E se fosse il nuovo Paolo Conte? È un avvocato mancato. Compone canzoni raffinate, tra jazz e bossa nova, Tenco e Beethoven. E ricorda un grande della musica.
"Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino" canta lui, prendendosi in giro. Ma piccolo non è: né d'età, né di statura, né di talento. Anche se solo oggi, a 40 anni suonati, di cui 25 dedicati alla musica, Sergio Cammariere sta finalmente acchiappando il successo. Il suo nuovo cd, Dalla pace del mare lontano, è stato recensito entusiasticamente dai giornali più diversi, da Rockerilla al Corriere della sera, e viene trasmesso da tutte le radio: fra i pezzi più gettonati, quello che dà il titolo al disco e una straordinaria versione di La mer tradotta da Pasquale Panella. Ma il meglio Cammariere lo dà dal vivo. I suoi concerti sono uno spettacolo, soprattutto per come suona il pianoforte: agitato come Keith Jarrett, swingato come Paolo Conte, palesemente innamorato del suo strumento. Che musica fa questo artista scoperto da critici e intenditori già dal 1997, quando vinse il premio Tenco come migliore esecutore e interprete? Quella che può uscire dalla testa e dalle dita di un autodidatta con una vastissima cultura musicale, che ama Beethoven e Bill Evans, Debussy e Tom Jobim, Art Tatum e Charles Trenet. Ma anche Luigi Tenco, Gino Paoli, Fabrizio De André. Nato a Crotone, ma vissuto fra Firenze e Roma dagli anni dell'università (è un avvocato mancato), Cammariere ha cominciato a studiare musica da piccolo, sotto la guida di un maestro: prima con una melodica soprano (strumento a fiato su due ottave), poi al pianoforte. Ma ben presto ha continuato per conto suo: suonando e ascoltando molto, all'inizio, quasi esclusivamente musica classica e affinando quella "geometria armonica" che gli permetteva di riprodurre perfettamente brani ascoltati anche una sola volta. "Non ho mai frequentato il conservatorio ma ho studiato solfeggio" spiega. "Lo spartito mi serviva per controllare se quello che suonavo corrispondeva effettivamente a ciò che l'autore aveva scritto". Se a Crotone si esibiva, ragazzo prodigio, nel teatro cittadino, a Firenze e a Roma suonava, anonimo studente, nei piano bar, dove accanto ai successi del momento cominciò a proporre cose "strane" per l'epoca: jazz, soprattutto, standard di Cole Porter, Duke Ellington, Hoagy Carmichael; ma anche vecchi pezzi di cantautori allora fuori moda (Tenco, soprattutto), brani di bossa nova sconosciuti ai più. E cose sue, scritte con l'amico poeta-musicista Roberto Kunstler, che metteva (e continua a mettere) le parole sulle note di Sergio. A Roma, grazie a un efficace passa- parola, Cammariere diventa un personaggio molto conosciuto e apprezzato dal pubblico dei locali jazz e da giovani musicisti che incontreranno il successo prima di lui: Vinicio Capossela, Alex Britti, Max Gazzè, Daniele Silvestri. Amici ancora oggi: nel disco, le chitarre sono suonate da Britti. Negli anni Novanta scrive anche colonne sonore (Quando eravamo repressi, di Pino Quartullo) e fa qualche particina in film non memorabili: quella faccia strana (naso affilato, capelli ricci, baffi spioventi) e quel fisico lungo e secco ne fanno un apprezzato caratterista. Ma il suo mondo è la musica. Al Locale di via del Fico a Roma (un Folkstudio degli anni Novanta) si esibisce con ottimi strumentisti jazz che ancora oggi lo accompagnano: in particolare Luca Bulgarelli al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria ("La mia famiglia" dice di loro). E registra un minicd, Tempo perduto, che vende niente ma non passa inosservato. Poi la svolta, nel 1997, con il premio Tenco, la borsa di studio che gli permette di sperimentare nuove armonie e perfezionare la tecnica pianistica. Infine, l'incontro decisivo con Biagio Pagano, boss di una piccola qualificata casa discografica, la Via Veneto Jazz, che nel marzo 2001 gli fa incidere Dalla pace del mare lontano e, subito, lo propone alla Emi, che mette Cammariere sotto contratto e ripubblica il cd. A novembre, di nuovo al premio Tenco, questa volta come ospite. La sua esibizione viene accolta da una salva d'applausi. E dai complimenti di quei cantautori, Paoli Gino, Jannacci Enzo, Endrigo Sergio, Lauzi Bruno, davanti ai quali si sente "piccolino". Valeria Gandus (da Panorama del 29/3/2002 )
