Cento V nel cielo
D'improvviso un grido. Mi giro verso destra e oltre la finestra vedo sette oche in riga che stanno arrivando. Mi alzo in piedi per capire dove andranno a buttarsi, e così mi accorgo che non sono sole, ma ne sta arrivando un intero stormo. Da dietro gli alberi che dividono questi prati allagati dai campi coltivati, stanno comparendo centinaia di oche in vari gruppi. Adesso sento anche le loro grida. All\rquote altezza di quel canneto, virano o verso destra o verso sinistra, lasciano le zampe e poi si inclinano per perdere quota. Rapidissime si buttano giù e fanno fischiare l'aria. Un attimo prima di toccare terra, spingono le ali all'indietro e le zampe sciacquando in acqua, attutiscono il contatto.
Comincio a frugare il primo gruppo che è sceso proprio davanti a me. Saranno duecento; belle con la mascherina bianca che divide il becco arancione dal piccolo occhio scuro. Quelle in acqua, nascondono la chiazza scura sul ventre. Sono quasi tutte lombardelle, c'è qualche selvatica mescolata, che si confonde con i giovani. Ma della collorosso nessuna traccia. Provo allora tra quelle atterrate nel prato dall'altra parte, più o meno un centinaio. E' incredibile, continuano ad arrivarne ancora. Infatti quando torno dalla parte del mare, sono aumentate di numero. Ora saranno quattro o cinquecento. Il cannocchiale comincia a guardare da quelle più vicine a quell'isolotto di ghiaia. E subito la vede. E' Lei, la piccola e delicata Collorosso!
Il becco quasi si nasconde tra le piume del capo, il rosso scende dalle guance, lungo il collo che sembra possente, fino al petto e con quella macchiolina bianca, vicina all'occhio, sembra guardarmi. Quasi facendo finta di niente si porta all'asciutto. Si accorge di una piuma fuori posto sulla schiena. Col collo e col becco la liscia. Poi con calma e pazienza le passa tutte, una alla volta, a ripristinarle e a rendere di nuovo impermeabili. E' la parte della giornata che le piace di più. Controllare che la muta proceda, eliminare finalmente quelle piume, che un giorno, avevano preso il posto del piumino da pulcino. Ma ormai sono vecchie, le pizzicano, mentre quelle giovani e fresche, spingono da sotto, per prendere il loro posto. Già, quand'era un pulcino... La tundra estiva era diversa da quel luogo, completamente diversa. Non gliene aveva mai parlato nessuno e non avrebbe mai immaginato che esistessero dei posti così strani, così stretti, quasi senza respiro. Non aveva mai visto tante abitazioni così vicine. E dov'erano quei rapaci, che vedeva in continuazione tornare verso il loro vicino nido? La madre le aveva spiegato che quella vicinanza assicurava protezione da altri predatori, molto più pericolosi di quelle poiane. Già, qui ne aveva visti di simili, ma avevano un qualcosa di diverso nel volo e nelle ali. Chissà dove sono adesso i fratelli? Una raffica di Bora le alza le piume sul groppone facendole venire un brivido. Fa freddo, ma non come quello che aveva sentito là ad est, quando la bufera di vento e di neve l'aveva sorpresa in quel campo. Per fortuna si era trovata tra tutte quelle lombardelle. E quando loro si erano alzate, lei con loro, per non perdersi. Seguendole, si era chiesta se loro conoscessero la strada o se anche loro cercassero soltanto scampo dal vento. Quando finalmente, dopo diversi giorni, vide quel chiaro fatto di acqua bassa e terra sotto di loro, era ormai ora di pranzo, sperò vivamente che vi facessero l'ala. Stava pensando di scendere comunque, anche sola, tanto c'erano giàà tante altre oche a terra, non ci doveva essere quindi pericolo. Se ci sono loro, pensò, che sono oggetto di caccia, di cosa dovrei preoccuparmi io? Ma in quel momento tutto lo stormo piegò e scese. Era passato ormai un mese da allora, aveva seguito le sue nuove compagne anche in un'escursione verso ovest, verso dei territori che ricordavano molto la sua patria. Ma dopo il primo giorno di tranquillità, erano presto cominciate le fucilate ed allora si erano dovute spostare. Alla fine erano tornate qua. In fin dei conti non si stava male. C'è acqua dolce in abbondanza per lavarsi e per bere. E poi dietro a quell'argine ci sono dei bellissimi campi, dove il grano è già germogliato.
