Notizie dalla lotta di classe

Marzo 2002

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Unire quello che il capitalismo divide.

1 marzo 2002

BRESCIA: ASSEMBLEA OPERAIA FIOM

Nell'auditorium del liceo Calini, i metalmeccanici bresciani hanno discusso a lungo di come unificare la resistenza con una piattaforma offensiva che rilanci su salario, orario e sul controllo operaio. «In provincia ci sono stati, e ci saranno, scioperi che la Fiom ha indetto sia da sola che assieme a Fim e Uilm - spiega Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale dei metalmeccanici Cgil - all'Iveco, ad esempio, sono programmate assemblee con sciopero per confrontarsi con le altre organizzazioni sindacali». Gli scioperi spontanei non si contano, conferma Greco annunciando il decollo di una campagna di controinformazione in vista dello sciopero indetto a livello provinciale per il 12 marzo prossimo, primo momento verso la manifestazione del 23 e verso lo sciopero nazionale del 5 aprile. L'idea dei bresciani per il giorno dell'astensione nazionale dal lavoro, dopo aver ascoltato il racconto di un "piqueteros" argentino, è quella di picchettare l'Italia a partire dalle aziende non sindacalizzate. Nel bresciano su un milione di abitanti ci sono 210mila addetti all'industria e almeno 90mila metalmeccanici.

SCIOPERI A TORINO

Anche da Torino, giungono notizie di nuovi scioperi per lo stralcio dell'articolo 18 dalle trattative, per lo sciopero generale e contro le deleghe del governo. La Fiom torinese fa sapere di astensioni unitarie con cortei interni, alla Embraco Riva di Chieri, all'Alessio Tubi, alla Flexider, all'Ilva Microtecnica, alla Acciai Speciali Terni di Torino e oggi all'Alenia e all'Iveco. L'8 marzo l'agitazione toccherà la Vlm di Buccinasco (Mi) le cui Rsu Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato pieno sostegno alle posizioni della Cgil. Anche gli stabilimenti Fiat di Rivalta si sono fermati per 2 ore. Uno sciopero indetto unitariamente da tutte le Rsu - Fim, Fiom, Uilm, Fismic - che ha avuto successo con adesioni altissime nei diversi reparti: 80% Fiat auto, 90% Turinauto (ex Presse), 90% Marelli, e 80-90% anche alla Tnt e al Comau service. Alle tre del pomeriggio, fabbriche ferme e un corteo di oltre 500 persone ha raccolto quelli che uscivano sulla statale fino a Rivalta, per poi riunirsi in assemblea nel piazzale di fronte alla porta 7.

GELA: LEGALIZZATO IL "PET-COKE"

Il Pet Coke non inquina più, anzi inquina eccome, ma l'Agip Petroli di Gela potrà continuare a smaltirlo, quindi a bruciarlo a cielo aperto avvelenando la città siciliana. La decisione, una sorta di legalizzazione, è stata presa dalla conferenza stato regioni che ieri ha dato il via libera al decreto del ministro dell'ambiente con il placet dei ministri della salute e delle attività produttive. Un decreto che di fatto spazza via i sigilli della magistratura che la settimana scorsa ha posto sotto sequestro proprio depositi e serbatoi di coke della raffineria dell'Eni per violazione delle norme sull'inquinamento ambientale e sullo smaltimento dei rifiuti industriali. 
Da ora in poi, dunque, il problema non esiste più. Il decreto, ad hoc, riguarderà soltanto l'impianto gelese, unico in Italia a usare il Pet Coke - scarto delle lavorazioni della raffineria - come combustibile. Il governo ne "consente l'impiego nel luogo dove viene prodotto", recita il provvedimento che dovrà ora essere approvato dal consiglio dei ministri per il via libera definitivo. I dipendenti del petrolchimico - circa tremila persone con
l'indotto - che dal giorno del sequestro giudiziario all'Agip petroli sono in assemblea permanente contro la decisione della magistratura, hanno ovviamente accolto positivamente la decisione del governo, approvata, sembra, da tutti i rappresentanti delle regioni italiane. Del resto, proprio a causa delle inadempienze Eni verso le norme del decreto Ronchi, rischiano il posto di lavoro.
Opposto è invece il commento di Legambiente, che parla di "salvacondotto concesso all'Agip di Gela, che indisturbata potrà così continuare a fare quello che fino a oggi è stato illegale".
"Bruciare il Pet Coke - spiega Francesco Ferrante, direttore dell'associazione - residuo di raffinazione ad alta concentrazione di zolfo e metalli come nickel, vanadio, cromo (tutti cancerogeni e mutageni) non è come bruciare un normale combustibile. Il prodotto deve rimanere classificato come rifiuto, e se utilizzato come combustibile si devono adottare misure che abbattano le pericolosissime emissioni di zolfo e metalli pesanti che finiscono nell'atmosfera".
I lavoratori non debbono legarsi mani e piedi alle decisioni padronali e governative: prima vengono sfruttati per inquinare il territorio; poi vengono licenziati e ricattati con il timore per il futuro; infine accettano il peggio per tornare ad essere sfruttati e a inquinare peggio di prima. I lavoratori devono organizzarsi contro il ricatto occupazionale, lo sfruttamento e la distruzione dell'ambiente. Sono i padroni che devono pagare il prezzo di quanto hanno fatto.

ISTAT: IL LAVORO NERO CRESCE AL SUD

Secondo i dati dell'Istat - riferiti al 1999 - i lavoratori irregolari ammontano a 3 milioni e mezzo (per la precisione 3.486.000). Lo studio dell'Istat, che annualmente fornisce il suo rapporto sul lavoro irregolare, quest'anno si arricchisce per la prima volta delle stime regionali. Il termine "irregolari" comprende non solo quelli che prestano - in tutto o in parte - la propria opera in nero, ma anche tutti i lavoratori stranieri non residenti e non registrati. Per focalizzare ancora meglio le dimensioni del fenomeno, un dato per tutti: se gli occupati nel 1999 ammontano a 23 milioni e 112 mila unità, quei tre milioni e mezzo rappresentano il 15,1% del totale. Insomma, oltre un lavoratore su dieci è in nero. Cifre che raggiungono dimensioni preoccupanti nel Sud, dove vivono in pratica quasi la metà degli irregolari, ovvero un esercito di 1 milione e 451 mila lavoratori sommersi - e la percentuale sul totale, analogamente, lievita al 22,6%, ovvero oltre due lavoratori su 10. A portare la "bandiera" del lavoro nero è, come già negli anni passati, la Calabria, con il 27,8% degli irregolari. Seguono la Campania (25,9%) e la Sicilia (24,1%). Il record "buono", quello della regione con meno lavoro irregolare, tocca invece all'Emilia Romagna (10,4%).
Il settore con il più alto tasso di irregolarità è quello agricolo; seguono le costruzioni e i servizi. E proprio guardando all'agricoltura, vengono fuori le cifre "da brivido" del Mezzogiorno: in Calabria il 46,6%, in pratica la metà degli addetti, lavora in nero. Sempre nel settore agricolo, si distinguono la Sicilia (40,6%) e la Campania (39,9%). Fatta la media su
tutto il Sud, risulta un poco confortante 38,4%. L'industria in senso stretto (il solo manifatturiero senza le costruzioni), registra uno dei dati più bassi: "solo" il 5,7% di media nazionale. Contando le costruzioni, però, il dato risale: al Sud, è irregolare il 28,8% degli edili, al Nord il 10,7%. L'Emilia Romagna ha il dato più basso (2,1%).
Nei servizi le differenze tra Nord e Sud sono meno forti di quelle, basandosi il settore su
un'organizzazione del lavoro ancora molto frammentata e che rende il fenomeno mediamente diffuso su tutto il territorio nazionale (in particolare nei comparti degli alberghi e dei pubblici esercizi, del trasporto in conto terzi e dei servizi domestici). Il Mezzogiorno si attesta su un 21,2% di irregolari, mentre il Nord si aggira intorno al 14% e il centro al 17%. La regione con il tasso di irregolarità più elevato nel settore dei servizi è la Campania (25,9%), mentre quella con il tasso più basso (ma comunque in sé abbastanza alto) è ancora una volta l'Emilia Romagna (13,3%). Per quanto riguarda la crescita del lavoro nero dal 1995 al 1999, infine, il maggior aumento si è registrato nel Sud, e in particolare in Sardegna, Sicilia, Basilicata e Campania.

CONVEGNO ISPESL SULLE MALATTIE PROFESSIONALI

Le malattie professionali cambiano rapidamente insieme al sistema produttivo. Ma restano centrali. Anzi, dal confronto internazionale dei dati, si coglie addirittura una crescita del fenomeno. In Italia ci sono almeno due milioni di persone che sono vittime di malattie professionali o di infortuni. Tra gli infortuni, che sono almeno un milione l'anno, 1.354 sono mortali. E almeno il 10 per cento degli infortuni avviene in situazioni al nero, ovvero in posti dove il lavoro è ancora "sommerso". 
Alcune malattie professionali sono state definitivamente superate (si sono "perse" dicono in gergo i medici del lavoro) e quindi sono state cancellate dalla lista dell'Inail che riconosce appunto la malattia professionale. Ma molte nuove malattie hanno fatto il loro ingresso sulla scena e tante altre sono in lista di attesa per essere riconosciute tali e dare quindi ai lavoratori che le contraggono la possibilità di avere la relativa rendita. Una delle novità in vista riguarda lo stress, a quanto pare una delle malattie professionali più diffuse. Lo stress non è ancora una malattia professionale e non appare quindi nelle liste ufficiali, ma a livello
scientifico è un tema che risulta all'ordine del giorno già da due anni. Un altro terreno di ricerca degli istituti internazionali è quello dei tumori. Ci sono infatti neoplasie direttamente legate al lavoro, come nel caso dell'esposizione all'amianto. Ma ci sono anche tanti altri tumori che non hanno una sola causa, ma che sicuramente tra le concause hanno anche il lavoro, soprattutto per quanto riguarda l'esposizione e l'uso di materie nocive. Ci sono centinaia di nuovi prodotti chimici che vengono introdotti in produzioni di tipo diverso. Gli esperti, ha spiegato ieri il direttore dell'Ispesl, Moccaldi, stanno studiando le relazioni tra queste nuove sostanze e i tumori. Alcune stime parlano di una incidenza fino al 15% delle attività professionali nella formazione di neoplasie. In altri termini si suppone che la causa dei molti tumori sia da addebitare - almeno per il 15% - alle condizioni di lavoro. "Occorre ricordare - ha spiegato poi il professor Foà - che l'ambiente di lavoro è una delle voci più importanti per la definizione dello stato di salute di una persona, insieme al suo stile di vita".

ALENIA

Alenia Spazio si prepara a sbattere in mezzo alla strada 400 dipendenti. A comunicare ai sindacati le eccedenze di organico, sui 3000 dipendenti che lavorano negli stabilimenti di Roma, Torino, Milano, L'Aquila, Taranto, è stata mercoledì sera l'azienda del gruppo Finmeccanica. I motivi della scelta, ha precisato la società, sono da attribuire alla flessione della domanda dei satelliti commerciali sui mercati internazionali e ad una mancanza delle scelte di programmazione nel settore spaziale da parte del Governo.

COREA: SCIOPERANO GLI ELETTRICI

Il sindacato degli elettrici (Kepo) è rimasto da solo a sostenere lo sciopero contro le selvaggie privatizzazioni in atto, dopo che martedì sono rientrati al i dipendendenti del settore gas e mercoledì quelli delle ferrovie. "Non vogliamo mollare su alcun punto contro la privatizzazione" ha affermato Kim In, portavoce della Kepo, in seguito alla firma del premier Kim Dae-jung per riformare la terza più grande economia dell'Asia. Intanto il ministro del commercio, Shin Kook-hwan, per tentare di fermare lo sciopero, ha scritto in una lettera al sindacato che "il governo manterrà la sua promessa di garantire tutti i posti di lavoro dopo la vendita alle compagnie elettriche private". Al momento comunque gli elettrici si sono detti convinti a continuare l'astensione ad oltranza.

 
2 marzo 2002

 

SCIOPERI: INIZIANO LE MOBILITAZIONI REGIONALI CONTRO LE DELEGHE DI MARONI

Otto giorni di scioperi, fitti nelle fabbriche metalmeccaniche, indetti dai delegati e dalle rsu unitariamente. Ora dagli scioperi spontanei si passa alle mobilitazioni indette dalle strutture della Cgil, che, rifiutata la "trattativa trappola", si prepara alla manifestazione nazionale del 23 marzo e allo sciopero generale del 5 aprile. 
Via via si snodano gli scioperi regionali di marzo: 4 ore per tutte le categorie e territori, ha deciso subito la Cgil del Piemonte; 4 ore la Cgil dell'Emilia Romagna, che concentra una manifestazione generale per il 9 marzo contro la legge Bossi-Fini sull'immigrazione, e oggi a Bologna aderisce, assieme alla Camera del lavoro, alla manifestazione contro il Centro di via Mattei. Scioperi articolati anche in Lombardia, dove si prosegue anche contro le scelte della giunta Formigoni sulla sanità e promovendo incontri con tutte le comunità di migranti per caratterizzare contro la legge Bossi-Fini la manifestazione del 23. Il 12 marzo c'è lo sciopero generale provinciale proclamato dalla Camera del lavoro di Brescia. 

Scioperi di fabbrica. La Fiom delle Marche ha proclamato uno sciopero articolato di 4 ore dei metalmeccanici contro il mancato stralcio dell'art.18 e le deleghe sul lavoro e la previdenza. Le prime a fermarsi sono le le aziende del molo sud di Ancona e Fincantieri. E poi a Torino: alla Alenia 1500 operai e impiegati sono usciti in corteo per andare a volantinare al mercato di corso Brunelleschi; e sciopero oltre l'80% all'Iveco, conclusosi con 7-800 lavoratori in assemblea in corso Giulio Cesare. Chiusura di settimana in Toscana con lo sciopero alla Breda di Pistoia e nel Lazio con le fermate alla Schneider e alla Eems a Rieti.

LAVORATORI DI "BLU" IN PIAZZA

Scendono in piazza i lavoratori dei call center di Blu, contro i licenziamenti minacciati - e alcuni già attuati - dall'azienda. I giovani (la media è di 30 anni di età) vengono da Calenzano (Firenze), Palermo, Padova, Napoli, Milano e dalla stessa Roma. Nel frattempo, i colleghi rimasti nelle diverse sedi sosterranno la protesta con scioperi e manifestazioni locali. Già parecchie decine di lavoratori non hanno avuto il rinnovo del contratto di formazione lavoro. Una lunga coda Blu attraversa Roma, piena di giovani che sembrano in festa, ma che in realtà manifestano per i propri posti di lavoro, minacciati da una vendita "a spezzatino" dell'azienda di telecomunicazioni.
Secondo i sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, che hanno organizzato la protesta, sono scese in piazza 1500 persone. Una delegazione di lavoratori ha incontrato il ministro Gasparri.
A licenziare è un'azienda che non è in crisi, ma che ha superato gli obiettivi che gli azionisti si erano dati. Più esposti di tutti sono i 750 contratti cfl in scadenza nel 2002, quasi la metà degli operatori Blu. Poi, ci sono 800 contrattisti a tempo indeterminato, che rischiano soprattutto se la società verrà liquidata. Tutti gli altri sono interinali, anche loro a rischio di non rinnovo, ovviamente. Nessuno dei dipendenti ha diritto agli ammortizzatori sociali, perché l'azienda ha meno di tre anni.

FIOM PRESENTA UN'INCHIESTA SULLA SATA DI MELFI

La Fiom rilancia dalla Fiat di Melfi la sua strategia di lotta per le prossime settimane.
L'occasione è stata la presentazione della ricerca di Davide Bubbico "L'indotto auto della Fiat-Sata di Melfi", promossa dalla Fiom e dalla Cgil regionale e pubblicata dalle edizioni Meta. Un'analisi che si ferma, per ora, alla produzione e all'occupazione nelle 25 aziende con 3400 addetti, senza scendere nel merito della qualità del lavoro, che sarà invece oggetto
di alcuni interventi del dibattito.
Nelle aziende dell'indotto che aderiscono all'Acm (Consorzio Autocomponentistica Mezzogiorno) aumenta lo sfruttamento. La SATA ha deciso che si va avanti con l'intensificazione dei ritmi e l'aumento dei turni, non vuole saperne di innovazione. La FIOM intende partire proprio da Melfi con la diminuzione dei turni da 18 a 17. E' da ottobre che la FIOM scrive lettere e chiede incontri per la piattaforma dell'indotto Acm. Adesso presenta la piattaforma ai lavoratori e si va alle votazioni.
Nel dibattito, dove ha di nuovo fatto capolino la questione delle 35 ore rilanciata da un delegato, è venuta fuori la realtà di una condizione operaia nelle fabbriche dell'indotto, dove lo sfruttamento aumenta sempre di più, facendo rimpiangere la già non lieve condizione nella fabbrica madre della Sata.

FERROVIE: SCIOPERA L'ORSA PER IL CONTRATTO, LA DIFESA DELL'ART. 18, LA SICUREZZA E IL SALARIO

Nella raffica di mobilitazioni che stanno approssimando lo sciopero generale del 5 aprile, non poteva mancare lo sciopero dei ferrovieri. Sono scesi in sciopero su convocazione dell'Orsa - la confederazione in cui sono confluiti numerosi sindacati autonomi e di base - che ha scelto di rompere gli indugi dopo un anno e mezzo di trattative senza alcuna conseguenza pratica.
Trattandosi di un giorno festivo non avrebbero dovuto esserci "servizi minimi garantiti", ma la Commissione di garanzia, presieduta da Gino Giugni, ha preteso che fossero comunque fatti circolare 42 treni nella fascia oraria tra le 18 e le 21 di stasera. Per Trenitalia - come si chiama ora la società che gestisce il traffico passeggeri dopo essere stata scorporata dalle Fs - dovrebbe comunque circolare "un treno su due tra quelli a percorrenza medio-lunga". Lunedì, invece, incroceranno le braccia gli addetti agli impianti fissi (chiusi nei giorni festivi).
Il contratto è scaduto nel dicembre '99. E, mentre si fa finta di discutere del nuovo, Confindustria e governo procedono con privatizzazioni, liberalizzazioni ecc.
La materia del contendere, su cui viene registrata una grande lontananza di posizioni con la controparte, viene divisa dall'Orsa in due parti, entrambi fondamentali. Dal '98 i salari sono completamente fermi, senza neppure il recupero dell'inflazione; ma di aumenti in busta paga non se ne parla dal '95. In più, c'è da discutere sulle pretese di aumento della flessibilità, sugli orari, ecc. L'altro capitolo è quello che riguarda la sicurezza, ossia: definizione dei limiti massimi dell'orario di lavoro e le scadenze temporali per la manutenzione dei macchinari.
Su tutto c'è la questione della "clausola sociale", ovvero l'obbligo per i nuovi gestori - quelli che avranno concessioni a operare, diversi dalle Fs (ndr) - di applicare il contratto delle attività ferroviarie. Con lo spezzettamento delle attività tra diversi soggetti, infatti, esiste praticamente la certezza che si verificherebbe un'analoga frammentazione di formule contrattuali, profili professionali, orari di lavoro, salario e quant'altro la fantasia padronale, ossessionata dal "taglio dei costi", riuscirebbe a escogitare. L'esempio dei
lavoratori negli appalti delle pulizie, ormai disperati davanti alla prospettiva di 4.000 licenziamenti, balla davanti agli occhi di ogni ferroviere.
La "ristrutturazione" delle ferrovie ha una storia lunga, che ha diviso fortemente i vari sindacati presenti.

