MORBO DI ALZHEIMER |
Il "morbo di Alzheimer",
più precisamente denominata "demenza di Alzheimer", è una malattia
neurologica, scoperta all’inizio del secolo, in cui si verifica un declino
cronico e progressivo delle capacità cognitive ed intellettive. Questo
deterioramento mentale consegue alla degenerazione dei neuroni (cellule che
trasportano i messaggi nervosi) della corteccia cerebrale. La caratteristica
principale e il sintomo più precoce è la perdita di memoria per gli eventi
recenti. La malattia ha una durata variabile, di regola 7-10 anni, ma il
paziente può vivere anche per più anni perché non è la demenza che provoca la
morte ma le infezioni concomitanti.
Questa malattia è la causa
più frequente di tutte le demenze nei pazienti con età superiore ai 65 anni: si
pensi che colpisce almeno il 20 % della popolazione ultrasettantacinquenne e
questa percentuale può salire in alcune casistiche fino al 50%. Nel mondo si
contano 25 milioni di casi, in Italia 500.000 persone. Il morbo di Alzheimer
risulterebbe più frequente nel sesso femminile ed in soggetti con basso livello
di scolarità. Poiché la popolazione ha una aspettativa di vita superiore
rispetto agli anni passati, si prevede per il futuro un aumento del numero di
pazienti con tale patologia. Per tale motivo il morbo di Alzheimer è diventato
il terzo problema sanitario dopo le malattie cardiache ed i tumori. Questa
patologia è estremamente invalidante, dato che già dopo pochi anni il paziente
non è autonomo e necessita di assistenza sanitaria continuativa ed è necessario
attuare delle tecniche di riabilitazione volte a contenere la perdita di
autonomia e cercare di migliorare la qualità della vita di questi pazienti. Le
Aziende sanitarie locali si sono attivate creando delle Unità Valutative
Alzheimer per informare e sostenere il malato e i familiari, inoltre sono
sorte in tutto il paese delle associazione e istituzioni di tipo sociale quali
le Residenze Sanitarie Assistenziali. Queste ultime hanno lo scopo di
trovare degli interventi di tipo riabilitativo in modo da mantenere il più
possibili l’autonomia del malato, rallentando l’evoluzione della malattia. Un
esempio può essere la stimolazione della memoria residua. D’altra parte, a
tutt’oggi sono principalmente i familiari a dover provvedere alla gestione
clinica ed assistenziale del malato.
Come si fa la diagnosi
di demenza di Alzheimer?
La demenza di Alzheimer è
la forma più frequente di demenza. Per Demenza si intende una malattia
cerebrale cronica e progressiva, in cui vi è un disturbo delle funzioni
cerebrali superiori, cioè la memoria, il pensiero, la capacità di
apprendimento, linguaggio e giudizio. Il paziente è però cosciente. Si ha
inoltre un deterioramento del controllo delle emozioni, nel comportamento
sociale. Le più comuni cause di demenza nell’anziano sono:
Per prima cosa è necessario
stabilire la presenza del deterioramento mentale, differenziandolo dal
decadimento connesso con l’invecchiamento. Quest’ultimo è molto più lento e
meno grave. Per la diagnosi vengono utilizzati vari test psicometrici (uno dei
più noti è il Mini Mental State Evaluation) che valutano
quantitativamente la perdita delle funzioni cognitive. La diagnosi è sempre
difficile perché l’evoluzione della malattia è lenta e subdola. E’ necessario
un periodo di osservazione e di valutazione variabile tra 6 e12 mesi. Bisogna
escludere la presenza di una sindrome depressiva e sindromi psichiche
iatrogene, cioè conseguenti a farmaci. Deve sempre essere eseguito un esame con
TAC (tomografia computerizzata) o Risonanza Magnetica per escludere le altre
cause di demenza.
Quali sono i sintomi?
La demenza di Alzheimer si
può suddividere in base all’età di insorgenza in precoce, se insorge prima dei
65 anni e tardiva se l’insorgenza è successiva.
Il paziente
progressivamente svilupperà una serie di sintomi neurologici quali:
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afasia, cioè difficoltà a pronunciare
nomi di persone o cose |
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alterata
percezione dello spazio, cioè ad esempio si perde la memoria di percorsi noti, non riconosce
la destra dalla sinistra |
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aprassia, cioè difficoltà a compiere dei
movimenti finalizzati, ad esempio prendere un bicchiere: il paziente non sa
come usare un oggetto noto |
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agnosia, cioè difficoltà a riconoscere
gli oggetti |
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deficienza
cognitiva, cioè
difficoltà a pensare a cose astratte. |
Nei primi (2-4) anni il
paziente lamenterà solo disturbi della memoria, riferirà fatica a ricordare il
nome degli oggetti comuni, ad esempio il discorso sarà ricco di
"coso" al posto del nome dell’oggetto, perderà la capacità di
attenzione, dimenticherà la strada di casa. Potrà manifestare fenomeni di
depressione e/o irritabilità, ansia, difficoltà all’addormentamento.