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VIDEOMUSICA SERGIO CAMMARIERE di Cristiano Fattorini I mestieri della musica (quinta puntata): incontro con Sergio Cammariere Una sera di quattro anni fa, durante un suo concerto sul palco de "Il Locale" di Roma, si ritrovò accanto Lucio Dalla nelle insolite vesti di sassofonista e percussionista. Da quel momento si rese conto che qualcosa probabilmente stava cambiando nella sua vita. Qualche mese dopo avrebbe vinto come "miglior rivelazione" il Premio Tenco '97, raccogliendo i primi frutti di una gavetta lunga, cominciata con il pianobar e proseguita con la TV e le colonne sonore (otto), da Crotone a Roma passando per Firenze. Sergio Cammariere, a quarant'anni può salutare finalmente l'uscita del suo primo album, in cui si ritrovano brani spesso proposti dal vivo e canzoni più recenti. Il cantante pianista calabrese, paragonato di frequente a Paolo Conte e a Vinicio Capossela, è conosciuto soprattutto per il gran numero di concerti che tiene da diverso tempo ormai in tutta Italia e che hanno fatto da traino al cd uscito dopo l'estate scorsa e distribuito nei locali dalla Via Veneto Jazz, già alla seconda ristampa. Ora la Emi si propone di far conoscere "Dalla pace del mare lontano", questo il titolo dell'album, ad un pubblico più vasto, incoraggiata anche dalla recente esibizione di Cammariere al Tenco 2001 (proposta dalla Rai, ben oltre la mezzanotte!) e da un interessamento sempre più consistente da parte della critica. Il mondo sonoro di Cammariere è alimentato da un amore profondo per la bossanova, il jazz ma soprattutto per il pianismo classico. Lui stesso è esecutore eccellente, pur essendo completamente autodidatta, collezionista accanito di dischi di Schubert, Chopin, Beethoven, che non a caso di fronte al suo imminente cambio di casa sono l'ultima cosa da inscatolare, con cura maniacale. Ma le sue canzoni risentono di altri amori come Charles Trenet; nel disco infatti compare una versione di "La mer" col testo italiano di Pasquale Panella, e di assonanze con grandi come Paoli (a proposito di Paoli, ascoltare l'autoironica "Cantautore piccolino"), De Gregori, Tenco. Dicevamo dei concerti, momenti cardine dell'attività del nostro, presenza quasi fissa a Roma all'Alexanderplatz e La Palma, ma anche a Firenze, dove ha vissuto da universitario. Ascoltare un'esibizione di Cammariere è un'esperienza insolita, niente campionatori, né tastiere, né chitarre elettriche. Sul palco solo strumenti acustici, il contrabbasso di Luca Bulgarelli, la batteria di Amedeo Ariano, le percussioni di Simone Haggiag e naturalmente un pianoforte ed un microfono. In alcune occasioni speciali l'apparizione di ospiti di lusso come Fabrizio Bosso, che suona anche nel disco, sublima le melodie seducenti di Cammariere e le parole del poeta Roberto Kunstler, da sempre spalla fondamentale. Che tipo di gavetta è stata la tua? "Le prime cose che ricordo sono il mio primo provino a quattordici anni, per suonare in un grande albergo di Crotone, dove sono nato e cresciuto, naturalmente accompagnato da mio padre. L'esito fu positivo. E poi quando ero a Firenze e mi spostavo tutti i giorni per raggiungere Livorno dove provavo con una big band che avrebbe dovuto esibirsi in Medio Oriente. All'epoca il Libano era il paradiso per i musicisti. Con il telex comunicavamo con un signore egiziano che era il nostro committente, ma la guerra bloccò tutto e non se ne fece nulla. E poi quando a Roma "entrai" nella mondanità, quella dell'ambiente politico del Tartarughino, quando questo locale - assieme alla Cabala - era il fulcro del pianobar