più
longevo della storia della Repubblica, è tempo di bilanci. Davvero il premier è un bugiardo senza speranza? Per scoprirlo 'L'espresso' ha esaminato i suoi discorsi, le sue interviste,
le sue promesse. Il risultato è disarmante.
Negli ultimi quattro anni, escludendo i 115 minuti di deposizione spontanea al
processo Sme-Ariosto (durante il quale Berlusconi riuscì a pronunciare ben 85
bugie allo straordinario ritmo di una balla ogni 81 secondi), il premier ha mentito quasi cento volte. Per
ragioni di spazio, ecco qui solo l'elenco delle 44 bufale migliori.
1. Interessi sì, conflitto no - 1
"Il conflitto d'interessi sarà risolto nei primi
cento giorni del mio governo" (5-5-2001). "Il conflitto d'interessi è
una leggenda metropolitana" (19-12-2003). A tre
anni dalla promessa, la legge sul conflitto d'interessi non è stata ancora
approvata.
2. Interessi sì, conflitto no - 2 "Il conflitto d'interessi esiste
solo nel senso che le mie aziende ci hanno rimesso da quando
sono entrato in politica al servizio del Paese" (21-12-2001). "Il
conflitto d'interessi è una scusa. Tutti vedono bene che non c'è nessun
conflitto d'interessi. Anzi, io non posso fare che cose sfavorevoli al mio
gruppo. Non c'è stata una sola decisione assunta da questa maggioranza e da questo governo che abbia portato cose a mio favore. Da
quando sono sceso in politica, il mio gruppo ha subìto soltanto danni
enormi" (7-5-2003). In realtà, Mediaset e le
altre aziende del premier hanno guadagnato milioni di euro
dai vari condoni fiscali, dalla legge Tremonti, dalla legge salva-Rete4,
dall'accordo Mediolanum-Poste, dalla pubblicità istituzionale sulle reti del
Biscione, senza contare i continui rialzi in Borsa del titolo Mediaset a ogni
stormir di fronda governativa.
3. Dipendenti Mediaset "Ho messo su un'azienda da 50 mila
dipendenti" (conferenza stampa di fine mandato europeo, 13-12-2003).
Ma dal rapporto R&S 2003 di Mediobanca si apprende
che alla fine del 2002 i dipendenti dell'intera galassia Fininvest erano appena
10.095.
4. Solo 3 leggi ad personam Dice a Strasburgo il 2
luglio 2003 che si è fatto solo "in tre casi" leggi per lui, mentre
invece sono almeno sette: rogatorie, falso in bilancio, Cirami, lodo Maccanico,
tassa successioni e sulle donazioni, Gasparri, decreto salva Rete 4.
5. Ciampi d'accordo su Gasparri Berlusconi, uscendo dal Quirinale, annuncia
che Ciampi è d'accordo sulla legge Gasparri. Il Quirinale smentisce: "Non ne abbiamo mai parlato" (2-8-2003), lui deve
rettificare dando la colpa ai giornalisti.
6. Lodo senza padri "Sul Lodo non ho dato
parere positivo, ma ci sono insistenze..." (al
Tribunale di Milano, 17-6-2003). "Io non c'entro nulla con questo Lodo: è
stata un'iniziativa autonoma del Parlamento, sostenuta dal presidente della
Repubblica" (30-6-2003). Immediata la smentita
del Quirinale, cui segue la precisazione del sottosegretario Paolo Bonaiuti:
"Il lodo Maccanico è una iniziativa parlamentare.
E a questa proposta il presidente della Repubblica è
ovviamente estraneo".
7. I pari del Cavaliere "In una democrazia liberale chi governa per
volontà sovrana degli elettori è giudicato, quando è in carica e dirige gli
affari di Stato, solo dai suoi pari... Succede così
nel mondo, ma non nel nostro Paese" (29-1-2003). Non è vero. Non accade in
nessuna parte del mondo a partire dagli Usa dove l'ex
presidente Bill Clinton, quando era in carica, finì sotto inchiesta per il caso
Lewinsky.
