settembre 2001
L'Italia d'improvviso si trova in uno stato
di isolamento internazionale
Il dovere del premier
di chiedere scusa
di ANTONIO POLITO
Da ieri l'Italia vive in un'inedita condizione di
isolamento internazionale. Non era mai successo, dalla nascita della Repubblica, che la
dichiarazione di un nostro premier ci provocasse all'unisono la condanna dell'Unione
Europea, la presa di distanza di Londra e Parigi, l'imbarazzo di Washington, la collera
della Lega Araba con richiesta di scuse formali, l'ira minacciosa della stampa islamica e
perfino una lezione di tolleranza religiosa da un improbabile maestro come Haider, leader
della destra più xenofoba d'Europa.
È un deficit culturale, prima ancora che un clamoroso errore politico, quello che ha
ficcato Berlusconi, e con lui il nostro paese, in questo pasticcio. Prima o poi doveva
accadere. Quando il nostro premier parla all'estero, chi lo circonda sta col fiato
sospeso. Danza sempre sul filo del disastro diplomatico, nella tensione estrema tra i
limiti personali e la rilevanza del ruolo, provando a riempire il "gap" con un
eloquio torrenziale ma approssimativo, che al contatto con la stampa internazionale si fa
esplosivo. La cura Ruggiero, purtroppo, sembra aver già esaurito i suoi effetti calmanti.
La Bbc ha attribuito ieri sera a fonti di Downing Street questo sferzante giudizio:
"Berlusconi si è comportato come un idiota."
Il premier di un paese non dà giudizi sulla "civiltà" di altri paesi. Civiltà
è "l'insieme delle caratteristiche materiali, sociali e culturali che identificano
un popolo", come dicono i dizionari. È dunque identità, quanto di più caro ci sia,
per noi e per gli altri. Gli "ulema" di Berlusconi si chiedono oggi dov'è lo
scandalo. Condividiamo con loro la consapevolezza dei rischi del "relativismo
culturale".
Non abbiamo dubbi che i regimi liberali siano superiori a quelli illiberali, che la
democrazia sia meglio della dittatura, la libertà meglio dell'oppressione, e la
tolleranza meglio dell'intolleranza.
Sappiamo che sono valori universali e siamo pronti a difenderli da ogni minaccia. Ma lo
scandalo è che Berlusconi non ha detto questo. Ha detto che la nostra
"civiltà" è superiore, e che questo sistema di valori "non esiste nei
paesi islamici" perché sono islamici. Ha dunque condannato l'Islam in blocco,
unificandolo per il suo credo religioso. Lo ha confuso con i Talibani. Ha profetizzato la
"conquista" da parte dell'Occidente di questi popoli, mettendo disinvoltamente
realtà profondamente diverse, la Turchia e l'Indonesia, la Malesia e il Kuwait, nello
stesso girone dei dannati della storia.
Ha offeso i milioni di islamici che vivono in Europa, convinti di poter essere europei e
musulmani allo stesso tempo. A quegli stessi fedeli di Allah Tony Blair, che certo non è
un tiepido sostenitore delle virtù dell'Occidente, ieri pomeriggio diceva a Londra,
rispondendo a una domanda su Berlusconi: "Chiunque abbia letto anche una parte del
messaggio del Corano sa che l'Islam è una religione pacifica". Identiche parole ha
usato il portavoce di Powell a Washington. Del resto, noi non parliamo di "terrorismo
cristiano", quando esplodono le bombe a Belfast. Né, trovandosi a Berlino,
Berlusconi poteva dimenticare che appena sessant'anni fa, nel cuore della civiltà
occidentale, si pensava e si praticava l'immenso orrore dell'Olocausto: l'antisemitismo è
un'invenzione cristiana, non musulmana.
Ma anche se il nostro premier avesse lo spessore culturale necessario per affrontare
materie così complesse, e per spiegare quel grande "giallo" della storia per
cui l'Occidente è diventato l'ambiente più adatto per il capitalismo e le sue libertà e
l'Oriente islamico ha preso un'altra strada, non avrebbe potuto scegliere momento politico
peggiore per lanciarsi in una tale riflessione. Le sue parole hanno colto Prodi in
un'altra moschea, quella di Bruxelles, circondato di ambasciatori arabi che chiedevano
spiegazioni.
Hanno colto la "trojka" europea al Cairo, dove tentava di convincere Mubarak che
la lotta al terrorismo non è lotta all'Islam, prima di recarsi a Damasco a fare la stessa
cosa. Berlusconi ha dato una picconata a quella coalizione internazionale che l'Occidente
sta tentando di costruire con i paesi musulmani per sconfiggere il terrorismo. Peggiore
servizio alla causa comune non poteva renderlo. Bush, che già ha dimenticato di
ringraziare l'Italia nel suo discorso al Congresso, ha ora una ragione in meno per farlo.
Infine, il presidente del Consiglio è venuto meno a un dovere d'ufficio, che viene prima
di ogni convinzione personale: ha esposto il paese a un danno potenziale per i suoi
commerci e per la sua sicurezza, indicandolo come target ideale di una rappresaglia. Ha
eccitato l'odio quando bisognerebbe predicare la comprensione reciproca. È certamente
esagerata e ingiusta l'accusa di "razzismo" che gli ha rivolto il segretario
generale della Lega Araba. Ma questo è il momento che vive il mondo arabo, e questi sono
i pericoli che si corrono se non se ne è consapevoli.
Che fare? Se Berlusconi avesse a cuore gli interessi dell'Italia più della sua immagine
personale, avrebbe un obbligo: chiedere scusa, ammettere di aver detto quello che non
pensa o di pensare ciò che non ha detto. Ma il silenzio ostinato e arrogante in cui si è
chiuso per tutta la giornata di ieri, straordinario per un "grande
comunicatore", lascia pensare che la confessione dell'errore non rientri nel bagaglio
morale del leader cristiano.
C'è un'altra via d'uscita. Il giudizio storico sull'Islam è fuori dalle competenze del
governo di turno, quand'anche - come è probabile - venisse corroborato da un rapido
sondaggino "pro o contro" i musulmani; e la regola di maggioranza non si estende
ai principi di tolleranza religiosa e convivenza pacifica su cui è fondata la nostra
Repubblica.
Se Berlusconi, parlando in quel modo, non rappresenta l'Italia, c'è un'autorità
superiore legittimata a parlare in quanto rappresentante dell'unità nazionale. Spetta al
presidente della Repubblica smentirlo.
(28 settembre 2001)
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