Articolo tratto da "Il manifesto" del 6 Marzo 2004
Guerra come pace: nel nuovo codice militare cade la
differenza
Una nuova legge delega Il governo vuole «adeguare»
l'ordinamento giudiziario militare. Per legittimare lo stato di guerra continua
Una definizione ambigua La nuova norma parla di «tempo di guerra», una
condizione che non sarà più legata a una dichiarazione formale
CLAUDIO DE FIORES*
UUn disegno di legge si aggira in queste settimane nelle
stanze del parlamento italiano. A proporlo è il governo e nella sua intestazione
reca «Delega per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra,
nonché per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare». Ma nelle sue
disposizioni c'è qualcosa di più. Qualcosa che non esiterei a definire
inquietante. Mi riferisco alla temeraria operazione di «assedio» dei principi
costituzionali da esso perseguita. E in modo particolare all'abusivo utilizzo
che è stato fatto delle disposizioni contenute all'art. 103 della Costituzione,
maldestramente utilizzate dal disegno di legge per dilatare la sfera
giurisdizionale di competenza dei Tribunali militari. A questo proposito va,
preliminarmente, precisato che l'articolo 103, terzo comma, della Costituzione
pone limiti alla giurisdizione militare, ma solo per il tempo di pace, mentre
attribuisce alla piena disponibilità della legge ordinaria la determinazione
della giurisdizione per il tempo di guerra. Il progetto di legge delega, nel
tentativo di limitare drasticamente l'ambito di azione della giurisdizione
ordinaria, si incunea all'interno di tale delicato discrimine. Ma, nel far ciò è
"costretto" a sottoporre la nozione costituzionale «tempo di guerra» ad una
torsione interpretativa talmente profonda da assorbire finanche la nozione di
«tempo di pace». La dicotomia costituzionale «tempo di pace-tempo di guerra»
viene così progressivamente distillata dal disegno di legge delega, fino alla
sua pressoché integrale dissoluzione.
Al suo posto verrebbe, di converso, profilandosi una zona grigia dai contorni
normativi flebili e indistinti. È quanto si desume, altresì, dall'opzione
normativa di sganciare definitivamente le disposizioni contenute nel
codice militare dai vincoli costituzionali posti dagli artt. 78 e 87 Cost., al
fine di rendere finalmente possibile «l'applicazione della legge penale
militare di guerra, anche indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di
guerra» (lett. l) dell'art. 4 del Disegno di legge). Un istituto,
quest'ultimo, che dopo esser stato ripetutamente circuito in questi anni (dalla
guerra del Golfo all'Iraq) si vuole ora espungere, in tutte le sue implicazioni,
anche dalle leggi militari di guerra.
È questa la posta in gioco della partita che oggi si è aperta sul terreno
costituzionale. E a nulla valgono i contorsionismi interpretativi contenuti
nella relazione introduttiva intenti a distinguere la nozione di «tempo di
guerra» da quella di «stato di guerra». Le due definizioni sono strettamente
connesse. Direi, anzi, complementari visto che il tempo di guerra non può
che decorrere, sul piano giuridico, dalla dichiarazione dello stato di guerra.
La decomposizione, sul terreno giuridico, di questa discriminante temporale
non può che risolversi in un insidioso e progressivo assorbimento dello
stato di pace nello stato di guerra: a ribadirlo è l'ideologia delle guerra
permanente. A pretenderlo è la costruzione del nuovo ordine mondiale. A
ricordarcelo, nel nostro disastrato paese, adesso è anche la relazione a questo
disegno di legge, che ci esorta a comprendere, nell'epoca della globalizzazione,
che la dimensione bellica è parte integrante del tempo normale della nostra
vita, così come del «tempo normale di vita dell'ordinamento giuridico». Il
profilarsi di una minaccia bellica non prefigurerebbe più, in altre parole,
secondo gli ispiratori della riforma, uno stato di emergenza, visto che nel
nuovo ordine mondiale la guerra è oramai «in grado di coesistere con una normale
situazione ordinamentale». L'obiettivo perseguito dalla destra con la revisione
delle leggi militari è, a questo punto, evidente: normare l'emergenza
bellica per normalizzare la guerra.
A fronte di un disegno politico così insidioso bisogna allora tentare di
invertire la rotta e puntare a recuperare un'altra idea di codice militare,
incardinato sui principi costituzionali, sulla centralità del
parlamento e che, soprattutto, sia in grado di fare i conti con quel ripudio
della guerra che è parte integrante della Costituzione repubblicana e oggi anche
della coscienza politica di tanta parte dell'opinione pubblica (italiana e
internazionale). La difesa della legalità democratica e della Costituzione non
può prescindere da tale impegno.
*professore associato di diritto
costituzionale, Università Napoli 2