SERVIZIO
DI EDUCATIVA TERRITORIALE
PRESSO IL CENTRO "MAMBO"
VIA GONIN, 39/A
tel. 011-311.21.83
Due
grandi vetrate colorate nascondono il Centro di Educativa Territoriale
"Mambo", di cui vi vogliamo spiegare alcune caratteristiche.
Il
locale di due sole stanze vede alternarsi venti utenti e dieci educatori
con una formazione ed esperienza assai eclettica.
Abbiamo
incontrato le due coordinatrici del Centro, Stefania e Silvia, che ci hanno
descritto pregi e difetti della loro professione.
Questo
Centro è gestito dalla Cooperativa Arcobaleno ed è, a detta
delle nostre intervistate, un pò anomalo rispetto ad altri: la struttura
accoglie utenti dai sette ai diciotto - venti anni con patologie di varia
entità. Ci si occupa al contempo di ragazzi autistici, psicotici
e ragazzi con disturbi di minore entità rispetto a quelli precedenti
e che presentano per lo più disturbi di tipo caratteriale e lievi
ritardi mentali.
La
presa in carico del caso da parte degli Operatori del Centro avviene per
indicazione dei Servizi di Neuropsichiatria Infantile, a cui è giunta
precedentemente una segnalazione, o da parte della scuola frequentata dall'utente
o dalla famiglia stessa.
Dopo
un periodo di osservazione e conoscenza del ragazzo, l'operatore (in sede
d'équipe), stende un progetto ad hoc sulla persona, progetto
che mira, attraverso l'inserimento ed il coinvolgimento del ragazzo in
determinate attività concordate tra i vari operatori, ad aumentare
la sua autonomia e la capacità di auto-gestirsi il tempo.
Questo
tipo di discorso è assai limitato per utenti con patologie gravi,
in quanto è sempre prevista la presenza di un educatore che lo accompagni
e lo segua.
Il
centro è aperto dal lunedì pomeriggio al sabato mattina,
dalle 9.00 alle 18.00.
Vengono
svolte attività strutturate in sede e fuori sede.
Quelle
svolte all'interno sono per lo più di tipo manuale; per quelle praticate
all'esterno si cerca di utilizzare tutte le risorse presenti sul territorio:
si organizzano uscite in piscina, al parco, in biblioteca, in ludoteca
e laboratori di ippoterapia o di arteterapia.
In
particolare, la ludoteca risulta essere una risorsa di grande importanza,
soprattutto con ragazzi che hanno patologie di grave entità.
In
questo spazio gli utenti hanno la possibilità di socializzare e
stare anche tra altri ragazzi e bambini cosiddetti normali; rapportandosi
con loro, traggono un grande giovamento, non sentendosi esclusi, emarginati,
perché
diversi.
Come
dicevamo all'inizio, Stefania e Silvia ci hanno parlato dei pregi e dei
difetti della loro professione.
Uno
dei principali motivi di scontento da parte delle due educatrici è
data da una certa inefficienza riscontrata nel lavoro di rete tra le diverse
professionalità, in primo luogo medici, assistenti sociali ed insegnanti,
che si occupano dello stesso caso-utente.
Il
lavoro di rete in questo lavoro è essenziale e il suo buon funzionamento
permette un servizio alla persona più adeguato anche perché
avviene in tempi più consoni.
Le
due educatrici lamentano da parte delle istituzioni preposte, soprattutto
la neuropsichiatria infantile e i servizi sociali, una difficoltà
a farsi comprendere dalle famiglie, e dunque una scarsa efficacia informativa,
in quanto le famiglie giungono all'incontro con gli educatori con molti
dubbi e domande riguardo l'iter procedurale da compiere.
Spesso
sono le educatrici a svolgere il ruolo di mediatrici tra le famiglie e
gli altri servizi di assistenza, ruolo che spetterebbe al supervisore del
progetto!!!
Benché,
come in passato - quando il Centro si trovava in altra sede - il rapporto
con gli utenti sia sempre uno a due, viene richiesto agli operatori uno
sforzo maggiore, essendo oggi presenti un numero di utenti con patologie
di notevole spessore.
Su
ogni caso c'é una doppia referenza, ovvero in ogni progetto educativo
su ogni persona ci sono dei tempi di verifica di cui si occupa il secondo
educatore.