Si era distratta un momento, lasciandosi cullare dai pensieri e dal calore delle piume. Le sue compagne si stanno richiamando e preparandosi per ripartire. Uno squillo come di tromba, si alza più alto degli altri e in un attimo, una dopo l'altra, come in fila, cominciano a prendere il volo. Anche Lei si stacca e parte. Formano un'enorme palla di oche, e la collorosso si tiene tra le più basse, ma subito cominciano a mescolarsi e a prendere un ordine. E presto quella macchia schiamazzante scompare dietro gli alberi.
Ne sono rimaste ancora, alcune stentano a rialzarsi, ma ogni tanto senti improvvise due o tre grida e se ti giri, le vedi darsi la spinta e prendere il volo. In breve, a me resta il dubbio che si sia trattato solo di un sogno. Non ho tracce, né prove, se non la loro confusione nella testa e due scatti nella macchina fotografica.
La calma è ritornata sullo specchio d'acqua. Adesso si sente di nuovo, non più coperto, l'acuto pigolio delle folaghe, che instancabili staccano alghe dalle poche cannucce sopravvissute, proprio sotto il capanno. Questa costruzione è stupenda. Ha tre piani, di cui uno con ampie finestre a livello del terreno, ed è interamente in legno. Se la guardi da fuori, sembra sorgere dal fango della palude, come le canne o come i prugnoli. E' parte integrante dell'ambiente. E' un tipico casone di pescatori, come quelli che si vedono lungo le anse della foce dello Stella, dove l'acqua dolce si mescola con quella salata. Il tetto, coperto di fasci di cannucce, che trattengono il calore, lasciando fuori il freddo in inverno e mantenendo il fresco in estate, sembra fondersi in un tutt'uno con i canneti che coprono completamente le sponde delle foci dei fiumi e che li circondano, avvolgendoli in un ampio abbraccio.
Mi piace il silenzio che c'è qui. Un silenzio che non c'è, creato dai versi delle alzavole, dal gracchiante macinare delle marzaiole o dal festoso sberciare dei maschi di germano. O dallo sciabordio dei cigni, che corrono sull'acqua, alzando schizzi in tutte le direzioni mentre prendono il volo. E qui, riesco a trovare la pace e la tranquillità, ma soprattutto il tempo per concentrarmi ed ascoltare i miei pensieri. Qui il cuore ha finalmente modo per sfogarsi e per raccontarmi tutto quello che spesso deve tenersi dentro. Se c'è gente, magari esco e mi incammino per quel sentiero, che attraversa il bosco umido e poi fuori lungo quella strada, con marciapiedi di giunchi e assi di legno che fanno da ponticelli sopra le acque della palude. D'inverno la Laguna ha per me un fascino speciale. Gli scarponi, abituati ai sassi di montagna e alle sponde dei fiumi, affondano ora nel fango, lasciando un'impronta indefinita e sfiorano intrichi di rovi, che ormai hanno perso anche loro il loro verde vigore. E quei radi frassini, coi ciuffi pendenti dei loro semi, che qua e l'escono dall'acqua, danno un ultimo tocco di atmosfera spettrale, da quadro impressionista. Mi sono innamorato di questi paesaggi, il primo anno di università, quando in una mattina ventosa e gelida di inizio novembre, arrivai a Fossalon. Quelle poche case, basse e umide, il porticciolo e gli stretti canali, dove galleggiavano a fatica basse barche di legno, emanavano un fascino intenso e irresistibile. L'ora mattutina cancellava i suoni e forse lì, quel giorno, c'ero solo io. Il cielo grigio, basso, sembrava opprimente. I fili si allontanavano tesi, guardando il centro del fiume, ma i cimini rimanevano immobili. Il vento teso, mi faceva stringere ancora di più nella vecchia giacca militare e tirar sul collo il cappuccio della felpa. L'acqua limpidissima, sollevata in piccoli spruzzi, aveva un colore blu intensissimo. Laggiù in fondo, il mare, con rabbia ed onde, sembrava voler risalire il fiume, ma sbatteva come contro una diga, creando una linea di demarcazione, qui dolce, là salata. Da allora, quando con l'autunno cominciano ad alzarsi le prime brume dai campi e il freddo ti costringe a coprirti, mi torna la voglia di ridiscendere al mare, come i miei fiumi. L'umidità mi penetra fino alle ossa e prima o poi chiederà il dazio, lo so, ma non sono capace di dir di no...
