Guccini è Guccini. Può permettersi di uscire ogni quattro anni con un cd e, nel frattempo, pubblicare qualche riedizione live. Così, qualche anno fa decisi di regalarmi, a richiesta, l'emozione di un concerto. Nulla da dire: fra il geniale, il sublime ed il cabaret. Dal vivo Guccini è ancora più accattivante, ancora più mostro. "Scirocco" era il pezzo più coinvolgente della registrazione. Un'esecuzione cui voce ed arrangiamento avevano regalato tutta la nostalgia e lo struggimento della milonga. Ascoltavi e ti montava una sensazione sconosciuta, una dolcezza sofferente, pura, ingiustificata e viscerale. Una specie di malinconia orgasmica. Però, attaccato alla canzone c'era il suo grazie. Con tanti punti esclamativi, gridato, istrionico, narcisistico e distante. Non poteva essere quello di chi fino a qualche secondo prima cantava una tristezza che era anche la tua. Era un grazie avaro, in cui nessuno del pubblico sarebbe mai entrato. Da quel momento fui io ad essere grata a lui: m'aveva ricordato che siamo tutti degli schizofrenici e che l'anima bisogna far finta di regalarla. Sennò restiamo noi senza. Così nell'ultimo lavoro di Sergio Cammariere: non mi va di chiedermi dove finisca l'artista e dove cominci l'uomo. Non è importante, serve solo ad attivare il gioco delle proiezioni masochistiche che ci portiamo dentro. Le canzoni sono solo canzoni, è appena un caso se una voce od una melodia t'arrivano all'anima. Chi canta se ne frega di te. Nemmeno sa che esisti. Per cui, anche in questo caso, bisogna parlare solo del lavoro, di ciò che esso evoca. Della sottile rete che vissuto ed immaginario riescono ad intrecciare. E di cui chi lo propone, non è responsabile. "Dalla pace del mare lontano" dice tutto, già nel titolo. O quasi. Racconta anche qualcosa che pertiene al mondo delle sensazioni indefinite: parla di un uomo che diventa la sua musica. Il che, comprende ma esclude anche, le capacità d'interprete, d'autore e d'esecutore. E' un'altra cosa. Colui che si trasforma ed esiste in quello che fa non è un uomo, è un esteta, uno che opera in vista della perfezione. E che non si concede debolezze e non si permette emozioni. Tutti i pezzi allo stesso livello, tristi od allegri, conciliati od inquietanti. Cammariere è un veicolo. Un buon conduttore d'elettricità. L'orecchio educato vi ritrova un po' di quella scintilla divina di cui, il sacro terrore della retorica, impedisce di parlare. Il profano, fruitore medio, sa solo godere di una sintesi inconsueta fra quelle note e quelle parole. Con la presenza medianica di una voce che sa farsi strumento. Corde vocali che vibrano in una realtà che ti piacerebbe restasse solo onirica. Quasi vorresti non conoscerne il volto, ignorare che è la voce di un uomo. Perché quella di Cammariere è una vocalità senza tempo, un'eco antica. Calda, da consapevolezza in itinere, da percorso interiore cominciato. Gli esteti qualche volta si arrendono all'umanità. E non è un caso che i testi di Roberto Kunstler si siano trovati nelle melodie di Sergio come un baco nel bozzolo. Quei due insieme volano. Le anime possono parlare lingue diverse e servirsi di codici differenti, è il sentire da artista che è comune connotazione esistenziale. Tutti i brani esplorano un'identità sospesa al filo del rapporto a due. Ricetta antica e sempre efficace. Gli ultimi tre brani sono più facili ma non meno gradevoli, e, comunque, bei pezzi da virtuoso, pari pari. "Sorella mia" è la canzone d'apertura. Un pianoforte volitivo, passionale, quasi violento, ti catapulta nel mondo artistico di Sergio. O capisci subito che aria tira o sei fuori da tutto il disco. Poi arriva la voce. Sommessa e carezzevole. Una volta di più vorresti non associare quello che senti ad un volto. Vorresti credere. E vivere quella dimensione d'amore iniziale che essa racconta: quella del sentimento che è solo donazione. E che in fondo, non lo è mai. La poesia è sogno, la vita n'è ben lontana. In unità d'atmosfera, concettuale ed emozionale, "Tempo perduto". Un participio che non