CONTRATTO TESSILI

Ci sono voluti cinque mesi di trattative. Ora il contratto dei tessili è stato firmato dai sindacati di categoria e dalla Federtessile. L'accordo riguarda il biennio economico 2002-2003. Rispetto al contratto precedente firmato con la Confapi, la confederazione delle piccole e medie aziende, ci sono novità che riguardano i lavoratori e le lavoratrici, che sono la maggioranza, del secondo e terzo livello della scala parametrale. La retribuzione media che viene identificata poco sopra il terzo livello, sarà aumentata di 71,5 euro al mese. L'aumento - su precisa richiesta delle aziende - verrà diviso in tre tranches: la prima in aprile di 26 euro, la seconda da ottobre di 23 euro, la terza e ultima di 22,2 euro dall'aprile del 2003. Vista la suddivisione saranno recuperati i livelli di inflazione con ritardo, cosa che peserà quindi sul recupero stesso e sulle buste paga.
Ma rispetto al contratto della Confapi sembra che siano favoriti leggermente i salari del secondo livello dove si concentra il grosso dei 600.000 addetti del settore tessile. I sindacalisti spiegano che rispetto all'aumento medio della Confapi (73 euro) si è perso qualcosa. Ma si è guadagnato invece proprio per le lavoratrici del secondo livello. L'accordo precedente premiava invece maggiormente il terzo e quarto livello parametrale.
I sindacati di categoria, Femca (Cisl), Filtea (Cgil) e Ulita hanno deciso di recovocare le iniziative di lotta che erano state programmate. A partire da domani saranno invece organizzate assemblee nei luoghi di lavoro di informazione e consultazione di tutti i lavoratori. Le assemblee si concluderanno il 22 marzo con la riunione dei direttivi nazionali dei tre
sindacati. La ratifica definitiva ci sarà solo dopo aver verificato il consenso dei lavoratori.

INTESA PER IL SETTORE GAS ACQUA

La firma del contratto mette fine a tre anni di attesa e uno di trattativa. Ora i 50.000 lavoratori del settore "gas e acqua", impiegati in oltre 750 aziende sia pubbliche che private, dovranno ratificare l'intesa. L'elemento che sindacato e imprese mettono in evidenza è per l'appunto il fatto che riguarda sia il settore pubblico che il privato; con l'avvio della liberalizzazione del mercato del gas - ormai prossima, in base alla legge del maggio 2000 - questo contratto dovrebbe almeno definire la cornice comune a tutto il settore.
La parte economica e salariale è composta da una parte comune, una differenziata e un'"una tantum" per il recupero del pregresso. Per il biennio in corso (fino a dicembre 2003) l'aumento medio parametrato al - 4 livello - sarà pari a 69 euro al mese, in tre tranche (27,6 euro subito). La parte differenziata - che scatta anch'essa da gennaio 2002) è di 11 euro nelle imprese aderenti ad Anfida, 16,75 per quelle di Federgasacqua e 17,75 in Anigas. L'una tantum - anch'essa media e parametrata - che va a coprire i tre anni di vacanza contrattuale sarà di 1,295 euro (metà ad aprile e metà dal 1 luglio. Nelle imprese Anfida, il cui contratto era scaduto da "solo" due anni, sarà di 863 euro. 

Confermato il doppio livello di contrattazione (nazionale e aziendale), mentre vengono "regolamentate" - ma non si sa ancora in che modo - le forme di lavoro precario (interinale, telelavoro, apprendistato), mentre viene introdotto il "laovoro condiviso" (job shearing). A livello aziendale, come quota variabile del salario, verrà discusso il "premio di risultato", legato progetti di produttività. qualità, ecc.
Il sindacato trova anche importante il punto sulla previdenza complementare, con l'espansione dell'esperienza dei fondi pensione in atto, che dovranno però subire qualche processo di aggregazione e fusione (par di capire). Le novità maggiori arrivano sul fronte dell'orario, fissato in 38,30 ore settimanali, con l'introduzione della "banca delle ore". I lavoratori potranno cioè recuperare come permessi retribuiti le ore di straordinario. Bisognerà vedere in pratica quali modalità "flessibili" assumerà questa nuova possibilità di giocare sull'orario di lavoro.

 

5 marzo 2002

ART. 18: UN PROBLEMA DA RISOLVERE SOLO CON IL CENTRO DESTRA?

Il governo ha chiesto tre deleghe per decidere motu proprio sullo smantellamento dello stato sociale e dei diritti del lavoro. Centinaia di migliaia di lavoratori hanno riempito le piazze in modo "articolato", cioè a giorni e città alterne, ma con intenzioni comunque chiarissime. E il cosiddetto centrosinistra che dice?
E' solo un caso che stia all'opposizione, e che sia Berlusconi il responsabile del massacro sociale in via di preparazione. Ds e rami d'Ulivo vari si barcamenano tra chi è contro le politiche berlusconiane, e chi è contro questo governo ma sarebbe disposto a farne uno simile. E' lo stesso senatore diessino Cesare Salvi, ex ministro del lavoro nei governo D'Alema e Amato, a lasciarsi scappare una rivelazione illuminante: "Quando divenni ministro al posto di Bassolino, trovai sul tavolo una bozza di Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria, l'ossatura della legge finanziaria) - non so se proveniente dal Tesoro (cioè Amato) o dalla presidenza del consiglio (ossia D'Alema) - in cui il tema della licenziabilità, il superamento dell'art. 18, era previsto e motivato, `per aumentare l'occupazione'". Come dicono Berlusconi e D'Amato.
I relatori Roberto Pizzuti, sulle delega previdenziale, e Massimo Roccella, su quella relativa al mercato del lavoro avevano illustrato i conti della previdenza sociale dopo i tre interventi di riforma degli anni `90: conti ormai a posto, anche sul lungo periodo, ma copertura pensionistica ormai limitata al 50% dell'ultimo stipendio (per i lavoratori dipendenti). La forzatura berlusconiana si spiega perciò solo con la volontà di "obbligare" i lavoratori a cedere il tfr - l'accantonamento per la liquidazione - a favore dei fondi pensione privati che, vista la ristrettezza della borsa italiana, finirebbero per investire all'estero quei 30.000 miliardi annui di raccolta. Roccella si era soffermato sull'art. 18 ("il punto massimo di modernità nel risarcimento del danno e di protezione della dignità della persona"), ricordando come in Germania esista lo stesso meccanismo, esteso però alle imprese con più di 5 addetti. E aveva attaccato duramente il disegno governativo sull'"arbitrato" - "la possibilità per l'arbitro di dirimere una controversia anche senza tener conto delle leggi vigenti". Salvo dover poi a sua volta rivelare che una proposta simile viaggia anche in una fantomatica bozza di "Statuto dei lavori" in discussione in alcuni ambienti del centrosinistra, ma ancora tenuto segreto.
Su questo piano, così come su quello dell'abbassamento delle aliquote fiscali, tra destra e sinistra è possibile solo una concorrenza sulla "quantità" delle concessioni da fare, non sul segno sociale della politica economica. 

Perciò non bisogna cadere in trappole frontiste, in nome del "comune nemico", la destra, perchè dopo la giusta lota del '94 contro Berlusconi, ci hanno rifilato 5 anni e più di governi "amici dei lavoratori" che hanno fatto l'impossibile per soddisfare i padronie hanno lasciatoc ampo facile al Centro destra.

INTERINALI

I dati diffusi da Confinterim la confederazione delle associazioni del lavoro interinale in Italia dicono che il 47% dei lavoratori interinali utilizzati nel corso del 2001 ha un diploma di scuola media superiore, il 36,6% un diploma di licenza media inferiore, il 5,2% la licenza elementare e solo il 4% ha una laurea in tasca. L'età media del lavoratore interinale tipo si attesta sui 29 anni. Nel dettaglio il 39,2% ha un'età inferiore ai 25 anni, il 25,9% dai 25 ai 29 anni, il 25,3 tra i 30 e i 39 anni, il 7,7% dai 40 ai 49 anni e solo l'1,9% va oltre i 49 anni. I settori dove il lavoro interinale è più utilizzato sono, principalmente, l'industria metalmeccanica con il 32,2%. Nelle altre industrie viene utilizzato il 22,9%. Stessa percentuale nel terziario e una cifra simile negli altri settori con il 22%. Il 67% dei lavoratori interinali ha solo una missione nel corso del 2001, il 25% fino a tre missioni. Il 6% da 4 a 6 missioni e il 2% oltre sei missioni in un anno. Il grosso delle missioni è legato alla sostituzione dei lavoratori assenti.

CONVENTION DEI CALL CENTER

I call center crescono. Le tendenze più moderne richiedono l'evoluzione dalla vecchia struttura, fatta di cornette, videoterminali e cuffiette, verso il più moderno "web call center", dove le nuove tecnologie multimediali si integrano con quelle più "antiche", incrociando voce, fax, e-mail, sms, navigazione sul web. E per evolversi, i call center hanno bisogno di studiare, preparando responsabili, supervisori, manager. E' per questo motivo che la Cmmc - Customer Management Multimedia Callcenter, che associa 130 aziende e 26 società che lavorano nel settore o che hanno un call center al proprio interno - ha organizzato un grosso workshop che si conclude oggi all'Olgiata di Roma. Tra loro, Omnitel, Tim e Telecom, Atesia, H3G, Atento-Telefonica, Banca 121, Seat PG, Enel.it. Un'evoluzione che prevede per i lavoratori soltanto nuovi carichi di lavoro senza in cambio ottenere tempi di lavoro e retribuzioni migliori. E non è che già oggi siano messi bene. 
Che i lavoratori dei call center siano tra le vittime sacrificali della precarizzazione e dell'alienazione odierne, non è un mistero. Vivono attaccati alle loro macchine anche per 6 ore di seguito (reggerne di più è impossibile), bombardati da un sistema automatico che smista le telefonate: i tempi, dunque, sono dettati dall'automazione. Nel frattempo, i capi li controllano in modo pressante, potendo ricostruire, telefonata per telefonata, durata, esito, modalità delle chiamate. Allo stress psicologico legato a questo sistema, si aggiunge in molti casi la precarietà contrattuale, che moltiplica a dismisura il disagio: chi ha dei contratti di collaborazione, ad esempio - e molti telefonisti sono capifamiglia - è spesso pagato a singola chiamata, tanto che non può programmarsi nessuna forma di futuro che non sia limitata ai due-tre mesi successivi. Mutui casa, acquisti di automobili, prestiti dalle banche, ormai alla portata di qualsiasi cittadino medio, diventano pure utopie. Come la pensione, la maternità, le ferie retribuite.
Di fronte alla lobby dei call center si profila la nuova coscienza sindacale dei lavoratori del telefono: in questi ultimi mesi, dalla Atesia di Telecom alla Atento di Telefonica, dai dipendenti di Blu a quelli della Tim, senza tacere ovviamente i metalmeccanici di Omnitel, seppure per diversi motivi e partendo da situazioni contrattuali diverse, i giovani della new economy stanno mostrando di saper organizzare le proprie proteste.

LAVORATORI IMMIGRATI

I padroni sanno distinguere, quando serve loro, tra gli immigrati che creano problemi e quelli che creano profitti, sapendo fare i conti concretamente con i problemi del lavoro e della sua organizzazione in fabbrica e nelle aziende di ogni tipo. Da molte parti del nostro paese si comincia a levare una sorta di grido di dolore da parte degli imprenditori. Ci manca gente per determinate mansioni. Facciamo arrivare più immigrati. Le ultime in questo senso arrivano dalla Cna di Bologna e dalla Confartigianato delle Marche. La Cna chiede che sia data la possibilità agli imprenditori italiani di assumere più facilmente i lavoratori stranieri che hanno frequentato uno stage di formazione professionale. Una altra dichiarazione analoga è stata fatta dalla Confartigianato delle Marche. Il 20% della domanda di lavoro in provincia di Ancona è rivolto agli immigrati e la richiesta supera sempre l'offerta. Il decreto per l'ingresso degli stagionali fissa però dei limiti molto rigidi che non soddisfano le esigenze produttive. E' la differenza tra sovrastruttura e struttura.

COREA: CONTINUA LA LOTTA CONTOR LE PRIVATIZZAZIONI

Nessuna tregua per i lavoratori elettrici sudcoreani in lotta da più di otto giorni. Il governo ha ordinato l'arresto di 27 sindacalisti, leader di questo sciopero a oltranza che è stato proclamata contro le privatizzazioni di cinque centrali elettriche. Per l'ennesima volta si è rotto il tavolo delle trattative tra i dirigenti aziendali e i rappresentanti dei lavoratori della Kepiu, dopo che la compagnia ha ribadito di voler vendere parte della quote azionarie, che per il 51% sono ancora di proprietà dello stato. Così i 5.200 lavoratori - su un totale di 5.600 dipendenti - hanno deciso di continuare il blocco delle centrali che sta provocando da più di una settimana un black-out parziale della fornitura di energia elettrica. Complessivamente i lavoratori del settore sono 16 mila.
Quando scoppiò la protesta, otto giorni fa, contro il progetto di privatizzazioni nella Corea del sud, lo sciopero era stato proclamato da altre due categorie del settore pubblic, ferrovieri e lavoratori del gas e la paralisi del paese fu - specie nei trasporti - quasi totale. L'agitazione era stata indetta dai due più grandi sindacati del paese, la Fkctu e la più combattiva Kctu, per chiedere sia migliori trattamenti salariali e, soprattutto, l'accantonamento delle ipotesi di smantellare i servizi pubblici per darli in mano ai privati. Il governo sudcoreano non ha esitato ad usare la mano forte. Ha dichiarato lo sciopero illegale e su ordine della corte di Seul ha predisposto l'arresto di più di cento sindacalisti. Dopo cinque giorni, un accordo è stato raggiunto tra le parti però solo per il comparto delle ferrovie e quello del gas. Mentre è rimasta aperta la vertenza degli elettrici, che riguarda la dismissione di cinque centrali che producono circa 48 milioni di kilovattori di elettricità al giorno. 

Contro questi lavoratori il governo del premio nobel della pace Kim Dae-jung sta operando con ogni mezzo repressivo: minacce, arresti mirati e il ricorso ai crumiri per fare funzionare le centrali, per costringere i dipendenti a tornare al loro posto di lavoro. La polizia è intervenuta per sciogliere il sit-in che da otto giorni hanno organizzato i leader nei pressi della cattedrale di Seul, nella centralissima Myongdong. Un sit-in che è diventato luogo-simbolo di un'agitazione che sta utilizzando tutti le più moderne tecnologie per andare avanti; non esclusa Internet e la telefonia cellulare.

GRAN BRETAGNA: ANCHE I LAVORATORI DELLA SANITA' CONTRO LE PRIVATIZZAZIONI

Una delle lotte più aspre tra governo Blair e sindacati è quella contro la Private Finance Initiative. Il premier inglese ha definito i sindacati "disfattisti", "un ostacolo alla modernizzazione" del sistema sanitario nazionale per la loro opposizione alla svendita ai privati degli ospedali o di parte dei servizi sanitari. Nei posti di lavoro la lotta alle privatizzazioni si è tradotta in decine di scioperi e manifestazioni in tutto il paese. Perché naturalmente vendere al privato non significa per il pubblico risparmiare, i sindacati denunciano anche altri due aspetti negativi della privatizzazione: da una parte i servizi sono spesso inferiori (vedi il caso di Norwich con i posti letto ridotti) se non peggiori, e dall'altra, il destino dei dipendenti pubblici è tutt'altro che chiaro, una volta consumato il passaggio di consegne dal Nhs al privato. 
La lotta forse più importante (anche per la sua durata nel tempo, dieci mesi di sciopero) è stata quella dei lavoratori del Dudley Nhs Trust. La storia è la stessa che si ripete in molte zone del paese: PFI per i servizi sanitari di Dudley. Il personale ausiliario, sostenuto da Unison (il sindacato del pubblico impiego) ha cominciato una battaglia durata fino al giugno dell'anno scorso. La richiesta principale dei dipendenti era semplice: volevano chiarezza sul loro futuro e chiedevano di rimanere dipendenti pubblici. Dopo un braccio di ferro durato dieci mesi, i lavoratori hanno finalmente potuto cantare vittoria. Il ministro della sanità Alan Milburn ha infatti annunciato, poco dopo le elezioni politiche dello scorso giugno, che gli ausiliari (che si occupano dei servizi di catering, pulizie, portineria) rimarranno inquadrati come dipendenti pubblici, anche se lavoreranno presso un ospedale privatizzato. Questo vale, naturalmente, per tutti gli ausiliari e non solo per quelli di Dudley. 

A Londra, uno dei progetti più consistenti di privatizzazione è quello che riguarda St Bartholomew e il Royal London NHS Trust. Anche qui, diecimila dipendenti (iscritti a Unison) rischiano il trasferimento in mani private. La vittoria di Dudley infatti ha un risvolto poco piacevole: il governo ha sì accettato di considerare dipendenti pubblici gli ausiliari, ma ha successivamente detto che questa situazione dovrà essere verificata in progetti pilota (ce ne sono già almeno tre). In altre parole, il governo deve prima verificare che al consorzio privato vada bene avere sotto di sé dipendenti che formalmente rimangono sotto il National Health Service. In queste ultime settimane, il governo sembra aver optato per una nuova inversione di rotta. Una mossa che non piace a Unison che ha annunciato battaglia. (4 continua)

CINA: DISOCCUPATI IN RIVOLTA

Migliaia di lavoratori licenziati hanno assediato ieri gli edifici del gigante statale petrolifero che ha sede a Daqing, nella provincia nordorientale cinese dell'Heilongjiang. Senza lavoro, non hanno neppure i sussidi: nessuna copertura sanitaria, niente cassa integrazione, nessuna pensione. La loro rabbia era già esplosa venerdì scorso, pare con una violenza assai maggiore rispetto a ieri, quando hanno deciso di protestare ancora, probabilmente anche in concomitanza con l'apertura a Pechino dei lavori dell'Assemblea nazionale del popolo, che inizia oggi la sua plenaria annuale.
Un tempo indicata da Mao Zedong come la città industriale modello, Daqing paga oggi con decine di migliaia di licenziati proprio quel passato di grande centro petrolifero, insieme a tutto il nord-est cinese squassato dalla ristrutturazione dell'industria statale che deve oggi rispondere ai nuovi criteri di redditività e competitività imposti dalle riforme. Secondo le dichiarazioni dei funzionari della società petrolifera, i lavoratori avevano accettato "volontariamente" di lasciare il lavoro ricevendo in cambio solo una sorta di liquidazione complessiva, senza ulteriori garanzie. L'asprezza delle condizioni di vita ha evidentemente condotto gli operai alla protesta e a chiedere maggiori coperture.
Il vero, grande problema del governo è il finanziamento delle misure sociali che dovrebbero "asciugare le lacrime" dei perdenti, esasperati ulteriormente dall'alto livello di corruzione nella pubblica amministrazione. Un programma pilota di assistenza sociale è stato varato lo scorso anno nella provincia nord orientale del Liaoning. Si tratta di un insieme di misure che cercano di ristabilire una sia pur minima struttura di sostegno finanziario e sanitario per tutti.

 

6 marzo 2002

ENRON: IL PIU' GRANDE CRACK DEL MONDO

Un analista della Ubs PaineWebber - Chung Wu - aveva raccomandato via e-mail i clienti da lui curati di vendere le azioni Enron all'indomani delle dimissioni di Jeff Skilling; troppo chiari, per lui, i segnali di dissesto finanziario. Kenneth Lay non gradì, e fece "pressione" perché la Ubs si liberasse di questo suo troppo efficiente adviser. E vi riuscì in 24 ore. La seconda notizia riguarda invece i lavori del General accounting office del Congresso, che sta indagando sullo scandalo. Al centro dell'ultima seduta sono stati i legami tra la Enron e la Casa Bianca. Con tanto di prove. Il "sospetto", bisogna ricordare, è che la società texana stesse per ottenere grandi vantaggi dalla politica energetica voluta dalla presidenza, in cambio dei generosi finanziamenti elettorali erogati al ticket repubblicano. La battaglia istituzionale sarà ancora lunga, ma ogni giorno Bush e Cheney devono registrare una sconfitta.

MARCONI: 300 ESUBERI

Marconi Communications ha annunciato un ulteriore taglio dei livelli occupazionali in Italia. Sono 300 i nuovi esuberi che si aggiungono ai precedenti 500. In Italia la Marconi ha ridotto la forza lavoro di 800 unità nell'arco di sei mesi: 360 a Genova, 400 a Caserta, il resto sul territorio nazionale. La società giustifica la decisione con la "determinazione a ridurre la propria dipendenza dalla ripresa del mercato, che permane critico, per riportare il gruppo al profitto".

RINVIO NELLA CESSIONE DI BLU

I dipendenti di Blu, scesi in piazza l'1 marzo scorso a Roma contro i licenziamenti, dovranno ancora aspettare. Il consiglio d'amministrazione della società ha rinviato le decisioni sulla cessione dell'azienda al prossimo 20 marzo, affermando di muoversi "nell'ottica complessiva del mantenimento dell'integrità aziendale". Niente "spezzatino" insomma? Vari operatori si sono già fatti avanti per "smembrarne" i diversi asset, e ultimamente uno scambio di battute a distanza sull'esistenza o meno di uno straniero a trattare l'acquisto, affermata dall'azionista Gaetano Caltagirone e negata dal ministro delle telecomunicazioni Gasparri, ha solo contribuito a diffondere confusione tra i dipendenti. E intanto un centinaio di loro, tutti contratti di formazione lavoro, hanno già perso il posto, e altre decine rischiano di perderlo nelle prossime settimane se non verrà trovata una soluzione coerente.