8. Legge Cirami "Non capisco tutta questa fretta per la legge Cirami
sul legittimo sospetto" (31-7-2002). "La
legge sul legittimo sospetto è una priorità per il governo" (30-8-2002). Senza parole.
9. Rai questa sconosciuta "Dalla Rai io me ne
sto fuori come ho sempre fatto" (1-12-2002). Ma
il 26 febbraio 2003 Berlusconi riunisce i leader della Cdl nella sua casa in
via del Plebiscito per decidere il nuovo Cda Rai. Pera e Casini non ne sanno
nulla e vanno su tutte le furie. Il presidente della Rai,
Lucia Annunziata, poi rivela: "So per certo che Berlusconi alza il
telefono e chiama i consiglieri di amministrazione per suggerire nomine ed
influenzare i programmi" (2-2-2004).
10. Mediaset questa sconosciuta "Da quando sono in politica, non mi
occupo più delle mie aziende" (10-5-1996).
"Da dieci anni non mi interesso più di
affari" (15-10-2003). Maurizio Costanzo, in lite con Mediaset, dichiara:
"Mercoledì ho incontrato Berlusconi. Tutto bene, solo qualche rottura di
scatole" ('la Repubblica', 18-1-2003).
11. Condono per gli altri "Mediaset non farà
alcun ricorso al condono fiscale" (30-12-2002). Cinque mesi dopo 'L'espresso' scopre che Mediaset ha regolarmente fatto ricorso
al condono, risparmiando circa 120 milioni di euro di imposte. Un anno dopo
accade di nuovo.
12. Il Milan è tutto mio "Si parla del Milan di Sacchi, di Zaccheroni
e di Ancelotti e non si parla mai del Milan di
Berlusconi. Eppure sono io che da 18 anni faccio le
formazioni, detto le regole e compero i giocatori" (16-4-2004). "Il
Milan non vince più perché, da quando è in politica, il suo presidente non se ne occupa più" (Ansa, 6-2-1998). "Il problema del
Milan è che io non me ne occupo più di persona"
('Sette', 2-3-2001).
13. Nesta mai "Comprare Alessandro Nesta? Sono cose che non hanno più
nulla di economico, di morale. Nel calcio abbiamo
sbagliato tutti, ora basta"(23-8-2002).
L'indomani il Milan di Berlusconi annuncia l'acquisto di Nesta, avvenuto da
almeno una settimana.
14. Per il bene di tutti "Nel 1994 sono sceso in campo per salvare
l'Italia da un futuro illiberale" (Ansa, 27-1-2004).
Ma Marcello Dell'Utri, che inventò Forza Italia da una costola di Publitalia,
lo smentisce: "Berlusconi (...) mi disse: 'Marcello,
dobbiamo fare un partito pronto a scendere in campo alle prossime elezioni.'
C'era l'aggressione delle Procure e la situazione della Fininvest con 5 mila
miliardi di debiti. Franco Tatò, che all'epoca era l'amministratore delegato
del gruppo, non vedeva vie d'uscita: 'Cavaliere
dobbiamo portare i libri in tribunale'... Oggi posso dire che senza la
decisione di scendere in campo con un suo partito, Berlusconi non avrebbe
salvato la pelle e sarebbe finito come Angelo Rizzoli che, con l'inchiesta
della P2, andò in carcere e perse l'azienda" (intervista ad Antonio Galdo
per il libro 'Saranno potenti?', Sperling & Kupfer, 2003).
15. Unto e bisunto "Io unto del Signore? Non ho mai pronunciato questa
sciocchezza" (9-3-2004). "Quando
si assume un ruolo come questo, la vita cambia. I cattolici la chiamano la
'Grazia dello status'. È una cosa che ti fa diventare una persona diversa senza
che tu te ne accorga. Già stanotte ho dormito da
persona diversa, anche se con lo stesso pigiama" (30-4-1994).
