CHE COSA SONO LE "NO-FLY ZONES"

Le "no-fly zones" sono due zone di interdizione al volo, situate

rispettivamente sul Nord e nel Sud dell’Iraq, delle quali è vietato il

sorvolo all’aviazione irachena, civile e militare.

Imposte arbitrariamente da Usa e Gran Bretagna (con la

partecipazione iiniziale della Francia), senza alcun mandato né

risoluzione dell’Onu, esse non sono mai state riconosciute dal governo

dell’Iraq, che le considera una violazione della propria sovranità

nazionale.

Esse di fatto tagliano il paese in tre, prefigurandone una sorta di

suddivisione su basi etnico-confessionali (una parte kurda nel Nord, una

arabo-sunnita al centro, e una arabo-sciita al Sud).

La "no-fly zone" settentrionale, a nord del 36° parallelo, venne creata

nel giugno 1991, con il pretesto di "proteggere" le popolazioni kurde

dalla

repressione, e ha nei fatti trasformato il Nord dell’Iraq in una regione

autonoma, anche se ancora formalmente sotto la sovranità del

governo di Baghdad.

Oggi la zona, che comprende i tre governatorati di Dohuk, Erbil, e

Sulaimaniya, è sotto il controllo delle fazioni che fanno capo ai due

partiti kurdi locali: il Pdk (Partito Democratico del Kurdistan) di Massud

Barzani, e l’Upk (Unione Patriottica del Kurdistan) di Jalal Talabani.

Da tre anni fra le due principali formazioni kurde vige una tregua,

raggiunta con la mediazione degli Usa, e il territorio è diviso in due

parti: la parte ovest, controllata dal Pdk, e la parte est, controllata

dall’Upk.

Questo significa due amministrazioni, due capitali, due governi: uno

che fa capo al Pdk – il Kurdish Regional Government (KRG) - insediato

a Erbil, l’altro, dell’Upk, insediato a Sulaimaniya

La "no-fly zone" meridionale venne creata nell’agosto 1992,

inizialmente a sud del 32° parallelo, per "proteggere" dalla repressione

del governo centrale le popolazioni a maggioranza sciita, che si erano

ribellate dopo la Guerra del Golfo.

Il rispetto delle due "no-fly zones" è assicurato dal pattugliamento

costante delle medesime da parte dell’aviazione di Usa e Gran

Bretagna.

In un primo momento alle operazioni partecipavano anche aerei

francesi:

 

successivamente la Francia si è dissociata, per protesta contro

l’ampliamento arbitrario della "no-fly zone" meridionale – che nel

settembre 1996 venne portata al 33° parallelo, praticamente alle porte

di Baghdad - deciso da Usa e Gran Bretagna, e ha posto fine alla

propria partecipazione alle missioni di pattugliamento sul nord nel

dicembre 1996 e a quelle sul sud nel dicembre 1998.

Il pattugliamento della no-fly-zone settentrionale è affidato

all’operazione "Northern Watch", i cui aerei sono basati a Incirlik, in

Turchia.

Quello della no-fly zone meridionale all’operazione "Southern Watch":

gli aerei in questo caso partono dalle basi situate in Arabia Saudita e

Kuwait.

Il mantenimento delle due no-fly zone sull’Iraq è un esercizio

decisamente costoso.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, è stato calcolato che il

pattugliamento della sola zona meridionale per l’anno fiscale

conclusosi nel settembre 2000 era costato quasi un miliardo e mezzo di

dollari.

L’8 gennaio 2001 il quotidiano Guardian scriveva che il Ministero della

Difesa britannico aveva speso oltre 800 milioni di sterline per il

pattugliamento delle zone.

Le "No-Fly Zones" non proteggono

Uno dei "miti" che circolano comunemente è che le no-fly zones

sarebbero state create per proteggere dalla repressione i kurdi nel

nord e gli sciiti nel sud: quelle stesse popolazioni le cui rivolte, scoppiate

alla fine della guerra del Golfo, vennero sanguinosamente represse dal

governo di Baghdad con il concorso decisivo degli Stati Uniti - che

peraltro le avevano incitate.