CHARTER: TAGLI PER 550 DIPENDENTI

Il gruppo britannico Charter ha riferito di aver licenziato 550 dipendenti nel 2001 e annuncia che nei prossimi mesi ridurrà la forza lavoro di altre 100 unità. Le riduzioni di personale, pari al 3,5% della forza lavoro, sono state compiute negli stabilimenti esistenti in Australia, Argentina, Italia, Canada, Olanda e Gran Bretagna.

MILANO CHE LAVORA: DONNE PAGATE LA META'

Secondo una indagine della Camera di Commercio a Milano le donne guadagnano la metà rispetto ai colleghi uomini: il reddito medio è, in proporzione a quello maschile, del 54%. La percentuale è inferiore a quella della Lombardia (60%) e dell'Italia nel suo complesso (62%). Nel capoluogo lombardo 5 anni fa il reddito femminile era il 57% di quello maschile, mentre in Lombardia e in Italia la quota è rimasta sostanzialmente invariata. Nel complesso Milano diventa comunque sempre più ricca, con un reddito individuale medio di 34 milioni contro un valore di 25 milioni in Lombardia e 22 milioni a livello nazionale.

PRECARIO SUICIDA

Da cinque mesi lavorava saltuariamente come muratore a Modena, attività che non gli garantiva un reddito tale da poter mantenere la famiglia: per questa ragione un uomo di 48 anni si è suicidato ieri mattina a Foggia, impiccandosi a un albero nei pressi della propria abitazione. Le ragioni del suicidio, l'uomo le ha scritte su un bigliettino. Il muratore, che lascia moglie e tre figli, si era licenziato da una cooperativa sociale di Foggia ed era emigrato a Modena dove aveva trovato occupazioni saltuarie. Lo stipendio non bastava però a garantire tranquillità economica alla famiglia; stanco della precarietà e dei continui viaggi cui si sottoponeva per potere lavorare, l'uomo ha quindi deciso di uccidersi.

ITALIA: CRESCE LA POPOLAZIONE CHE LAVORA

Continuano a fioccare le prove che il sistema pensionistico italiano - che nelle ultime tre "riforme" in 10 anni ha ridotto abbastanza nettamente le prestazioni - tutto sommato "tiene". E, quindi, che gli allarmi quotidianamente lanciati dalla Ue, dal Fmi e dalla Confindustria hanno tutt'altre ragioni o finalità.
Una ricerca della Cgia (associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre, condotta sul periodo 1995-2000, rivela come la quantità delle pensioni erogate sia aumentata di appena 17.000 unità sull'intero territorio nazionale. E come, al contrario, il numero degli occupati sia salito (quasi un milione in più). Il risultato è perciò che il tasso di attività della popolazione italiana (il rapporto tra quanti lavorano e la popolazione complessiva) sia decisamente migliorato: + 4,6% a livello nazionale. I dati disaggregati per regione consentono inoltre di dire che solo in Calabria, nello stesso periodo, la situazione è peggiorata. E che solo in due regioni - Molise e Calabria - il numero degli occupati resta inferiore a quello degli "inattivi" a carico della collettività.

FONDI PENSIONE

L'obiettivo finale del governo di destra è la riduzione dei contributi previdenziali (con effetti devastanti sull'Inps), ulteriore indebolimento della pensione pubblica e cancellazione del Tfr. Il lavoratore - se passasse la riforma Maroni - sarebbe privato della facoltà di disporre della propria liquidazione e avrebbe solo il contentino di poter "scegliere" a quale Fondo destinare i suoi soldi.
Le due precedenti riforme delle pensioni (Amato e Dini) hanno già ridotto il grado di copertura della pensione stessa. Per capire i fondi pensione, bisogna prima di tutto rispondere alle domande più frequenti. E' vero che nessuno potrà mai dare la sicurezza dei rendimenti? E' vero che un lavoratore potrebbe rischiare perfino di non recuperare i soldi che ha versato?
"Noi siamo contro la delega del governo Berlusconi - spiega Beniamino Lapadula della Cgil nazionale - proprio perché impone l'obbligo della cessione del Tfr. Siamo sempre stati a favore della scelta libera. Ma abbiamo lavorato per costruire i fondi di categoria come sistema di integrazione della pensione pubblica e con precise caratteristiche di salvaguardia". Lapadula spiega che i fondi pensione "negoziali" ovvero quelli di categoria sono stati pensati come difesa del valore solidaristico (è una forma di risparmio collettivo che dà una forza maggiore rispetto al risparmio individuale), insieme al valore della contrattazione nazionale e al basso costo della gestione finanziaria, cosa che non si può avere con un risparmio affidato alle banche, alle assicurazioni o alle Sgr.
Ma anche i fondi negoziali dei sindacati sono basati su forme di investimento finanziario e che quindi hanno un rischio insito. Dipende sempre dal momento in cui si "esce". Se un lavoratore che ha risparmiato negli anni dovesse uscire in un momento di crollo delle borse sarebbe ovviamente penalizzato. Si sta studiando però un sistema di protezione che consiste nel ridurre progressivamente l'esposizione finanziaria e la volatilità man mano che ci si avvicina al momento della pensione. "Per i fondi chiusi - ci spiega un operatore di una Sgr - non potrà comunque mai capitare un caso alla Enron perché i fondi non sono mai basati solo sulle azioni di una singola società". La garanzia di base starebbe proprio nel modello della diversificazione degli investimenti, nel controllo e nel modello della tripartizione dei poteri. "Un fondo negoziale - ci dice ancora l'operatore - ha infatti un gestore finanziario scelto con gare pubbliche, un service amministrativo (che gestisce i versamenti) e una banca depositaria". Tutte le attività e le scelte di un fondo chiuso sono sottoposte al controllo permanente della Covip (commissione di vigilanza sui fondi pensione). Se un fondo avesse voluto fare scelte a rischio come quelle della Enron, la Covip sarebbe intervenuta molto prima del disastro. Ma questa è più che altro una "ipotesi", forse anche una pia intenzione.
Le scelte dei singoli fondi sono comunque molto diverse tra loro. Basta analizzare i dati della Covip sui rendimenti dei fondi chiusi per scoprire che ce ne sono di più "aggressivi" dal punto di vista finanziario e di più tranquilli. I metalmeccanici di Cometa, per esempio, hanno operato scelte più prudenti del fondo dei chimici. Diversi anche i gradi di rendimento medio tra fondi chiusi e fondi aperti. Nella relazione del 2000, la Covip stimava un rendimento medio del 3,6% dei fondi sindacali e un rendimento del 2,9% per quelli aperti. Alla fine del 2001 gli iscritti ai fondi aperti (nella maggior parte lavoratori autonomi) erano 285 mila. Ai fondi di categoria erano invece iscritti 1.013.320 lavoratori. Ma il bacino potenziale degli aderenti ai fondi chiusi è di circa 9 milioni di lavoratori dipendenti e circa 4 milioni di lavoratori autonomi.

 

7 marzo 2002

GELA: PROSEGUE LA LOTTA PER IL LAVORO

Continuano i blocchi stradali attorno a Gela. Proprio sotto le ciminiere ormai spente, lungo la statale per Vittoria, c'è uno dei cinque blocchi stradali degli operai in lotta contro il sequestro dell'impianto. Gli altri quattro sono sparsi in altrettanti punti chiave della città da tre giorni isolata dal resto della Sicilia, quindi sulla superstrada per Catania, in quella per Agrigento e nelle arterie per Butera e Mazzarino. I lavoratori ricordano che questo è un blocco civile, che non è vero che impediscono il passaggio alle ambulanze. I giornali gettano fango su questa lotta, ma la ragione non è perchè gli operai sono contro l'ambiente, è solo perchè la stampa si schiera comunque con il padrone.
Il clima è arroventato e rispecchia la tensione che si respira in città. I blocchi stradali, che da domenica tengono Gela prigioniera di se stessa, da ieri sono in effetti meno rigidi dei primi giorni. La protesta dei contadini, che l'altra sera si sono rivolti ai carabinieri per poter portare i loro prodotti nei mercati provinciali, ha indotto gli operai ad allentare la morsa, ma non la presa. Si attende quello che accadrà a Roma nell'incontro tra il presidente della Regione Siciliana Cuffaro e i ministri dell'ambiente Matteoli, dell'interno Scajola e delle attività produttive Marzano. L'oggetto dell'incontro, che potrebbe essere decisivo, è il decreto che salva Pet Coke, il residuo delle lavorazioni petrolifere che l'Agip utilizza come combustibile violando le normative ambientali e sullo smaltimento dei rifiuti industriali. 

Il petrolchimico non è una pineta, dicono i lavoratori, ma è sotto i limiti di legge. Cosa accadrà se domani non avrete il decreto dal governo? "Se oggi siamo civili, domani diventeremo talebani", taglia corto un giovane operaio con il volto bruciato dal sole. "Siamo disposti a tutto per difendere il nostro lavoro, il pane delle nostre famiglie _ aggiunge un altro _. La nostra lotta non riguarda solo gli operai dello stabilimento, ma tutta la città, perché senza petrolchimico Gela non ha futuro".
Tutta Gela è solidale con le loro rivendicazioni.

FIAT: A POMIGLIANO IL LAVORO INTERINALE UCCIDE ANCHE INDIRETTAMENTE

Alla Fiat di Pomigliano d'Arco ci sono in azione un po' tutte le forme contrattuali che solo fino a qualche mese fa venivano chiamate "atipiche", ma che il governo attuale vorrebbe tanto far diventare "normali". Interinali, a termine, in formazione-lavoro. Ma anche la fabbrica non è più terreno operativo di un'unica società. La Fiat ha "terziarizzato" un sacco di segmenti produttivi, affidandoli a società formalmente autonome. Il caos societario e contrattuale - come anche il meno brillante dei marcatempi poteva prevedere - si va traducendo in caos organizzativo e ragazzi che corrono avanti e indietro come forsennati. Ieri mattina, alle 6 e 20, in mezzo a tanto correre, c'è alla fine scappato il morto. Un ragazzo poco più che ventenne, assunto in "formazione-lavoro" come carrellista dalla Logint - la società "terza" che fornisce la movimentazione di materiali e la logistica all'interno dello stabilimento - ha investito con il suo pesante mezzo Antonio D'Amico, operaio di 57 anni, padre di tre figli, residente nelle provincia di Napoli. L'uomo è stato spinto a vari metri di distanza, ed è rimnmasto colpito alla testa. I soccorsi sono stati immediati, e l'operaio è stato caricato su un'ambulanza che è corsa in direzione dell'ospedale San Giovanni Bosco di Napoli. 
L'incidente mortale è avvenuto all'interno dell'area dello stabilimento dove opera la Stola Sud, altra azienda terziarizzata che produce parti mobili in lastroferratura (cofani, portiere, ecc). E qui si può vedere chiaramente cos'è diventata la fabbrica automobilistica nel corso di questi anni: parti fondamentali del prodotto finale - e non solo gli specchietti retrovisori della Ficomirrors - non sono più "roba Fiat", ma sono subappaltate a mini-imprese nate per gemmazione dalla casa-madre. In queste imprese, dice la Fiom r gli altri sindacati, i contratti "atipici" sono la regola, il potere contrattuale dei lavoratori è bassissimo e l'ordine quotidiano è "correre!". Alla faccia della qualità e della sicurezza. Nel comunicato emesso dalle Rsu aziendali si dice che "il principale colpevole è il contesto in cui si svolge l'attività lavorativa, le condizioni e i ritmi di lavoro degli addetti, che sembrano tutti impegnati in una corsa ad ostacoli contro il tempo".
La risposta della fabbrica è stata un'ora di sciopero su ogni turno, sia nel "ramo Fiat" dello stabilimento che in tutte le altre aziende collegate. Un corteo interno, cui hanno partecipato anche i giovani - qualli che più soffrono la condizione precaria e i rischi ad essa connessa - ha attraversato l'impianto. Le Rsu hanno anche chiesto un incontro urgente con la direzione Fiat, che sulle prime ha provato a trincerarsi dietro una sorta di "che c'entriamo noi?", come se l'organizzazione del lavoro e la sicurezza dello stabilimento non dipendessero dalla casa-madre, ma dalle singole società "terze".

 

8 marzo 2002

GELA: IL PET COKE PER DECRETO NON INQUINA PIU'

Ora è ufficiale: l'Agip Petroli può inquinare Gela per legge. Il Pet Coke non è più un rifiuto industriale. Lo sanno tutti che non è così, ma il governo gli ha cambiato i connotati, classificandolo come combustibile, utilizzabile quindi per alimentare il petrolchimico fuorilegge. Il decreto, approvato da Palazzo Chigi mentre la città - tutta la città di Gela - scioperava contro il sequestro della raffineria, è un duro colpo ai sigilli della magistratura. Lo voleva l'Eni, lo chiedevano i sindacati, lo invocavano i lavoratori. A Gela ora è finito un incubo. Un incubo cominciato il mese scorso, quando i magistrati sono entrati nell'impianto dell'Eni e ravvisato un "reiterato comportamento criminoso" relativamente alle norme sulla tutela dell'ambiente e sullo smaltimento dei rifiuti industriali. I gelesi adesso respirano. Respirano veleno, come fanno da quarantanni, ma hanno salvato il posto di lavoro a tremila operai, l'economia di mezza città. Quanto durerà è tutto da vedere.

SCIOPERI CONTRO LA POLITICA DEL GOVERNO

Le parole degli scioperi non si fermano, e si fanno più fitte al Sud. Oggi a Napoli, partono gli scioperi nelle fabbriche del Porto, nella zona nord, e sciopera l'Alenia di Fusaro, a chiudere una sequenza settimanale di fermate indette unitariamente dalle Rsu, già segnata dai successi, dalla grande manifestazione di mercoledì nella zona orientale della città: qui i delegati hanno chiamato insieme allo sciopero, alla Whirlpool, alla Ansaldo, alla Magnaghi e in altre aziende minori. Uno sciopero di due ore riuscito al 100%, quasi 3800 i lavoratori coinvolti, di cui ben 3000 sono usciti in corteo, fin sui binari della stazione, per "sensibilizzare i viaggiatori sull'art.18, la previdenza, il fisco", insomma gli attentati "ai diritti" nelle deleghe di Berlusconi. Ma al sud si finisce in corteo anche in modo meno previsto. Nei giorni scorsi, alla Fiat di Melfi, una assemblea convocata dalla Fim sui regimi di orario, in cui arrivano i delegati Fiom, e tra i due gruppi sindacali non è che ci sia identità di vedute sugli "orari", ma sono i lavoratori a produrre una propria unità, decidendo di sfociare dall'assemblea in un corteo, sui "noti temi" caldi dei licenziamenti.
Nelle Marche, dove la Fiom ha proposto scioperati articolati fabbrica per fabbrica, "fino al 23 marzo", si susseguono le fermate, aperte anche qui da un corteo per le vie di Ancona mercoledì: in sciopero i lavoratori della Fincantieri e dei cantieri minori e delle ditte d'appalto, che in corteo si sono fermati alla stazione e poi in uno degli incroci nevralgici della città con sit-in e comizio per "comunicare con la città sulle libertà e i diritti".
Oggi a Livorno, Fim, Fiom, Uilm, scioperi indetti unitariamente dai tre sindacati, che in un documento chiedono "alle strutture nazionali" di fare "tutti gli sforzi per compattare il movimento unitario contro le pretese della Confindustria e del governo". E in Emilia Romagna, dove la Cgil ha indetto 4 ore di sciopero per tutte le categorie e territori, domani una manifestazione regionale si concentra a Parma contro la Bossi- Fini, per i diritti dei migranti. La Cgil di Imperia al Festival di San Remo prosegue con iniziative e volantini creativi; non da meno quelli della Fiom di Sesto San Giovanni: "Diritti a Roma".
Domani in tutt'Italia la Cisl articola mobilitazioni "a sostegno della trattativa" e contro le modifiche all'art.18. La Fim del Triveneto, sceglie invece di proclamare sciopero in Veneto, trentino e Friuli.

TRF E FINANZA

Una lettera di un rappresentante sindacale a "Il manifesto" mette a nudo un meccanismo da rapina

Caro manifesto,
è facile dimostrare, conti alla mano, che se una parte del tfr fosse semplicemente devoluta all'INPS si potrebbero centrare i seguenti obiettivi:

1) salvaguardare il principio della pensione pubblica;
2) mantenere l'attuale grado di copertura della stessa;
3) garantire anche nel futuro la continuità di erogazione e la buona salute dell'INPS;
4) continuare a percepire la buonuscita, anche se ridotta.

Invece gli scopi che si vogliono perseguire nel medio periodo costringendo i lavoratori a mettere i loro tfr nelle tasche del capitale finanziario sono i seguenti:

1) abbassare gradatamente il grado di copertura della pensione pubblica;
2) trasformare il "diritto" alla pensione in un "prodotto" finanziario che il lavoratore deve acquistare, assumendosi tutti i rischi del mercato;
3) trasferire coercitivamente migliaia di miliardi ogni anno nelle casse delle banche e delle assicurazioni private;
4) abbassare i salari e le pensioni;
5) costringere i lavoratori a sostenere con i loro soldi le politiche antisociali e colonialistiche - compresi i traffici di armi e l'aggressione ai paesi in via di sviluppo - che le multinazionali e le banche attuano ogni giorno.

Il recente fallimento Enron e la crisi dei fondi Calsper, che hanno defraudato della loro pensione decine di migliaia di lavoratori americani, dimostrano qual è il meccanismo in cui saranno costretti a entrare i lavoratori, obbligati per legge ad avere il privilegio di condividere le perdite del capitale finanziario senza avere il diritto di condividerne i profitti.
Rimane consegnata alla storia l'enorme responsabilità del nostro centrosinistra, incapace culturalmente e politicamente di costruire possibilità diverse da quelle indicate dai postulati neoliberisti, e sempre pronto - si tratti di fondi pensione o di sistema maggioritario - a parlare inglese senza saper guardare né al nostro passato né al domani.
Ma grande è anche la responsabilità dei sindacati confederali, che proprio recentemente (ipotesi di accordo del 4 febbraio u.s., punto n.9) chiedono lo smobilizzo del tfr anche nel settore pubblico, fornendo alibi e forza al progetto berlusconiano che mira a impoverire lo stato, mettere in crisi l'INPS e favorire l'ingresso di "soggetti privati" (cioè Berlusconi, Moratti, Agnelli e altri) nel mercato delle pensioni.

Carlo D'Adamo
(delegato Cobas rsu ISIS "Archimede" - S. Giovanni in Persiceto)

SEMPRE DI PIU' GLI INFORTUNI TRA LE DONNE

Secondo l'Inail e l'Anmil, nel 2001 oltre 221 mila lavoratrici hanno subito un incidente, il 2% in più rispetto al 2000. Gli infortuni mortali sono stati 107, in crescita dell'8%. Aumento, quello degli infortuni, meno sostenuto rispetto a quello dell'occupazione femminile (+3,8%), ma non per questo meno preoccupante.
Si fa ancora poco per garantire la sicurezza sul lavoro, e l'attuale governo si prepara a smantellare la già scarna legge 626/94 senza offrire un progetto alternativo.
E se le donne dimostrano di essere in generale più attente degli uomini verso la sicurezza (nel 2001, rispetto a una percentuale di lavoro femminile pari a circa il 30% della forza lavoro, gli infortuni delle lavoratrici rappresentano una quota inferiore al 20% del totale), è anche vero che in vari settori l'aumento degli infortuni femminili ha superato nel 2001 quello di uomini e donne insieme. Nell'industria e nei servizi gli infortuni di uomini e donne diminuiscono dello 0,9%, ma quelli delle sole donne sono aumentati del 3,1%; così, se per uomini e donne le morti sono aumentate del 2,7%, per le donne sono cresciute addirittura del 16,7%, Insomma, è l'uomo ad abbassare quelle medie, ma guardando solo al dato femminile l'aumento è davvero preoccupante.
Nella sola Lombardia, ad esempio, gli infortuni delle donne sono aumentati addirittura del 13% dal `99 al 2000. Tra le cause degli infortuni delle donne c'è sicuramente il lavoro interinale. Esso presuppone, infatti, una minor formazione, oltre ad implicare un minore impegno in chi sa che cambierà presto attività e quindi un abbassamento della soglia di attenzione. Tra le altre cause, c'è anche il numero di ore lavorative in costante aumento e una scarsa prevenzione, perché le imprese considerano la spesa per la sicurezza come un costo aggiuntivo da ridurre.
Ma il lavoro è anche carriera. Le donne come sono messe rispetto agli uomini? Una ricerca dell'Eurispes dice che sono ancora pesantemente svantaggiate, soprattutto quando si guarda ai ruoli dirigenziali. A dispetto della diminuzione del tasso di disoccupazione che le vede surclassare gli uomini (-1,7% dal `95 al 2000 per le donne, -0.9% per gli uomini), solo lo 0,9% delle lavoratrici dipendenti riveste un ruolo da dirigente, contro il 2,1% degli uomini. Secondo la Confcommercio, infine, dal '93 al 2000 il lavoro femminile ha contribuito per il 96% alla crescita occupazionale totale. Le donne sono oggi il 45% dei lavoratori con laurea o specializzazione (nel `93 erano il 39,5%), e tra gli impiegati ormai la maggioranza è donna (il 52%).