sottende perdita ma non ritrovamento. Estraniazione spazio-temporale conseguente all'innamoramento. Gli effetti di una sindrome. Una sensazione nella quale tutti i mortali s'imbattono e per la quale, diventano immortali. Fosse anche per un giorno solo nella vita. E' il momento del tempo individuale, quando gioia e dolore intorno, non esistono. Quando l'universo s'allarga fino a comprendere te e l'altro. Come il diciotto politico all'università, il minimo garantito per ogni essere umano. Almeno una volta. Per tutti. Poi passa, anche se si resta insieme. Peggio. Il tempo "ritrovato" è quello dei saggi e dei noiosi. Quello di chi decide d'ammazzarsi, un pezzetto al giorno. A piccole dosi, per restare un brav'uomo. Perché, magari, si hanno dei valori, di quelli che non destabilizzano la vita e costringono a non rispettare nè sè nè l'altro. A trascinare tutto nella sicurezza stanziale della normalità. Ma questo la canzone non lo dice. "Cambiamenti del mondo" è il quarto pezzo, un bel carpe diem in forma melodica. Un invito a guardare la storia come una realtà fluttuante, nella quale miti e simulacri variano, di latitudine in latitudine e di giorno in giorno. "Quello che mangi tu e vendi tu quasi quasi m'appartiene, quello che vendi tu e mangi tu è solo sangue nelle mie vene". L'altro, nella condivisione sia pure fuggevole,  dell'innamoramento, resta una realtà immanente, l'unica. Piccola e cinica, però vera. Sangue, sensi, fisicità e, qualche volta, sentimento. Sono un programma di minima ma, almeno, a portata di mano. Un quotidiano ridotto ma, tutto sommato, vincente. Distante, dunque, da un tema poetico eterno quale è il mare. Immensità che può anche starti stretta, non bastarti più perché, come l'acqua, siamo un fluire costante. Oggi non possiamo più essere quelli di ieri. A volte non ci riusciamo. Ciò che un po' di tempo fa riempiva l'esistenza, al presente non può più  bastare. Il mare come un amnios che spinge fuori, lontano, verso l'esperienza. "Via da questo mare". Almeno finché non serva a dare la pace, invocata dal brano che dà il titolo all'album. Una distesa azzurra che non porti via il dolore e l'ingiuria del quotidiano, non mantiene le promesse. "Dalla pace del mare lontano" è incalzante, solenne, mozzafiato. Atavica e senza pietà come i ricordi. Diversa dalla variazione sul tema di Trenet, nella traduzione di Panella. Di più leggera trattazione e d'impianto rassicurante, "Il mare" è visto nei suoi ritorni, quasi ritmici. Nei flash-back della memoria che si affacciano come alghe nella marea. Un riconoscimento alla grande canzone d'autore. L'anima, liberata dalle catene della nostalgia, s'esprime, però,  in "Apri la porta" e "Per ricordarmi di te". I versi, scarni. Intransigenti nella loro nudità. Icastici, privi di mediazione da sensi di colpa.  Esattamente il contrario di quanto facciamo ogni giorno. "Prima o poi, tu saprai, la verità non è una, ma qualcosa che si muove da infinite possibilità d'errore. Nacque un giorno così, fra noi l'amore". Come a dire che la mancanza di certezze, se condivisa, può diventare riferimento. Credere in nulla, ma che sia un nulla a due, è qualcosa. Se si è innamorati, poi, diventa tutto. E, finché dura, dura. Perché le storie finiscono, si esauriscono. Sfiatano quasi per legge di natura, appena l'altro diventa nostro. Ci si può lasciare dolcemente, salvando  quello che di buono c'è stato e rimuovendo le amarezze.  "...perché stanotte è la mia e devo andare lontano, ovunque il vento mi porterà voglio vedere che c'è". Niente da fare, in ognuno è il richiamo verso un ignoto metaforico, forse, solo relazionale. Nessuno ha il diritto di fermare la curiosità, nessun amore  può imbrigliare la tensione alla conoscenza ed all'esplorazione d'altre realtà. Sennò è il solito, piccolo gioco delle proiezioni, è la dinamica perversa delle aspettative: non si ama l'altro ma quello che si pretende esso sia. Verità eterna e crudele che Cammariere riesce a dire dolcemente. Con soavità. Gli esteti sanno fare del male con molta classe.


