settembre 2001

 

INTERESSI PERSONALI
di MASSIMO RIVA

repubblica.it

I DUE voti di Montecitorio, che hanno fatto deragliare la legge sulle rogatorie dai binari dell'alta velocità sui quali voleva farla viaggiare la lobby berlusconiana, aprono una speranza. Quella che possa essere risparmiata al nostro paese l'umiliazione di apparire agli occhi della comunità occidentale come il solito alleato ballerino e inaffidabile, che una cosa dice e un'altra fa: a conferma di quella purtroppo diffusa opinione secondo cui l'Italia non finisce mai le guerre dalla stessa parte dove le ha cominciate.
Ma il rischio che il paese si esponga a una vergognosa figuraccia internazionale rimane tuttora sospeso nell'aria, perché legato ai giochi interni di una maggioranza parlamentare che, almeno fino a ieri, si è mostrata del tutto prona e succube ai voleri del suo leader e benefattore, Silvio Berlusconi.
Ci vorrebbe, in questa situazione, un colpo d'ala. E l'unico che può darlo, per autorità morale e istituzionale, è il presidente della Repubblica. Dopo la tragedia delle Twin Towers, infatti, i governi del mondo civile si stanno mobilitando.

L'obiettivo è sia di rendere più rapidi e più efficaci gli scambi d'informazione nella lotta al terrorismo, sia di stringere i rubinetti di quei traffici internazionali di valuta nei quali sguazzano, appunto, terroristi e criminali di ogni specie. Non è pensabile che al Quirinale si possa tollerare che l'unica nota stonata in questo concerto sia proprio l'Italia. Dove il primo ministro, all'estero, si esibisce in spropositate e imbarazzanti dichiarazioni da combattente d'assalto ma, all'interno, preme per far approvare norme, come quelle sulle rogatorie, che disarmano magistratura e polizia nelle loro battaglie contro la criminalità economica. Il tutto, per colmo di disonore, con una serie di atti mirati al personalissimo interesse di Silvio Berlusconi, che punta a sottrarsi ad alcuni processi nei quali è inquisito per reati allarmanti sotto il profilo dell'etica pubblica.

Perché questa e soltanto questa - un salvacondotto giudiziario per il suo leader - sembra la vera ragione dello spasmodico interesse che ha spinto la maggioranza parlamentare a votare la legge sulle rogatorie in un testo abilmente rimaneggiato in favore di Silvio Berlusconi. Naturalmente, nessuno si sogna di immaginare che il capo dello Stato possa interferire coi lavori del parlamento. Ma una sua parola di riscatto della dignità nazionale potrebbe essere utile e benvenuta. Ieri in un'intervista al «Corriere della Sera» il procuratore generale di Ginevra - e la Svizzera non è mai stata uno dei paesi più severi in tema di reati finanziari - ha definito questa legge sulle rogatorie «una catastrofe per la giustizia internazionale». Parole gravi che feriscono l'immagine dell'Italia, alle quali lo stesso procuratore ne ha fatte seguire altre, più pesanti, esprimendo il timore che le rogatorie svizzere possano essere gestite a Roma da «un avvocato dei mafiosi».

L'Italia non sarà una repubblica delle banane, come ha detto Gianni Agnelli in difesa di Berlusconi durante la campagna elettorale. Ma ora sembra urgente e necessario che qualcuno levi alta la sua voce per dimostrare che non lo vuole nemmeno diventare. Tanto più perché l'incresciosa legge sulle rogatorie non è un caso isolato. Anche per la revisione del reato di falso in bilancio la bussola che ha guidato le mosse della maggioranza è stata quella di azzerare processi nei quali il solito e inafferrabile Berlusconi appare imputato in base alla normativa precedente. Mentre, sul piano del disarmo totale della giustizia, il cantiere governativo ha varato un'altra iniziativa ancora più devastante con il decretolegge sul rientro dei capitali. Ai riciclatori di denaro sporco, alle prese con l'incombente conversione dei loro contanti in euro, viene infatti spalancata una porta del tutto insperata attraverso la quale potranno ripulirsi soldi di mafia o di terrorismo, magari anche dei soci di Bin Laden. Perché se è vero che il decreto esclude dai suoi benefici i capitali riconducibili a condotte criminose, è altrettanto vero che esso non prevede alcuna efficace forma di controllo sulla provenienza del denaro. E così, l'anima è salva e la tasca pure: nel più tipico stile di un presidente del Consiglio che si sbattezza a proclamarsi amico dell'America, ma intanto si fa gli affari suoi. Stile che non è quello di tutti gli italiani e che chi tutti li rappresenta dovrebbe autorevolmente ricordare anche a chi ci guarda dall'estero, chiedendo la deberlusconizzazione di tutti i provvedimenti inquinati dagli interessi personali del presidente del Consiglio.

Iniziativa tanto più urgente perché proprio in queste ore Palazzo Chigi sta partorendo una legge sul conflitto d'interessi che rasenta il grottesco. A quanto si capisce, infatti, si tratta di una solenne idiozia costituzionale fondata sulla stravagante idea di surrogare poteri tipici del parlamento con il ricorso a una fantomatica Autorità «indipendente». La misura, già colma, sta traboccando: spetta al Quirinale impedire che la berlusconizzazione dell'ordinamento arrivi fino alla Costituzione.

 

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