Articolo tratto da "Il Manifesto" del 12/4/2003

 

E' già un logo
GUGLIELMO RAGOZZINO
Per prima si è mossa Sony. Il motto «colpisci e terrorizza» le piaceva così tanto che ha cercato di impadronirsene. Con esso ha intenzione di lanciare un videogioco di guerra di sicuro richiamo, vista la pubblicità che circonda quel nome. Anche altre imprese hanno fatto lo stesso ragionamento e hanno chiesto all'ufficio dei brevetti Usa di poter registrare, a proprio nome, il nome della guerra, per renderla commerciale. Peccato sprecare la guerra, un evento con una copertura televisiva fantastica. Una varia umanità quella dei pretendenti: un'impresa di fuochi d'artificio, un fabbricante di pesticidi, una marca di guantoni da box; e poi un fabbricante di costumi da bagno e altri di palloni per la pallacanestro, magliette, stoviglie. La guerra è tua, dicono questi buoni industriali all'America. Ma, per favore e nel rispetto del libero commercio, ce ne dai un pezzettino?

Sembra cattiva letteratura e invece è vita. Uno vede la guerra, con tutte le distruzioni e i corpi che si lascia dietro, come un videogame; e vuole convincere un pubblico vasto e indifeso, che la guerra è un vivido, emozionante videogame. C'è un altro pretendente che pensa a scarafaggi e formiche da sterminare facilmente come fossero iracheni; un altro vuol farla fuori a pugni. Poi c'è quello che si ricorda ancora del successo del bikini, atomica a due pezzi, mezzo secolo fa, e vuole ripeterne i fasti; e poi un altro che vuole dare un nome speciale alla bomba, nel canestro da tre punti. Poi le magliette e i piatti: che spettacolo vestirsi con la guerra, mangiare la guerra!

Sharon March, portavoce dell'ufficio brevetti di Washington, che è proprietario (con il Pentagono) di questo elegante lascito di guerra, ci informa che i pretendenti a «colpisci e terrorizza», sono quindici. Il Pentagono che ha ideato l'indovinatissimo slogan, in prima battuta, è contrario a cederlo. Non si strappano così le ali alla nostra vittoria, fanno capire. I diritti saranno eventualmente ceduti a una casa americana, in omaggio al buy american (o compra americano), riletto in salsa irachena. Potrebbe essere un ottimo slogan per Halliburton o per Bechtel o per Fluor , tutte multinazionali a stelle e strisce che si stanno contendendo il dopoguerra e le sue grasse commesse.

La guerra è nostra, nostre le distruzioni, saremo noi a dividerci gli affari della ricostruzione e anche gli annessi e connessi - compreso il motto vincente - li gestiremo noi. La nostra guerra non ssarà usata per rilanciare le imprese dei giapponesi che si sono chiamati fuori o, peggio, degli europei, tedeschi o francesi, traditori e pacifisti. Ma Sony, in seconda battuta, potrebbe far valere la sua bravura nell'azione preventiva, amatissima dal segretario alla difesa Donald Rumsfeld che l'ha inventata.

Sharon March, sempre lei, testimonia che Sony ha presentato la sua richiesta fin dal 21 marzo, il giorno dopo lo scoppio della guerra contro l'Iraq, per assicurarsi i diritti di brevettare il motto shock and awe, in italiano «colpisci e terrorizza»prima di tutti gli altri rivali. E per muoversi il 21 marzo, occorreva una preparazione preventiva quando ancora la guerra non c'era. Gli avvocati specialisti in brevetti e gli strateghi di mercato di Sony si sono mossi di conserva ai generali del Pentagono, guardando da quella parte, puntando al dividendo di guerra.

Intanto in qualche altro reparto, ai videogiochi, ma anche alla fabbrica dei costumi, al reparto pesticidi, alla fabbrica di piatti e di magliette, il capitalismo si rimette in moto. E' convinto che la guerra sia un buon prodotto, vendibile e che milioni di persone, noi del Nord, ricominceremo a comprare.

 

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