Silvana Marra

 

SERGIO CAMMARIERE: L’UOMO IN FRAC

Come un arlecchino. Sarà l’altezza, la magrezza o le movenze. Sergio Cammariere ricorda una maschera da commedia dell’arte. Quella maschera. Ne ha la gestualità, il modo di muovere le braccia lunghe e le mani, ancora più lunghe. Soprattutto, ne ha l’espressione. Malinconica. Non triste, proprio malinconica. Non ride, al massimo, sorride. Se lo facesse, gli occhi sembrerebbero quelli di un altro. L’altra sera ha tenuto un concerto da brivido, di quelli che non si dimenticano. Li, alla Villa Comunale, non c’era un alito di vento, qualche volta la natura collabora.

La magia fa volentieri a meno del vento. E lui, quando suona, elimina tutto quanto gli sta intorno. Il pubblico era lì, immobile, rapito, ad assaporare un momento che, sapeva, non sarebbe ritornato.

Ed a guardare con occhi nuovi un fratello, un figlio di questa terra. Sergio s’alzava ogni tanto, per ringraziare: un sorriso appena accennato, un inchino misurato, enfatico al punto giusto. Anche quando parla muove le braccia in gesti larghi e lenti: è uno che ha sulle spalle tutta la storia del nobile guitto. Non gli pesa, basta che nessuno voglia guardarlo al di fuori del palco. Teatrale. Giovane e senz’età. Non te lo immagini a ballare in discoteca od a raccontare barzellette. Tantomeno a riderne. La sera dell’intervista indossava un paio di pantaloni coi tasconi, in frac, non ci sarebbe stata differenza. S’è esibito con un quartetto jazz a livelli sublimi, con una tromba che ti entra nel sangue. Però quello dell’altra sera, non era un concerto jazz, era qualcosa di diverso.

E di più. Ci respiravi lo spessore rassicurante del pianista classico, lo struggimento e la follia dei ritmi sudamericani, l’eredità forte della nostra tradizione cantautorale e tutte le ombre dell’anima. Quelle che sono dentro ciascuno di noi. E poi il crescendo: un palpito che ti sale con la tachicardia, fino a quando i battiti del cuore si muovono con quelli delle mani di chi suona. Altro che jazz, è questione di punti di vista. Poi, bisogna fare i conti con i cultori, i puristi.

Quelli che distinguono fra blues, ragtime, gospel, dixieland, hot e free jazz. Sono pochi, qualcuno bluffa. Si vede dalle facce. I volti sono lì, non ci i può giocare come con le parole. Così, guardando da lontano, il jazz è uno, quello che ti fa piangere. Quello che ti prende per mano e ti porta nella dolcezza del dolore, senza paura di guardarlo in faccia. Lo stesso che te lo fa riconoscere come fratello. Cammariere lo sa, allora, fa jazz. Poi, sul piano tecnico, è un’altra storia. Sarà un jazzista, ma la gente nemmeno s’interroga. La gente vola, quando lui suona anche le mosche s’emozionano. Loro non volano. "Dalla pace del mare lontano" è l’ultimo cd, il terzo. Pubblicato dalla "Via Veneto Jazz", un’etichetta che ha curato i musicisti italiani di maggior prestigio. Il servizio fotografico all’interno, è stato realizzato a Trastevere, nel vecchio laboratorio di un restauratore per amore. Tastiere datate, vissute, nude. Su di esse, le mani di Sergio, a sfiorarle appena. A proteggerle. L’espressione è sognante, intima, esclusiva. Nel rapporto con l’oggetto-culto ogni cosa è di troppo.

Le foto sono monocromatiche, declinano, ognuna, una tonalità. Musicali. Sono un altro pezzo di bravura. E di gusto per la misura. Nessuna posa, dal vivo Cammariere è, esattamente, com’è in fotografia. Delicato, sfumato, diluito. Un acquerello. Credente e contraddittorio, coi sensi di colpa di chi non sa perdonarsi. Senza musica non esiste, o, forse, non vuole. Alle domande risponde spesso con le parole delle sue canzoni. E con le parole, ci sa fare poco. Almeno sul piano relazionale. È un altro di quelli senza pelle, non sa difendersi. Ha bisogno di parlare di musica, solo così riesce a raccontarsi, solo in questo modo riesce a trovare la giustificazione al parlare di se. È nascosto dietro le canzoni, come arlecchino dietro la maschera. Quello che è davvero, è celato fra le righe, tra le pause di un verso e l’altro. Nel non detto. Ma, per uno che si dichiara ancorato alla Fede, che sottolinea speranze e riferimenti biblici in ogni pezzo, viene fuori una frase di troppo: "… come se il vivere fosse attaccato ai tuoi vestiti".