"Io sono l'unto del Signore, c'è qualcosa di
divino nell'essere scelto dalla gente. E sarebbe grave
che qualcuno che è stato scelto dalla gente, l'unto del Signore, possa pensare
di tradire il mandato dei cittadini" (25-11-1994).
16. Piduista col trucco "Essere piduista non è un titolo di
demerito" (Telelombardia 6-3-2000).
"Neanch'io vorrei un piduista al governo. Ma io
non mi considero legato alla P2. Mi hanno dato la tessera, ma io l'ho rispedita
indietro" (8-3-1994). Berlusconi non rispedì la
sua tessera a Licio Gelli, ma anzi versò regolarmente la quota d'iscrizione.
17. Le off-shore "Non ci sono stati nomi di
copertura né ricorso a società estere. Tutto si è svolto in Italia alla luce
del sole con operazioni sulle quali sono state pagate tante tasse..." (16-3-2001). "Le società estere sono cose
assolutamente legittime che il mio gruppo ha poi abbandonato, ma che in un
certo momento, affidandosi alla responsabilità di chi gestiva il sistema
estero, si facevano perché si doveva trovare un modo in Europa per pagare tasse
più convenienti" (Ansa, 3-5-2001).
18. Cecenia, un paradiso Il 6 novembre
19. Partiam partiam "Non sento alcun bisogno di andare a Nassiriya,
sarebbe solo una operazione dimostrativa e
retorica" (26-3-2004). Il 10 aprile Berlusconi va in visita a Nassiriya.
20. Scontro di civiltà "Noi dobbiamo essere consapevoli della
superiorità della nostra civiltà... Dobbiamo evitare di mettere le due civiltà,
quella islamica e quella nostra sullo stesso piano...
La nostra civiltà deve estendere a chi è rimasto indietro di almeno 1.400 anni
nella storia i benefici e le conquiste che l'Occidente conosce."
(26-9-2001). Poi di fronte alla richiesta di scuse presentata da una serie di
governi arabi dice al giornale 'Asharq al-Awsat':"Perché
dovrei scusarmi? Per qualche cosa che non ho detto? Non ho detto nulla di
sbagliato, loro (alcuni giornalisti, ndr) mi hanno fatto dire qualche cosa che
non ho detto". (2-10-2001)
21. Armi sì, armi no "Credo che ormai in Iraq non ci siano più armi di
distruzione di massa" (16-10-2002). "Non ho
mai detto che Saddam non ha armi di distruzione di
massa. Dico solo che ha avuto il tempo di distruggerle o di metterle da qualche
altra parte" (17-10-2002).
22. Guerra senza Onu "Se Saddam
non cede, l'attacco sarà a gennaio e sarebbe inutile una seconda risoluzione
come chiede
23. L'ordine regna a Baghdad - 1 "In Iraq c'è l'assoluta volontà di
continuare e c'è anche un certo ottimismo. Nel paese molte cose vanno bene... Dobbiamo far sapere che le scuole funzionano, che gli
ospedali funzionano, che c'è l'elettricità, che l'amministrazione comincia a
svolgere il suo compito... Il paese ricomincia a funzionare" (29-10-2003).
"La situazione in Iraq sta migliorando molto" (Cnn Italia, 1-11-2003). "Si sono fatti molti passi avanti per la normalizzazione dell'Iraq" (Adnkronos, 5-11-2003). Il
12 novembre vengono uccisi 19 italiani a Nassiriya.
24. L'ordine regna a Baghdad - 2 " Oggi l'Iraq è una nazione che sta
progredendo verso la democrazia, verso la normalità. È un paese dove le scuole,
gli ospedali, l'amministrazione pubblica e il governo provvisorio
funzionano" (Ansa, 4-3-2003). Un mese dopo si
scatena la battaglia di Nassiriya e vengono
sequestrati decine di occidentali. Un ostaggio italiano viene
assassinato.