 
9 marzo 2002

UN PADRONE BOLOGNESE... UN ESEMPIO PER TUTTI I PADRONI!

"Oggi si sono presentate due signore sedicenti 'sindacaliste' ed asserendo di averci comunicato via fax di aver indetto un'assemblea retribuita nei nostri locali. Ovviamente sono state mandate via". Esordisce così la lettera di Filippo Guerra, titolare dell'azienda metalmeccanica Siti spa di Monteveglio, in provincia di Bologna, indirizzata il 4 marzo alla Fiom-Cgil e per conoscenza "alla Uilm di Bologna, agli on. Berlusconi, Maroni, Bossi". Ieri mattina all'alba, un gruppo di "sedicenti sindacaliste della Fiom e della Cgil di Bologna", cariche di mimose, occupavano l'area davanti alla fabbrica per scambiare "due parole sull'accaduto" con le donne e gli uomini che lavorano alla Siti, e due righe scritte da dedicare a padron Guerra, a cominciare da "pensi, siamo qui senza magistratura o carabinieri...".

Il titolare della Siti spa, annunciando ai dirigenti della Fiom che non riscuoterà più le quote per le tessere sindacali, così conclude la sua missiva: d'ora in avanti "le tessere ai vostri iscritti gliele dovrete mandare a casa...Al riguardo ci ritorna in mente che nel famoso ventennio era stata istituita la 'tessera del pane' e vi invitiamo a coglierne il nesso". Una fascinazione, quel "ventennio", per il sig. Guerra, tale da suggerirgli il nesso finale: "P.S. Per tornare in Siti d'ora in poi dovrete presentarvi con l'ordinanza di un magistrato e se del caso accompagnati dai carabinieri".
La Siti chiarisce anche che le assemblee "dovranno essere tenute fuori dallo stabilimento in caso di partecipanti non graditi all'azienda, quali per l'appunto i soggetti 'esterni' rappresentanti, o meglio, agenti di qualsiasi sindacato".
E' inesauribile di trovate, la lettera di padron Guerra. Il nocciolo è chiaro: "non faremo più gli esattori per associazioni che, nascondendo i loro veri obiettivi dietro lo Statuto dei lavoratori fanno l'impossibile per affossare le aziende e invitano i lavoratori a occupare piazze...aeroporti...".
La Fiom va diretta al nocciolo: "continueremo la nostra battaglia a difesa dell'articolo 18, proviamo a immaginare cosa succederebbe in questa azienda se non ci fosse tutela dai licenziamenti individuali illegittimi" - reagisce dalla segreteria bolognese Ivana Sandoni. (E gli scioperi che anche ieri hanno costellato l'Italia, dalla Fiat Sevel alle fabbriche marchigiane, indetti da delegati, dalla Fiom, e da Fim e Uilm, hanno il suono di democratiche ridenti promesse).

PALERMO: LAVORATORI BLU IN LOTTA

Oltre 100 dipendenti del call center palermitano dell'azienda di telecomunicazioni, hanno manifestato ieri davanti al Teatro Biondo di Palermo, dove la Cgil festeggiava l'8 marzo. Un cartello con una croce nera e la scritta Blu, manifesti funebri in cui si dava "il triste annuncio dell'imminente scomparsa di 2000 posti di lavoro" (quelli che potrebbero sparire in tutta Italia se l'assemblea del 20 marzo prossimo dovesse decidere la liquidazione della società), a Palermo rischiano di perdere il lavoro circa 600 giovani, quasi tutti con contratti di formazione lavoro. Sul fronte delle voci sul possibile acquirente salva-Blu, intanto, si parla sempre più insistentemente di Tim, che poi dovrebbe a sua volta rivendere parte degli asset per questioni di concorrenza. L'amministratore delegato di Tim, Marco De Benedetti, però ha ribadito che finora "non c'è niente di deciso".

CONTRO LO SMEMBRAMENTO DI FINCANTIERI

Il coordinamento nazionale di Fim, Fiom e Uilm del gruppo Fincantieri ha esaminato lo stato di applicazione dell'accordo di gruppo del 28 ottobre 2000 e ha affrontato il tema della privatizzazione dell'azienda. I sindacati si sono detti "contrari a qualsiasi ipotesi di smembramento o vendite frazionate di singoli cantieri, o la separazione tra cantieri civili e militari, perché lo spezzatino di Fincantieri provocherebbe la messa a rischio dell'attuale configurazione produttiva del gruppo stesso".

TARANTO: 500 PULITRICI IN LOTTA PER IL POSTO DI LAVORO

Troppe mimose possono essere soporifere, e le 500 pulitrici delle ditte Vega, Polignano e Bolognini di Taranto non possono certo permettersi il lusso di dormire. Il loro 8 marzo è stato un giorno di lotta, per difendere il proprio posto di lavoro. Un'assemblea nella scuola Acanfora, una delle sedi in cui si affaticano per 18 o 24 ore a settimana per portare a casa al massimo 750 mila lire al mese.
Le donne - tra di loro c'è anche una minoranza di colleghi uomini - rischiano di rimanere senza lavoro dal prossimo giugno, quando scadrà l'ennesima proroga dei contratti di appalto per la pulizia di diverse scuole della provincia pugliese. Contratti attualmente attivati dal ministero della pubblica istruzione, ma che, grazie all'autonomia scolastica, da giugno passeranno ai singoli istituti. Le lavoratrici verranno dunque licenziate, dovranno attendere qualche mese in attesa dei rinnovi e poi chissà quante di loro e a quali condizioni (peggio delle attuali è possibile?) verranno riassunte. Già oggi, a parte il magrissimo stipendio e monte ore lavorativo, non vengono pagate durante le vacanze estive, a Natale, a Pasqua, insomma quando tutti i dipendenti "garantiti" hanno diritto alle ferie retribuite.
"Con la lotta che simbolicamente ricomincia proprio l'8 marzo - spiega Margherita Calderazzi, dello Slai Cobas - le lavoratrici vogliono uscire dalla precarietà selvaggia cui sono costrette da molti anni a questa parte. Avanziamo una richiesta precisa alle autorità, al ministero innanzitutto. Già tre mesi prima della scadenza di giugno bisogna scrivere dei precisi regolamenti attuativi in base ai quali dovranno essere bandite le nuove gare. E' necessario che tutte le lavoratrici abbiano una base di certezza e di continuità da questi contratti: una durata di 5 anni senza sospensioni, e almeno 30 ore a settimana. Sono le condizioni minime di dignità per donne che portano avanti anche intere famiglie, dovendosi spesso sobbarcare altre ore di pulizie extra presso i privati".
Le donne di Taranto sono decise a proseguire la loro lotta: già nell'autunno scorso, dopo il licenziamento di 127 di loro, quelle che non si sono arrese hanno avuto la meglio e ottenuto di nuovo il proprio posto.
Il prossimo 15 marzo le pulitrici manifesteranno davanti alla prefettura di Taranto, per spingere le autorità - il governo soprattutto - a dare una risposta chiara al proprio bisogno di certezze. E si augurano anche che le scuole della provincia, consorziandosi insieme e bandendo delle gare serie, diano a loro volta un senso positivo alla autonomia che hanno di recente acquistato.

12 MARZO 2002

SCIOPERI IN CORSO

Nelle assemblee unitarie delle più grosse fabbriche metalmeccaniche molti lavoratori ammonivano i sindacati a riportare la discussione che li divide "dalle pagine dei giornali ai luoghi di lavoro". La Fim di Brescia si unisce allo sciopero di 4 ore in provincia.
Gli scioperi si addensano in questa settimana in tutte le regioni, fino alla manifestazione nazionale del 23.
In Veneto, "contro la svolta involutiva che il governo tenta di imprimere alla società italiana", c'è stato di nuovo sciopero a Marghera. Più di mille lavoratori degli appalti e dei subappalti dell'Agip sono scesi per le strade ieri mattinae nel pomeriggio si è proseguito con l'assemblea sciopero dei chimici nel capannone del Petrolchimico. E in Fincantieri ripartono gli scioperi metalmeccanici.

DOCENTI CONTRO MORATTI

Centomila fazzoletti bianchi contro il disegno di legge di riforma degli organi collegiali. E' stato un altro successo andato oltre le migliori previsioni, l'iniziativa lanciata la scorsa settimane da quattro riviste scolastiche on-line - Fuoriregistro, Didaweb, Educazione&Scuola e Proteofaresapere - che avevano invitato i docenti a rendere evidente la loro contrarietà al disegno di legge proprio in concomitanza con la discussione in Aula del provvedimento, anche se l'esame del testo dovrebbe slittare alla prossima settimana.

"Il disegno di legge prevede una feudale commistione di poteri - spiega il documento che ha lanciato l'iniziativa di ieri - Il dirigente scolastico sarà contemporaneamente organo di controllo, indirizzo ed esecutivo; i docenti da paritetici diventeranno minoranza nel consiglio scolastico; il personale Ata (tecnici e amministrativi, ndr) non sarà più presente nel consiglio; saranno aboliti i consigli di classe; saranno liquidate le assemblee per genitori e studenti e verrà cancellato il comitato di valutazione come emanazione del collegio docenti". Oltre a questo, proseguono gli organizzatori "sarà istituito un nucleo di valutazione - in cui la presenza dei docenti è minoritaria e schiacciata tra un genitore garante ed un non ben definito esperto - che dovrà, tra l'altro, confermare l'assunzione definitiva del personale della scuola". Un modello che "stravolge i principi basilari della democrazia nella scuola, principi che dovrebbero fondarsi sulla separazione dei poteri, rappresenta l'umiliazione dell'autonomia professionale e prefigura forme di reclutamento che, negando le competenze professionali, mettono in serio dubbio le garanzie costituzionali sulla libertà d'insegnamento". In occasione del dibattito parlamentare Cgil, Cisl e Uil annunciano picchetti unitari di protesta.

CARIME LICENZIA FRANCESCA FURFARO

Francesca Furfaro, segretario nazionale della Falcri, uno dei sette sindacalisti che firma i contratti nazionali di lavoro - la settimana scorsa aveva firmato la parte economica del rinnovo attualmente in corso - è stata licenziata dalla Carime (Cassa di risparmio del Mezzogiorno). La Falcri è un sindacato autonomo che conta 25.000 iscritti, e in quanto tale ammesso a tutti i tavoli negoziali. La motivazione del licenziamento viene definita da tutti i sindacati "grottesca e inconsistente", e comunque è "senza precedenti nella storia del sindacato del credito". In pratica la Furfaro è stata licenziata per aver commentato pubblicamente i risultati di una indagine commissionata dalla banca stessa sul grado di commercializzazione dei prodotti finanziari della banca (che però continuava a offrire ai clienti i prodotti di Banca Intesa) e sulla scarsa soddisfazione dei clienti. I risultati della ricerca erano stati diffusi in teleconferenza (tutt'altro che segreti, insomma), ma il commento pubblico ha fatto egualmente scattare il licenziamento per la Furfaro, "venuta meno al dovere di diligenza e fedeltà".
Numerose iniziative - legali e sindacali - sono in questo momento allo studio per costringere la Carime a ritirare il provvedimento.

INFORTUNIO A GENOVA

Un operaio genovese di 57 anni, Sergio Bellini, è morto cadendo dall'impalcatura che aveva appena finito di montare nella centrale Via Assarotti. L'incidente è avvenuto poco prima della pausa pranzo del pomeriggio di ieri. L'uomo è scivolato e ha fatto un volo di una decina di metri. Trasportato all'ospedale, è morto durante il tragitto a seguito delle ferite riportate al capo. L'operaio non indossava il casco, né era assicurato a funi.

GALBANI

La dirigenza della Galbani, che rimarrà immutata nel passaggio dalla francese Danone alla nuova proprietà - i fondi inglesi Bc Partners -, ha rassicurato i sindacati sul mantenimento del piano industriale e commerciale presentato già nell'estate del 2001, aggiungendo che non verranno operate ristrutturazioni né ridimensionamento di organici (i dipendenti sono circa 4.200). I sindacati restano comunque perplessi e hanno chiesto una serie d'incontri (il primo il 4 aprile prossimo) per analizzare il piano industriale. Inoltre, è stato deciso il blocco degli straordinari e della flessibilità e sono state proclamate 4 ore di sciopero per il prossimo 22 marzo, in merito al premio di partecipazione del 2001: poco più di cento euro che l'azienda dice di aver già erogato sotto forma di anticipo, mentre per i sindacati deve essere ancora versata.

 

13 marzo 2002

GOVERNO CONTRO I LAVORATORI

"Temiamo di più di non fare nulla", dice il governo, per bocca di Maurizio Sacconi sottosegretario del ministro Maroni. Prosegue il presidente della Confindustria Antonio D'Amato: "Avere il consenso e non fare le riforme può essere letale: questa è una partita in cui bisogna essere coraggiosi". E non manca, D'Amato, di rivangare quegli "ultimi 10-15 anni" in cui "l'incapacità di fare riforme" ha prodotto tanti danni alla "competitività del Paese...". Agli uomini di Berlusconi interessano gli ultimi "5 anni", loro non faranno come gli incerti e inetti Amato e d'Alema, sbalzati di sella per titubanza.
Questa è la linea prevalsa, dopo tutta la ridda di ipotesi, le cosiddette "mediazioni" sulle modifiche all'art.18 già introdotte nella delega sul mercato del lavoro, fatte balenare in una serie estenuante di incontri alla Cisl e alla Uil, i sindacati che Maroni, e anche Fini, coccolavano come parti sociali "ragionevoli". D'altra parte, i temuti raduni di piazza, e lo sciopero generale, proclamati da tempo dalla Cgil, sono così vicini da rendere difficile una ricetta in extremis che metta al riparo il governo dalla fastidiosa manifestazione di "dissenso degli italiani".

BRESCIA SCIOPERA

"Vogliono imporci zero diritti, zero regole, zero libertà. Fermiamoli!", dice lo striscione sul palco. Ugo Verzeletti, delegato all'Iveco: "Stiamo solo scaldando i muscoli, perché questa roba qui non finirà il 5 aprile. Un punto l'abbiamo segnato, ci sono le condizioni per passare all'attacco, per estendere l'articolo 18 a chi non ce l'ha".
Lo sciopero è stato un successo. Alla conceria Abip di Torbole per la prima volta tutti i pakistani sono usciti in massa. Alla Federalmobil di Desenzano il problema dell'unità è stato risolto alla radice: "la Fim aveva solo 8 iscritti e da qualche settimana sono passati alla Fiom". Alla Cobo di Leno "non è entrato nessuno, il picchetto l'abbiamo fatto con quelli della Fim". All'Inse cilindri sono entrati solo quelli in contratto di formazione. Alla Metalwork di Concesio, 300 dipendenti, si contano sulle dita di una mano quelli che hanno scioperato. "Egoismo, egoismo allo stato puro", commenta un operaio, "non pensano ai figli e a quelli che l'articolo 18 non ce l'hanno". Paola, anche lei della Metalwork, soffia la sua rabbia nel fischietto: "Ci stiamo carburando per il 23 a Roma. Non ci credo che si sono presi paura e faranno marcia indietro. Finché ci sarà questo governo di padroni, non avremo vinto niente".
La spiegazione che Mohammed El Malawany, operaio alla Cf Gomma, dà del suo primo sciopero: "Lo faccio per i cittadini italiani di domani, perché non c'è giustizia se si lavora con una pistola puntata alla testa. Certo che a Roma ci andrò. Per fare qualcosa per l'Italia che ha fatto qualcosa per me". Non sono tantissimi, o forse non si dichiarano, quelli che hanno votato a destra. Uno lo troviamo, un operaio dell'accieria Ori Marti. Ha votato per Fini e si è pentito. "La prossima volta il voto lo darò a Bertinotti, l'unico che pensa agli operai. Gli altri ci pensano quando è troppo tardi. Se continua così, ci fanno regredire a terzo mondo". Problemi a sfilare in corteo con quelli che vengono da lì? "Nessuno. Io non ce l'ho con gli immigrati... purché lavorino".

NUOVO PIANO SANITARIO IN LOMBARDIA

A fronte di una gestione della sanità tutt'altro che lusinghiera (5 anni di controriforma hanno già prodotto un deficit di 6.500 miliardi di lire), la giunta di Formigoni approva il nuovo piano socio sanitario della Lombardia. Il concetto chiave - la salute in quanto merce si pagherà e i privati passeranno all'incasso - è bene impresso nelle menti dei mille lavoratori della sanità che hanno circondato il Pirellone con un presidio/girotondo targato Cgil Lombardia.
Non è facile allargare la partecipazione, nemmeno contro un piano socio sanitario all'americana che punta alla privatizzazione degli ospedali, alla riduzione dei servizi sociali e alla trasformazione delle Asl da gestori a semplici acquirenti di prestazioni fornite dai privati. Gianni Confalonieri, consigliere regionale del Prc, sa quanto è difficile tradurre la battaglia per la sanità pubblica in azione politica capace di coinvolgere. Eppure il peggio è già successo: "Con l'aumento dei privati accreditati in Lombardia in 5 anni ci sono state 40 milioni di prestazioni in più". Tutta salute? No, business. E adesso con questo nuovo piano il processo di aziendalizzazione si affinerà sempre più spacciando per modernizzazione ciò che si prefigura come un ulteriore attacco alla sanità pubblica. La privatizzazione degli ospedali avverrà innanzitutto con la trasformazione dei grandi centri clinici in Fondazioni private: "I soldi investiti dovranno rendere e quindi è evidente che si perpetuerà all'infinito il meccanismo dell'offerta, questo è mercato e non salute". Confalonieri individua nel necessario taglio di 5.400 posti letto (per adeguarsi allo standard nazionale) l'ennesimo escamotage per un'altra picconata: "I vecchi ospedali pubblici con 300 posti letto verranno demoliti e al loro posto, con finanze private, costruiranno nuovi ospedali". E' già lunga la lista dei piccoli ospedali di provincia "pericolanti", e non a caso la scure di Formigoni mette più paura nei centri minori piuttosto che a Milano, dove l'offerta bene o male riuscirà a coprire la domanda di cura. Altra nota dolente: la privatizzazione dei servizi territoriali, con la conseguente nascita di nuovi soggetti privati che forniranno prestazioni per anziani o portatori di handicap. Inoltre c'è da tener conto del "costo del lavoro" e per questo la giunta ha già messo in conto, negli anni a venire, il taglio di 8.000 lavoratori nelle Asl lombarde.

ALFA

Per la prima volta all'Alfa di Arese hanno scioperato anche i giovani del call center Fiat. Quattro ore di sciopero, proclamate da tutte le sigle sindacali (Fim, Fiom, Uilm, Slai Cobas e Flmu), perché "Arese viva". Duemila lavoratori hanno bloccato dalle 7 alle 11 le quattro portinerie, compresa quella del centro direzionale dove ha sede il call center. Molti dei 500 giovani che ci lavorano -i precari della nuova catena di montaggio - sono rimasti fuori mescolandosi con le tute blu delle carrozzerie e delle meccaniche che alternano una settimana di lavoro a una di cassa integrazione.

