Articolo tratto da "Il Manifesto" del 13/4/2003:

 

Si combatte a Baghdad
Non c'è pace nella capitale irachena. Durante la notte è stata bombardata una moschea, mentre ieri i feddayan hanno ingaggiato una sparatoria contro le truppe americane. Si combatte ovunque, e in città regna il terrore
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
Bsh Down» (abbasso Bush) dicono avvicinandosi a noi alcune donne velate in lacrime. Ci troviamo davanti alla moschea sunnita Abu Hanifa, nel cuore del vecchio quartiere Safina di Baghdad, che è stata bombardata nella notte tra venerdì e sabato. Uno squarcio ha rovinato il bel minareto, un altro missile ha colpito anche all'interno, vicino alla tomba di Abu Hanifa, dalla parte della moschea dove pregano le donne. E' stata bombardata anche una preziosa biblioteca ospitata in un antico edificio dalla parte opposta della piazza. Così come numerose abitazioni qui intorno, tutte pesantemente danneggiate, ma per fortuna non ci sono stati morti, solo feriti. Il bombardamento è iniziato alla cinque del mattino ed è durato tre ore, raccontano. Nella via accanto, invece, la casa di Mohammed Nouri è stata attaccata con un elicottero che è sceso basso a bombardare dopo poco l'una di notte. Un'ala della casa è completamente distrutta, per fortuna tutta la sua famiglia, 22 persone, dormivano dalla parte opposta. Nei giorni scorsi si diceva che nella moschea si nascondessero dei mujaheddin (combattenti provenienti da diversi paesi arabi: Siria, Libano, Yemen, Egitto ecc.) che avrebbero alimentato resistenza anche nel vicino quartiere al-Adhamiya. La gente che ci circonda al nostro arrivo assicura che non c'era nessun mujahidin nascosto nella moschea ieri sera. La tensione sale. «Così Bush è venuto a liberarci?», ci dicono minacciosi gli uomini che stazionano davanti alla moschea, armati. Cerchiamo di spiegare che noi siamo contro Bush e contro la guerra. Non basta nemmeno la presenza di un amico algerino, arabo e musulmano (non confessa che è ateo), a calmarli: «Anche gli arabi ci hanno tradito, sono tutti amici dei suddisti, complici della distruzione dell'Iraq», urlano minacciosi. «Siamo stretti tra Saddam e Bush, se parlano di liberazione dovrebbero salvare i civili, invece è un nuovo colonialismo quello che si sta instaurando, tra poco cominceremo a rimpiangere Saddam», dice con rabbia Mohammed.

L'esternazione di tanta rabbia viene bruscamente interrotta dall'arrivo di una jeep da cui scendono infermieri del vicino ospedale Noman con camice e kalashnikov, trascinano un uomo con le mani legate dietro la schiena, è stato catturato mentre era intento a saccheggiare l'ospedale. La folla inferocita è pronta al linciaggio: lo assale, lo pesta, con pugni e bastoni, calci. Diventa sempre più violenta quando arrivano altri ali baba (come chiamano i ladri), trascinati per terra, mentre vengono pestati a sangue, prima di essere buttati dentro la moschea. Forse entreranno in funzione le corti islamiche in mancanza di governo, giustizia, polizia e sicurezza. Una deriva già conosciuta da altri paesi.

La situazione si fa sempre più pesante, meglio allontanarsi. Del resto si combatte in tutta la città. I feddayn sono infatti tornati in azione ingaggiando due sparatorie con le truppe americane, due brevi battaglie finite con l'uccisione dei miliziani e la conquista da parte degli americani di due postazioni ancora in mano ai fedelissimi del regime.

Cerchiamo di raggiungere il museo. Non è facile. Dovunque carcasse di macchine bruciate, altre sono crivellate di colpi abbandonate ai lati della strada, quando non in mezzo. La strada che avevamo percorso solo il giorno prima è bloccata: sono in corso tafferugli, ci fanno segno di tornare indietro. Riusciamo ad avvicinarsi al quartiere al Mansour, dove la situazione è sempre particolarmente esplosiva, passando accanto al Shopping Center saccheggiato venerdì. Allora c'era solo fumo che usciva da un'ala dell'edificio, ora è quasi completamente crollato. Solo frutto del fuoco? Sembra sia stato bombardato.