È ne "La canzone dell’impossibile" ed è fra le similitudini più felici che siano mai state usate. È il dolore del quotidiano raccontato col rigore e l’asciuttezza di chi se lo sente addosso. Drammatica e felice. Versi fuori da certo populismo di regime, musiche da empatia. E basta. Parole d’amore che viaggiano nel romanticismo puro, senza mielosità … "Queste mani non sono mani, ma fiori che tutta ti copriranno". Poi, la voce. Profonda, triste, ancestrale, mai disperata. Vivace ma mai felice. Pudore delle emozioni, paura e vergogna dei sentimenti. Non suona, parla attraverso un pianoforte, tutt’insieme, voce, mani e testa. Che ci sia anche il cuore non va detto. Non è quello che vuol dire. Intorno, siamo tutti un di più, è come se il momento della condivisione fosse contaminante. Come se lo mutilasse, lo scorticasse vivo. Cita Adorno, parla di un mondo "eterico-astrale". Colto ed esoterico, una specie d’alchimista. Non gl’interessa comunicare, nemmeno fare colpo: bisognerebbe parlare di più e saper ridere meglio. Mai una parola in dialetto, Sergio è andato via da Crotone nell’80. Voleva suonare e s’è allontanato con la scusa dell’università ed un solo esame dato: in diritto canonico. Poi, una vita sul pianoforte, un premio Tenco all’attivo e svariate frequentazioni vip, tutti nomi da rotocalco. Qualcuno da star inarrivabile. Ma uno su tutti e, finalmente, un’espressione di tenerezza: Pupella Maggio. Prima o poi, afferma, riuscirà a cantare una sua canzone: "A’ sigaretta". Pupella, mito e fumatrice accanita, weltanshauung dell’edonismo, tutta partenopea. Con quelli che non ci sono più si sviscerano i sentimenti profondi, senza paure o pudori. Non si rischia la delusione, niente aspettative andate a monte.

È una storia chiusa. Di quelle attuali, Sergio non tira fuori il succo, cita i nomi, mai il suo coinvolgimento. Parla con enorme stima di Roberto Kunstler, coautore delle canzoni, dice che è un poeta, un cantautore e che la loro è una collaborazione decennale. E’, un amico, fra quei versi e quella musica, ci sono due anime che si toccano. Non accetta di essere profanato. È un artista vero, proprio perché non sa proporsi.

Non si può neanche dire che sia sincero, anche quello vorrebbe dire, in qualche modo, mettersi in gioco. È un decadente, uno che si mostra, esattamente, per quello che appare. Tutto è arte, il resto è "solo" umanità. Potrebbe anche essere uno snob, sicuramente, può sembrarlo. Però ha suonato per me "Spiagge lontane". Su una vecchia chitarra cui era saltato il "mi basso". Queste cose non si dimenticano.

Silvana Marra

 

Sergio Cammariere:

"Dalla pace del mare lontano" (Emi).

Dopo una lunga gavetta, da Crotone a Roma passando per Firenze, finalmente Sergio Cammariere oggi può salutare l'uscita del suo primo disco di canzoni. La Emi ha pensato bene che meritasse qualcosa di più che non l'apprezzamento della critica, pure importante, o gli applausi di chi lo segue fedelmente dal vivo. Il 25 gennaio è uscito "Dalla pace del mare lontano", disco seducente e ricco di emozioni, registrato in presa diretta con la sua band abituale: Luca Bulgarelli (contrabbasso), Amedeo Ariano (batteria), Simone Haggiag (percussioni) e tre ospiti d'eccezione. Le chitarre di Alex Britti fanno discretamente da contrappunto alla voce calda del cantautore crotonese, la tromba di Fabrizio Bosso regala momenti magici e il violino di Olen Cesari conferma il talento di questo ragazzo straordinario. Cammariere propone tredici brani più una ghost track, realizzati con il poeta Roberto Kunstler, cantautore a sua volta, che di recente sta tornando ai concerti dopo un periodo di riflessione. Senza timori reverenziali nei confronti dei grandi come Paolo Conte, Francesco De Gregori o Vinicio Capossela, il nostro dimostra come ancora oggi la canzone d'autore abbia forza e motivazioni profonde per riproporsi ad alti livelli, come confermato anche di recente al Premio Tenco, dove è stato fra i più applauditi. Il discorso su Cammariere dal vivo meriterebbe uno spazio dedicato, perché da diversi anni le sue melodie fanno il giro d'Italia con uno spettacolo che oggi rasenta la perfezione, mix di rara intensità fra jazz, bossanova e atmosfere degne dei vari Fossati e Dalla d'annata. In "Dalla pace del mare lontano" c'è per l'appunto molto mare, quello abbandonato per inseguire un sogno, a cominciare da "Via da questo mare", fino alla versione italiana con testi di Pasquale Panella di "La mer" di Charles Trenet. E poi la malinconia, la memoria, ritratti indelebili come "Tempo perduto", la canzone che ha rivelato Cammariere ad un pubblico più numeroso. Un pezzo in cinque quarti (diteci se oggi un cantautore si sognerebbe di scrivere un pezzo in cinque quarti!), che mostra le doti pianistiche non indifferenti di questo grande appassionato di Beethoven, Schubert e Jarrett. Ma l'ironia non è lasciata fuori tanto che il disco si arricchisce in coda di tre brani giocosi come "Paese di goal", "Vita d'artista" e "Cantautore piccolino", su vizi e virtù del Belpaese. Pensiamo che Cammariere meriti tutta l'attenzione possibile, ma sappiamo che non sarà facile in un paese distratto dai goal e dalle tivù, che tiene i suoi artisti in disparte "fuori dal mondo per settimane schiavi del cuore e di un pezzo di pane"