25. Ostaggi "Siamo in fiduciosa attesa di eventi
che dovrebbero verificarsi nelle prossime ore" (20-4-2003). Due giorni
dopo, davanti alla mancata liberazione, invita i componenti
del suo governo a "un maggior riserbo". Il 3 maggio chiede il
silenzio stampa.
26. Verifica di governo "Il chiarimento c'è stato e non serve alcuna
verifica. Quella è roba da vecchia politica" (15-10-2003).
La verifica si trascina per mesi: la risoluzione è rinviata a dopo le europee.
27. Ok dall'Europa "Ho fatto un'esposizione sommaria della legge
finanziaria e ho trovato un'ottima accoglienza sia da Prodi sia dal commissario
Pedro Solbes" (10-10-2001). Prodi cade dalle nuvole: "Non ne abbiamo neanche
parlato". Anche Solbes lo smentisce. Berlusconi
fa retromarcia: "Io ho illustrato l'azione del mio governo, Prodi e Solbes
mi hanno ascoltato in silenzio. Ma il club della
menzogna della sinistra mi attribuisce cose mai dette".
28. Riforma della giustizia "Entro tre mesi presenteremo la riforma
della giustizia al Parlamento" (21-12-2001). Lo
ha fatto tre anni dopo.
29. Fiducia, anzi no
"Ho assoluta fiducia nella Cassazione, fiducia che non è mai mancata.
Altra cosa sono certi pm che vogliono un ruolo particolare e imbastiscono
processi che finiscono nel nulla" (26-1-2003).
L'indomani
30. Persecuzione giudiziaria "Le inchieste sul mio gruppo sono
iniziate soltanto dopo il mio impegno in politica. Prima non avevo mai subito
nulla del genere" (17-6-2003). È vero il
contrario: prima nascono le inchieste sulla Fininvest di Berlusconi, poi
Berlusconi scende in campo. La prima indagine sul
Berlusconi imprenditore (per traffico di droga) fu aperta a
Milano nel lontano 1983 e poi archiviata. Nel 1989 Berlusconi viene processato a Venezia per falsa testimonianza sulla
loggia P2:
31. Improrogabili impegni "Un impegno istituzionale improvviso e
improrogabile mi impedisce di essere presente
all'interrogatorio" (al Tribunale di Palermo davanti al quale Berlusconi
dovrebbe testimoniare sulle origini delle sue fortune e sulla presenza del boss
Vittorio Mangano nella villa di Arcore, 11-7-2002). Ma all'ora
indicata per l'audizione il premier passeggia per il Transatlantico raccontando
barzellette ai giornalisti.
32. Sempre assolto "Sono sempre stato assolto in ogni processo" (19-1-2002). In realtà, non è stato quasi mai assolto. L'ha
fatta franca grazie ad amnistie, prescrizioni, condoni, depenalizzazioni, leggi
di impunità.
33. Telekom bufala "La vicenda
Telekom Serbia è tutta una tangente" ('Porta a Porta', 22-5-2003).
34. Povertà percepita A 'Porta a Porta': "Il ceto medio consuma più di
prima ed è più ricco di prima... 800 mila italiani sono usciti dalla soglia di
povertà... c'è stato un arricchimento generale del Paese", che però
"si percepisce più povero" a causa della disinformazione comunista (11-2-2004). Ma tutti i dati di
tutti gli istituti di rilevamento economico e statistico indicano un
impoverimento del Paese. Secondo l'Eurispes alle già note 2.500.000 famiglie
povere (circa 8 milioni di persone), va aggiunto un
altro 10 per cento di nuclei a rischio che in valori assoluti vuol dire altre
2.400.000 famiglie. Basti pensare - rileva l'Eurispes nel rapporto 'Italia
2004' - che, nel biennio 2001-2003, la perdita del potere d'acquisto delle
retribuzioni è stata pari al 19,7 per cento per gli impiegati, al 16 per gli
operai, al 15,4 per i dirigenti e al 13,3 per i quadri.
