SCENARI GEOPOLITICI OGGI

AFRICA OCCIDENTALE E CENTRALE

L’Imperialismo in Congo e Nigeria

Questo testo è frutto della rielaborazione di tre articoli pubblicati sul settimanale piemontese "Il Monviso" il 25 agosto 2001 ("Il Congo rivoluzionario lotta contro i lacchè dell'imperialismo"), l’11 settembre 2001 ("Il Congo vittima dello sfruttamento dell'imperialismo occidentale") e l'8 settembre 2001 ("Nigeria, vita difficile per comunisti e minoranze etniche"). Questo testo costituisce una breve inchiesta sulla situazione geopolitica in Africa. Ci soffermeremo su due casi emblematici, quelli del Congo e della Nigeria. Dal 1965 il Congo è il cuore geopolitico dell'Africa, poiché quanto succede in questo Stato ha significative ripercussioni su una vasta area limitrofa. Dopo l'assassinio avvenuto il 17 gennaio 2001 di Laurent-Desirè Kabila, colui che nel 1997 aveva rovesciato il presidente Mobutu e aveva assunto i pieni poteri, ad opera di un sicario al soldo degli ambienti imperialisti(Usa, Belgio), la situazione, nel Congo, non è certo tornata alla normalità. Da molto tempo il Paese è teatro di una guerra interafricana tanto sanguinosa quanto dimenticata, per non dire sconosciuta. I ribelli banyamulenge, sostenuti dalle truppe ruandesi e ugandesi, continuano a tenere sotto occupazione militare tutta la regione del Lago Kivu, ad est, ricchissima di miniere e di risorse energetiche. La popolazione congolese fedele al governo di Kinshasa è sottoposta a vessazioni e violenze: migliaia di sostenitori di Kabila sono stati incarcerati, torturati, fucilati; interi villaggi sono stati rasi al suolo. Dietro le truppe di Uganda e Ruanda, che fungono da braccio armato degli Usa nella regione, ci sono le multinazionali americane, britanniche, belghe interessate soltanto a controllare le grandi risorse petrolifere e minerarie di cui è ricchissimo il paese. Esse sono già al lavoro nel Congo orientale, dove sfruttano giacimenti di uranio e diamanti e i bacini petroliferi della regione, ben protette dalle truppe ugandesi e ruandesi che i governi di Washington e Londra riforniscono abbondantemente di armamenti sofisticati e equipaggiamenti bellici. Il governo rivoluzionario del Congo è, invece, sotto embargo da anni ed il giovane neopresidente Joseph Kabila, succeduto al padre all'indomani del suo assassinio, si è trovato a gestire una situazione di grande emergenza. La nuova repubblica Democratica del Congo è ormai accerchiata ed è soltanto grazie all'aiuto militare fornito da Angola, Zimbabwe, Namibia, Ciad e Sudan se il governo di Kabila padre prima, e Kabila figlio dopo, ha resistito a quella che si è rivelata una vera e propria invasione militare del Congo e se le truppe dell'Uganda non ne hanno conquistato la capitale. Tutte le risorse del governo vengono spese per la guerra e ciò impedisce di impegnarle per quelle riforme sociali, sanitaria, scolastiche, agrarie, industriali che costituiscono il cuore del programma rivoluzionario dei "Partigiani per la Resistenza della Repubblica Democratica del Congo", grande alleanza tra tutti i partiti e le forze rivoluzionarie congolesi che hanno sostenuto Kabila nel corso della guerra contro la dittatura di Mobutu prima e contro l'aggressione di Uganda e Ruanda per conto dell'imperialismo americano dopo. Gli Usa vogliono mantenere a tutti i costi il controllo del Congo, in quanto si tratta dello Stato africano più importante. Ma i congolesi, in grande maggioranza, sono più portati verso una convivenza di tipo socialista che capitalista e il loro nazionalismo è da intendersi come un attaccamento alle tradizioni culturali della loro terra. Il governo che ha assunto il potere nel 1997 ed i partiti che lo sostengono si rifanno al pensiero socialista e nazionalista di Lumumba, ucciso nel 1965, e del uso successore Pierre Mulele. Mulele e Kabila furono, appunto, i capi guerriglieri che portarono avanti per oltre un trentennio la lotta rivoluzionaria contro gli imperialisti, mantenendosi fedeli agli ideali di Lumumba. Pervenuto al potere, Laurent Dèsirè Kabila tentò la costruzione di uno Stato rivoluzionario popolare, creando comitati di "potere popolare" e puntando sull'autorganizzazione e l'"autoresponsabilità". Anche per questo le potenze imperialiste, in primo luogo gli Usa - che pure non avevano inizialmente ostacolato il movimento di rivolta contro Mobutu in quanto esso costituiva l'occasione di cui approfittare per sostituire l'influenza francese con quella americana nella regione - oggi premono sui Paesi africani vicini affinché abbattano il governo rivoluzionario. Il mondo anticapitalista è idealmente a fianco dei rivoluzionari congolesi e faranno opera di controinformazione affinché anche in Italia si sappia quali orrori sta perpetrando l'imperialismo a stelle e strisce nei territori dell'Africa Nera.

