Bombardati i ministeri brucia il palazzo del Rais
In serata l'ultimo attacco di missili Tomahawk colpisce diversi siti governativi. La guerra contro l'Iraq, cominciata alle 5,30 del mattino, prende di sorpresa gli iracheni e sarebbe stata anticipata dagli americani convinti, sulla base di informazioni della Cia, di riuscire a uccidere Saddam Hussein. Ma l'attacco fallisce e poche ore dopo il rais appare in televisione per promettere la vittoria al suo popolo
GIULIANA SGRENA
inviata a BAGHDAD

Il terzo attacco arriva quando a Baghdad sono da poco passate le 21 (le 19 in Italia). Una serie di missili Tomahawk piovono sulla città e colpiscono, con precisione, una serie di siti govenativi. Vanno in fiamme il palazzo presidenziale, ma anche le sedi di due ministeri, Informazione e Pianificazione, e la casa della moglie di Saddam Hussein. Le sirene tornano a suonare alle 22,55 e questa volta sotto i missili finisce la casa del primogenito di Saddam Hussein, Uday. Attacchi che sono il proseguimento del conflitto cominciato alle 5,30 del mattino. «Siamo in guerra», ci avevano detto gli inservienti dell'hotel Rashid, all'alba. Non che non se l'aspettassero ma apparivano comunque sbigottiti. Avevamo passato la notte con loro, noi pochi ospiti residui del Rashid, ancora incerti se abbandonare l'hotel ritenuto un possibile obiettivo dell'attacco americano per il suo bunker o semplicemente perché potrebbe essere un danno collaterale dell'attacco a ministeri e caserme che lo circondano. Dopo che la Cnn aveva fatto circolare la notizia del rischio Rashid e si era trasferita in massa al Palestine, era scattata la psicosi collettiva. Improvvisamente il Rashid si svuotava e il Palestine, già quartier generale degli human shields, si gonfiava. Tutto lasciava credere che l'attacco scattasse solo giovedì notte e quindi eravamo rimasti, ma in piedi, mentre l'apprensione cresceva man mano che si diffondevano le notizie di un imminente attacco. Lo staff dell'albergo voleva e vuole sapere, cosa succede? quando? E arrivavano telefonate da network di tutto il mondo - dal Giappone, dall'Australia, dall'Italia, dalla Germania - che volevano parlare con qualche ospite dell'hotel reso famoso proprio dai giornalisti che avevano seguito la guerra del Golfo nel 1991. Volevano sapere come era vissuta l'attesa a Baghdad e noi in cambio chiedavamo quelle notizie che non riuscivamo ad avere sul posto. Prima era stata la luna piena e poi l'albeggiare a convincerci che l'attacco sarebbe stato rinviato di un giorno. Ma proprio mentre stavamo per cedere al sonno e alla stanchezza, il suono lugubre e inconfondibile della sirena. Il Rashid è ben attrezzato con il suo bunker e il personale preparato a simili emergenze e molto disponibile. E' allora che il centralino dell'albergo sembra impazzito: chi parla italiano? tedesco? e naturalmente inglese. Tutti i dipendenti disponibili rispondono ai vari telefoni, ne installano uno anche dentro il bunker. Ma è impossibile restare rintanati senza vedere cosa succede fuori, anche se c'è poco da vedere per ora, si sentono solo alcuni colpi della contraerea. Da qui non riusciamo a vedere il fungo bianco che sale dalla zona colpita di Zafrania, nella parte sud della città, dove si trova la caserma Rashid. L'attacco sarebbe stato anticipato dagli americani perché la Cia avrebbe segnalato nella zona la presenza di cinque esponenti di alto rango del regime iracheno. Operazione fallita se questo era l'obiettivo, ma la guerra è cominciata anche a Baghdad e ha già fatto le prime vittime, una decina, anche se per ora non si conosce con precisione quanti siano i morti. Prima ancora di Baghdad sarebbe stata bombardata Mosul, la città del nord, a ridosso del Kurdistan, dove diversi edifici hanno riportato danni. Colpito anche il sud, a Bassora, ma il ministro del petrolio Amir Mohammed Rashid ha smentito la notizia che i pozzi di petrolio della zona siano stati dati alle fiamme. Due ondate di attacchi, circa 40 missili Tomahawk sparati, secondo fonti americane. Sarebbe stata utilizzata anche una speciale bomba antibunker da una tonellata, segno che ad essere presi di mira sono i bunker dove potrebbe cercare rifugio la famiglia di Saddam. Mentre Baghdad ha lanciato due missili, intercettati, contro il Kuwait. Alla frontiera con il Kuwait si sono già sparati colpi di artiglieria mentre le truppe americane sono avanzate nella zona smilitarizzata. E' l'inizio della guerra e dell'invasione, anche se l'entrata in scena è stata di basso profilo rispetto alle minacce e alle attese, che forse non saranno deluse fra poche ore (da quando scriviamo).

