Articolo tratto da "Liberazione" del 13/04/2003:

 

 
Mezzo milione di persone manifesta pacificamente a Roma contro la guerra infinita
Un popolo in cammino
Checchino Antonini
 
«Articolo 18 per tutti: vota Sì»: questa lunga striscia di stoffa è incollata su 125 bandiere arcobaleno cucite insieme. Il cuore del corteo batterà lì sotto quando decine di giovanissimi (la questione li riguarda) si metteranno a ballare, sfilando tra l'Esedra e il Circo Massimo. E' uno dei tanti modi per declinare quel «contro la guerra militare, economica e sociale» che i movimenti portano in piazza da due anni. In una celebre pasticceria vicina alla partenza, il "falco" Usa Luttwak è in fila per un cannolo siciliano. A giudicare dal brusio in sala - «assassino» - non deve essere passato inosservato. C'è un'altra bandiera della pace così grande che il vento non basta a muoverla e devono scivolarci sotto per farla ondeggiare mentre lo sfilamento si muove lento imbottigliato per via Barberini. Si apprenderà che è lunga un chilometro e larga tredici metri ed è stata confezionata dai diessini di Prato.

«Quanti siamo?», si chiedono i manifestanti che hanno affrontato con pazienza il boicottaggio di governo, Trenitalia, Rai e grande stampa. Poi vedono il serpentone girare per le Quattro Fontane e inondare prima via Nazionale poi Piazza Venezia e la domanda si trasforma in un «Quanti siamo!» liberatorio, soddisfatto e impegnativo per il futuro (oggi si riunirà a Roma il gruppo di continuità del Fse).

I manifestanti sono così tanti da "ingoiare" la nomenclatura ulivista con tutta la coda di addetti stampa, guardie del corpo e fotografi. Mezzo milione, diranno dal palco di Caracalla gli organizzatori, quel comitato Fermiamo la guerra, lo stesso del 15 febbraio e di cui si sentirà ancora parlare.


Diversi ma insieme
Anche ieri ha messo insieme Acli e settori antagonisti passando per gli eserciti pacifici della Cgil e di Rifondazione, per i volontari del Ponte per Baghdad e quelli di Emergency guidati da Teresa Strada, prima dei metalmeccanici della Fiom, degli scout e dei loro compagni di strada della Perugia Assisi. A seguire Ics, Beati i costruttori di pace, santegidini, Attac, Amnesty International, Statunitensi "contro l'intervento armato", ebrei e palestinesi insieme "contro l'occupazione", migranti albanesi, profughi kurdi, gonfaloni di comuni, i lavoratori autorganizzati di "Entrate-Dogane-Dpf-Sogei" e di tanti altri posti di lavoro, donne in nero di parecchie città, il Forte di Roma e la Ex Snia che ha cucito insieme dipinti di bambini e ragazzi, social forum da Genova alla Valdichiana, dai quartieri romani al Sud Pontino, Legambiente, centrosinistra, Cobas e centri sociali toscani, piemontesi, napoletani.

Universitari e medi romani - protagonisti a La Sapienza nei giorni scorsi - appiccicheranno per l'intero percorso banconote fotocopiate su banche, librerie, agenzie interinali, teatri, per rivendicare il dirottamento delle spese militari verso cose più sensate come un salario studentesco. Tra loro tanti giovani comunisti e delegazioni da Lecce, Salerno, Pisa, Cosenza, Torino. Al Campidoglio verrà esposto uno striscione contro la guerra sociale e per l'estensione dell'articolo 18 a cura del gruppo Stop Precarietà dei fori sociali. Solo gli anarchici e un gruppo antimperialista separeranno le migliaia di disobbedienti con un grande tir (c'è davvero un mare di ragazzi venuti dal Nordest, dalla Toscana, dalla Campania con le due "gambe" del movimento: i gc e i centri sociali) dal cordone imponente di carabinieri che a Piazza Venezia tenteranno di incollarsi minacciosamente al corteo e ci vorrà l'intervento di Russo Spena e Graziella Mascia per ristabilire le distanze.