Proseguiamo con uno Stato che è attualmente un attore geopolitico marginale, ma che potrebbe assumere nel medio-lungo periodo una rilevanza molto grande: la Nigeria. Anche sotto il governo civile del presidente Obasanjo, democraticamente eletto dopo la truce dittatura militare del generale Sani Abacha, in Nigeria la vita non è cambiata, perché in questo paese i governi sopravvivono solo in quanto la "casta militare" concede loro di esistere. Il sistema nigeriano non tollera, infatti, mutamenti al suo interno. Che governino civili o militari poco importa, dal momento che tutti devono fare gli interessi dell'oligarchia islamica e filostatunitense che detiene le vere leve del potere economico. I pochi nigeriani che ardiscono manifestare idee antimperialiste finiscono inesorabilmente con l'incappare nella spietata repressione del regime. In Nigeria non esiste, perciò, un partito comunista. Il comunismo è ritenuto dal sistema un'ideologia pericolosa, quindi illegale. Chi è comunista deve mimetizzarsi molto bene, altrimenti - se viene scoperto - il rischio è quello di finire nelle orrende carceri di Lagos, dove sono commessi quotidianamente abusi inenarrabili. Lo stesso discorso vale per quelle etnie, come gli Ibo e gli Ogoni, che manifestano idee autonomiste. Per stroncare la secessione del Biafra, nel lontano 1969, la dittatura militare del generale Gowon condusse una guerra di sterminio contro gli Ibo che provocò circa 3 milioni di morti. Oggi le vittime sono gli Ogoni, una popolazione della Nigeria sud-orientale i cui territori sono ricchissimi di petrolio: il regime ha concesso alle multinazionali di sfruttare questa materia prima, devastando l'ambiente, e siccome gli Ogoni hanno fatto sentire la loro protesta, le autorità hanno avviato una durissima repressione, che ha causato centinaia di morti. Migliaia di Ogoni sono stati inoltre cacciati alle loro terre, altre centinaia sono stati imprigionati. Perfettamente inserita nel sistema di dominio imperialista occidentale (al di là delle compatibili campagne in difesa dei "diritti umani", come nel caso recente dell'adultera Safiya che rischiava la lapidazione), la Nigeria dei generali e dei latifondisti svolge un importante ruolo di potenza regionale al servizio degli Usa nell'Africa occidentale affacciata sul Golfo di Guinea. Basti considerare i compiti di polizia da essa svolti nelle varie guerre scoppiate in Liberia e Sierra Leone. La Nigeria, insomma, funge da baluardo dell'imperialismo neocoloniale sfruttatore nei confronti di ogni movimento che miri a sottrarre i popoli della regione dal soffocante abbraccio nordamericano. Tutto ciò avviene sotto gli occhi dell'Occidente, sensibile alle tematiche dei diritti umani - come abbiamo accennato - ma indifferente al problema dello sfruttamento economico, tant'è che le banche svizzere costituiscono i buoni forzieri per i molti miliardi di dollari che i vari governi che si avvicendano al potere in Nigeria depredano al loro misero e sventurato popolo.

Fabrizio Lagger

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