 

IL NUOVO

Sergio Cammariere, tardo debutto per un grande talento Ha 40 anni e pubblica solo ora il suo primo album, Dalla pace del mare lontano, un viaggio affascinante tra il jazz e la canzone d'autore.


La storia della letteratura è costellata di scrittori esplosi tardivamente, per la scarsa attenzione di editori distratti. Più raramente un grande talento sfugge agli sguardi sempre vigili dell'industria discografica. È questo tuttavia il caso del quarantenne di Crotone Sergio Cammariere, il cui nome ricorre da anni come un passaparola nei circoli jazzistici più illuminati, e che però arriva solo oggi all'esordio, con Dalla pace del mare lontano: un album straordinario, che ne fa da subito una delle voci più interessanti emerse negli ultimi anni dal gran calderone della canzone italiana. Sin dalle prime note, l'ascolto di Dalla pace del mare lontano è sorprendente: colpisce questa capacità di evocare con originalità i grandi autori nostrani, Gino Paoli su tutti, rileggendoli però alla luce di uno swing smagliante, affidato agli intrecci sapienti degli strumenti acustici. Come avere Tenco in studio con i Cousteau, o un Capossela disintossicato dalle scorie blues di Tom Waits. Dove si era nascosto sino a oggi questo pianista allampanato che sembra uscito dal set di Ecce bombo? Il suo curriculum vitae è fatto soprattutto di colonne sonore per film italiani di piccolo cabotaggio, da Quando eravamo repressi di Pino Quartullo alla produzione cult del regista horror Claudio Fragasso e dei Manetti Bros. E poi, una lunga frequentazione con le note blu, calcando le scene con il trio formato assieme al contrabbassista Luca Bulgarelli e al batterista Amedeo Ariano. E poco più. A dirla tutta, Cammariere a sfondare ci aveva già provato: un'esibizione sanremese al Club Tenco del 1997 aveva raccolto il plauso della critica e il premio IMAIE, destinato al miglior esecutore e interprete della manifestazione, per sfociare l'anno seguente in un ep promozionale. Ma tutto era finito lì. Nell'aprile del 2001 questo calabrese trapiantato da molti anni nella capitale è tornato in studio, raccogliendo intorno a sé alcuni tra in nomi più promettenti del jazz italiano, dal trombettista e flicornista Fabrizio Bosso al violinista Olen Cesari, già con Lucio Dalla, sino al percussionista Simone Haggiag, riservando per un Alex Britti in libera uscita le parti chitarristiche. Cammariere ha così potuto riprendere in mano un pugno di canzoni scritte a quattro mani con il cantautore Roberto Kunstler, lungamente sedimentate negli anni, e finalmente riemerse in questa forma mirabilmente compiuta. Nel disco, che esce ora per la Emi grazie alla licenza della Millesuoni, confluiscono idealmente tutte le ascendenze musicali di Cammariere: non a caso uno degli elementi di maggior interesse è la verve che contraddistingue aperture e stacchi dei pezzi, sovente intrisi di son cubano, morna capoverdiana e bossa. Vertice emotivo del disco, Dalla pace del mare lontano è un vero e proprio tour de force pianistico alla Keith Jarrett, allestito sul testo di La mer di Charles Trenet, rivisto però con grande libertà dal paroliere Paolo Panella, già discusso collaboratore del compianto Lucio Battisti ai tempi de La sposa Occidentale. Difficile dire se il successo arriverà grazie ai languori latini di Sorella mia o alle istantanee in bianco e nero della Roma evocata in Tempo perduto, che pare la gemella dimenticata di Estate di Bruno Martino. Da parte sua Cammariere, dopo essersi preso gioco dei paragoni ingombranti nella conclusiva Cantautore piccolino, riparte dagli antri fumosi dei jazz club: il 15 febbraio sarà al La Palma di Roma. Le folle oceaniche possono attendere. Ancora per poco.