capitolino". Ma come hai conosciuto la musica? "A sei anni un mio zio mi regalò una clavietta (una sorta di melodica n.d.r.); grazie a questo strumento capii i primi elementi dell'armonia, tanto che poi mettermi al pianoforte è stato assai naturale. Ad un compleanno suonai l' "Ave Maria" di Schubert e tutti rimasero colpiti. La mia famiglia ha sempre rispettato questo mio amore sebbene il mio primo pianoforte l'abbia comprato a sedici anni con i primi risparmi delle serate. Ecco, ho sempre cercato un'indipendenza economica dai miei, anche facendo lavori diversi, come a Firenze dove lavoravo in un bar". Cosa credi abbia maggiormente catturato la tua attenzione, da piccolo, fra i vari aspetti della musica? "Come dicevo prima, più che dalla melodia ero attratto dall'armonia, ascoltavo con attenzione i pezzi dei Beatles che, in effetti, nascevano da un tappeto armonico, basti pensare a "Let it be" ed "Hey Jude". Mi ricordo che uno dei primi concetti armonici che ho fatto miei è stato quello della differenza tra la terza minore e la terza maggiore". Nelle tue canzoni è spesso presente il mare. Che rapporto hai oggi con la tua città, Crotone, affacciata sullo Jonio? "Ogni volta che torno si compie un rito; passato, presente e futuro si fondono insieme. Ed è così anche per il mare, il cielo e la terra. Mi rigenero, stando lì parte il mio futuro quel mare mi manca! Quando ero piccolo mi aiutò molto l'ascolto del mare perché avevamo una casa a pochi metri dalla riva e mi addormentavo con questo suono nelle orecchie. Arrivavano spesso dei pescatori che portavano il pesce fresco. Avrò avuto sette anni e mia madre mi esortò a fare un giro con loro. Vidi piano piano il mondo al quale mi ero abituato, da un altro punto di vista. Prima con un senso di paura e poi con la consapevolezza che prima o poi avrei lasciato quella terra. Vedevo improvvisamente tutto con un distacco nuovo". Il panorama italiano della musica leggera vive ancora oggi di un luogo comune per il quale non è richiesto ad un cantante di essere anche un musicista tecnicamente dotato. La tua anomalia risiede appunto nel fatto che tu sei un bravo pianista classico e conosci molto bene il piano jazz, pur facendo canzoni. "E' un melting pot che deriva dalla mia capacità di riuscire a suonare con facilità quello che ascolto. E così quello che mi è piaciuto entra nel mio mondo musicale. La musica classica resta in testa perché pianisti come Rubinstein, Horovitz e Glenn Gould non si dimenticano. Lo stesso per il jazz dove Art Tatum, Bill Evans e Keith Jarrett sono riferimenti forti. Una giornalista mi ha definito "il Keith Jarrett della musica italiana". In effetti nei miei concerti alcune introduzioni ricordano soluzioni del pianista americano. E poi amo improvvisare, prolungare gli intro, giocare con gli ospiti che possono essere di volta in volta Fabrizio Bosso alla tromba, Daniele Scannapieco al sax o Olen Cesari al violino". Ci parli di come lavori con Roberto Kunstler? "Insieme lavoriamo affinché il suo mondo poetico, i suoi aforismi, possano diventare un testo cantabile, seguendo una metrica adattabile al pezzo. Nel caso di "Tempo perduto" esistevano questi versi: "Tempo perduto tempo, Piazza Navona come altri cento" poi da lì abbiamo scavato a fondo, io ho avuto l'idea di fare un brano in cinque quarti e abbiamo scritto tutto il testo. Ma a volte naturalmente, sono anch'io a fornire idee per un nuovo brano. In genere si parte da una cellula piccola per svilupparla". Quest'anno il Premio Tenco è stato dedicato a Sergio Endrigo. Anche tu hai partecipato cantando un suo pezzo celeberrimo, "L'Arca di Noè" "Quando Enrico De Angelis (direttore artistico del Premio Tenco n.d.r.) mi ha chiamato gli ho detto che amavo soprattutto "Viva Maddalena", "L'arca di Noè", "Io che amo solo te" e "Canzone per te". Ma tra queste c'erano canzoni già assegnate ad altri artisti, così lui mi ha inviato sei cd di Endrigo affinché potessi avere maggiori