GOLDMAN SACHS RISTRUTTURA

La Goldman Sachs è pronta per una riorganizzazione completa delle sue attività. Questo per i dipendenti significa una riduzione del 10% della forza lavoro. Lo scrive il Guardian precisando che saranno più di 2000 gli impiegati che saranno sbattuti fuori nei prossimi mesi. La decisione rientra in una nuova fase di tagli di costi delle istituzioni finanziarie di WS e della City colpite dalla riduzione delle attività economiche dopo l'11 settembre

ALITALIA ALL'AIR FRANCE

I sindacati si oppongono alla svendita di Alitalia a Air France e chiedono un incontro urgente al governo. La svendita della compagnia configura il rischio di un ridimensionamento dell'azienda e contraddice gli impegni assunti dal governo in occasione dell'accordo del 23 gennaio a Palazzo Chigi. I sindacati però fanno a gara con il governo e con l'azienda per gestire la ristrutturazione impegnandosi a definire, niente di meno che, misure di contenimento anche del costo del lavoro

FRANCIA: CAMIONISTI E 35 ORE

I camionisti francesi sono di nuovo sul piede di guerra per l'applicazione delle 35 ore nel settore, che ha già dato luogo all'ultima ondata di protesta nel 2000. I blocchi delle raffinerie e delle zone industriali si sono ridotti a una decina in tutta la Francia, perché il ministro dei trasporti, il "comunista" Jean Claude Gayssot, ha promesso un incontro con i sindacati in azione (Cgt e Fo, ma non la Cfdt, principale sindacato del settore) per la prossima settimana. La situazione di relativo stallo, però, potrebbe non durare. Infatti, ieri alcuni camionisti in sciopero si sono sentiti minacciare dalle forze dell'ordine di un ritiro della patente "per intralcio alla circolazione". "E' un modo indecente di fare pressione" sostengono alla Federazione trasporti della Cgt. "L'ordine è arrivato dal governo" precisano. I camionisti rischiano di perdere il posto di lavoro con il ritiro della patente. Il ministero cerca di minimizzare il movimento parlando di semplice "malinteso" sul contenuto del decreto di applicazione delle 35 ore. I sindacati non sono d'accordo tra loro sull'interpretazione del testo. La Cfdt lo accetta. Per la Cgt e Fo, invece, il contenuto non è chiaro e permetterà al padronato di scegliere un'applicazione delle 35 ore molto sfavorevole ai dipendenti. Le equivalenze (cioè i tempi di attesa, di carico e scarico) non sono contenute nel decreto, che non specifica chiaramente che nell'orario di lavoro di 35 ore è compreso anche il tempo occupato da questa attività. Secondo il ministero (e la Cfdt), invece, le "equivalenze" sono comprese, nel senso che a partire dalla trentaseiesima ora la tariffa oraria deve essere del 25% superiore, pagata cioè come straordinario. Negli ultimi quindici anni ci sono stati almeno cinque grandi movimenti di camionisti in Francia, che hanno coinvolto, di volta in volta, sia i padroncini che i lavoratori dipendenti. L'applicazione delle 35 ore è l'ultima scintilla che rischia di far riesplodere l'incendio. Nel decreto si fa un passo indietro rispetto a quelle che avrebbero dovuto essere le conquiste della protesta del 2000: il calcolo dell'orario di lavoro non è più settimanale (56 ore la settimana al massimo con gli straordinari), ma mensile (220 ore), cosa che permette al padronato un maggior ricorso alla flessibilità.

TRE OPERAI FERITI A LECCO E A PORTOVESME

Due gravi infortuni con tre operai feriti, a Sirone (Lecco) e a Pontevesme, nel cagliaritano. Il primo è accaduto nell'acciaieria Rodacciai di Sirone, e ha coinvolto due operai. L'altro nella fabbrica di alluminio Alcoa Italia di Pontevesme, dove un'esplosione ha prodotto il ferimento di un lavoratore.
Alla Rodacciai, che dà lavoro a 110 lavoratori divisi su tre turni, i sindacati hanno proclamato uno sciopero di due ore per ogni turno.
All'Alcoa Italia di Portovesme è esploso un serbatoio che contiene 30 mila litri di olio combustibile, durante le operazioni di travaso del materiale da un'autobotte. Il serbatoio, situato vicino agli altiforni che traggono alimentazione dall'olio combustibile dei silos posizionati all'esterno, è esploso dopo che è saltato il tappo di sicurezza. Le fiamme si sono propagate velocemente e l'onda d'urto dello scoppio ha investito anche l'autista dell'autobotte che si stava occupando delle operazioni di scarico.

FONDI PENSIONE (da il manifesto)

Il grande sogno dei fondi pensione ha un precedente nei cosiddetti fondi pensione "preesistenti". In Italia esistono infatti oltre 80 mila persone che ricevono tutti i mesi un assegno da un vecchio fondo pensione aziendale. I fondi preesistenti sono quelli creati - ognuno per sé - prima che il legislatore decidesse di mettere le basi per sviluppare su larga scala la previdenza complementare. Cioè prima del decreto 124 del 1993, la pietra miliare della normativa sui fondi, non a caso legato ai primi provvedimenti Amato per il contenimento della previdenza pubblica.
I fondi preesistenti costituiscono la maggioranza dei fondi italiani (sebbene come numero di iscritti siano ormai meno rilevanti), ma anche perché hanno già compiuto il ciclo completo, sfornando pensionati veri. Secondo la relazione per l'anno 2000 della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) - una miniera di dati, per i fan dei temi previdenziali reperibile sul sito www.covip.it - risultano iscritti all'albo dei fondi 577 soggetti (417 vigilati dalla Covip, 160 da Banca d'Italia o Isvap perché interni a banche o assicurazioni), pari all'80% dei fondi pensione italiani. Le risorse finanziarie gestite da questi antenati dei grandi fondi negoziali sono pari a 54.000 miliardi, una cifra di tutto rispetto, che per ora è la parte preponderante del denaro raccolto in tutto il settore della previdenza complementare.
Gli iscritti, considerando solo i 417 fondi sorvegliati dalla Covip, sono circa 580.000 a fine 2000. Niente in confronto ai moderni fondi Cometa dei metalmeccanici o Fonchim dei chimici che a fine 2000 avevano rispettivamente oltre 330 mila e oltre 100 mila iscritti. Ma il valore del campione sta nel fatto che ci sono anche 80.000 pensionati.
Passiamo ora ai contributi pagati e alle pensioni erogate. In media ogni iscritto attivo versa - guarda guarda - 6,7 milioni di lire. Il contributo è quindi decisamente superiore a una annualità di Tfr. Quanto alla prestazione pensionistica, appare dignitosa. In media 10,8 milioni di lire. Un milione scarso al mese, concepito però come una pensione davvero integrativa. Le persone che fruiscono delle rendite erogate dai fondi preesistenti devono infatti avere verosimilmente una copertura pensionistica pubblica come era una volta, cioè pari circa al 70-80% della retribuzione.
Ma da dove vengono fuori i 6,7 milioni di lire versati all'anno, necessari per avere in futuro una decente sommetta mensile di pensione complementare? Guardiamo con la lente di ingrandimento, pur restando su valori medi: il 54% è a carico del datore di lavoro, circa il 30% a carico del lavoratore e la parte meno consistente, il 16%, è grattata via dall'accantonamento annuale per il Tfr. Morale: le nozze non si fanno con i fichi secchi. I lavoratori iscritti ai fondi preesistenti appartengono a categorie forti che nel passato sono riuscite a contrattare un sostanziale impegno da parte delle aziende nel finanziamento di forme di pensione complementare. E non hanno dovuto rinunciare, se non in minima parte, alla liquidazione. In sostanza per questi fondi pensioni sono state messe in campo risorse aggiuntive.
Gli iscritti ai fondi negoziali di oggi versano invece un contributo pari a circa 2 milioni all'anno, che per circa il 50% deriva dal Tfr e solo per il 20% è di origine datoriale.
Ultima sorpresa. I fondi preesistenti - che hanno dalla loro anche un rapporto tra iscritti attivi e pensionati ancora molto elevato - non si buttano affatto nel mercato azionario. Vanno invece sul sicuro: oltre il 50% sono obbligazioni, il 21% è investito nel caro vecchio mattone, e solo il 7% in azioni. I vecchi fondi fanno quello che sarebbe il vero mestiere della previdenza complementare: una previdenza di nicchia, che garantisce qualcosa in più rispetto alla pensione pubblica e che si alimenta non erodendo la contribuzione obbligatoria ma trovando nuove forme di finanziamento.

 

14 marzo 2002

GLOBO: LICENZIATI PER SOLIDARIETA'

Il Globo giornale in distribuzione gratuita nelle metropolitane romane ha licenziato in tronco tutti i giornalisti che hanno scioperato in solidarietà con alcuni dipendenti extracomunitari cui era stato rifiutato il compenso per il lavoro svolto.
Il 5 marzo 6 addetti alla distribuzione si presentano in redazione per chiedere il pagamento dovuto, in arretrato da 5 mesi. Una somma ritenuta però troppo "esosa" per la testata, attualmente in difficoltà economiche: 400.000 lire a testa. Ai dipendenti - tutti extracomunitari (tra cui iraniani e kurdi in Italia, con l'asilo politico) - viene negato ogni riconoscimento, e dopo un intero pomeriggio di anticamera, quando iniziano a protestare per il trattamento ricevuto, l'amministrazione chiama le forze dell'ordine e li fa portare via di forza, in questura. I giornalisti presenti, indignati per il comportamento dei "capi" e preoccupati anche per le proprie sorti, presentano al direttore una lettera di protesta e indicono uno sciopero di 24 ore. Al loro ritorno la "bella sorpresa": 11 lettere di licenziamento per tutti i dipendenti per "abbandono del posto di lavoro". I giornalisti denunciano il comportamento illegale della testata. Sono mesi, infatti, che lavorano in redazione senza percepire lo stipendio; molti hanno lavorato anche senza contratto. Agli stagisti venivano imposti turni di notte e straordinari che non erano assolutamente nei loro compiti.

SCIOPERO OMNITEL

I dipendenti della Omnitel hanno proclamato uno sciopero di un'ora negli 8 call center nazionali (dalle 11 alle 12 e dalle 18 alle 19), per il deteriorarsi dei rapporti sindacali con l'azienda, che ha deciso di applicare un nuovo part-time di 6 ore con criteri scelti unilateralmente, mentre impone ai nuovi assunti una turnistica su tre fasce orarie, anche questa non concordata con i sindacati.

A NAPOLI CONFINDUSTRIA NON PAGA GLI STIPENDI

L'elegante ufficio di Marilù Faraone Mennella, fidanzata ufficiale di D'Amato e responsabile di Confindustria per il Mezzogiorno, per 5 ore è stato occupato da una sessantina di operai dell'impresa edile Icar, che da tre mesi non ricevono lo stipendio. La compagna dell'acerrimo nemico dell'articolo 18, titolare della Icar stessa - secondo il sindacato ha in mano il 70%, lei nega di essere proprietaria - non solo ha "dimenticato" di pagare a 14 impiegati le mensilità di gennaio e febbraio e si accingerebbe a "soprassedere" anche su quella di marzo (per i 60 operai "saltano" per il momento solo febbraio e marzo), ma non è neppure in regola con i contributi Inps. E dal settembre scorso non versa alla Cassa edile il 23% trattenuto ai lavoratori. L'Icar è titolare di un appalto del Comune di Napoli, per le fognature di Chiaiano (14 miliardi di lire), di uno per la rete fognaria di Castellammare di Stabia (12 miliardi), di uno per la Fincantieri di Castellammare (20 miliardi), e qualche settimana fa si è aggiudicata anche i lavori del Palazzo di Giustizia di Torre Annunziata (50 miliardi). In più, c'è in programma un consorzio con la municipalizzata romana Acea per un acquedotto che servirà molti paesi del vesuviano (investimenti per 2500 miliardi di lire).

 

15 marzo 2002

VARATA LA DELEGA SUL MERCATO DEL LAVORO

Lo Statuto dei lavoratori si potrà smontare. Nei prossimi quattro anni l'articolo 18 sarà sospeso per situazioni determinate e come conseguenza si potrà licenziare anche "senza una giusta causa". Il governo Berlusconi va allo scontro sui problemi del lavoro e dice di non temere né gli scioperi, né la fase di conflitto che si è aperta. Anzi ieri il presidente del consiglio si è permesso una battuta: "Ormai - ha detto Berlusconi, riferendosi alla manifestazione organizzata dai sindacati europei a Barcellona - ogni occasione è buona per fare festa: i professionisti dei girotondi che si spostano hanno trovato un nuovo modo per passare il tempo e per campare la vita". Poi ha attaccato i sindacati e ha detto che lo sciopero generale sarà contro i giovani perchè in realtà il suo governo non vuole dare la libertà di licenziare agli imprenditori, ma la libertà di assumere. Dopo quattro mesi di negoziati più o meno camuffati, di braccio di ferro mediatici, con qualche tentazione di ripensamento e di divisione della maggioranza di governo, ieri il consiglio dei ministri ha varato il testo della delega sul mercato del lavoro senza alcuna modifica rispetto alla prima stesura. Anzi l'unica novità proposta e scritta dal ministro del lavoro Roberto Maroni, riguarda un ulteriore peggioramento dal punto di vista dell'universalità dei diritti, dato che si fa una differenza tra i lavoratori del nord e quelli del sud. Un punto della delega che modifica l'articolo 18 introduce infatti la possibilità di licenziare anche senza giusta causa solo nel caso dei contratti che vengono trasformati da tempo determinato e tempo indeterminato nel sud dell'Italia. 
L'articolo 18 dello Statuto, che prevede il reintegro in azienda per il lavoratore licenziato senza un motivo verrà sospeso per quattro anni nelle aziende che oggi hanno 15 dipendenti e che decideranno di ampliare l'organico, nelle aziende al nero che decidano di "emergere" e (solo per il Mezzogiorno) nelle aziende che decideranno di modificare i contratti a tempo determinato in assunzioni a tempo indeterminato. Il governo arriva a teorizzare l'inevitabilità dello scontro. il guaio è che ha ragione, la lotta di classe non si ferma mai: sono i sindacati concertativi che auspicano la sospensione dello scontro sociale. Infatti, è proprio grazie alla pace sociale da essi praticata (benchè con importanti lotte condotte da altri settori sindacali e di base) che si è giunti a questa situazione.
Ancora vale l'insegnamento che chi non lotta ha già perso...!

BARCELLONA: MIGLIAIA DA TUTTA EUROPA CONTRO IL SUMMIT ECONOMICO

Cambiano gli scenari urbani, Nizza, GÖteborg, Laeken ed ora Barcellona, ma la rivendicazione non cambia: giù le mani dai diritti. Ieri, per ricordare ai 15 che deve esistere anche un'Europa sociale e non solo quella delle liberalizzazioni e della flessibilità che si vuole perfezionare in Catalogna, sono sfilati per le strade del centro di Barcellona oltre 110.000 persone, più del doppio del previsto.
Un crogiolo di bandiere, anche una della Palestina, e sigle da tutta la Spagna, dalla Francia, dall'Italia, dal Belgio, dal Portogallo, dal Regno Unito, dalla Slovacchia, a rappresentare i milioni di lavoratori europei per un progetto di un'Europa differente ma anche portatori di rivendicazioni precise e concrete. Da quella nostrana a difesa dell'articolo 18 - "Berlusconi non ci licenzierai" - a quelle dei 6.500 francesi che non digeriscono l'idea di Bruxelles di aprire il mercato dei servizi elettrici e del gas e che protestavano contemporaneamente ad altre decine di migliaia scesi in piazza a Parigi; ma anche oltre 150 portuali belgi calati da Anversa con il rituale corredo di petardi per urlare il loro no alle riforme volute dalla Commissaria ai trasporti Loyola de Palacio.
Il corteo si è chiuso con un augurio urlato dal palco da una commossa Marina Rosset, cantante catalana: "Che le forze repressive non reprimano nessuno questi giorni, che non reprimano le manifestazioni".
Un augurio che non si è realizzato.

BANCARI: IN LOTTA PER IL REINTEGRO DELLA SINDACALISTA LICENZIATA

Tutti i sindacati di categoria, impegnati nel rinnovo del contratto nazionale, si presenteranno martedì 19 marzo, all'incontro con l'associazione dei banchieri (Abi), ponendo come pregiudiziale l'annullamento della decisione della Carime. Se questo non avverrà, dice il comunicato congiunto, "si procederà all'immediato blocco delle trattative a livello nazionale e alla attivazione di altre iniziative di lotta che coinvolgeranno l'intero settore del credito".

PILOTI IN SCIOPERO

I piloti di Alitalia Express incroceranno le braccia per otto ore il 18 marzo, interrompendo tutti i voli con partenza dal territorio nazionale, dalle 10 alle 18. Lo rende noto con un comunicato l'Anpac. "Questa azione - spiega il sindacato - si rende necessaria a causa del perdurare di numerose violazioni contrattuali, e di un clima di relazione industriali di completa chiusura verso la positiva risoluzione delle vertenze".

LAVORATORI BLU

I dipendenti di Blu presidiano il ministero dell'industria, per tenere alta l'attenzione sulla situazione dell'azienda che è cresciuta sul mercato delle Tlc mobili raggiungendo tutti gli obiettivi.

CINA: 5OMILA LICENZIATI

Sono ormai 50mila i lavoratori licenziati che assediano il quartier generale della maggiore compagnia petrolifera di Daqing, nell'Heilongjiang, nord-est cinese, protagonisti di quella che appare come la più grande protesta operaia degli ultimi anni in Cina. Tutto è iniziato l'1 marzo, con poche migliaia di disoccupati che protestavano contro la rescissione unilaterale degli accordi di fine rapporto da parte dei dirigenti della società, parte di PetroChina. Il gigante cinese del petrolio, insieme alla società affiliata China National Petroleum Corp, dopo aver deciso di quotarsi in Borsa nell'aprile del 2000, ha iniziato l'opera di ristrutturazione e solo a Daqing, un tempo indicata da Mao come città modello, ha licenziato 50mila dipendenti.
I lavoratori erano stati licenziati con un accordo di liquidazione complessivo che non prevedeva né pensione né copertura sanitaria, ma garantiva un sussidio aggiuntivo di circa tremila yuan l'anno (poco più di 400 euro) per le spese di riscaldamento durante il freddissimo inverno del nord est cinese. Il 12 febbraio scorso la società annunciava la sospensione del sussidio e l'aumento dei contributi che i lavoratori devono versare a un fondo comune di sicurezza sociale.
I disoccupati avrebbero costituito un loro sindacato indipendente, denominato Comitato sindacale provvisorio dei lavoratori del petrolio licenziati di Daqing. In aperta polemica contro l'Acftu, la All-China Federation of Trade Unions, la confederazione sindacale ufficiale, unica riconosciuta in Cina.
Una protesta come quella di Daqing mette il dito su un punto dolente: la rotta di collisione tra equità sociale ed espansione economica che le scelte attuate finora sembrano tracciare.

BRACCIANTI NELLA PIANA DEL SELE

La Piana del Sele sembra un'isola felice, ad attraversarla velocemente in macchina. Figure chine sulla terra riempiono cassoni di verdura che partiranno poi per le altre regioni d'Italia. Avvicinarsi a parlare con loro è impossibile: i campi sono recintati e se c'è qualche viuzza aperta, lo sguardo dei padroni dei campi ti scoraggia subito. Il fatto è che chi raccoglie quei carciofi non può "comparire", sono "fantasmi", immigrati clandestini che lavorano dalle 8 alle 10 ore al giorno per 40-50 mila lire. L'unico modo per dialogare con loro è andare a trovarli a "casa", molto spesso nulla di più di vere e proprie stalle, senza luce, acqua, riscaldamento, servizi igienici.
Nel territorio di Eboli vivono circa 1800 raccoglitori immigrati, e solo 400 di loro sono regolari. Il resto sono clandestini, costretti a vivere in condizioni drammatiche.
Amil vive in una stanza di circa 20 metri quadrati, fredda e senza luce elettrica, con un cucinino sgangherato e i buchi dei muri tappati con vecchi vestiti. I raccoglitori guadagnano in media tra le 800 mila e un milione di lire al mese, nei casi di maggiore lavoro anche 1 milione e 200-300 mila. Nei periodi di "picco" accettano anche di lavorare 10 ore anziché 7-8, per 70 mila lire giornaliere. Molti di loro raccontano che in estate si spostano in Puglia, per la raccolta dei pomodori, dove lavorano però a cottimo: un cassone viene pagato 7-8000 lire, e lavorando fino a 13 ore si riescono a fare anche 150-200 mila lire al giorno. In ogni caso, c'è sempre la quota da versare al "caporale", il 10% della giornaliera per il trasporto nel posto di lavoro.
Penetrare con il sindacato tra gli immigrati è molto difficile, e bisogna rendersi conto che non hanno bisogno soltanto di un sostegno sul piano contrattuale (in realtà, da clandestini, o accettano quello che viene offerto o non lavorano), ma necessitano di assistenza per l'abitazione, la sanità, la formazione, la scuola. Mai come nel caso degli immigrati clandestini, privi di qualsiasi diritto di cittadinanza, si vede come il lavoro si leghi immediatamente a tutto il resto, ed essere scoperti in un versante è automaticamente esserlo in tutti gli altri. I raccoglitori locali - quei pochi che sono rimasti - prendono ad esempio 54 mila lire a giornata, in base ai cosiddetti "contratti di riallineamento" concordati per l'emersione dal nero: poco più della giornata di un clandestino, dunque, ma hanno tutta una serie di tutele di cui gli altri sono totalmente privi.