di Andrea Dusio

 

 

 

JAZZITALIA

Nel prestigioso catalogo dell'etichetta Via Veneto Jazz, è stato inserito il primo CD a nome di Sergio Cammariere. Cantautore crotonese ma romano d'adozione si propone agli ascoltatori con 13 brani eseguiti da un ensemble invidiabilissimo e il risultato sonoro è eccellente, d'altronde con i professionisti intervenuti c'è solo da fidarsi. Amedeo Ariano alla batteria e Luca Bulgarelli al contrabbasso, da anni in tour con SERGIO CAMMARIERE TRIO, sono una base ritmica con alle spalle collaborazioni di alto livello, Fabrizio Bosso è uno dei leader incontrastati del suo strumento, e cioè la tromba, Olen Cesari è un giovane violinista che, tra gli altri, ha collaborato con Lucio Dalla e Simone Haggiag percussionista internazionale che ha anche fatto parte della Mike Gibbs Orchestra con John Taylor, Charlie Mariano, Evan Parker, Kenny Wheeler, Steve Swallow. Infine, appunto, Alex Britti...non ha ovviamente bisogno di presentazione. Cammariere è arrivato a questo CD (registrato in presa diretta) dopo anni di esibizioni in locali e teatri, ha girato innumerevoli città (anche la sua Crotone, il 26 agosto) proponendo le sue canzoni, risultato di anni di collaborazione con Roberto Kunstler, frutto di un incredibile equilibrio armonico-emotivo, composte nel tempo e perfezionate sempre più negli arrangiamenti. Il brano di apertura s'intitola Sorella mia e inizia con un piano profondo, corposo, autoritario, a ritmo di tango, che entra subito nello stomaco. Chitarra e percussioni si associano al riff introduttivo finchè inizia l'esposizione del tema con una voce vellutata. Già si pregusta l'entrata del contrabbasso e della batteria. E infatti, dopo le due A e la B eccoli, dirompenti. Fa ingresso anche il violino che rimarca il riff iniziale e aggiunge pathos al brano che si svolge ottimamente fino a giungere ad un finale all'unisono. Segue Tempo perduto con le spazzole che scandiscono un incessante 5/4. I musicisti rimangono tutti ancorati al ritmo tranne la voce che riesce ad ammorbidire il tempo dispari collegando le parole senza pause e completando le frasi in modo compiuto. Questa è una caratteristica propria del modo di cantare di Cammariere Via da questo mare. C'è Britti in questo CD! L'intro è suo, scatta infatti la pentatonica blues anche se il brano è una beguine soft con tanto di spazzole e flicorno. Bosso e Britti si alternano nel ricamare i passaggi armonici nelle pause e nei turnaround fino a duettare nel finale insieme a Cammariere al piano. In questo brano Sergio parla per la prima volta del suo mare e lo fa trasmettendo il dolore e la speranza di chi ha scelto di andare via. (E camminando senza più guardare ho solo voglia di andar via da questo mare) Nel brano Cambiamenti del mondo, già inciso nel '92 da Sergio nel disco con R. Kunstler I Ricordi e le Persone: Qualsiasi lontananza è una distanza Qualsiasi convinzione è un'opinione il ritmo "sospeso" enfatizza sia il testo che il tema, "dondolante" tra E- e A- fino alla seconda parte in cui si sposta di mezzo tono in avanti, quasi senza farsene accorgere, su F- e Bb-. Ed è sul F- che si crea un intermezzo con improvvisazioni del piano e del violino finalmente liberato, dopo essere stato, fino a quel momento, "imprigionato" intorno al tema modale. Il contrabbasso di Bulgarelli abbandona il pedale di F mantenuto ogni tanto, durante l'esposizione del tema, anche sul Bb- in modo da creare un'ulteriore sospensione armonica. Il brano successivo è quello che fornisce il titolo al CD: Dalla pace del mare lontano. Ed ecco che Sergio riparla ancora del mare ma questa volta lo fa con un ritmo molto sostenuto che da allegria al testo. Ariano, con le spazzole, comanda l'andamento ritmico consentendo a Cammariere di cantare il testo tutto d'un fiato fino ad un finale in crescendo con il piano che raddoppia le note (in stile Corea) e conduce tutti al finale eseguito all'unisono. La quiete dopo la tempesta e cioè: Apri la porta, brano che consente all'ascoltatore di rilassarsi eseguito con piano, voce e violino. Ma non c'è molto tempo per rilassarsi, perchè subito giunge Canto