Teppismo in coda
Le bande musicali sfidano i watt sparati dai sound system. Il loro non sarà fiato sprecato a giudicare da come si dimena e canta il serpentone pacifista fatto anche da gruppi informali piccolissimi come quei sei "vegetarianianimalisti. com" o come i Filotrano City Rockers compaesani di Sandro e Marino Severini, rocchettari dei Gang. Ancora: una signora sola e di una certa età è piuttosto fiera della sua borsa dove c'è ricamato un «Io non spendo» che è una goccia nel mare dei boicottaggi di merci e multinazionali di guerra che sono diversi dagli atti di teppismo. Alla fine del corteo diversi bancomat resteranno insanguinati di vernice rossa, anneriti dai fumogeni, decorati da scritte "no war" che ricordano il triste primato di Banca di Roma, Banco di Sicilia, Bnl, Popolare di Brescia nel commercio delle armi anche quando, come nel caso di Banca Intesa/Commerciale (seconda o terza in classifica), si tenta di scimmiottare furbescamente l'arcobaleno pacifista dipingendo le lettere del marchio con gli stessi colori. Qualche vetro va in frantumi, quasi nessuno è d'accordo e c'è chi addirittura si mette a inseguire quelli che sembrano gli autori.

Su una cosa sono tutti d'accordo: la guerra è tutt'altro che finita. «Chi contava su un nostro flop - commenta Nicola Fratoianni - deve registrare che il movimento c'é» «ed è la risorsa più importante per la sua capacità di incidere contro la guerra più della dialettica interna ai gruppi dirigenti del centrosinistra», osserva Gennaro Migliore responsabile Esteri del Prc. Ricorda le parole d'ordine «nette e determinate» Patrizia Sentinelli della direzione Prc: «Fermare la guerra infinita, ritiro delle truppe anglo americane». «Solo allora - segnala Vittorio Agnoletto - potrà intervenire l'Onu se non vorrà fare da foglia di fico a un protettorato in stile coloniale». «Era fondamentale essere tanti a dimostrare d non credere alle menzogne», dice Piero Bernocchi (Cobas) mentre Gianfranco Benzi (Cgil) si chiede se «è possibile pensare a un'Onu riformata e capace di risolvere a monte i conflitti».


Il movimento c'è
Dal palco trenta "voci narranti del movimento" porteranno testimonianze da luoghi di guerra e di conflitto. Non parleranno leader, il movimento ha tantissime voci e sa farne a meno. «Non ci arrendiamo alle pulsioni di guerra», spiega l'appello finale. E' solo una tappa di una lunga stagione di resistenza e speranza.

Con un codazzo di blindati e robocop in tenuta antisommossa (che bloccheranno il traffico) un gruppo di disobbedienti torna in corteo verso S. Lorenzo.

 

Articolo tratto da "Il Manifesto" del 13/4/2003:

La guerra non abita tra noi
In mezzo milione a Roma contro la guerra infinita. E' una realtà composita, meticcia, dove le antiche identità cominciano a sciogliersi in un cammino comune e nei colori dell'arcobaleno. Ci sono i politici dell'opposizione ma il protagonista è il movimento che la presa di Baghdad non ha fermato. Un movimento diventato più maturo che non si limita a resistere
LORIS CAMPETTI
ROMA
C'è chi dice che non era una manifestazione allegra. Effettivamente non c'è niente da festeggiare. Una guerra che non doveva scoppiare invece è scoppiata, e tutti quei morti ammucchiati negli ospedali, nelle strade e nelle fosse comuni, quei bambini fatti a pezzi dalle bombe dei liberatori con l'infamia che ora chi ha lanciato quelle bombe lancia un'asta internazionale per «regalare» le protesi al bambino mutilato. Quelle immagini impietose, un paese fatto a pezzi e abbandonato ai saccheggi e alle vendette, hanno lasciato il segno negli occhi e persino nelle corde vocali di tutti noi. Che c'è da festeggiare? Che la guerra è finita, e non è finita? Che Bush ci ha promesso altre guerre per trent'anni? Ecco la sintesi delle risposte raccolte dal cronista provocatore, che fossero rivolte a Sergio Cofferati o al militante della Fiom di Rimini, agli organizzatori della manifestazione o al popolo pacifista sceso in piazza senza aspettare che qualcuno lo organizzasse. Ormai c'è un sentimento comune, diffuso nella società civile, che resiste alle cluster bomb, ai missili, alle iniezioni di uranio impoverito ma anche alle provocazioni dei media e dei «vincitori» che sputano odio. C'è un sentimento pacifista radicato che regge i colpi e va avanti perché sa che il compito di chi, con la Costituzione, ha ripudiato la guerra, non è finito, che l'ordine americano è un disordine inaccettabile e dunque bisogna costruire un ordine nuovo che tenga conto di uno slogan che ha fatto molta strada: un altro mondo è possibile. Una signora molto anglosassone alza un cartellone con l'immagine di Geronimo (un apache diverso da quelli che hanno imparato a conoscere gli iracheni e prima di loro tanti altri popoli) e la scritta: «Yankees, same old story». Mezzo milione. Nonostante l'impossibilità di utilizzare 12 treni speciali cancellati da Trenitalia, Roma si è riempita un'altra volta di gente di tutte le età, da un applauditissimo Pietro Ingrao che accompagnato da Aldo Tortorella regge lo striscione d'apertura («Contro la guerra infinita»), ai ragazzini delle inferiori. Gente con appartenenze diverse, tanti i cattolici, in gruppi o mescolati a sindacalisti, laici e comunisti, studenti e operai, comunità di base, Comunità di Sant'Egidio e comunità anarchiche. Un popolo colorato d'arcobaleno, certo c'erano anche le bandiere rosse «di sangue», come dice quel Berlusconi che è già pronto a paracadutare nel protettorato americano di Baghdad i nostri carabinieri. Gente che pensa che l'Onu (o l'Italia) non sia e non possa essere la crocerossina di Washington. Sotto il palco del Circo Massimo gli organizzatori si abbracciano, c'è chi nasconde una lacrimuccia. «E chi se l'aspettava una partecipazione come questa, dopo una preparazione di pochi giorni»? Il messaggio è chiaro, «c'è una domanda popolo in sintonia con noi», dice Gianfranco Benzi della Cgil. Vittorio Agnoletto si è alzato di 20 centimetri. Raffaella Bolini dell'Arci fa dei sospiri di sollievo che sembra Eolo. La mite Anna Pizzo di Carta domina il palco neanche fosse Golia e passa con nonchalance la parola ai 35 italiani e stranieri che portano la loro testimonianza. Il più applaudito è l'americano, anzi lo statunitense che ha retto per tutto il corteo lo striscione dei suoi connazionali, «Not in my mane». Piero Bermocchi dei Cobas è immarcescibile, forse è l'unico che non aveva (che dice di non aver mai avuto) dubbi sulla partecipazione di centinaia di migliaia di persone. Sotto il palco si fanno vedere i leader della sinistra, da Bertinotti a Pecoraro Scanio, c'è il Pdci in forze, nel corteo avevamo visto Rosi Bindi e Giovanni Berlinguer, Vincenzo Vita ma anche Piero Fassino. E tanti altri. Bertinotti è contento soprattutto che la risposta sia stata di massa, temeva un corteo più piccolo, magari «incattivito»: «E' in atto un processo nuovo, di fondazione culturale che ha garantito una supplenza di popolo a un'organizzazione per forza di cose ridotta. Vuol dire che nel nostro paese c'è ed è matura una cultura della pace».