E’ ben documentato infatti che le truppe Usa all’epoca ancora

presenti in Iraq rimasero a guardare, quando addirittura non si

schierarono con l’esercito di Saddam, impedendo per esempio ai

ribelli nel sud di raggiungere i depositi di armi, mentre permettevano

all’esercito di Baghdad di attraversare le loro linee per schiacciare la

rivolta.

 

Questo della "protezione" è, per l’appunto, un mito.

a) Le no-fly zones non proteggono i kurdi nel Nord

a.1. Innanzitutto, la zona di esclusione aerea creata sul nord nel 1991, a

sostegno dell’ operazione "Provide Comfort", riguarda solo l’aviazione

irachena. Essa non assicura invece alcuna protezione contro eventuali

attacchi di truppe di terra (si ricordi l’invasione della zona di Erbil da

parte dell’esercito iracheno a sostegno del Pdk di Barzani nel

settembre 1996), né contro attacchi dell’aviazione iraniana o

dell’aviazione e dell’esercito turco.

Sono in particolare questi ultimi che vale la pena di ricordare.

Dall’ottobre 1992 – quando 20.000 truppe turche invasero il nord Iraq

per dare la caccia alle basi dei guerriglieri del Pkk (Partito dei lavoratori

del Kurdistan) in territorio iracheno – queste incursioni – spesso in realtà

ben più che incursioni - si sono susseguite con regolarità.

Alla fine del 1993, l’esercito e l’aviazione turca attaccarono presunte

basi del Pkk nel Kurdistan iracheno.

Nel marzo 1995, 35.000 truppe turche , appoggiate da carri armati,

elicotteri e aerei F-16, entrarono nella no-fly zone e vi rimasero per

quasi due mesi.

Nel maggio 1997, 50.000 truppe turche invasero nuovamente la zona,

per un’altra occupazione protratta.

Nel maggio 1999, 15.000 truppe turche invadevano il nord Iraq,

penetrandovi per 20 km., sempre per impedire assembramenti di

truppe kurde ribelli.

Altri 10.000 soldati turchi sono entrati nel nord dell’Iraq nel dicembre

2000.

Nel marzo 2001 il settimanale britannico New Statesman ha pubblicato

un articolo del giornalista australiano John Pilger (Britain and America’s

Pilots Are Blowing the Cover on Our So-called "Humanitarian" No-Fly

Zone, 19 March 2001) in cui si rivela che alcuni piloti della RAF (la Royal

Air Force britannica) – coperti ovviamente da anonimato – hanno

riferito con grande irritazione di come, durante le missioni di

pattugliamento sul nord Iraq, essi ricevessero a volte l’ordine di rientrare

alle basi in Turchia, per consentire all’aviazione turca di entrare in Iraq

per bombardare le presunte basi della guerriglia del Pkk.

Essi hanno anche descritto i villaggi in fiamme e le devastazioni di cui

erano testimoni al loro rientro.

Negli Stati Uniti, d’altronde, questo era da un po’ di tempo un "segreto

di Pulcinella", se si pensa che rivelazioni simili fatte da piloti americani

erano già state pubblicate dal Washington Post nell’ottobre 2000.

 

a.2. In secondo luogo, il "disegno" della no-fly zone settentrionale è

quantomeno curioso, se questa è stata effettivamente studiata per

fornire protezione alla popolazione kurda.

Questo perché essa non coincide esattamente con la linea oltre la

quale le truppe irachene si ritirarono, nell’ottobre 1991, dai tre

governatorati del nord, aprendo la strada all’autogoverno kurdo

tuttora in vigore.

Nella no-fly zone, infatti, è compresa la città di Mosul, tuttora sotto

l’autorità del governo centrale, mentre rimane esclusa Sulaimaniyya -

la più grande città della zona sotto controllo kurdo - assieme alla parte

meridionale di quel governatorato.

Analogamente esclusa è Kirkuk, un centro dell’industria petrolifera

irachena, ma anche il centro della più feroce repressione della

popolazione locale kurda da parte del governo di Baghdad, dove

campagne di arabizzazione forzata della città e della regione

circostante, hanno costretto – e ancora costringono - all’esodo

migliaia e migliaia di persone (oltre 94.000 kurdi e turcomanni espulsi

dal 1991, secondo fonti kurde citate da Amnesty International).