possibilità di scelta. Di centoventi brani ne ho scelti sessanta! Incuriosito, sono andato all'archivio Rai dove ho scoperto che Endrigo ha cantato pezzi di Vinicius De Moraes e che ha realizzato un disco con il poeta Giuseppe Ungaretti. A quel punto volevo fare "Chi sei", pezzo di atmosfere jazz, ma alla fine è stato giusto così. "L'arca di Noè", canzone tra l'altro ecologista, è un brano che già era stato sul palco dell'Ariston e poi in questo momento, secondo me, c'è bisogno di riferimenti biblici. Anche prendendo i pezzi di Dylan, si ritrovano spesso riferimenti religiosi". Dopo ogni serata del Tenco sappiamo che in un ristorante di Sanremo si susseguono imprevedibili jam session "Sì, è vero quest'anno ho suonato con Irene Grandi che ha cantato "Estate" di Bruno Martino. Poi ho suonato la chitarra con Stefano Bollani che è uno dei migliori pianisti jazz italiani. In generale amo gli scambi con altri artisti. In questa casa, che lascerò dopo tanti anni, sono passati Bruno Lauzi (grande amante di James Taylor) e poi degli amici come Alex Britti e quel bravissimo bassista di nome Max Gazzè". Tu nove anni fa hai lavorato per l'album con Roberto Kunstler "I ricordi e le persone" assieme ad un grande produttore, Vincenzo Micocci; qual è stata la sua lezione? "Lui mi diceva, per quanto riguarda il lavoro sui testi: "Ricorda, l'importante è far rotolare le parole". Il testo quasi non va pensato, ma deve venir fuori con la maggiore disinvoltura e naturalezza possibile. Ed oggi forse mi rendo conto di essere arrivato a questo, con in più la risposta delle voci che creo al piano in una sorta di scontro incontro tra parole e strumento". Per chiudere, da grande ascoltatore quale sei, cosa consiglieresti ad un ragazzo che vuole avvicinarsi alla musica classica o al jazz? "Assolutamente tutte le "Sonate" di Beethoven, il mondo di Bach, Chopin nelle versioni di Rubinstein. Trovo bellissimi Debussy, Ravel, Mahler e fondamentale Stravinsky per poi avvicinarsi al jazz. E qui segnalerei Monk, Bill Evans, Oscar Peterson e naturalmente Keith Jarrett. Infine uno che ho amato molto è stato Joe Zawinul, di cui ho scoperto dei dischi di piano solo davvero fantastici!" |
BIELLE (BRIGATA LOLLI) INTERVISTA A SERGIO CAMMARIERE - Quale e' stato il tuo approccio alla musica? Da bambino uno dei miei giochi preferiti era riconoscere dopo pochissime battute il titolo della canzone che girava sul giradischi. Era una specie d'intuito particolare, ancora oggi me lo ricordano i miei parenti. Rimanevano incredibilmente sorpresi quando riuscivo ad indovinare tra centinaia di 45 giri, titolo, cantante e melodia . Il "trenino musicale" e' stato il mio primo gioco ed il vero approccio con qualcosa che esprimesse note. Un pomeriggio, all'inizio degli anni '60, mio cugino Francesco porto' a casa questo magnifico "trenino" che aveva di speciale un omino sulla locomotiva con un martello che, al suo passaggio, picchiando su uno xilofono colorato posto tra le rotaie, suonava delle vere e proprie melodie. - La musica come un gioco... ma il passo verso la composizione non sembrerebbe cosi' breve... Il gioco consisteva nel seguire una partitura molto ma molto particolare: ogni nota aveva un suo colore ed ogni melodia era una serie di colori... Il trenino passando suonava un refrain di una canzone americana, una specia di loop circolare. E' cosi' che ho cominciato a comporre da giovanissimo le prime cose: giocando col trenino! - E successivamente? Questa mia attitudine convinse tra l'altro mio zio Michele durante uno dei suoi viaggi a Roma a compiere l'atto iniziatico: regalarmi il primo strumento: una Melodica Soprano Honner. Non so precisamente cosa sia successo, ma da quel momento in poi tutte le melodie che piu' mi piacevano le suonavo su quelle due ottave! Ero veramente piccolo, ma credimi: credo di avere avuto un grande dono! Quello di capire in fretta il mistero geometrico dell'armonia! - E l'incontro con l'insperabile, nonostante