E' passata ormai un'ora da quando le oche sono ripartite ed io attendo il loro ritorno. Sono sicuro che torneranno. L'aria comincia a farsi più buia, due amici che le stanno aspettando con me, spostano le macchine fotografiche, qui non c'è più luce. Sono in piedi, appoggiato contro al vetro della finestrella che guarda a sud-ovest. Da qui dovranno tornare. Con la manica pulisco il vetro che si è appannato. Un movimento sotto di me mi attira l'attenzione. Un piccolo beccaccino affonda il suo lunghissimo becco nel limo della riva, cercando qualcosa da mangiare. E' tutto un intreccio mimetico di gialli e di nocciola. Quando si involano, mandano un bacio, come a salutare una ragazza da un treno, e corrono via, timidi, come una freccia a zig-zag.
Ma sopra gli alberi ancora niente. Il sole è basso, una palla arancione, che brucia, proprio a filo della sponda. L'orizzonte ormai è una fascia rossa infuocata che degrada lentamente verso i colori freddi e scuri della notte. E dietro quelle piante, cullato dal silenzio che è ridisceso sotto a questo tetto, cerco di capire cosa volessero dirmi quelle due stelle nascoste dietro un biondo sipario, quei due occhi scuri che mi hanno tenuto compagnia ieri sera. Ma alla fine, a prendere il sopravvento e a riempirmi la mente sono altri due brillanti azzurri, chiari e bellissimi, che mi hanno innamorarmi col loro riso.
E il calore colorato dell'aria, sembra riportarmi verso altri lidi, verso altre stagioni, facendomi sognare il calore di un abbraccio impossibile. Ma una raffica di vento inaspettata, colpisce con un pugno il vetro dietro di me, facendolo tremare rumorosamente, e mi sveglia di soprassalto ed allontana da me le ultime briciole di sogno.
E' tardi, la sera è calata e devo tornare a casa. Un rapido saluto agli amici di Mestre e scendo le scale, apro la porta, una nuova raffica di Bora mi ghiaccia il viso ed il naso diventa immediatamente rosso.
Adesso è veramente scuro, solo una sottile striscia di un giallo pallido, segue l'orizzonte. Mentre cammino per questo sentiero di ghiaia, sotto questo rialzo coperto di cespugli, mi sento di nuovo contento, come quando sognavo la stretta di quell'abbraccio. Mi piace passeggiare di notte, da solo, seguire tutti i suoni, che solo il buio è capace di portare. Sembra quasi che di notte i sensi diventino più fini e attenti.
Ma è come uno sparo, d'improvviso, uno sbercio sopra la mia testa e da sopra quel muro di terra alla mia sinistra compare la prima oche, subito seguita da un'altra e da un'altra e un'altra ancora. In un attimo decine e decine di lunghissime formazioni a V compaiono nel cielo ovunque mi giri. Mi sfrecciano basse sopra la testa, io fermo, le guardo a bocca aperta. Sono talmente tante da coprire il cielo, ovunque, come un esercito di bombardieri, alzati da una pista e in volo radente, formazioni sparse, regolari, schiamazzi e fischi del vento. Quando mi passano sopra piegano e perdono quota ed atterrano nel prato davanti a me. Le vedo scendere contro le montagne lontane, i Musi, il Nanos, il Monte di Alboino, la punta del Canin... E poi spariscono nel buio. Poi riesco solo a sentirle richiamarsi, per non perdere i contatti. Provo a cercarne in mezzo una più piccola, la collorosso, ma è impossibile, sono troppe, troppo veloci... Troppo belle. Tutte quelle oche che erano arrivate a gruppi sparsi nel primo pomeriggio, ora stanno tornando, ma tutte assieme. Mi diranno poi che erano all'incirca millecinquecento, duemila, ma forse anche di più. E sono passate tutte sopra di me, talmente basse, che riuscivo a sentire il vibrare delle loro penne, prodotto dall'aria che ci passa in mezzo, vedevo le loro zampe scendere e agitarsi come le mani dei parapendii che regolano la loro discesa tirando le maniglie legate alle funi, per tendere o rilassare la vela. E i richiami, li sentivo nascere dal risuonare del collo e del petto. Era come se fossi in volo mezzo a loro, come se fossi una di loro...
Come sono comparse, così sono sparite. Nel cielo non se ne vedono più. Ma le sento che si agitano, che si chiamano e che si sistemano l\'ec nel campo; non le vedo, ma le posso percepire.
E' tardi, devo andare, ma quest'ultimo regalo è stato bellissimo... Grazie Laguna, grazie.
Stefano