GRAN BRETAGNA: LOTTA CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELLA SCUOLA

Dopo i lavoratori delle ferrovie, quelli degli ospedali, i dipendenti pubblici e perfino i poliziotti, ieri è stata la volta degli insegnanti. Almeno cinquemila docenti, secondo gli organizzatori, hanno manifestato per le vie del centro di Londra: uno sciopero di un giorno che ha costretto alla chiusura oltre la metà delle scuole della capitale. Gli insegnanti chiedono rimborsi adeguati per poter continuare a vivere a Londra, la città più cara d'Europa. Quello di ieri per la capitale è stato il primo sciopero di docenti in trent'anni ed è stato proclamato dalla National Union of Teachers (Nut), il sindacato dei professori, dopo aver consultato (con voto a scrutinio segreto) 41mila iscritti.
Protestano perché sembra ridicola e quasi offensiva la proposta del governo di aumentare del 3.5% l'anno i rimborsi previsti per chi vive e lavora nella capitale. La Nut, infatti, aveva chiesto al governo un aumento di almeno un terzo dell'attuale rimborso per poter arrivare a 4.000 sterline l'anno (poco più di 6.000). I poliziotti prendono 6.000 sterline (circa 9.000 euro) in rimborsi.
Per un insegnante appena laureato la vita è certamente dura a Londra: con un salario che non arriva alle 18.000 sterline l'anno (circa 27.000 euro) c'é poco da stare allegri.
Le unions, sempre molto attente al rapporto con i cosiddetti utenti, hanno informato dello sciopero anche attraverso spazi acquistati nei principali quotidiani. Da oltre un mese la vertenza degli insegnanti è stata discussa anche con studenti e genitori e si sono tenute anche assemblee volute dai coordinamenti genitori sulla mancanza di personale, che è ormai un problema che affligge un numero altissimo di scuole nella capitale e non solo.
Ieri gli studenti e i genitori, come era del resto già accaduto in passato, hanno dimostrato il loro sostegno agli insegnanti: molti ragazzi si sono uniti al corteo dei docenti per le vie del centro. Lo sciopero degli insegnanti sui rimborsi per chi vive e lavora nella capitale sarà probabilmente ben presto seguito da quello dei dipendenti pubblici, che denunciano lo stesso problema.

 

16 marzo 2002

SCIOPERI CONTRO LA DELEGA SUL MERCATO DEL LAVORO

Moltissime fabbriche ieri si sono fermate spontaneamente contro la decisione dell'esecutivo di procedere con la delega per la sospensione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Scioperi, fermate, blocchi degli straordinari convocazioni permanenti delle Rsu. A cominciare dal Mezzogiorno (negli stabilimenti Fiat, alla Marelli, alla Alenia, alla Ansaldo). A Milano migliaia di metalmeccanici hanno aderito allo sciopero di 4 ore proclamato dalla Fiom. A Genova si sono fermate le aziende di riparazioni navali. A Torino si sono uniti anche i dipendenti del pubblico impiego. In Toscana oltre alle aziende metalmeccaniche si sono fermate quelle chimiche. Ovunque è stata forte la richiesta a Cgil, Cisl e Uil di procedere unitariamente verso lo sciopero generale.
Il fronte sindacale procede ora verso l'unità. Questo produrrà senz'altro un appiattimento su contenuti deboli, mentre già viene spostato lo sciopero generale del 5 aprile per compiacere quei sindacati che fino ad ora stavano a guardare.
Nell'area napoletana all'Ansaldo gli operai hanno presidiato la fabbrica bloccando gli straordinari, e vanno avanti anche oggi; a Caivano sciopero alla Magneti Marelli, e alla Mecfond con manifestazione ai cancelli; alla Fiat auto di Pomigliano e in tutte le aziende collegate hanno bloccato subito gli straordinari, e le rsu hanno stilato già il programma per lunedì: due ore di sciopero per ogni turno. Alla Fiat Avio di Acerra fermata immediata di un'ora e mezza; alla Alenia di Casoria, su invito della Fiom, un'ora per turno.
Si sono fermati a sera a Melfi (su invito dei delegati Fiom) si è scioperato a Cassino, sui due turni, per iniziativa di Fim, Fiom, Sincobas e Ugl.
A Milano due grandi cortei metalmeccanici hanno occupato le 4 ore di sciopero indette dalla Fiom per raggiungere, l'uno la sede della Rai di corso Sempione, l'altro la sede Mediaset a Cologno Monzese, chiedendo che le loro parole e pratiche di scioperi e assemblee non vengano oscurate dai media. Oggi pomeriggio a Milano nella sala Cgil, Cisl, Uil di Sesto S. Giovanni è convocata anche un'assemblea sul referendum sullo Statuto, indetta dal "Comitato per le libertà e i diritti sociali ". A Solaro Brianza hanno scioperato gli operai della Zanussi, assieme agli altri del gruppo Electrolux che si sono fermati a Treviso, nello stabilimento di Susegana, e alla Zanussi di Porcia a Pordenone, nella giornata dello sciopero di 4 ore del Friuli Venezia Giulia indetto dalla Fim.
Gli scioperi metalmeccanici si sono diffusi anche nel fiorentino, dalla Nuovo Pignone alla Galileo Avionica, chiamati da Cgil, Cisl, Uil. Ma anche quelli dei chimici, nelle aziende farmaceutiche, del vetro, della ceramicadalla Syrom alla Richard Ginori. A Genova hanno scioperato per 8 ore nelle oltre 100 aziende della navalmeccanica. Scioperi a Bergamo, presidio di metalmeccanici e dipendenti pubblici a Torino.

INDIA: PROCEDE LA PRIVATIZZAZIONE

Procede a tappe forzate il programma indiano di privatizzazioni. Il ministro delle privatizzazioni indiano, Arun Shourie, ha annunciato che il gruppo privato Tata ha acquisito per circa 300 milioni di dollari il 25% della Vsnl, la compagnia nazionale per i collegamenti telefonici di lunga distanza ed i servizi Internet, assicurandosi peraltro un'opzione su un ulteriore 20% del capitale. La Indian Oil Corporation, il colosso pubblico nel settore petrolifero, si e' aggiudicata per circa 200 milioni di dollari il 33,58% della Indian Bharat Petroleum la societa' pubblica di distribuzione dei carburanti. Diverse, poi, le operazioni minori concluse negli ultimi tempi: 4 alberghi a Mumbai, Udaipur, e Delhi sono stati ceduti a catene alberghiere private. E, per il futuro, c'e' nell'aria la vendita di imprese in diversi settori: per i fertilizzanti andranno sul mercato la Barthia Phosphatic Fertilizer e la Jessibs, per il settore elettrico la Gipcl, per la chimica la Hindustan Zinc, per il settore automobilistico sara' ceduta la Maruti India, associata alla Suzuki. Per il prossimo esercizo finanziario, infine, sara' messa in cantiere la privatizzazione di 2 importanti compagnie petrolifere indiane: Hpcl e Bpcl.

SCIOPERO BENZINAI

I benzinai confermano le date e le articolazioni degli scioperi sulle autostrade gia' programmati per martedi' e mercoledi' prossimi. La vertenza e' stata indetta per contrastare il progetto del gruppo Benetton, nelle sue articolazioni Autostrade e Autogrill, di procedere in tempi brevi alla estromissione dei gestori della parte petrolifera (entro il 2003).

COREA: CENTRALI ELETTRICHE MILITARIZZATE

Il governo sudcoreano ha deciso di impiegare l'esercito per far funzionare le centrali elettriche bloccate dai 19 giorni dallo sciopero degli operai. I primi 200 militari saranno utilizzati da lunedì prossimo mentre gli altri 300 verranno impiegati entro il 15 aprile.
Questa misura è stata presa di comune accordo tra i vertici della compagnia di stato Korea Electric Power corp.(Kepco) ed il governo del presidente Kim Dae-jung per fare fronte all'emergenza dopo l'agitazione, scoppiata lo scorso 25 febbraio, dei lavoratori del settore che non accettano il piano di privatizzazione. 5.600 operai sono scesi in lotta - su di un totale di 8.000 dipendenti - per rigettare il progetto di smantellamento delle centrali che causerebbe sia la perdita dei posti di lavoro e l'aumento delle tariffe. Contro di loro il governo non si è risparmiato nessun comportamento antisindacale: li ha minacciati di ritorsioni, li ha fatti pestare dalla polizia dentro addirittura un tempo buddista della capitale, si è ripromesso il licenziamento dopo il rientegro. Non solo. Il presidente e premio nobel per la pace, Kim Dae-jung, non ha esitato a ricorrere ai crumiri e a ex-dipendenti in pensione pur di mandare avanti le centrali. Dopo più di due settimane di sciopero, ieri, è arrivata la notizia dell'impiego dell'esercito. La Kepco ha chiesto alla Corte di giustizia di Seul l'arresto o, comunque, la punibilità di 519 leader e il licenziamento immediato per almeno per 49 di loro. Ai mille lavoratori che sono ancora in lotta, il ministro del commercio Shin Kook-hwan ha detto che "vuole addebitare i danni derivati dal blocco parziale dell'erogazione di energia elettrica. Un danno che è stato quantificato in circa 15 miliardi di won (la moneta sudcoreana) ovvero pari a circa 11 miliardi di dollari.

Quando l'agitazione è partita, in sciopero erano entrati anche i lavoratori del trasporto su rotaia e quelli del gas. La protesta era stata promossa dai due grandi sindacati sudcoreani di categoria appartenenti alla Fkctu e alla più combattiva Kctu. La trattativa è riuscita a strappare un'intesa con i ferrovieri e i lavoratori del gas, ma non per i dipendenti delle centrali. Da qui la decisione dei lavoratori di continuare la lotta che sta coinvolgendo l'insieme delle famiglie è si sta servendo di tecniche della comunicazione che non disdegnano, ad esempio, l'uso di Internet per dare messaggi o convocare la "piazza".

SEC DI VIAREGGIO

Prove tecniche di un mondo del lavoro senza Statuto dei lavoratori. Così si potrebbero riassumere gli ultimi mesi della lunga vertenza degli operai Sec, il cantiere navale storico della Darsena viareggina. Ormai da tempo dichiarato fallimentare il cantiere, centosessantasette lavoratori sono ora in cassaintegrazione in attesa che si decida il futuro della Sec, oggi nelle mani del curatore fallimentare.
In questa situazione agli operai Sec vorrebbero tornare a lavoro per completare le navi iniziate per una società svedese. Ma per tornare al lavoro i lavoratori viareggini non intendono sottostare a qualsiasi condizione. E così, per ben due volte, l'assemblea dei dipendenti Sec ha respinto la proposta messa sul tavolo della trattativa dalla società Azimut-Benetti, ansiosa di mettere le mani sull'area. L'offerta di affittanza aveva condizioni che il sindacato, i lavoratori e l'amministrazione comunale hanno ritenuto inaccettabili e contrarie ad un futuro di vero sviluppo industriale dell'ex area Sec. Azimut-Benetti, infatti, avrebbe assicurato un posto di lavoro solo a 89 dei 167 dipendenti del cantiere, ma solo 45 di questi 89 sarebbe stati assunti direttamente dall'azienda madre. Per i restanti 44 il posto di lavoro sarebbe stato nelle aziende appaltatrici che lavorano intorno e per la cantieristica.
Sessanta, infine, i lavoratori che sarebbero finiti in mobilità e che Azimut-Benetti si riservava di richiamare a seconda delle esigenze e con espresso diritto di scelta, in base alle informazioni prese sulle singole persone. Per incentivare questa scelta ciascuno di loro avrebbe ricevuto la cifra di 30 milioni di lire che il curatore fallimentare Claudio Del Prete.
A tutto questo gli operai viareggini hanno detto no, facendo saltare l'affittanza e proclamando tre ore di sciopero martedì 12 marzo e lanciando lo sciopero generale che si terrà, probabilmente, già nel mese di aprile.

FERROVIE: LICENZIAMENTI

"Licenziamenti senza giusta causa" alle ferrovie. Anche se nella lettera viene scritto esattamente il contrario, ben venti ferrovieri (macchinisti e capitreno) si sono visti recapitare in questi giorni altrettanti avvisi di «interruzione del rapporto di lavoro». Motivo? Questi ferrovieri tempo fa avevano avanzato un ricorso cui il giudice ha dato parere positivo per il pagamento di alcuni emolumenti. L'avvocato per errore avrebbe inviato alle Fs lo stesso ricorso. Una volta accortesi dell'errore i lavoratori hanno scritto all'azienda per scusarsi dell'accaduto. Le ferrovie per tutta risposta ne hanno deciso il licenziamento in quanto ravvisavano in tale comportamento «la compromissione del rapporto fiduciario». «Le scuse per l'errore» sono state interpretate, volutamente, come ammissione di colpa.
Le ferrovie sollecitate dalla durezza della posizione del governo sull'articolo 18 e un contratto aperto da due anni intendono indurire i rapporti con i lavoratori.

 

17 marzo 2002

 

LAVORATORI DEL SETTORE "ELETTRONICO"

In un grande gruppo industriale il cartellino segnatempo elettronico è in grado di memorizzare al secondo gli istanti di ingresso e di uscita dei dipendenti, ma l'ufficio personale lo fa scattare solo ogni 15 minuti. Perciò chi entri alle 9.03 risulterà transitato alle 9.15, con un "furto" di 12 minuti. Viceversa i minuti di lavoro erogati in più non vengono conteggiati a recupero. E' un esempio di una flessibilità nelle prestazioni di lavoro dipendente che da normale oggi come oggi diventa ad uso e consumo del padrone: il fatto è che i piccoli soprusi padronali sono utili nel rafforzare la catena di comando, nella convinzione che i dipendenti abbiano sempre da essere tenuti alla frusta, sennò se ne approfittano.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con le teorie sulla valorizzazione delle persone che si leggono nei saggi di management, che si insegnano nei master universitari e che dipingono un
mondo in cui il sapere e l'entusiasmo dei dipendenti è il principale patrimonio delle aziende.
Il piccolo esempio serve per entrare nel merito sulla questione calda del momento, guardandola dal punto di vista delle nuove tecnologie, nella nuova economia e dei nuovi mestieri e saperi. L'abuso dell'aggettivo nuovo è ovviamente voluto, per segnalare che sovente si tratta di un simulacro, di un panno sventolato da un ventilatore artificiale, senza alcun vento di vera
innovazione.

Lo slogan pubblicitario di Silvio Berlusconi ("Chi sciopera lo fa contro i suoi figli") consacra questa mistificazione.
Anche a "sinistra" c'è chi apprezza la mobilitazione sociale e di piazza perché fa gioco contro il governo, all'interno di una battaglia politico generale più vasta, ma in fondo al cuore si pensa che sia davvero una battaglia conservatrice e poco lungimirante: utile oggi perché governa Berlusconi, ma inutile e sbagliata se governassero costoro. Come è stato nel governo Prodi-D'Alema.

 

18 marzo 2002

SCIOPERI NELLA SCUOLA PUBBLICA CONTRO I TAGLI

In Lombardia, in Piemonte, in Liguria. La scuola pubblica sciopera contro i tagli di Letizia Moratti. 8.500 insegnanti in meno per il prossimo anno scolastico, ha quantificato lo scorso febbraio, dando seguito alla legge finanziaria, il decreto ministeriale. 1.185 toccano alla Lombardia dove è previsto un aumento della popolazione scolastica di almeno 9 mila unità. Vittime destinate i precari e la qualità della scuola pubblica, dove saranno a richio il tempo pieno (in provincia di Milano lo fa l'82% degli alunni delle elementari), il sostegno ai portatori di handicap, l'integrazione di bambini e adulti stranieri. Nella regione del trio Moratti-Formigoni-Berlusconi, culla del buono scuola, lo sciopero proclamato da Cgil, Cisl e Uil è andato bene. A Milano l'adesione tra gli insegnati, ammette la direzione regionale del ministero dell'istruzione, è stata del 60%, il doppio della norma.
Tagliare significa togliere qualità alla scuola pubblica: nelle elementari si tagliano 375 posti, nelle medie 274, 536 nelle superiori a fronte di un aumento previsto di 9 mila studenti. Si tagliano 119 insegnanti di lingua straniera nelle elementari. Nella regione con più studenti
extracomunitari si dimezzano i 208 progetti già in corso per l'integrazione.
E' solo la prima sforbiciata. L'intenzione del ministro Moratti e del governo è di cancellare in un triennio 36 mila insegnanti su scala nazionale. Come se non bastasse, si dà il ben servito ai precari per assumere personale delle scuole private. I regali, per queste ultime,
non finiscono mai. Il buono scuola alla Formigoni - con in trucco che lo destina esclusivamente a chi frequenta le private - resta il regalo più consistente, l'aratro che ha tracciato il solco per spostare una quota d'utenza dalla scuola pubblica a quella privata. Le destre, con la passata connivenza del centro sinistra, hanno già fatto danni.

SCUOLA: CONTRATTO SEPARATO?

Il ministro Letizia Moratti ha annunciato di voler procedere ad un contratto separato per i docenti. La CGIL chiederà al governo "di ripristinare i contenuti dell'intesa facendo rientrare le intenzioni espresse dal ministro Moratti. Per la secondo volta Moratti approfitta di un'assemblea per dire come intende ulteriormente affrontare i problemi della scuola. Il ministro dovrebbe sapere che il governo nella sua interezza, con l'accordo del 5 febbraio, ha riconfermato il valore della contrattazione e dal sistema contrattuale previsto da protocollo di luglio. Il ministro, inoltre, dovrebbe sapere che la definizione dei comparti di contrattazione è esclusiva titolarità delle parti, cioè dell'Aran e delle organizzazioni sindacali.

APPALTI AI CANTIERI NAVALI DI MARGHERA

Il cantiere navale è una delle realtà lavorative più affascinanti e, al tempo stesso, più complicate da capire. La costruzione di una nave, infatti, mette in campo un grande quantità di professionalità tra di loro anche molto diverse. Poi ci sono i lavoratori di serie A e i lavoratori di serie B, italiani i primi, gli altri est-europei, nordafricani, asiatici. Se i padroni potessero decidere di testa loro, i cantieri sarebbero vere e proprie giungle in quanto a salari, orari, normative. Diritti, insomma. La cosa preoccupante è che la deregulation sta trasportando questo modello nella grande industria - a parità di lavoro, diritti differenziati - grazie anche ai processi di globalizzazione e alle terziarizzazione. Al cantiere navale di Marghera sono 1.250 i dipendenti della Fincantieri, ma sono quasi il doppio quelli che lavorano per le imprese appaltatrici, tra lo scafo e l'arredamento della nave. Grazie alla legge 1369 del `60, i lavori in appalto vengono regolamentati proprio per arginare la giungla e tutelare i diritti dei dipendenti in tutti gli scomparti della filiera. La legge può essere così riassunta: Nessun lavoratore delle imprese d'appalto può avere un trattamento inferiore a quello garantito nell'azienda appaltante, nel nostro caso la Fincancantieri. In più, la legge 1369 garantisce i lavoratori, in quanto del rispetto delle condizioni normative, economiche e contributive risponde l'azienda appaltante, responsabile della filiera. Le inadempienze delle imprese sono molte, e in questi casi il sindacato, rifacendosi alla legge, può chiamare in campo Fincantieri che è costretta a tutelarsi. Fincantieri vincola le aziende dell'appalto con una garanzia fidesjussoria (pari al 20% del valore del contratto) al momento della stipula dell'accordo.