35. Fascismo buono "Mussolini non ha mai ucciso nessuno: gli
oppositori li mandava in vacanza al confino" ('The
Spectator', 4-9-2003). In realtà le squadracce del duce uccisero Giacomo
Matteotti, mentre Pietro Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, don
Minzoni morirono in seguito alle percosse e ai
maltrattamenti.
36. Colpa dell'alcol Berlusconi smorza l'intervista allo 'Spectator':
"Eravamo alla seconda bottiglia di champagne" (17-9-2003).
Gli intervistatori lo smentiscono: "Abbiamo bevuto solo tè freddo" (19-9-2003.).
37. Meno sbarchi per tutti "Gli sbarchi di clandestini sono diminuiti
del 247 per cento" (21-12-2001). A parte
l'iperbolicità della cifra (superare il 100 per cento significa inviare gli
immigrati residenti in Italia all'estero), gli sbarchi sono aumentati, anche
con episodi drammatici, sulle coste siciliane. "Durante il 2002",
scrive il Viminale nella relazione sull'attività delle forze dell'ordine,
"si è assistito a un aumento del 23 per cento del
flusso di clandestini diretti alle coste della Sicilia (5.504 persone sbarcate
nel 2001, 18.225 nel 2002)".
38. San Giuliano 2 "Ricostruiremo San
Giuliano di Puglia (rasa al suolo dal terremoto in Molise, ndr) con gli
architetti di Milano 2: parchi, case moderne e verde pubblico entro due
anni" (4-11-2002). Non si è visto nulla di tutto questo.
39. Lifting forzato "Io il lifting non lo
volevo fare. Sono stato tirato dentro a farlo. È stata Veronica a spingermi a
fare il lifting" (27-1-2004). Poi Veronica lo
smentisce: "Il lifting è stata un'idea sua".
40. Meno tasse per tutti
"Abbattimento della pressione fiscale" (punto 1 Contratto con gli
italiani). Un anno e mezzo dopo il premier
ammette che non esistono i presupposti per mantenere la promessa:
"Dobbiamo fare tutti dei sacrifici, non possiamo prendere in giro i
cittadini" (27-9-2002). Poi però comincerà a ripetere che "la
pressione fiscale è diminuita". L'11 febbraio, a 'Porta a Porta', parla di
"pressione fiscale globale ridotta del 7.5 per
cento". Ma, come scrive sul 'Sole 24 ore'
l'economista Fiorella Padoa Schioppa citando il Sistan (Sistema statistico
nazionale), "nel 2003 la nostra pressione fiscale, lungi dall'essere
diminuita, è sensibilmente aumentata (al 42.1 per cento dal 41.7 per cento del
2002, mentre stava al 42.3 nel 2001, al 42.5 nel 2000).
41. Più sicurezza per tutti "Attuazione del 'Piano
per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini' (...) con il
risultato di una forte riduzione del numero di reati rispetto agli attuali 3
milioni (falso, i reati nel 2000 erano 2.563.000, ndr)" (punto 2 del
Contratto). Il 30 marzo 2004, all''Alieno', Berlusconi assicura che "i
reati da strada sono diminuiti del 40 per cento", mentre
le denunce per tutti i reati "sono calate del 12 per cento rispetto al
2001". Ma la relazione Ordine e sicurezza pubblica
del 2002, presentata al Parlamento il 6 ottobre 2003 dal ministro dell'Interno,
evidenzia che i delitti denunciati sono saliti del 3.13 per cento, in
particolare i furti (+ 0,14), le rapine (+ 5,12) e i tentati omicidi (+ 6,94). Aumentato anche il totale dei delitti commessi: 70 mila in più fra il
2001 e il 2002.
42. Furti in casa Secondo i poster elettorali di Berlusconi sarebbero
diminuiti del 17 per cento. In realtà, i dati dicono
che nel 2003, dopo cinque anni di calo, sono aumentati dell'1,5 per cento
rispetto al 2002.