nel vento, un samba in cui si avverte la presenza di Bosso con la sua tromba squillante. Esegue un intro, sfrutta qualche pausa, i turnaround, fino al finale in cui improvvisa chiudendo all'unisono. Un altro brano intimistico eseguito in trio è Le porte del sogno in cui si può apprezzare particolarmente la dinamica di Cammariere nell'accompagnamento, abile nel riempire i vuoti, arricchire i voicing. A sorreggere i cambi di umore e di ritmo le delicate parole di Kunstler e le improvvise aperture/chiusure, dove riemergono tutte le esperienze musicali di Cammariere, capace di fondere jazz e percussioni latine, delicati giri di pianoforte e un gusto per lo swing tutto particolare. Lo stacco avviene con Il Mare, unico pezzo che non nasce dal duo Cammariere-Kunstler, ma grande canzone di Trenet tradotta da Pasquale Panella. La scelta non è ovviamente casuale, è un omaggio al mare, a cui Sergio appartiene, a Trenet e a tutti gli chansonniers, a cui Sergio comunque qualche cosa deve come ispirazione musicale, ed è anche l'opportunità per valutare le sue grandi doti di musicista. Il giro armonico predominante (I-VI-II-V) è inframezzato dal flicorno di Bosso che si libera maggiormente in un intermezzo ottenuto sul G(sus4) con pedale di G per il contrabbasso, preludio ad un breve solo del piano. Il brano che segue Per ricordarmi di te, blues in re minore eseguito in trio, esprime tutta la lontananza, il distacco, ma rifugge la tristezza. E'un momento, in un tempo preciso, nel fluire delle cose. La conclusione del disco è affidata a brani come Vita d'artista, Cantautore piccolino e Paese di gol, che sottolineano una vena auto-ironica, dove la musica si fa più urgente, saltellante in uno swing che apre l'ispirazione sui piccoli e grandi vizi di quest'Italia. Nel brano Cantautore piccolino, escursus di nomi famosi di cantautori con cui Cammariere ironizza un confronto (a partire da Paoli Gino, con cui fa rima il titolo, a De Gregori, Guccini, Dalla, Lolli, Lauzi, Battiato...), dopo il quattro di Sergio, si avvia uno swing molto sostenuto in cui si risente Bosso alla tromba e un ensemble davvero affiatato. Poi...sorpresa!!! Il brano non finisce ma se si pazientano un paio di minuti inizia una seconda ottima versione eseguita questa volta con le spazzole e la tromba in sottofondo per tutto il brano e un piano che si diverte anche ad improvvisare. Ecco, questo è un plus su cui Cammariere può, e lo fa egregiamente, sicuramente puntare: è un pianista. Esegue soli, accompagna con voicing ricchi ed essenziali al tempo stesso inserendo le dovute alterazioni, dal punto di vista ritmico è validissimo. Sembra non possa fare a meno di suonare il piano oramai ben integrato nella sua personalità. Insomma, non mi sembra affatto un cantautore piccolino. In conclusione, questo CD è un lavoro molto meritevole, 60 minuti di ottima musica. Non è semplice comporre e cantare brani con ritmi appartenenti a contesti generalmente diversi. Sergio Cammariere riesce ad utilizzare un linguaggio di matrice jazzistica per raccontarsi, dando l'occasione sia a chi lo accompagna che a chi lo ascolta, di vivere con lui le sue emozioni. Penso che al di là di generi musicali che si possano evincere, quello che può interessare ad un cantautore come Sergio Cammariere sia la possibilità di comunicare, attraverso la sua musica, proprie emozioni sperando di farle vivere anche a chi lo ascolta. Mi piacerebbe molto vedere questo ensemble dal vivo, situazione in cui sicuramente è consentita più libertà, qualche improvvisazione in più che sul disco un po' manca ma, si sa, il CD ha i suoi spazi e i suoi tempi. Penso di non esagerare se dico che Cammariere riuscirà quanto prima ad inserirsi autorevolmente in quel settore musicale in cui a tutt'oggi padroneggiano Conte e Capossela. E' un settore che consente di ascoltare musicisti di primissimo livello, canzoni d'autore ben composte ed arrangiate egregiamente. Tra l'altro, quest'anno, proprio Conte e Capossela erano presenti nel cartellone di Umbria Jazz. E l'anno prossimo? In bocca al lupo Sergio ;-)

 

KATAWEB

Cammariere, un pianoforte a coda lunga, nero.