le dimensioni, pianoforte? Le cose andarono cosi': all'eta' di 7 anni durante un compleanno mi ritrovai a tu per tu con il primo pianoforte della mia vita. Quel giorno suonai l'Ave Maria di Schubert destando stupore e meraviglia tra tutti! Anch'io non so spiegarmi come sia successo ma e' stato tutto molto naturale come se il pianoforte lo suonassi da sempre. Saper suonare il pianoforte senza averlo mai studiato l'ho sempre considerato un dono divino. - Su quale musica hai costruito la tua formazione artistica? Ho passato pomeriggi interi durante la mia adolescenza ad ascoltare Beethoven e Bach provando poi a risuonarli. E' cosi' che ho studiato il pianoforte. Credo che l'ascolto dei grandi interpreti come Arthur Rubinstein (Beethoven), Glenn Gould (Bach) e Benedetto Michelangeli (Debussy) mi abbiano completamente plasmato. Ovviamente mi piaceva anche il Rock. All'inizio degli anni '70 ascoltavo gruppi come i Deep Purple o i Black Sabbath; poi Pink Floyd e i Genesis: un brano di quest'ultimi ("Firth of Fifth" sull'album Selling England By The Pound che aveva una lunga overture di pianoforte) divento' uno dei miei cavalli di battaglia! Ovunque suonassi a un certo punto partiva l'intro di Firth of Fifth o Honky Tonky Train Blues o Let it be (erano successi garantiti!). A 18 anni ho lasciato Crotone per Firenze per frequentare l'Universita'. Era il 1979 e tra le suonate in Piazza della Signoria e la mensa universitaria la voglia di studiare era veramente poca. Per sbarcare il lunario ho cominciato a suonare in una pizzeria, lo Yellow Bar in Via del Proconsolo. Suonavo un paio d'ore un piano a muro mentre la gente mangiava. Mi pagavano quindicimila lire a sera con la possibilita' di scegliere se mangiare pizza o una paglia e fieno. La mia vita era molto intensa, prendevo tutte le mattine il treno per Livorno, facevo le prove con un'orchestra, tornavo a Firenze e suonavo allo Yellow. In quegli anni ho incontrato tanti chansonnier come Enzo Scianna e Giancarlo Chiari che mi hanno insegnato gli standards, la bossanova e il mestiere. E cosi' ho cominciato a cantare e a scrivere le mie prime canzoni. - E cosa ascoltavi? Ascoltavo Frank Sinatra, Ella e Louis per contemplare gli standards, ma anche Tony Bennett e Mel Torme'. L'opera di Gershwin, Rodgers - Hart, Carmichael ma anche Jobim, Vinicius e Joao Gilberto mi hanno veramente influenzato!! Gli anni '80 li ho passati suonando tutte le sere nei locali e ascoltando appena potevo I Grandi della Musica senza riuscire quasi a fare nient'altro. Ho comprato veramente pochi dischi in quegli anni... Erano gli anni in cui alternavo la Suite Bergamasque o i Preludi di Debussy al Bill Evans Trio (La Faro, Motian),le Gimnopedye di Satie al Koln Concert e Facing you di Jarrett, la Pavane, il Concerto in Sol di Ravel ai Wheather di Zawinul, l'Uccello di Fuoco di Stravinsky e l'Enigma di Elgar ai Return to Forever di Corea... Essendo poi un'anima rock prediligevo l'ascolto costante delle Sonate o dei Quartetti di Beethoven (per non parlare della Quinta e della Nona). - Nonostante ti definisca "anima rock", sembra chiaro che la musica classica abbia avuto una notevole importanza nella tua vita. Ci tengo molto a precisare che sono ferventemente un beethoveniano appassionato! La musica di Mozart non mi ha mai esaltato e mi sono spesso imbattuto in dibattiti accesissimi con convinti Mozartiani sul fatto che la genialita' di Ludwig fosse unica, irripetibile e progressiva mentre quella di Mozart mielosa, ripetitiva e senza estro, quindi regressiva!! Un altro aspetto fondamentale e' stata l'evoluzione che da Beethoven mi ha portato direttamente ad ascoltare le sinfonie di Brahms per poi arrivare alla Quinta e all'Adagio della Decima di Mahler e finire nel Tannhauser di Wagner... E' tutto legato ... si segue l'evoluzione dell'armonia perfettamente... Non ci sono operette di mezzo... Posso affermare che una delle rovine della musica cosiddetta colta sia la Musica