Ma esiste una seconda legge, del febbraio 2000, che regolamenta il lavoro in affido a società straniere. Prima dell'approvazione di questa legge, Fincantieri poteva appaltare a società croate, rumene, moldave, libere di inquadrare i loro dipendenti secondo i contratti dei paesi d'origine. L'effetto era il dumping sociale: per fare lo stesso lavoro degli italiani guadagnavano di meno per un orario più lungo.
Per non parlare del mancato rispetto delle norme di sicurezza. Quella del 2000 è una legge che blocca gli appalti al massimo ribasso perché impone il rispetto delle norme contrattuali italiane per tutti i lavoratori, italiani e stranieri, per il periodo in cui lavorano in Italia. E riconosce la responsabilità dell'azienda che decentra. Altra conquista importante, strappata con una vertenza nazionale della cantieristica, è il riconoscimento del diritto delle Rsu della Fincantieri di intervenire nelle imprese dell'appalto non sindacalizzate.
Ora, il governo Berlusconi che fa propri i borbottii dei padroni contro i vincoli posti dalle suddette leggi, pretende di scardinare regole e diritti e punta contro la 1360. A questo tema il Libro bianco di Maroni dedica un capitolo preciso. Si tratta per il governo di `liberare' le grandi imprese industriali che decentrano ed esternalizzano da ogni vincolo o responsabilità diretta verso il lavoro in appalto da esse attivato. In particolare, a rischio sarebbero i lavoratori delle imprese di pulizia, settore a non elevata imprenditorialità, esposto a rischi di infiltrazioni malavitose e soggetto a repentine crisi e cambi d'appalto. E' qui che spesso si creano situazioni di illegalità contrattuale e contributiva. E' ovvio che eliminare la responsabilità dell'impresa che terziarizza (è questo il regalo che il governo si appresta a fare con le deleghe sul mercato del lavoro), significherebbe abbandonare i lavoratori all'arbitrio dell'ultimo padroncino. In un settore dove più alta è l'incidenza di infortuni e malattie professionali come, appunto, negli appalti, la deregolazione proposta dal governo abbatte le difese e apre a prospettive di caporalato e di diffusione della pratica del subappalto.

DISOCCUPAZIONE E STATO SOCIALE IN GERMANIA

Tempi duri per i disoccupati. Se si erano illusi di potersi cullare sull'amaca dello stato sociale all'ombra di un cancelliere socialdemocratico, dovranno ricredersi. Gerhard SchrÖder non è disposto a aiutare chi non si aiuta da sé, e si accinge a falcidiare il welfare con una faccia tosta che difficilmente un conservatore si potrebbe permettere. Al cancelliere brucia la mancata promessa di ridurre il numero dei disoccupati sotto i tre milioni e mezzo: invece di diminuire, sono saliti a 4,3 milioni. In vista delle elezioni di settembre non basta dare la colpa alla fiacca congiuntura. Così SchrÖder ha trovato altri due responsabili: la burocrazia dell'ente federale del lavoro, e la pigrizia di chi non si da abbastanza da fare per smettere di essere disoccupato. Il 22 febbraio SchrÖder ha annunciato tre propositi: un repulisti al vertice del Bundesanstalt für Arbeit, da affidare non più a funzionari ma a manager; un maggior ruolo dei privati nel collocamento; la nomina di una commissione che presenterà prima delle elezioni una proposta di "servizi moderni" per il mercato del lavoro. 
Il nuovo dirigente del BdA annuncia i suoi intenti: taglio delle prestazioni per i disoccupati più anziani (adesso hanno diritto al sussidio fino a 32 mesi, per Gerster 12 mesi bastano e avanzano); Meno "occasioni di lavoro" finanziate dal Bundesanstalt: si tratta di 120.000 ingaggi in lavori di utilità sociale, che a Gerster (il nuovo direttore) sembrano superflui almeno a ovest. Meno programmi di riqualificazione professionale, visto che c'è semmai bisogno di impieghi a basso salario: "Ci vogliono più flessibilità, part-time, lavoro interinale, rapporti di lavoro entro la soglia di 326 euro", al di sotto della quale non si pagano tasse e si è solo parzialmente coperti dalle assicurazioni sociali.
Il 15 marzo il Bundestag ha approvato il nuovo statuto "manageriale" per il vertice dell'Ente del lavoro e una riforma del collocamento che, invece di migliorare quello pubblico, lo appalta di fatto alle agenzie private. A partire dal terzo mese di disoccupazione l'Arbeitsamt compenserà in caso di successo i collocatori privati, con un onorario da 1500 a 2500 euro (dopo nove mesi di disoccupazione). 
Il ministro del lavoro Walter Riester, già vicepresidente del sindacato Ig-Metall, vuole cancellare dalle statistiche circa 1,2 milioni di disoccupati, che a suo parere non cercano davvero una nuova occupazione (per esempio i più anziani in attesa della pensione). Siccome ha diritto ai sussidi solo chi è disposto a lavorare, gli esclusi rischiano di vedersi negare l'Arbeitslosengeld.

LAVORATORI DI BLU

Niente modelle sulla scalinata di Piazza di Spagna. I 2.000 lavoratori di Blu - il quarto gestore di telefonia in Italia - hanno dato vita alla loro spettacolare protesta contro le prospettive di smobilitazione o vendita (frammentata o tutt'intera non si sa, regna la massima incertezza e un mare di voci molto interessate). Schierati in file compatte hanno alzato ognuno una tessera di cartone, a comporre - alla maniera degli orientali, la scritta "Blu". Presenti un po' tutti i dipendenti, a prescindere dalle qualifiche funzionali (dall'ingegnere ai ragazzi dei call center) e dalle forme contrattuali (dai contratti a tempo indeterminato fino agli interinali). Dopodomani l'azienda riunirà i soci in assemblea per decidere il futuro. Sul tavolo ci sono ufficialmente tutte le ipotesi, dalla liquidazione alla vendita. In realtà la prima non appare avere senso, visto che l'azienda non è affatto "decotta" e possiede, soprattutto, le frequenze su cui opera. Più probabile la vendita, e il fatto che Gilberto Benetton - azionista con posizione dominante in Blu - sia anche vicepresidente di Tim lascia pochi dubbi su quale potrà essere la scelta privilegiata.

DIRITTI: PATERNITA' IN FABBRICA

Per ottenere il riconoscimento del diritto a chiedere - e ottenere - di lavorare nel turno di notte alla Fiat di Pomigliano, un lavoratore ragazzo-padre è dovuto ricorrere addirittura al tribunale. Vittorio Zuccherino, 35 anni, padre di un bambino di 10 e separato dalla moglie, aveva infatti chiesto da ben due di lavorare di notte per poter accudire il figlio di giorno. Niente da fare, secondo i dirigenti dello stabilimento.

CINA: ANCORA RIVOLTA DEI DISOCCUPATI A DAQING

"Imparare da Daqing", incitava un tempo il presidente Mao. Così sembrano aver fatto gli oltre 30mila operai che ieri hanno circondato il quartier generale del governo e della polizia nella città di Liaoyang (provincia del Liaoning) per chiedere il pagamento dei salari arretrati e la liberazione di un organizzatore della protesta, Yao Fuxin, disoccupato, arrestato dalla polizia.
L'agitazione degli operai di Liaoyang, provenienti dall'industria metallurgica statale della zona e vittime del processo di ristrutturazione di un settore che domina l'economia del nord est cinese, va infatti avanti da tempo. Come del resto quella di Daqing, la vecchia città modello maoista dell'Heilongjiang (ancora nel nord-est), dove protagonisti delle proteste in
corso sono i lavoratori licenziati di una delle più grandi compagnie petrolifere cinesi, i quali chiedono il pagamento di sussidi che gli erano stati garantiti al momento del licenziamento e poi concessi solo per qualche tempo.
La protesta della classe operaia del settore pubblico cinese, spinta ai margini del sistema (anzi quasi espulsa) a causa degli attuali processi di riforma, si estende e approfondisce.
I lavoratori vogliono i salari arretrati e la punizione dei dirigenti corrotti della loro fabbrica, considerati responsabili del mancato pagamento di quanto è loro dovuto. Già il 12 marzo scorso in 10mila avevano circondato la sede del governo municipale chiedendo di essere ricevuti dalle autorità. Alla fine, dopo alcune ore di assedio, una delegazione era stata
ricevuta dal vice segretario generale del comitato locale Partito, dal vice sindaco, dal procuratore generale, dal capo della polizia e da altri funzionari. L'incontro non aveva avuto uno sbocco concreto, dal momento che la maggior parte dei vertici si trovava in quel momento a Pechino, per la sessione plenaria annuale dell'Assemblea nazionale del popolo. Ma gli operai erano stati rassicurati: i colloqui sarebbero ripresi al ritorno dei capi e nessuno sarebbe stato arrestato. Così non è stato. Di qui la nuova protesta di ieri, che si è sciolta pacificamente dopo quattro-cinque ore, sotto gli occhi della polizia che presidiava massicciamente. Nel maggio del 2000 i lavoratori infuriati, oltre ad assediare il municipio avevano anche bloccato un'autostrada e si erano scontrati con la polizia. Anche allora chiedevano due anni di salari arretrati e i contributi per l'assistenza sociale.Yao Fuxin, 53 anni, è stato arrestato domenica ed è un operaio metallurgico licenziato da una fabbrica locale. Dal momento dell'arresto, nessuno ha più saputo nulla di lui. "E' un rappresentante scelto dai lavoratori per trattare con il governo. Alcuni di noi non vengono pagati da 24 mesi" ha dichiarato un operaio. La polizia tuttavia nega di aver arrestato l'uomo, anche se afferma che le proteste sono illegali, in quanto chi le ha organizzate non ha chiesto il permesso alle autorità, secondo la procedura in vigore.
Secondo uno studio recente dell'istituto della Commissione per la pianificazione, svolto in 11 grandi città, il pagamento delle pensioni arriva a coprire appena il 40% degli aventi diritto. Solo il 15% di famiglie il cui capo non lavora godono di una qualche copertura.
Visto il momento, poche volte le forze di polizia intervengono. In genere ciò avviene quando la protesta comincia ad avere una sua organizzazione e leader riconosciuti.

STUDENTI PICCHIATI

Mentre il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi inaugurava l'anno accademico dell'Università di Padova, un gruppo di "Studenti in movimento" è stato picchiato dalla polizia. I ragazzi, in mattinata, erano entrati nella sala delle cerimonie e avevano appeso alcuni articoli della Costituzione italiana ai muri. Poi hanno organizzato un presidio all'esterno per ricordare al presidente "le deliberate e ripetute violazioni costituzionali da parte dei governi di centro sinistra e centro destra che si sono susseguiti durante il suo mandato, quali la violazione dell'articolo 33 della Costituzione da parte delle leggi regionali sui buoni scuola, la violazione dell'articolo 11 sul ripudio della guerra, la violazione dei più elementari e fondamentali diritti sociali e di cittadinanza nei confronti dei migranti e delle fasce più deboli della società". Gli studenti volevano anche consegnare una lettera a Ciampi ma, nonostante gli accordi, non è stato possibile incontrarlo e per questo un gruppo di loro lo ha seguito in prefettura. Qui, appena aperto uno striscione, una decina di poliziotti e carabinieri hanno alzato i manganelli e picchiato gli studenti. Alcuni di loro sono caduti a terra e riportando numerose contusioni.

GAS ACQUA: SIGLATO ACCORDO CONTRATTUALE

Dopo più di 3 anni dalla scadenza dei precedenti contratti per le aziende del settore acqua-gas le organizzazioni sindacali Fnle-Filcea Cgil/Femca Cisl e Uilcem Uil hanno siglato in questi giorni un'ipotesi di accordo unico che raggruppa i 5 precedenti contratti in cui era diviso il settore.
Sui risultati contenuti in questa ipotesi su cui è convocato oggi martedì 19/3 un attivo nazionale dei delegati delle tre organizzazioni sindacali confederali circolano molte perplessità: in alcune aziende, come all'Italgas di Roma è nato "appello per una consultazione democratica e vincolante tra tutti i lavoratori interessati " che si schierano per respingere questa ipotesi. All'Amia di Carrara ne sono promotori rsu Uilcem e Fnle e all'Asa di Livorno Rsu S.in.Cobas.
Secondo questi lavoratori, "l'obiettivo del contratto unico è stato posto fin dall'inizio come
una necessità accettata dalla maggioranza dei lavoratori nella consultazione di tre anni fa per la definizione della piattaforma per unificare i lavoratori del settore, raggiungendo l'uniformità salariale e normativa a vantaggio dei settori più deboli. Nell'ipotesi di accordo invece si configura un adeguamento al ribasso dei 37.00 lavoratori di Federgasacqua ed Anigas (i contratti più avanzati) alle condizioni normative e di inquadramento salariale dei 4.400 di Anfida, Assogas e Federestrattiva a scapito di tutti".
La parte datoriale è stata fin dall'inizio estremamente rigida, volendo con questo contratto crearsi mano libera per le ristrutturazioni che deriveranno dalla liberalizzazione del mercato.
Per quanto riguarda la parte salariale si costruisce un inquadramento con i minimi tabellari allineati al contratto più arretrato, con conseguenze non solo relative ai futuri nuovi assunti, ma anche con il congelamento con un assegno ad personam del maggior salario percepito negli attuali inquadramenti per la maggioranza della categoria (90%). C'è inoltre una riduzione del peso dell'accantonamento per il Tfr e sono stati ridotti il numero degli scatti di anzianità da 12 a 10 con una riduzione anche del 30% del loro importo. Sono infine eliminate o ridotte una serie di indennità. L'orario di lavoro viene aumentato a 38,5 ore.
"C'è un forte arretramento delle relazioni industriali e dei diritti di contrattazione in azienda con la libertà delle imprese con meno di 250 dipendenti (la stragrande maggioranza!) di ristrutturare senza informare le Rsu, così come spostare in mobilità orizzontale i lavoratori entro 50 km senza nessuna informazione".
Ma una delle parti più negative riguarda la gestione degli appalti e della flessibilità del lavoro. Infatti l'uso, la quantità ed il tipo di attività appaltabili non sono più oggetto di contrattazione e non si precisa l'estensione ai lavoratori delle ditte appaltatrici dello stesso contratto gas-acqua. Inoltre nell'ipotesi di accordo si prevede un uso esteso
dell'apprendistato (fino a 4 anni a paga ridotta e sotto la costante minaccia di licenziamento), del lavoro temporaneo, del telelavoro e del contratto ripartito. Questo processo porterà inizialmente allo scorporo delle precedenti aziende in più imprese ed alla progressiva estensione delle attività appaltate che coinvolgeranno inoltre non altri lavoratori ma in gran parte gli stessi che sono già oggi nel settore essendo questi già più che eccedenti (42.000) in un quadro di mercato privato. E' lo stesso percorso seguito dai padroni nel settore della telefonia, con il rischio di una maggiore accelerazione se gli forniamo dagli inizi gli strumenti contrattuali. Cosa propongono i lavoratori che si stanno autorganizzando? "Intanto è necessario che la consultazione sia democratica, generale e verificabile per permettere un'ampia informazione dei lavoratori con la libertà di circolazione delle proposte alternative. solo un collegamento dal basso può permettere un controllo dell'informazione e dell'andamento della consultazione. Per questo abbiamo promosso un appello con cui invitiamo lavoratori e delegati del settore a coordinarsi per controllare l'effettuazione di una consultazione realmente democratica. Nell'appello, su cui abbiamo raccolto per ora le firme di delegati e lavoratori di una dozzina di aziende e che stiamo inviando alle Rsu ed Rsa di tutte le aziende del settore, invitiamo i lavoratori a bocciare l'ipotesi di accordo".

Bisogna praticare una rottura e ripartire con la ridefinizione della piattaforma anche sulla base di quella del 1999 ma con la garanzia del mantenimento dell'adeguamento al livello migliore dei diritti sindacali e di contrattazione a livello aziendale, individuazioni dettagliate delle attività appaltabili e garanzia di applicazione anche a questi lavoratori del ccnl unico di settore, limitazione dell'uso dell'apprendistato ed altre forme di lavoro flessibile, mantenimento al livello migliore degli istituti salariali.

Segue l'appello:
Dopo tre anni di vacanza contrattuale Flne-Filcea Cgil/Femca Cisl e Uilcem Uil hanno siglato una ipotesi contrattuale che peggiora complessivamente le relazioni sindacali e i diritti e tradisce le aspettative che i lavoratori delle cinque aree contrattuali coinvolte si aspettavano dal contratto unico di settore.
Non a caso in una loro circolare i padroni del settore vantano di aver ottenuto con questa intesa:

- erogazione di aumenti retributivi inferiori a quelli dei più recenti rinnovi contrattuali a partire da quello dei chimici;
- ridimensionamento di molti istituti salariali;
- forte ridimensionamento dell'attività sindacale a livello aziendale;
- mano libera completa su ristrutturazioni, mobilità del personale e sull'uso di tutte le forme di lavoro flessibile e sull'apprendistato.

Condividendo pienamente questa valutazione dei padroni riteniamo appunto indispensabile che questa intesa venga respinta dai lavoratori.
La premessa è che il testo di questo accordo venga fatto ampiamente conoscere ai lavoratori interessati e che venga effettuata una reale e vincolante consultazione.
Per questo i sottoscritti delegati Rsu e lavoratori di alcune aziende del settore fanno appello per costruire un coordinamento che permetta di richiedere e controllare questa consultazione.

PALERMO: IN AGITAZIONE 600 DIPENDENTI DI BLU

Gli oltre seicento lavoratori dell'azienda di telecomunicazioni Blu di Palermo tornano in piazza oggi per tutelare il posto di lavoro, contro la decisione della società di cedere rami dell'azienda. Secondo il sindacato «il governo regionale deve difendere con tutti i mezzi gli oltre 600 occupati di Palermo che rappresentano oltre un terzo della forza lavoro di Blu».

MIRAMAX: IL 14% LICENZIATI

Miramax Films, potente casa di produzione in lizza per gli Oscar con film come "Amelie", "In the bedroom" e "Iris", ha licenziato il 14% circa dei suoi dipendenti. I tagli interessano per il 75% i quadri medi e bassi della "Walt Disney" in servizio a New York, Los Angeles, Londra e Roma. La notizia arriva dal "Daily Variety".

SCIOPERO DEI BENZINAI SOSPESO

Sospeso lo sciopero nazionale dei benzinai sulle autostrade, previsto per il 19 e il 20 marzo, dopo la convocazione per mercoledì prossimo da parte del ministro delle Attività Produttive Antonio Marzano. All'incontro sono invitati, oltre alle associazioni dei gestori autostradali, anche la società Autostrade, l'Anas, l'Unione Petrolifera e il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

CATEGORIE IN LOTTA: POSTE, DOCENTI E MARITTIMI

A partire dal 22 marzo, tornano poi gli scioperi nei trasporti: quattro ore nel trasporto pubblico locale, che verrà effettuato con modalità diverse a livello territoriale. Lunedì 25 marzo tocca ai marittimi di Cgil, Cisl e Uil che sciopereranno per 24 ore contro la cancellazione del Governo, degli aiuti previsti in passato per le imprese di cabotaggio marittimo e i fondi necessari alla formazione 

SCIOPERI CONTRO IL GOVERNO

Se fosse per i lavoratori, una data comune per lo sciopero generale la si sarebbe già trovata. Lo dimostrano le mobilitazioni unitarie di questi giorni. La più importante di ieri si è svolta a Pomigliano d'Arco (Napoli), dove oltre 2500 lavoratori hanno bloccato, per oltre un ora, sia al mattino che al pomeriggio, le strade di accesso alla zona industriale per protestare «contro il governo che, con arroganza e protervia inaudita, porta avanti l'attacco ai diritti e alle conquiste di civiltà conseguiti in anni di lotta». La manifestazione si è tenuta nell'ambito delle due ore di sciopero per turno indette dalle Rsu aderenti a Fim, Fiom, Uilm e Fismic della Fiat Auto e delle altre aziende ubicate nel perimetro (Marelli, Comau, Logint, Atuostamp, Lifi, ecc.).

Stop di 4 ore ieri per gli addetti dell'industria e dei servizi della zona ovest di Torino che hanno dato vita a cortei di protesta a Venaria, Collegno, Orbassano ed Avigliana. Percentuali tra l'85 e il 90% si sono registrate allo sciopero unitario dei postelegrafonici con presidi ad Alessandria, Novara, Ivrea ed Asti. A Torino un migliaio di lavoratori in corteo sono arrivai sotto la sede della Rai.
A Bologna ci sono state 4 ore di astensione dal lavoro per varie categorie, con tre concentramenti (davanti alla Prefettura, davanti alla sede Rai e in piazza a San Pietro in Casale) ai quali hanno partecipato complessivamente circa 3.000 persone.