Una ben strana "protezione", dunque, che esclude proprio la zona in

cui i kurdi sono attualmente più a rischio della repressione del governo

centrale.

b) Le no-fly zones non proteggono gli sciiti nel Sud

La zona di esclusione aerea sul sud dell’Iraq – creata nell’agosto 1992 -

non ha mai dato alcun contributo alla sicurezza della popolazione

civile locale.

Ad affermarlo è lo stesso Dipartimento di Stato Usa nei suoi rapporti

annuali sulla situazione dei diritti umani in Iraq.

In particolare, nel rapporto del 1994, si leggeva che, nonostante la nofly

zone avesse impedito attacchi aerei sulla zona meridionale delle

paludi, essa non aveva impedito quelli dell’artiglieria o altre azioni

dell’esercito.

Nel rapporto del 1996 viene detto esplicitamente che i civili non sono

protetti dagli attacchi di terra.

Nel febbraio 1999 Max van der Stoel, "Special Rapporteur" delle

Nazioni Unite per i diritti umani in Iraq, citato dal Financial Times on-line

dell’8 agosto 2000, riferiva che, fra l’agosto e il novembre 1998,

c’erano stati "ripetuti intensi attacchi di artiglieria e di mortaio seguiti

da attacchi di truppe di terra su città e villaggi in diverse parti dei tre

governatorati di Nassiriya, Amara e Bassora".

Va inoltre ricordato che l’idea originaria dello "Special Rapporteur"

delle Nazioni Unite per i diritti umani in Iraq non era quella di una zona

di esclusione aerea, ma di una qualche forma di monitoraggio sul

terreno: un suggerimento che gli Stati Uniti si guardarono bene

dall’attuare.

 

Le "No-Fly Zones" (e i bombardamenti) sono illegali

Non esiste alcuna risoluzione delle Nazioni Unite che imponga o

autorizzi le no-fly zones.

Stati Uniti e Gran Bretagna hanno tentato ripetutamente di fondarne la

legittimità sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza 688 (1991) del 5

aprile 1991, che chiede all’Iraq di porre termine immediatamente alla

repressione contro la popolazione civile e di permettere l’accesso

immediato alle organizzazioni umanitarie internazionali incaricate di

portare assistenza, fornendo tutto l’appoggio necessario alle loro

operazioni.

Tuttavia, nella risoluzione 688 (1991) non c’è assolutamente nulla che

autorizzi le zone di esclusione aerea.

Russia e Cina lo hanno ripetutamente sottolineato nel Consiglio di

Sicurezza, aggiungendo che l’azione di Stati Uniti e Gran Bretagna

vìola la legalità internazionale (Observer, 18 febbraio 2001).

Anche la commissione difesa della Camera dei Comuni britannica è

stata costretta ad ammettere, in un rapporto dell’agosto 2000 (House

of Commons – Select Committee on Defence – Thirteen Report – Iraqi

No-Fly Zones", 2 August 2000), che "La base legale precisa delle no-fly

zones è controversa" .

La risoluzione 688 (1991) non solo non stabilisce la creazione delle no-fly

zones sull’Iraq, né sul nord né sul sud: essa non autorizza l’uso della forza

al loro interno qualunque sia lo scopo. Certamente non per raid

preventivi volti ad assicurare la sicurezza degli aerei di Stati Uniti e Gran

Bretagna che sorvolano l’Iraq illegalmente.

Questa è la realtà, come è stato esaurientemente spiegato negli studi

di alcuni ricercatori (Sarah Graham Brown, No-Fly Zones: Rethoric and

Real Intentions, MERIP Press Information Note 49, February 20, 2001:

forse il più completo studio introduttivo alle no-fly zones. Se ne

raccomanda la lettura a chi volesse saperne di più).

Anche i mass-media a larga diffusione, fra i quali persino il New York

Times (Steven Lee Myers, US Jets Strike 2 Iraqi Missile Sites 30 Miles

Outside Baghdad, NYT, February 25, 1999), si sono trovati, sia pur

raramente, a doverlo ammettere.

Dal 5 novembre 2000 l’Iraq ha di fatto posto fine al divieto di sorvolo

delle no-fly zones da parte degli aerei civili, riprendendo i voli all’interno

del paese.

 

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