Kurdi e iracheni, nessuno ha nostalgia di Saddam ma tutti vogliono costruire un nuovo ordine. Tra gli striscioni più applauditi uno che recita «Insieme si può», lo reggono palestinesi ed «ebrei contro l'occupazione», come si fa a essere pessimista vedendo Ali e Sveva che marciano insieme e si sorridono? A loro, che Giuliano Ferrara li veda o non li veda, come si dice a Roma, non glie ne può fregare di meno. Manifestazione silenziosa, certo, umiliata dalle immagini di morte che durano da quesi un mese. Ma non azzittita. Ci sono bande musicali che suonano «Bella ciao» e camion che sparano a centomila decibel «Curre curre guaglio'», qualcuno che sogna la fine di Berlusconi riscopre «La canzone popolare», mentre il disk-jokey con qualche capello bianco alla guida di un altro furgone ripropone «Blowin in the wind» del vecchio Bob. C'è Savino Pezzotta accompagnato da un bel drappello di bandiere della Cisl: «Sono qui con tutte queste persone per segnare la volontà di democrazia in Iraq».

Guglielmo Epifani è visibilmente soddisfatto: «Ancora una volta - mi dice a commento della giornata - i fatti hanno superato le aspettative, ormai ci dovremo abituare. C'è in Italia una realtà forte che non si fa influenzare da quei media e quella parte della politica che credevano di liberarsi dell'opposizione alla guerra con la presa di Baghdad. Questa realtà è maggioritaria, è portatrice di valori, è stata capitalizzata da un punto di vista sociale, del movimento. Sarebbe positivo se ci fosse una capitalizzazione politica, nel rispetto pieno dei ruoli, me la aspetterei da parte di Rifondazione e dell'Ulivo. Sono contento del fatto che la Cgil abbia imboccato la strada giusta nel rapporto con questo movimento e con il sentimento di milioni di uomini e donne». Sembra lontana Genova 2001, Epifani. Si direbbe che qualcosa sta cambiando nella Cgil... «Ci siamo incamminati, dopo Genova, ci siamo aperti, abbiamo dato e abbiamo ricevuto. Ci siamo incontrati con i giovani e loro con noi. E' una cosa importante».

Paolo Flores, circondato dai «Girotondi di Parma» è schivo, prova a resistere all'offerta di reggere lo striscione di testa. Il dipendente più famoso di Tronchetti Provera sfila con Emergency. Ma come, gli chiedo, non è tuo nemico come scrive un giornale riformista? Ride sotto i baffi: «Ho appena sentito Gino Strada, mi ha spiegato in che condizioni lavora non avendo neppure la benzina per far andare il generatore. Chiaro perché sono qui?». Ma la guerra è finita, dicono, che senso ha stare qui a sfilare invece di stappare bottiglie di champagne per festeggiare? «Certo che se smettono di bombardare e uccidere si tira un sospiro di sollievo - mi risponde Sergio Cofferati - ma guai a non considerare gli effetti politici di questa guerra e della filosofia della guerra infinita, di destabilizzazione mondiale. E guai a non considerare gli effetti umanitari». Chi è sceso ieri in piazza a Roma questi effetti li considera, e come. Li considera più di quanto non faccia la sfera della politica, e non solo quella di destra. Ma prima o poi, qualcuno dovrà pure accorgersi che c'è una realtà nuova, un pezzo di società in movimento verso un mondo degno di essere vissuto. Un pezzo di società fatta di militanti e gente «normale» che, oltre a resistere alla barbarie, comincia a pensare in positivo, a vivere essa stessa in un altro modo, dunque, a far vivere in nuce un altro mondo. Vi pare poco? Vi pare poco il meticciato sociale che ha visto la luce a Genova e che il no alla guerra infinita ha fatto maturare?

 

Alcune foto dal Corteo:

 

 

Torna alla home page