Il primo a reagire all'attacco statunitense è stato il figlio maggiore di Saddam, Uday che, attraverso un comunicato letto alla radio, ha invitato la popolazione a resistere e i suoi fedayin a prepararsi al martirio. Ma poi è toccato al rais in persona presentarsi davanti ai teleschermi, anche se con un messaggio registrato - prima o dopo l'attacco? -. Con basco nero e - per la prima volta - usando gli occhiali e leggendo invece di improvvisare, si è mostrato provato - del resto il momento lo richiede mentre viene personalmente bersagliato dagli americani - per promettere agli iracheni la vittoria. Saddam si è scagliato contro il «piccolo criminale Bush» senza scrupoli, e i suoi alleati per garatire loro che saranno sconfitti: «agli oppressi è consentito combattere e Iddio è in grado di dare loro la vittoria». Per concludere con un «viva l'Iraq, viva la guerra santa (jihad), viva la Palestina».

Alle nove di mattina terminava il secondo allarme, un sollievo dopo una notte insonne, probabilmente solo la prima di una lunga serie. Ma la fine dell'allarme non invitava ad uscire e non solo perché la giornata grigia e nuvolosa era particolarmente fredda. Baghdad è sempre di più una città fantasma, le strade sono quasi deserte, i negozi chiusi tranne qualche rarissima eccezione, lo stesso vale per i mercati, le immancabili bancarelle sono scomparse dai lati della strada lasciando solo montagne di immondizie sollevate dal vento. A fare affari sono solo i cambiavalute, il dollaro sale e non ce ne sono abbastanza per soddisfare le richieste. Ovunque, ad ogni angolo di strada, incrocio, edificio pubblico si trovano militari o volontari del partito, quasi tutti in divisa, armati di Kalashnikov o pistola. Sui tetti si intravedono i cannoncini della contraerea. Rarissime sono le donne che si aggirano per strada, le razioni sono già state distribuite in anticipo, le scorte chi poteva le ha fatte e i prezzi dei beni di prima necessità sono saliti. E' l'economia di guerra. In un baracchino che vende il te, una televisione gracchiante è accesa e ritrasmette, e lo farà tutto il giorno, il discorso di Saddam. Gli avventori appaiono indifferenti ma tesi. Le prossime ore sono piene di incognite, gli americani colpiranno pesante. E quanto durerà? Non arriveranno a Baghdad in 72 ore come avevano preventivato o solo propagandato, ora, che l'attacco è stato lanciato, anche il presidente statunistense Bush è costretto ad ammettere che la guerra potrebbe essere lunga. Mentre sorseggiamo un te osserviamo i giovani e gli anziani che siedono in uno dei pochi posti aperti, proprio di fronte ad un gruppo di militari che presidia un incrocio, una domanda è inevitabile. Che cosa faranno quando arriveranno gli americani? La popolazione veramente sarà unita nella resistenza all'invasione oppure, stremata com'è non avrà nemmeno la forza o la volontà di reagire, di combattere gli americani? Un sentimento diffuso antiamericano non corrisponde a un sostegno all'attuale regime e non si traduce necessariamente nella volontà di combattere una strenua battaglia. L'esercito e in particolare la guardia repubblicana comandata da Qusay, l'altro figlio di Saddam, preparano la difesa di Baghdad e contano soprattutto sul partito Baath, la cui organizzazione, a giudicare dalle mobilitazioni di questi giorni, sembra ancora efficiente. Resta la grossa incognita della maggioranza sciita, che non si sente rappresentata dal'opposizione riunita nel Consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri, con base a Tehran) che potrebbe approfittare del momento per prendersi la rivincita sulla minoranza sunnita al potere. Ma quando, prima o dopo l'invasione americana? Nel 1991 gli sciiti al sud, come i kurdi al nord, si sollevarono dopo la guerra del Golfo con l'avallo degli americani che poi li abbandonarono alla repressione sanguinosa di Saddam, ora che faranno? I kurdi hanno scelto di stare con gli americani, gli sciiti non tutti.
 

il manifesto - 21 Marzo 2003

 

 

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