Questa
della doppia referenza è una prassi che viene fatta in modo continuativo
e facilita il lavoro di rete: gli educatori possono così organizzare
meglio il loro lavoro con l'utente, e mentre uno dei due si occupa d'incontrare
gli altri specialisti, l'altro può lavorare sul caso in maniera
più tranquilla, senza doversi occupare di muoversi da un ufficio
all'altro.
Inoltre,
gli educatori del Centro non lavorano in questa sede a tempo pieno, ma
operano anche in altri servizi, tra cui attività di laboratorio
nelle scuole.
Infatti
alla professionalità dell'educatore molti di loro aggiungono una
formazione di vario genere: Silvia, per esempio, è un'esperta in
artetepia ed il percorso laboratoriale che è in grado di offrire
alle committenze è qualificato quanto quello offerto da altri operatori
esperti solo nel campo artistico e non in quello educativo, con la differenza
che il compenso di questi ultimi risulta assai superiore a quello degli
educatori.
Stefania,
lavora nelle scuole come educatrice di sostegno e, insieme all'insegnante
di sostegno, affianca i ragazzi e le ragazze con disabilità psichiche
e fisiche.
Nonostante
l'obiettivo di queste due figure sia l'integrazione dello studente con
disabilità all'interno della classe, questa attività, stando
a quanto emerge dal racconto della personale esperienza lavorativa di Stefania,
è quantomeno inefficace.
Molte
volte, quando questi casi risultano ingestibili da parte del professore
in classe, risulta che vengono fatti pochi tentativi da parte di quest'ultimo
di mantenerlo all'interno di essa; dopodichè viene richiesto di
compiere l'attività con il ragazzo fuori dal contesto della classe,
venendo a mancare il tentativo d'integrazione con gli altri, così
come il lavoro educativo prevede.
In
seguito a questi episodi, il ragazzo, sentendosi escluso, naturalmente
reagisce, acutizzando ancor più le sue manifestazioni di disagio,
nell'unico modo che conosce chi non sa esprimere bene a parole ciò
che sente: comportandosi male, attuando un atteggiamento negativo
nei confronti del contesto classe.
Entrambe
le educatrici sottolineano poi un problema di grande rilievo che concerne
la loro professione: ad un offerta lavorativa di qualità che tra
i suoi presupposti ha la continua verifica degli obiettivi raggiunti e
il miglioramento continuo delle prestazioni fornite, non corrisponde un
adeguato riconoscimento da parte delle committenze.
Il
rapporto qualità del servizio offerto e retribuzione dello stesso
è impari ed assieme a questo manca un riconoscimento adeguato della
professione di educatore/educatrice.
Il
lavoro educativo coinvolge tutta la persona dell'operatore: corpo, mente,
emotività e anima.
Per
molti versi è appagante, perché permette di verificare i
risultati del proprio lavoro nei progressi che la persona fa; ma questo
- ricordiamolo - vale soprattutto nel lavvoro con utenti non gravi, perchè
in questi ultimi casi, il lavoro a volte richiede tempi di verifica del
raggiungimento di obiettivi assai lunghi e può essere anche molto
faticoso, soprattutto dal punto di vista emotivo.
Determinate
situazioni, se prolungate nel tempo, possono portare al burn-out: il lavoro
svolto deve quindi prevedere un'alternanza dell'impegno dell'operatore
su casi più gravi come su casi più lievi.
A
queste peculiari difficoltà, come abbiamo visto, si aggiungono spesso
altri ostacoli ed aspetti negativi, in genere di tipo burocratico, alcuni
dei quali sono stati illustrati in questa sede.
Abbiamo
scelto di parlarvi di questo centro per mostrarvi una realtà
altra con i suoi lati positivi e i suoi aspetti da migliorare, consapevoli
che questo non è il modello per eccellenza, ma rappresenta solo
un esempio particolare di lavoro con l'handicap, nel quale le persone con
disagi psicofisici trovano modo di vedere impiegate le loro capacità
che sempre, anche se sono minime, sono da valorizzare.
Per
ulteriori informazioni rivolgersi a:
Cooperativa
Arcobaleno
Corso
Casale, 413
tel.
011-899.08.75
Maddalena
Tedeschi
madted@libero.it
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