ottobre 2001 Tutto il greggio all'Islam - la parola d'ordine di Bin
Laden VLADIMIR Putin e Osama Bin Laden. Sono loro i due vincitori della guerra del petrolio che si combatte parallelamente a quella del terrorismo. Il presidente russo ha già incassato l'assenso americano a rimettere le mani sulla politica energetica dei paesi che un tempo costituivano la frontiera meridionale dell'Unione Sovietica. E' il prezzo pagato da Bush in cambio dell'alleanza russa nella guerra in Afghanistan. L'artefice del terrorismo globale è invece riuscito a imporsi come il vero interlocutore degli Stati Uniti nella contesa sul controllo delle risorse petrolifere del Golfo, le più importanti del pianeta. Ormai è chiaro che l'esito della guerra del terrorismo deciderà le sorti di due terzi delle riserve petrolifere mondiali custodite nel sottosuolo del Golfo. L'amministrazione Clinton aveva tentato di tenere fuori la Siria, e anche l'Iran, dai flussi di greggio e di gas del Mar Caspio e del Caucaso. C'è stata una fioritura di progetti per trasportare il greggio e il gas del Turkmenistan, Azerbaigian e Khazakistan verso il Pakistan, la Turchia e la Cina. Ma alla fine gli unici due progetti che si sono concretamente realizzati sono il Blue Stream dell'Eni, il gasdotto che dalla Russia sfocia in Turchia passando per il Mar Nero, e il Cpc (Caspian pipeline consortium) che collega il Khazakistan alla Russia. I tentativi di tener fuori la Russia sono falliti economicamente prima ancora che politicamente sia perché la Russia è la via più economica per gli oleodotti sia perché le compagnie petrolifere americane si sono rifiutate di rischiare in proprio per assecondare dei progetti politici. Può apparire strano ma oggi i principali attori petroliferi nel Caspio e nel Caucaso sono gli italiani e gli inglesi mentre gli americani sono solo terzi. Ecco perché è verosimile che a questo punto l'America
concentrerà tutto il suo impegno per garantire la continuità del controllo del petrolio
del Golfo che, oltre ad essere quantitativamente di gran lunga più importante, è anche
meno caro. La sfida lanciata da Bin Laden è la minaccia più seria che l'America è
chiamata ad affrontare. La posta in gioco è il controllo dell'economia mondiale la cui
linfa vitale è appunto il greggio. «La presenza delle forze militari americane crociate
negli Stati del Golfo islamico è il più grande pericolo che minaccia le più grandi
riserve di petrolio del mondo», ha detto Bin Laden in una dichiarazione del 23 agosto
1996, «questa presenza provoca la reazione del popolo e costituisce una aggressione per
la loro fede, il loro onore e la loro sovranità, e questo li ha costretti alla Jihad
armata contro gli occupanti». Parla da consumato statista il Bin Laden che prefigura il possesso del più ricco forziere naturale della Terra. E' lui l'erede dell'egiziano Nasser che per primo osò sfidare la superpotenza americana e incitò le masse saudite a rivoltarsi contro la famiglia reale, legando il riscatto della nazione araba al controllo delle risorse petrolifere. Nasser la sua battaglia la perse e sulla scia della cocente sconfitta del 1967 esplose il movimento islamico di cui Bin Laden è il nuovo profeta. Ora tocca a Bin Laden, anche per lui è giunta l'ora della resa dei conti.
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