Operistica. Non ci ho mai trovato niente di significativo (musicalmente parlando) e poi non sopporto il suono straziante di una soprano (e' piu' forte di me!!). Ho apprezzato molto il canto nella musica sacra, nei corali e nelle cantate di Bach o nell'Inno alla Gioia della Nona, ma oltre (tranne forse qualche Lieder) no. Trovo sia deleterio... Io la chiamo l'Amusica, cioe' il suo contrario. - Musica istintuale, che ti e' nata dentro come una profezia... Ho sempre pensato al suono come l'espressione della cosa in se'. Il parlare musicale... il parlare immediato! Per questo nel mio ultimo disco ho pensato piu' al "suono" delle parole e allo sviluppo della cosiddetta sintesi metrica/armonica... - Sembra essere assente qualsiasi contatto con la realta' musicale italiana, pero'... E poi l'incontro con i cantautori. Quello che pensavo lo dissi in occasione della mia presenza al Premio Tenco nel '97. La sera prima sul palco dove avrei dovuto suonare, aveva cantato Fabrizio De Andre'. Ero emozionatissimo ma riuscii a dire due cose fondamentali: che il mio grande ispiratore e' Luigi Tenco e che la mia presenza all'Ariston fosse per me una sorta di passaggio mistico, dove lo scopo del vero artista e' quello di lasciare un'impronta del proprio spirito. Dissi che la Musica pura non ha bisogno della rappresentazione, che non e' mediata dalla volonta', che in pratica l'unico modo per rappresentare oggi canzoni d'autore avvicinandosi piu' possibile alla Musica pura, fosse quello di creare l'evento musicale: cioe' quella cosa che nasce tra l'artista che racconta le cose e il pubblico, dove musica e' elemento unificatore nel linguaggio spirituale. Parlai del significato della musica considerato un punto di vista occulto. Parlai della Musica delle Sfere Pitagoriche. Parlai del Tempo nel Tempo che la melodia non e' altro che un susseguirsi di note in un Tempo. Quella sera cantai Tempo Perduto, Per ricordarmi di te, Cantautore Piccolino, Io so e Dalla pace del mare lontano. A un certo punto nel mezzo di "Io so", fermai tutto e col pianoforte iniziai a eseguire una serie di progressioni e di invenzioni sul tema che sono nate li', solo in quel momento, per quel pubblico li', in quel presente. - Classica, Beethoven, Rock, e anche Cantautori Italiani... Quali sono i tuoi ricordi legati agli artisti della nostra penisola? Il primo cantautore che ho visto dal vivo e' stato Angelo Branduardi in una palestra a Crotone. Il concerto era organizzato dalla scuola, era il 1973 e avevo tredicianni. Angelo aveva scritto o meglio tradotto da poco una canzone dal titolo "Le confessioni di un malandrino" completamente ispirata da una poesia di Esenin. Il risultato era bellissimo. La stessa cosa e' accaduta nel giugno del '92 con Roberto Kunstler. Lui leggeva in quel periodo "La persuasione e la rettorica" di Carlo Michaelstadter e una poesia dal titolo "I figli del mare" dello scrittore scomparso ispiro' la nostra "Dalla pace del mare lontano". In questa canzone si sente fortemente un'aria epico-evocativa ma soprattutto quella ricerca del Mito, l'ansia di svelare il trucco che regge la realta' e la necessita' di creare nuovi universi. In altri brani questa componente letteraria, greco-mitologica, si sente molto: Canzone di Priamo, Cambiamenti del mondo, la stessa Tempo Perduto e ultimamente l'Assetto dell'Airone. I cantautori genovesi, Brel, Ferre', Guccini, De Gregori sono la mia scuola cantautoriale. La risposta e' chiusa nell'inizio di una nuova canzone dal titolo Oggi: "Oggi e' un sentire diverso, di voci e di suoni, di stupide rime in dialetti lontani, richiami del sentito di gia'... Vorrei chiudere questa intervista citando T. W. Adorno: < Il concetto della musica leggera e' situato nella zona torbida dell'ovvieta'. Ognuno sa che cosa deve aspettarsi quando accende meccanicamente la radio, e cio' sembra liberarlo dal por mente alla natura di quel fenomeno: che diventa un dato da accettare, quasi immutabile...>. |