SULLA QUESTIONE DEL DISARMO

Intervista all’Ex-Ispettore Unscom Scott Ritter

Scott Ritter, marine Usa, ex ispettore capo dell’Unscom si è dimesso

nell’agosto 1998 per protesta contro l’andamento delle ispezioni,

accusando gli Stati Uniti di non lavorare per il disarmo dell’Iraq, ma per il

mantenimento indefinito delle sanzioni.

Successivamente alle sue dimissioni ha rilasciato interviste molto esplicite a

numerosi organi di stampa e televisioni, e pubblicato il libro Endgame: Solving

the Iraq Problem – Once and for All (Simon & Schuster, 1999).

Quelli che seguono sono brani significativi di una sua intervista rilasciata agli

attivisti del gruppo Usa "Fellowship of Reconciliation" il 24 giugno 1999.

D. Per molti anni lei ha sostenuto e guidato gli sforzi degli Usa in Iraq nel

programma Unscom. Perché lei allora lo sosteneva e cosa le ha fatto cambiare

idea?

R. Lo sostenevo perché si trattava del diritto internazionale.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva approvato una risoluzione vincolante

basata sulla carta dell’Onu, e chiedeva qualcosa che ritenevo giusto: il

disarmo dell’Iraq.

Penso che il disarmo sia un bene. Guardando indietro, l’idea di imporre un

regime severo di disarmo a uno stato sovrano, non importa quanto nobile

nelle intenzioni, probabilmente non è praticabile, a meno che il Consiglio di

Sicurezza non intenda e sia in grado di sostenere questo sforzo con continuità

nel tempo.

Penso che sia una delle lezioni dall’esperienza dell’Unscom: non prendetevela

con gli ispettori, noi facevamo il nostro lavoro.

Prendetevela con il Consiglio di Sicurezza che ci ha creato ma non ci ha

sostenuto.

Prendetevela con gli stati membri che hanno preso qualcosa di nobile e

l’hanno snaturato per le proprie ragioni, i propri interessi di parte.

Bisogna puntare il dito innanzitutto contro gli Usa per avere usato il processo

di ispezione degli armamenti non tanto come veicolo per disarmare l’Iraq, ma

piuttosto per contenere Saddam e raccogliere informazioni che potessero

essere utilizzate per rimuoverlo.

Gli Stati Uniti hanno stravolto il sistema, non gli ispettori. (...)

Io non ho mai deviato dal mio mandato.

Quando dite che sostenevo gli obiettivi degli Usa, la risposta è "no".

Gli obiettivi degli Usa erano eliminare il regime.

Io, cittadino Usa, lavoravo per l’Onu secondo il mandato dell’Onu.

Ma questo mandato ha cominciato a confondersi con la politica degli Usa.

Non mi sono mai assunto il compito di eliminare un regime, né di continuare

le sanzioni; io facevo ispezioni sugli armamenti.

 

Non credo che dovrebbe esserci collegamento fra sanzioni economiche e

controllo degli armamenti: le due cose non possono stare insieme.

Imporre sanzioni economiche è una cattiva politica, punto.

Si fanno soffrire le persone sbagliate.

Ma questa è una decisione presa da qualcun altro. Il nostro lavoro era

disarmare l’Iraq il più velocemente possibile, il mio era trovare le armi.

Abbiamo intrapreso una campagna intensiva di intelligence per raccogliere

informazioni su dove erano queste armi. Poi era necessario inviare squadre di

ispettori in Iraq per trovarle. Agli Usa questo non piaceva.

Per dirla semplicemente: non volevano quel tipo di risoluzione perché se l’Iraq

è disarmato si devono togliere le sanzioni e questa era l’ultima cosa che gli

Usa volevano.

Le sanzioni sono un mezzo di contenimento. Il lavoro accelerato di ispezione

che cercavamo di fare si scontrava con gli interessi di sicurezza nazionale

degli Usa come espressi da questa amministrazione.

Io avevo un problema con l’uso che gli Stati Uniti facevano delle ispezioni per

servire i propri interessi piuttosto che quelli della comunità internazionale che

aveva creato l’Unscom. Non volevo ritardare le ispezioni o farle a metà, il che

avrebbe dato agli Usa e agli altri un pretesto per prolungare le sanzioni

economiche, perché io - come altri americani – non ci tengo ad uccidere

bambini. (...)

Richard Butler (...) dovrebbe passare alla storia come uno degli esseri più

subdoli nella storia dell’Onu.

Questo è un uomo che passa per essere un funzionario internazionale, ma che

si è venduto fin dall’inizio agli Usa per poi mentire ripetutamente.

Butler ha fatto più di chiunque altro per distruggere l’Unscom.