Nessuna casa discografica gli faceva fare dischi. Lo scorso anno viene premiato dalla lungimiranza del Tenco. Una dura gavetta e poi l'album "Dalla pace del mare lontano".

di Enrico Deregibus

Sembra Baggio in mezzo a picchiatori, agonisti, gente con la muscolatura gonfiata. Si chiama Sergio Cammariere, ha quasi quarantadue anni e un talento come pochi altri. E' un pianista straordinario che, con ammaliante naturalezza, fa slalom tra canzone d'autore e jazz. E che, nonostante questo, è arrivato solo ora all'esordio discografico in proprio con un album intitolato Dalla pace del mare lontano.

E' stato un cammino lungo, faticoso. La prima domanda che gli facciamo è banale ma doverosa ("Cosa si prova a fare il disco d'esordio a più di 40 anni?"), la risposta è serena e semplice: "E' la fine di un percorso e l'inizio di un nuovo viaggio".

Facciamolo anche noi quel percorso, ne scopriremo delle belle. Cammariere è nato a Crotone (lontano cugino di Rino Gaetano), sin da piccolo si capisce che lui e la musica si intendono a meraviglia. Ben presto inizia a suonare il pianoforte, da autodidatta, anche se pochi sono disposti a crederlo vedendolo suonare.

"Da bambino - ci racconta - uno dei miei giochi preferiti era riconoscere dopo pochissime battute il titolo della canzone che girava sul giradischi. Era una specie d'intuito particolare, ancora oggi me lo ricordano le mie sorelle. Le stupivo quando riuscivo ad indovinare tra centinaia di 45 giri, titolo, cantante e melodia. Questa mia attitudine convinse uno dei miei zii a regalarmi il primo strumento: una Melodica Soprano Honner, uno strumentino a fiato su due ottave. Non so precisamente cosa sia successo, ma da quel momento in poi tutte le melodie che più mi piacevano le risuonavo sulla melodica. A sette anni ho incontrato il pianoforte e da allora non ci siamo più lasciati. Non posso che considerare tutto questo un dono di Dio".

A diciott'anni si trasferisce per motivi di studio a Firenze, e quindi a Roma in cerca di uno sbocco ad una creatività incontenibile. Negli anni Ottanta inizia a scrivere canzoni, alcune delle quali finiranno nel 1993 in I ricordi delle persone, un album fatto insieme a Roberto Kunstler, che non avrà né promozione né vendite.

Ma lui continua: scrive qualche brano per altri, lavora nel teatro, fa colonne sonore (ad esempio alcune per i film con l'amico Gianmarco Tognazzi o quelle per il regista Pino Quartullo). "Sono sempre stato affascinato dal mondo del cinema e quando mi hanno proposto la prima colonna sonora (era il film Quando eravamo repressi 1991), ho imparato a raccontare con la musica. Con il teatro, invece, entri in una dimensione diversa, dove il pubblico è molto vicino, ti senti abbracciato e c'è un forte scambio di emozioni".

Intanto si propone a varie case discografiche, ma nessuna gli fa fare dischi. E allora lui suona e suona, dove lo chiamano. Perché quella è la sua carta vincente: suonare dal vivo per "poter attraversare tutto il mondo della musica con il pianoforte". Nel 1997 i cani da caccia (di cantautori) del Club Tenco lo portano alla loro rassegna e gli danno il Premio IMAIE. E' un successo, che però si ferma in gran parte dentro i muri dell'Ariston.

Ancora qualche anno di gavetta e poi, con il 2001, il vento cambia. Cammariere torna al Tenco ed è un tripudio di consensi. Nel frattempo ha registrato finalmente il suo primo album (con musiche sue e testi di Kunstler) per la Via Veneto Jazz, una piccola etichetta che lo ha portato alla EMI, la major che ha appena pubblicato il disco.

Ora, da pupillo della critica che era, sta diventando una voce all'attivo della sua casa discografica (il disco, appena uscito, sta avendo ottimi riscontri sul piano delle vendite). Per lui però non c'è molta differenza fra le due cose: "E' solo il numero di persone che entrano in sintonia con te dandoti la sensazione di calore. Non c'è nessuna differenza: anche la critica fa parte del pubblico che ti scopre e ti ascolta".

La sua musica è raffinata ma anche molto fruibile: una miscela unica e per certi versi inspiegabile. Anche per lui. "Questa è la misteriosa alchimia che si crea nei momenti d'ispirazione... Dove tutto avviene naturalmente. Non saprei rispondere in altro modo".