Giriamo per oltre un'ora intorno al quartiere, nella zona di Zoura sono in corso scontri, ci fanno deviare da una via all'altra, tornare al punto di partenza, mentre tutto intorno si spara. I marine scorrazzano per la città, ma non riescono ad eliminare tutte le sacche di resistenza. Ieri pomeriggio, due carri armati che sostano accanto al nostro albergo sono scesi sulla riva del fiume per bersagliare di cannonate una costruzione a due piani sull'altra riva del Tigri, dove si sarebbe nascosto un gruppo di mujaheddin. Loro da lì non riescono a raggiungere questa riva con le armi che hanno a disposizione tanto meno ad infastidire gli elefantiaci Abrahms. Pare comunque che i mujaheddin siano riusciti a fuggire dal retro della palazzina.

Gli scontri che bloccano varie vie della città cominciano a provocare code, ieri le macchine hanno ripreso a circolare come al solito, si vedono anche più persone per strada, ma i negozi continuano a rimanere chiusi. E' ricomparsa solo qualche bancarella di frutta e verdura, mentre continuano le code per il pane.

L'hotel Palestine, sede dei marine a Baghdad, continua ad essere il luogo più protetto e al centro dell'attenzione della città. Qui si sono arresi al comandante delle forze americane Mcoy quattro alti ufficiali dell'esercito, presentatesi in divisa per proporsi di collaborare con le truppe di invasione per formare la nuova polizia militare. Ma la resa più clamorosa è senza dubbio quella del generale Amir al-Saadi, consigliere di Saddam quale controparte degli ispettori Onu per l'Iraq, e tra i 55 super ricercati dalle truppe Usa.

Al Palestine sono intanto approdati anche gli 80 «volontari» Freedom Iraqi Fighters (Fif), mercenari iracheni arruolati dai marine addestrati in Ungheria. Il più noto tra loro si chiama Hashen Oldery, ma «chiamami Larry», mi dice, in perfetto stile americano. 50 anni, occhiali da sole, vivace, è curdo, nato a Arbil, dice di aver fatto il giornalista e di non aver mai militato in un partito, ma di essere finito in testa alla lista nera di Saddam perché si batteva per la libertà. Così nel 1996, dopo l'intervento dell'esercito iracheno nel Kurdistan in difesa del partito democratico del Kurdistan di Massud Barzani contro la rivale Unione patriottica nel Kurdistan di Jalal Talabani, aveva deciso di lasciare l'Iraq per trasferirsi con la famiglia negli Stati uniti. E' rientrato in Iraq con i marine. Perché è tornato? «Sono tornato come volontario per servire il mio popolo, sto lavorando con gli americani per ripristinare l'elettricità, la distribuzione dell'acqua, garantire la sicurezza». Ma chi è stato a bloccare il funzionamento delle centrali elettriche? «Saddam che ha sabotato i generatori, interrompendo la fornitura di carburante per farli funzionare», la risposta è per lo meno ingenua. E cosa ne pensa dei saccheggi che stanno distruggendo i ministeri, gli ospedali, musei.... «piango dentro di me, ma questo sta succedendo solo a Baghdad, perché sono gli uomini di Saddam a compiere atti di vandalismo». E le donne che aiutano a svuotare i magazzini? «Saranno le mogli degli uomini di Saddam».

Hashen è circondato da irakeni che vengono a chiedere lavoro ai marine, lui fa il mediatore con gli americani, anche per problemi di lingua, e assicura che presto sarà ricostituita anche la polizia irachena. L'alleanza anglo americana ha lanciato un messaggio attraverso la radio per invitare gli ingegneri, poliziotti, specialisti vari a rivolgersi al comando dei marine che necessita di mano d'opera per riparare i danni dei bombardamenti e ricostituire un apparato nello stato liquidato. E la sicurezza al primo posto. Ma per ora i marine si preoccupano solo di proteggere se stessi. Fin dalla prima mattina di fronte all'Hotel Palestine si sono formate lunghe code di iracheni in cerca di lavoro. Entrata ovviamente preferenziale per un dirigente dell'ex ministero della sanità che chiedeva protezione per gli ospedali. Ma è solo uno dei tanti a mettersi al servizio dell'esercito di Bush.

Torna alla home page