Compariranno degli episodi "demenziali" di breve durata in cui il
paziente si comporterà in maniera inadeguata alle circostanze. I più comuni
episodi sono la minzione in circostanze inappropriate ed i grossolani errori di
valutazione della conta del denaro.
Successivamente si passa ad
uno stadio di durata variabile, da 2 a 10 anni, in cui gli episodi demenziali
sono sempre più frequenti ed il livello di deficit cognitivo è variabile con
oscillazioni anche nella stessa giornata. Il paziente perde lentamente la sua
autonomia fino a richiedere assistenza continuativa.
E’ il periodo più critico per
il paziente che perde l’interesse e la capacità di accudire se stesso; diventa
progressivamente più difficile l’esecuzione degli atti più semplici della vita
quotidiana quali lavarsi, vestirsi, mangiare, l’igiene personale e le funzioni
escretorie. Possono insorgere dei comportamenti aggressivi con deliri e
allucinazioni. E’ una situazione estremamente penosa per i familiari.
Infine compare una fase
vegetativa. In questa fase si possono manifestare disturbi simili al morbo di
Parkinson con tremori a riposo, possono insorgere anche crisi epilettiche e
frequentemente si ha incontinenza urinaria e fecale. Il paziente dipende per la
sopravvivenza dall’assistenza dei familiari e dei sanitari, assistenza che deve
essere anche contenitiva, ad esempio mettendo le spondine al letto o
immobilizzandolo per evitare che una caduta arrechi danno a se stesso. La morte
non è mai dovuta alla demenza ma alle malattie che possono insorgere, ad
esempio la polmonite o altre infezioni.
Quali sono le cause?
Esistono dei fattori di
rischio quali l’età e la familiarità. Vi sono forme familiari con alterazioni
genetiche che coinvolgono più cromosomi. Attualmente si sta facendo strada
un’altra ipotesi genetica in cui viene ipotizzato che il gene responsabile sia
presente nel cromosoma 10. Esiste una forma di demenza di Alzheimer rara (3%)
che colpisce una fascia di età compresa fra i 30 e i 55 anni, in cui si
presenta l’aumento di una proteina killer nel sangue, la proteina beta amiloide
42; questa proteina è presente ad un dosaggio aumentato anche nei familiari.
Anche in questo caso si è supposta l’ipotesi genetica. Inoltre, esiste una
mutazione genetica collegata allo sviluppo di questa demenza, cioè la variante
del gene APOE E4. Le persone con questa predisposizione genetica, manifestano
sin da giovani deficit di memoria. E’ possibile fare una diagnosi precoce di
elevato rischio di ammalarsi di Alzheimer sottoponendo queste persone alla
Risonanza Nucleare Magnetica, mentre gli viene chiesta di ricordare una lista
di nomi (test di stress mentale): si ha un’alterazione di segnale alla
risonanza. Sono in corso lavori per perfezionare test di stress mentale come
strumenti di diagnosi precoci.
Terapia
Non esiste una terapia
specifica. L’Alzheimer è una malattia non guaribile, ma si può rallentarne
l’evoluzione negli stadi iniziali utilizzando gli interventi di tipo
riabilitativo di cui si è già parlato. I farmaci tuttora disponibili sono di
scarsa efficacia. Esistono farmaci sintomatici, cioè che agiscono solo sul
sintomo. I deficit di memoria dipendono da disturbi del sistema colinergico,
cioè la malattia è provocata dalla degenerazione delle cellule che producono
l’acetilcolina, un neurotrasmettitore che interviene nei processi di
apprendimento. Sono state sperimentate più sostanze ad azione
anticolinesterasica, che agiscono impedendo la demolizione dell’acetilcolina.
Una molecola di nome Tacrina è il primo anticolinesterasico
utilizzato che sembra ridurre il deterioramento mentale nei primi 3 mesi di
trattamento. (Saranno necessari altri lavori di ricerca per confermarne
l’efficacia a lungo termine).
Un’altra sostanza, di nome Donezepil, ha un’ efficacia dubbia.
Ricordiamo ancora altre molecole ad azione anticolinesterasiche utilizzate: rivastigmina,
eptastigmina, galantomina. Attualmente si stanno studiando altre due
molecole: xanamomelina e metrifonato. Queste due molecole hanno
dimostrato di migliorare i deficit cognitivi, ma non c’è comunque un
rallentamento della progressione della malattia. L’utilizzo di questi farmaci è
inutile nelle fasi avanzate della malattia.
Vengono proposte e
utilizzate come terapia preventiva varie sostanze:
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sostanze
ad azione antiossidante, come ad esempio la somministrazione di alte dosi di
vitamina E. |
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estratti
vegetali cui si attribuiscono azioni neurotrofiche, quali ginkgo biloba |
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levo-carnitina |
Poiché sembra che il sesso
femminile sia maggiormente colpito e la demenza di Alzheimer compare in età
postmenopausale, viene proposta la terapia sostitutiva con estrogeni ad uso
preventivo.
Non esistono in letteratura
tuttavia lavori che confermano l’efficacia di tutti questi prodotti.
Sicuramente in un futuro
prossimo verranno scoperte delle terapie più efficaci nella lotta contro questa
patologia.