Nel corso della storia, diversi filosofi si sono posti il problema
dell'origine e dell'evoluzione dell'universo, fornendo quasi sempre come
soluzione, quella dell'esistenza di una entità infinita ed incommensurabile,
spesso identificata con la nostra stessa galassia. L'ipotesi di una pluralità
di universi-isola, fù invece postulata per la prima volta nel 18° secolo da E.Kant,
secondo il quale il sistema solare era contenuto in un immenso contenitore di
stelle (la Via Lattea), che insieme ad altre analoghe strutture popolavano
l'intero cosmo.
Ambedue le ipotesi furono ampiamente discusse dagli studiosi fino
ai primi 20 anni del secolo scorso, finchè non arrivò la scoperta dello spazio
extragalattico, ad opera di E.Hubble nel 1924, che dettando la parola
fine sulla questione, disegnava l'immagine completamente nuova di uno spazio
immenso e sconfinato suddiviso a sua volta in diversi
"universi-isola", le galassie, ognuna delle quali composta da
centinaia di miliardi di stelle ed altri oggetti celesti.
Nasceva così la moderna cosmologia, una scienza dedita allo
studio delle origini e dell'evoluzione dell'universo, la quale ci fornisce
tuttora, la configurazione di un gigantesco sistema strutturato in livelli
gerarchici. Partendo infatti dalla Terra, che non è un punto privilegiato, ma
solo il nostro posto d'osservazione, arriviamo al Sole, e quindi al sistema
solare, giungendo poi, attraverso la nostra galassia, agli ammassi di galassie
ed ai superammassi, sino ad arrivare concettualmente ai "confini
dell'universo", da dove questo appare in maniera isotropa ed omogenea,
uguale in ogni direzione ed in ogni luogo (principio cosmologico).
composizione di foto NASA - NSSDC
Alla luce di queste considerazioni, nasceva allora l'esigenza di
determinare se l'universo fosse o meno dotato di limiti. In passato infatti, è
stato fatto rilevare da uno studioso del diciottesimo secolo, che se esso fosse
infinito, nel cielo dovremmo vedere un numero grandissimo di stelle sparse in
ogni direzione e illuminanti a giorno la volta celeste. Oggi però sappiamo che
non è così, la soluzione del "paradosso di Olbers", consiste
infatti nel fatto che tutte le galassie si stanno allontanando fra di loro e che
dunque facciamo parte di uno spazio in espansione.
La prova di ciò la fornì ancora una volta Hubble, il quale
aveva notato che nello spettro di alcune galassie osservate, le righe spettrali
apparivano spostate verso il rosso in maniera tanto piu' marcata quanto esse
fossero deboli (lontane). Tutto questo, noto anche come redshift, era
dunque dovuto all'effetto doppler (causato dall'allontanamento della sorgente
luminosa rispetto all'osservatore), ragion per cui nel 1929 pubblicò la legge
che porta il suo nome (legge di Hubble) e secondo la quale:
- tutte le galassie si allontanano fra loro con una velocità
che è direttamente proporzionale alla loro distanza -
V = H x D
La costante tuttora non è stata quantificata con esattezza, ma
dividendo la velocità della luce per il valore calcolato dagli studiosi, si
ottiene una distanza di circa 15 miliardi di anni-luce, appunto l'età
dell'universo teorizzata dagli scienziati, che viene definita anche come orizzonte
di Hubble.
Dunque un'universo in espansione che va sempre piu' mutando le
proprie proprietà fisiche, divenendo meno denso e piu' freddo, anche se c'è da
considerare ora la densità media della materia, che essendo maggiore,
minore od uguale ad un valore cosiddetto critico, determinerebbe
rispettivamente tre possibili configurazioni:
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Chiuso Aperto Piatto
Secondo le nostre attuali conoscenze, nell'universo non c'è tanta
materia quanta ne sarebbe sufficiente ad innescare la prima ipotesi, la densità
di quella visibile viene infatti quantificata in circa il 2% di quella
necessaria. Viene comunque vagliata la possibilità della sua esistenza sotto
forma di materia oscura, invisibile, le prove sono fornite dalle galassie
e dagli ammassi di galassie, i cui movimenti e le relative velocità sembrano
derivare da effetti gravitazionali dovuti a quantità di materia ben maggiori di
quelle sinora osservabili.
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