Ha permesso che l’Unscom venisse usata dagli Stati Uniti e da altri per

raggiungere obiettivi che non avevano niente a che fare con il mandato del

Consiglio di Sicurezza.

Ecco perché mi sono dimesso. Io veramente non facevo parte di questo gioco.

Poi ho deciso di parlare pubblicamente perché sentivo che tutto ciò che

stavamo facendo andava nella direzione sbagliata.

Dovevamo tornare al mandato originario del Consiglio di Sicurezza, e poi

chiederci: "Funziona?".

Non prendetevela con noi - gli ispettori - facevamo il nostro lavoro.

E’ ovvio che gli iracheni non adempiranno mai alle richieste al livello che noi

pretendiamo da loro, quindi forse è tempo che il Consiglio di Sicurezza

riconsideri cosa vuole ottenere in Iraq.

Penso davvero che sia giunta l’ora di affrontare il disarmo dell’Iraq da un

punto di vista qualitativo.

Non c’è dubbio che gli iracheni stiano nascondendo qualcosa agli ispettori.

Nascondono disegni, progetti, alcuni componenti, materiale.

Io lo chiamo "materiale seminale". E’ quella roba che si può mettere sul retro

di un camion, portare in qualche fattoria, e poi a un certo punto la puoi anche

piantare e servirtene come base per ricostituire le armi.

 

Anche nei missili balistici ci sono componenti che possono in seguito venire

usati per costruire un missile, ma che in se stessi non costituiscono un missile

balistico operativo.

La capacità biologica e quella chimica non sono di per sé programmi di armi

chimiche o biologiche.

Se mi si chiede: "L’Iraq possiede armi chimiche o biologiche militarmente

efficaci?", la risposta è "No!". E’ un sonoro no.

"Può oggi l’Iraq produrre armi chimiche su scala significativa?" "No!".

"Può l’Iraq produrre armi biologiche su scala significativa?" "No!".

"Missili balistici?" "No!". E’ "No" per tutto il resto.

Quindi, da un punto di vista qualitativo, l’Iraq è stato disarmato.

Oggi l’Iraq non possiede capacità significative di armi di distruzione di massa.

Il pericolo sta nel perseguire questo sforzo di disarmo quantitativo.

Stiamo spingendo l’Iraq a non avere altra alternativa che ricostruire il suo

programma di armamenti. Perché?

Innanzitutto, l’Iraq ha di fronte il più potente nemico al mondo, gli Usa.

Non saranno mai in grado di tenerci testa in termini convenzionali. Mai.

L’unico modo in cui potranno avere un certo potere a livello regionale è con le

armi di distruzione di massa.

Poi, mentre noi ci fissiamo sull’idea di disarmare l’Iraq, ignoriamo il fatto che

l’Iran, suo vicino, è in procinto di costruire immensi arsenali di armi chimiche e

biologiche - compresi i missili balistici a lunga gittata - nonché di armamenti

nucleari.

Tutto ciò che stiamo cercando di togliere all’Iraq l’Iran ce l’ha, Israele ce l’ha.

L’Iraq è circondato da paesi che possiedono queste armi o si stanno

attrezzando per poterle possedere, e credo che quando si parla di disarmare

l’Iraq si dovrebbe ricondurre la discussione in un ambito regionale.

Ma questo ambito regionale manca in tutto quello che facciamo verso l’Iraq.

D. Lei ha usato la parola contenimento per definire la nostra politica in Iraq.

Dato quello che ha detto qui e che ha scritto nel suo libro, ovvero che l’Iraq

non ha la capacità di usare missili chimici, biologici o nucleari, perché vengono

mantenute le sanzioni?

R. Perché Saddam Hussein è ancora al potere. Puro e semplice.

(...) Quello che stiamo facendo è pazzesco. Del tutto pazzesco. specialmente

se si guarda indietro e si riconsidera il disarmo iracheno da un punto di

vista qualitativo.

Non hanno una capacità di costruire armi di distruzione di massa degne di

questo nome.

L’Iraq può essere usato in modo positivo per iniziare il disarmo regionale.

Bisogna far tornare gli ispettori in Iraq, e penso che gli iracheni li

accetteranno. Lo faranno.

Bisogna togliere le sanzioni. Ci può essere uno scambio immediato.

Abbiamo screditato la nostra autorità morale. (…)

 

Nota: Scott Ritter ha ribadito più volte le sue affermazioni (cfr. ad es.,

l’articolo "Going Nowhere on Iraq", pubblicato sul Boston Globe, 9 marzo 2000

e "Redefining Iraq’s Obligations: The Case for Qualitative Disarmament of

Iraq", Arms Control Today, June 2000).

Il 3 maggio 2000 è stato ascoltato dal congresso Usa, assieme a Denis J.

Halliday e Hans von Sponeck, ex coordinatori umanitari dell’Onu in Iraq.

 

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