43. Pensioni più dignitose
"Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al
mese" (punto 3 del Contratto). Il 29 settembre 2003 il premier proclama
che ormai è cosa fatta "l'aumento delle pensioni sociali a 516 euro al mese". Non dice però che destinatari dell'aumento
sono una piccola quota di pensionati, appena il 24 per cento degli aventi diritto (1 milione e 700 mila su 9 milioni).
44. Più cemento per tutti Nei
manifesti preelettorali Berlusconi esagera: "Grandi opere attivate per 93
mila miliardi di lire". A oggi ne sono state
finanziate per appena 9,8 miliardi di euro. I soli cantieri aperti fra le opere
previste dalla legge sono quelli per la terza corsia su
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Un tomo da
di Primo Di Nicola
Mille e 120 pagine e un
cd-rom. Un malloppo da 4 chili e
7 Come Santoro mistifica e falsifica
Santoro, nel
Ricordo bene che Berlusconi disse che il libro
“Berlusconi, inchiesta sul signor TV”,
era pieno di menzogne e diffamazioni, che Ruggeri era un noto
diffamatore riconosciuto tale da sentenze della magistratura : in realta’
invece dal marzo 1993 una sentenza
della Cassazione aveva totalmente scagionato Ruggeri e Guarino dal reato di
diffamazione.
Non ricordo bene, ma
mi pare che dopo la telefonata, Santoro non diede la parola a Ruggeri per
replicare e difendersi, tant’e’ che Ruggeri querelo’ Berlusconi.
Ecco come Santoro ricostruisce la
presenza di Ruggeri in studio, nell’ultimo libro di Guarino :
“L’orgia del potere” ed. Dedalo nella post-fazione.
Parole di Santoro
Chi scrive a proposito di Berlusconi deve avere coraggio. Occorre, infatti, che si
prepari non solo a subire le reazioni del piu’ ricco e potente tra gli uomini
politici ma anche quelle della maggior parte dei suoi avversari.
Quando Guarino diede alle
stampe (con Ruggeri) il suo precedente libro dedicato alla resistibile ascesa
del nostro Presidente del Consiglio eravamo alla
vigilia delle elezioni del 1994.
“Il Rosso e il Nero” era allora di gran lunga il programma informativo piu’
seguito della televisione italiana e l’era di Bruno Vespa e di “Porta a Porta”
non era ancora cominciata.
Nessuno si sarebbe percio’ sognato di impedirmi di invitare l’autore in
trasmissione oppure di trattare, come feci, dei debiti dell’Impero Finivest.
Cinque o sei milioni di spettatori poterono cosi’ essere coinvolti in una
serata che nella televisione di oggi sarebbe
semplicemente impossibile da realizzare; e Silvio Berlusconi fu costretto a telefonare per la prima volta
in diretta in un mio programma, recitando indignazione ma senza usare toni
padronali e arroganti.
Oggi il successo di questo libro sara’ affidato
probabilmente al passaparola e al tam-tam su Internet, a dimostrazione del
fatto che gli spazi di liberta’ si sono enormemente ridotti.
La mia tesi e’ che cio’ non e’ accaduto soltanto in
ragione della cattivera del Cavaliere ma per la cultura politica assai diffusa
che ritiene naturale il dominio dei partiti sull’informazione e sulla societa’.
Fine delle parole di Santoro.
Mio commento finale : questo e’ il modo di fare “corretta
informazione” di Santoro;
1 - Perche’ Santoro non parla della
diffamazione, delle menzogne del Cavaliere ai danni di Ruggeri?
2 Santoro non era a conoscenza della
sentenza del marzo 1993 che aveva totalmente scagionato Ruggeri-Guarino dal
reato di diffamazione per le affermazioni contenute nel libro “Berlusconi,
inchiesta sul signor TV?
Non ci posso credere, un
professionista come lui, che chiama in trasmissione Ruggeri non sapeva della
sentenza del 1993?
Perche’ non ha permesso a Ruggeri di
ricordare la sentenza e di difendersi nel rispetto anche della verita’ sancita da
sentenza passata in giudicato?