 

20 marzo 2002

SIT-IN CONTRO LA "RIFORMA DELLA SCUOLA

Sit-in unitario di Cgil, Cisl e Uil davanti a Montecitorio contro «il progetto di riforma degli organi collegiali». Progetto che «non garantisce più la rappresentanza di tutte le componenti del mondo della scuola». Scuole chiuse in Liguria per lo sciopero proclamato da Cgil-Cisl-Snals contro i tagli agli organici del personale docente e tecnico amministrativo. La protesta è finalizzata - si legge in una nota - alla difesa dei diritti di coloro che studiano e lavorano nella scuola e per ribadire il valore della scuola pubblica statale.

SCIOPERO METALMECCANICO

Oltre mille lavoratori hanno partecipato ieri a Roma ad un presidio sotto la sede dell'Unione industriali in Via Po per dire «no alle leggi delega, no alla modifica dell'articolo 18, sì all'estensione dei diritti ai lavoratori delle imprese con meno di 15 dipendenti e ai lavoratori atipici». Sempre in difesa dell'articolo 18, 5mila persone hanno preso parte ieri ad una manifestazione per le vie di Ivrea. In testa al corteo, i giovani della Pininfarina di San Giorgio Canavese e quelli del call center Omnitel Infostrada. Sempre in Piemonte, sono scesi in sciopero i metalmeccanici della provincia di Asti, nell'ambito di una iniziativa di lotta indetta dalla Cgil. Adesioni dell'80%.

TNT: RACCONTO DI UN INTERINALE

"Sono un lavoratore interinale, non più tanto giovane e da oltre un anno e mezzo sono in forza alla Tnt. Dopo l'accordo firmato dal sindacato e dall'azienda sulla mobilità, dove si parlava di 80 assunzioni a tempo indeterminato ho pensato [...] "finalmente si apre anche per noi qualche spiraglio [...].
Ma poi, all'improvviso, arriva la classica doccia fredda a farti ritornare alla cruda realtà e ti senti dire, che le 80 assunzioni a tempo indeterminato sono diventate assunzioni con Contratto di formazione lavoro (C.F.L.). Io ho un'età che non mi permette di accedere a questo tipo di contratto e di colpo mi ritrovo rigettato nella solita e permanente condizione di precario.
Oggi, ho capito - e questo dovrò dirlo anche alla mia famiglia - che quelli come me ormai vecchi, non possono sperare in un futuro lavorativo più sereno.

* * * Lettera aperta di un lavoratore della Tnt della Mirafiori carrozzeria resa nota (in forma anonima) dalla Fiom con un volantino

 

21 marzo 2002

CASSAINTEGRAZIONE ALLA FIAT

Le notizie preoccupanti per i lavoratori della Fiat si accavallano e rafforzano l'impressione di chi da tempo denuncia l'intenzione della multinazionale torinese dell'automobile di ridurre drasticamente, e rapidamente, la produzione di vetture a Torino.
I dati forniti dalla Fiom sul prossimo crollo della produzione e dell'occupazione a Mirafiori - analizzati nell'inchiesta pubblicata dal manifesto la scorsa settimana - sembrerebbero confermati dalle notizie diffuse negli ultimi due giorni. La Fiat ha annunciato ieri che ricorrerà alla cassa integrazione per tre settimane tra il 15 aprile e il 5 maggio. Obiettivo, produrre 5.800 veicoli in meno. I lavoratori colpiti dal provvedimento saranno 4.000 nelle prime due settimane e 4.900 nella terza. La seconda notizia, diffusa on line dalla Fiat nel suo sito, informa della decisione, presa insieme al socio nordamericano General motors, di produrre il primo cambio della joint venture Powertrain non a Mirafiori, ma nello stabilimento austriaco della Opel (che è poi la Gm tedesca). La cassa integrazione riguarderà i lavoratori delle carrozzerie e delle presse occupati nelle linee produttive della Marea, della Lybra, della
Multipla e della 166. Per quanto riguarda Marea e Lybra la multinazionale torinese sta creando le condizioni per ridurre la produzione su un solo turno e non più su due, come aveva promesso annunciando il trasferimento di tutta la produzione di Rivalta a Mirafiori, garantendo il mantenimento dei livelli occupazionali precedenti. Si prefigura un'eccedenza strutturale di 1.200 unità. Il messaggio è chiaro: 1.200 carrozzieri di Mirafiori, tra non molto saranno esuberanti, di troppo per la Fiat.

CINA: ARRESTATI LEADER OPERAI

Tre leader delle proteste operaie di Liaoyang (centro industriale del Liaoning, nord est cinese) sono stati arrestati ieri dalla polizia alla fine di un'altra giornata di manifestazioni. Sono ormai tre giorni che migliaia di lavoratori licenziati dalle industrie statali dell'area scendono nelle strade della città per chiedere stipendi e pensioni arretrati, la punizione dei direttori corrotti delle loro fabbriche e ora anche la liberazione degli organizzatori delle proteste. Un altro leader era stato infatti incarcerato domenica scorsa, evento che aveva dato nuovo alimento a una rivolta che per la verità sembra non avere bisogno di nuovo combustibile e che tocca ormai parte del nord-est del paese. Un'altra città, Daqing (nell'Heilongjiang), è infatti in ebollizione dall'1 marzo. Anche qui migliaia di disoccupati, stavolta dell'industria petrolifera, accerchiano il quartier generale della loro impresa chiedendo salari e sussidi. Proteste sparse avvengono ormai in tutta la Cina, dove il problema della disoccupazione, e soprattutto quello della mancanza di ammortizzatori sociali, si sta facendo acuto. E non si è che all'inizio, visto che, come anche il governo ammette, con la piena entrata nell'Omc la situazione è destinata a peggiorare. Un fatto nuovo, e preoccupante per l'attuale leadership cinese, si sta tuttavia verificando nel nord-est: la protesta si organizza ed emergono nuovi capi, fuori dal controllo dei sindacati ufficiali. Da qui la repressione che mira a decapitare il movimento per scoraggiarlo.

PROPOSTA DELL'UNIONE EUROPEA SUI LAVORATORI INTERINALI

I lavoratori assunti attraverso le agenzie di lavoro interinale per oltre sei settimane non devono essere discriminati rispetto a un dipendente a tempo indeterminato. Hanno dunque diritto allo stesso trattamento per quanto riguarda salario, tempo di riposo, ferie e pagamento delle ore notturne. Lo stabilisce una proposta di direttiva adottata ieri dalla Commissione europea che per diventare legge dovrà essere approvata dal Parlamento. I lavoratori interinali continueranno, per la futura legge europea, a non avere contributi per la pensione e la previdenza sociale, ma anche questa proposta per un'eguaglianza minima ha suscitato una levata di scudi del padronato europeo. Il lavoro interinale riguarda attualmente l'1,4% dell'intera forza lavoro dei 15 paesi membri Ue. Nella maggior parte dei paesi Uem il 90% dei contratti di lavoro di questo genere dura meno di sei mesi. In Spagna e Francia, l'80% dei contratti interinali dura meno di un mese, dunque neppure rientrerebbe in questa normativa.

SINDACATI DI BASE E MANIFESTAZIONE DEL 23 MARZO

Restano differenze tra i sindacati di base. Il nodo è rappresentato dalla manifestazione di Roma del 23 marzo. Sabato scenderanno in piazza i Sin. cobas insieme ad altre organizzazioni come il Sulta, il Cnl, l'Ucs mentre i Cobas e le Rappresentanze sindacali di base non aderiranno alla manifestazione promossa dalla Cgil. «Ma questo - precisa Pietro Bernocchi, leader dei Cobas - non significa non esprimere comunque tutto il nostro sdegno per il delitto di Marco Biagi che era un avversario "politico" non un nemico da abbattere. Dobbiamo andare avanti decisi - dice ancora - verso un grandioso sciopero generale contro l'intera politica governativa prevedendo anche una grande manifestazione nazionale durante la giornata di sciopero». E' e resta questo l'obiettivo principale per i comitati di base. «Da parte nostra - sottolinea Pierpaolo Leonardi, membro delle Rdb - c'è una condanna senza appello dell'omicidio del professor Marco Biagi. Questo delitto è avvenuto nel momento in cui milioni di lavoratori riassumevano il conflitto come strumento di regolamentazione democratica dei propri interessi rilanciando il movimento di fronte al proseguire dell'attacco ai diritti e alle tutele del mondo del lavoro. Ciò non toglie che la nostra lotta sindacale si diversifica per modalità e contenuti politici dalle altre. Per questo non scenderemo sabato in piazza».
Il S. in. Cobas esprime, invece, un parere diverso. E' Luciano Muhlbauer ad annunciare la ferma partecipazione alla manifestazione del 23: «Occorre non solo mantenere la mobilitazione in
corso, ma intensificarla, proprio a partire dal 23 marzo, a difesa della democrazia e della libertà di espressione e di sciopero, a difesa dei diritti dei lavoratori». Ripensare il confronto sociale nell'ottica di una nuova concertazione «sarebbe un catastrofico suicidio politico e sociale, si farebbe il gioco di Berlusconi, della Confindustria e di chi, sparando o mettendo bombe, vuole scompaginare la mobilitazione di massa ed impedire che il movimento si allarghi pacificamente fino a raggiungere i risultati che si è prefisso». Restano ancora una denuncia unitaria contro la campagna d'odio promossa senza scrupoli dalla presidenza del Consiglio e da Confindustria e un nuovo momento "storico" su cui riflettere senza intimidazioni.

LG PHILIPS LICENZIA 560 LAVORATORI

Lg Philips Displays, una joint venture tra l'olandese Philips Electronics e la coreana Lg Electronics, chiuderà entro fine anno l'impianto di Lebring, in Austria, tagliando 560 posti di lavoro. La decisione di interrompere l'attività dello stabilimento che produce monitor per computer ricadrà anche su 120 lavoratori interinali.

GM-DAEWOO

I sindacati dei lavoratori della Daewoo non intendono accettare il compromesso proposto da General Motors che sta trattando l'acquisto della casa automobilistica coreana in bancarotta. «Gm ha verbalmente chiesto di inserire una clausola nel contratto finale garantendo l'occupazione se sarà rivisto il contratto collettivo di lavoro», ha riferito un portavoce sindacale di Daewoo, sottolineando che «garantire il lavoro non è sufficiente». Secondo i sindacati una soluzione è possibile solo se vengono riassunti i lavoratori licenziati e viene messo nero su bianco il futuro dell'impianto Pupyong, il più importante.

CIGS PER "CULTURA E COMUNICAZIONE E TECNOSISTEMI"

La giunta regionale veneta ha espresso parere favorevole alla procedura di consultazione sindacale relativa alla richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria per i dipendenti delle Società Tecnosistemi Spa e Cultura e Comunicazione Spa. Quest'ultima è stata creata nel 1999 dai gruppi Coin e Fnac per l'utilizzo di alcuni negozi ex Standa.

 

22 marzo 2002

GIUDIZI IN SCIOPERO CONTRO LA RIFORMA

Toghe in sciopero il prossimo 5 aprile. Assemblee in tutti i tribunali e sospensione dalle udienze di 15 minuti. Lo ha deciso l'Associazione nazionale magistrati, per protestare contro la riforma dell'ordinamento giudiziario voluta dal ministro Castelli. Il nuovo presidente dell'Anm Patrono attacca i "modelli di verticismo e gerarchizzazione dell'ordine giudiziario in contrasto con il ruolo assegnato dalla Costituzione ai magistrati, tramite il depotenziamento del Csm". 
Il ministro della Giustizia ha provato a ricucire con i magistrati, dicendosi disponibile ad un confronto sul suo testo di riforma dell'ordinamento giudiziario. Ma le toghe sanno bene che c'è il rischio di modifiche anche peggiorative di un testo già brutto: in parlamento sono pronti gli emendamenti degli ultras di Forza Italia. Sarà sciopero, quindi. Con buona pace di Castelli, che ieri ha parlato di "una scelta un po' eccessiva".

SUD COREA

Volete scioperare? E noi vi pignoriamo lo stipendio, e se continuate, pure la casa. Quanto alle centrali, poco male: in mancanza di lavoratori, saranno mandate avanti dall'esercito. Situazione esplosiva in Corea del Sud. Mentre il premier giapponese Koizumi è in visita ufficiale per cercare di ammorbidire - in vista del concubinaggio calcistico di giugno - relazioni mai state così tese tra Tokyo e Seoul, e mentre Usa e Corea del Sud, con tempismo rimarchevole, lanciano le più grandi esercitazioni militari dal dopoguerra (oltre 650.000 militari coinvolti) lo sciopero ad oltranza dei lavoratori della Kepco, la privatizzanda azienda elettrica sudcoreana, sta segnando drammatici sviluppi.
Giunti oramai alla terza settimana di sciopero - dichiarato illegale dal management e da una prima sentenza del tribunale di Seoul - 1449 lavoratori, sui 5000 che avevano iniziato lo sciopero, sono rientrati al lavoro. Ma tutti gli altri, dopo una drammatica assemblea svoltatsi all'interno della cattedrale Myongdong di Seoul - tradizionale luogo d'incontro tra studenti e
operai - hanno reiterato la loro volontà di proseguire lo sciopero ad oltranza. E dopo un breve e tumultuoso incontro con i rappresentanti dell'azienda, alcuni leader del sindacato hanno annunciato lo sciopero della fame. "La nostra risposta democratica e non violenta al clima di intimidazione dell'azienda - ha dichiarato ai giornalisti Lee Hoo Dong - un clima che l'attuale governo sembra non solo permettere, ma anche appoggiare".

In un ricorso urgente presso il Tribunale di Seoul, è stato chiesto il sequestro conservativo degli stipendi di tutti i lavoratori coinvolti. Per ora: se l'agitazione proseguirà, anche le proprietà personali degli scioperanti saranno a rischio. "Lo sciopero è illegale - recita un comunicato dell'azienda - e sta provocando ingenti danni. Ad oggi si tratta di 25 miliardi di won (circa 19 milioni di dollari). Non possiamo permettere che la rivolta di alcuni sobillatori provochi il collasso di un'azienda e si ripercuota sui consumatori. Se lo sciopero è illegale, è giusto che i responsabili risarciscano l'azienda". Il management ribalta dunque le accuse del sindacato, secondo il quale la privatizzazione, oltre a tagliare posti di lavoro, provocherà un aumento delle tariffe. Che il management abbia intenzione di stroncare a qualsiasi costo la protesta è provato - oltre che dal ricorso in tribunale - dall'annuncio di aver assunto 67 nuovi operai "per aiutare gli eroici lavoratori che hanno sinora mandato avanti le centrali", come spiega il comunicato della Kepco. Ma che ci sia anche grande preoccupazione - i Mondiali di Calcio sono alle porte, e lo sciopero rischia di provocare imbarazzanti black-out - è dimostrato dal piano d'emergenza del governo. Se lo sciopero dovesse proseguire, il regolare funzionamento delle centrali coinvolte (31 in tutto il paese) sarà garantito da personale militare precettato. L'addestramento, rivela la stampa sudcoreana, è già iniziato ed i primi 198 militari prenderanno servizio lunedì prossimo, se l'ultimatum dell'azienda non verrà raccolto dagli scioperanti. Grande attesa per la decisione, sabato, della commissione interna dei lavoratori delle centrali nucleari (che fornisce quasi la metà del fabbisogno di energia elettrica), che sinora non hanno ancora aderito allo sciopero e che, secondo il sindacato, sono oggetto di pesanti intimidazioni.

ACQUEDOTTO PUGLIESE

In tutto il mondo si va sviluppando una forte iniziativa sulla utilizzazione di un bene fondamentale come l'acqua. Nel nostro Paese si tenta, attraverso una norma, inserita dal governo Berlusconi nell'ultima finanziaria, di privatizzare nel giro di 6 mesi, e cioè entro l'estate, il più grande acquedotto d'Europa (che è anche il terzo del mondo). Si tratta dell'Acquedotto Pugliese (Aqp) che accumula, trasferisce e serve 4.623.349 abitanti di 4 regioni (Basilicata, Campania, Puglia e Molise), in una parola: 309.416.113 metri cubi di acqua potabilizzata e 19.635.000 chilometri di rete idrica gestita. Attualmente l'Aqp Spa, che è controllato dal ministero del Tesoro (ma le cui quote azionarie dovrebbero essere trasferite alle regioni interessate in percentuale rispetto agli abitanti), ha un capitale sociale di 78.154.5500.000 di vecchie lire (pari a euro 40.363.456). Negli ultimi anni, anche a seguito delle attività di risanamento del commissario Pallesi, dopo la scellerata gestione del presidente Emilio Lagrotta, i bilanci sono stati approvati in pareggio e negli ultimi due anni addirittura hanno scaricato attivi per circa 18.5 milioni di euro. La scelta di privatizzare l'Aqp non è generata solo dalle decisioni del governo Berlusconi, che ha accelerato le procedure, ma vanno rintracciate in alcuni orientamenti definiti dall'ex ministro Antonio Di Pietro, in uno con il sottosegretario Bargone, e successivamente dal governo D'Alema. Il disegno era l'accumulo dell'acqua affidato a consorzi pubblici e la distribuzione, la depurazione, la chiarificazione ai privati, che in parte operano attualmente in regime di sub appalto su alcuni impianti in Puglia e Basilicata. Una grande operazione a sostegno di 3 o 4 gruppi di imprese ex edili che hanno riciclato la loro attività nel ciclo delle acque. Tutto questo assetto rischia adesso di finire sotto il maglio di una privatizzazione senza logica messa in piedi al solo scopo di sostenere gli interessi di gruppi privati che si vogliono spostare nel settore del ciclo dell'acqua per fare profitti. Tutto questo accade in un momento particolare dove, in presenza di una grave crisi idrica derivante anche dalla siccità, ma originata pure dalle perdite di acquedotti comunali che dovrebbero essere oggetto di ristrutturazione e risanamento, invece di affrontare le questioni del rafforzamento dell'intervento pubblico per realizzare strutture, aumentare l'utilizzo di sorgenti ed accumuli e salvaguardare la salute dei cittadini attraverso il potenziamento dei depuratori si pensa al business di gruppi privati.

 

23 marzo 2002

GENERAL ELECTRIC E CASSA INTEGRAZIONE

La General Electric ripropone nelle fabbriche che acquista la strategia a base di esternalizzazioni delle attività produttive, licenziamenti di dipendenti da sostituire con giovani «atipici», mantenimento della sola attività progettuale e soprattutto del marchio. Il logo con cui certificare i manufatti prodotti altrove, naturalmente lì dove il lavoro vale meno e ha minori diritti. A tre anni dal caso del Nuovo Pignone - 221 esuberi, a fronte di mille miliardi di utili nel solo 1999 - ora tocca alla ex Siliani, altra storica fabbrica dell'area, passata di mano lo scorso anno e diventata Gets, General Electric Trasportation System. Anche qui ci sono bilanci in attivo, e un fatturato previsto in ulteriore aumento nel 2002. E anche qui arriva la richiesta di cassa integrazione straordinaria per 60 dei 200 dipendenti, divisi nei due poli produttivi di Firenze e Genova. Con in più un progetto che prevede il completo smantellamento dell'officina elettromeccanica. Dopo i primi scioperi è arrivato il volantinaggio dei lavoratori sotto gli uffici della provincia, proprio mentre gli enti locali incontravano i sindacati e la Rsu. Sono arrivate anche le delegazioni delle Rsu di Nuovo Pignone, Matec, Gkn, Laika, Officine Galileo e delle piccole aziende dell'indotto. I grandi gruppi arrivano nel comprensorio non per realizzare nuovi insediamenti, ma per acquistare realtà produttive che già esistevano. Comprano le aziende, e poi decidono cosa conservare e cosa chiudere. Senza tenere in alcun conto le ricadute sociali.

IMPRESE, SALARI E FLESSIBILITA'

La flessibilità del lavoro, secondo la teoria dominante, dovrebbe condurre ad aumenti dell'occupazione in quanto la domanda di lavoro è inversamente correlata al costo del lavoro. Se il mercato del lavoro è lasciato aggiustarsi come qualunque mercato, la concorrenza dei disoccupati nei confronti degli occupati condurrebbe il costo del lavoro a collocarsi ad un livello tale per cui tutti coloro che vogliono lavorare al salario di equilibrio troverebbero un impiego. E' evidente che la concorrenza dei disoccupati nei confronti degli occupati si può esercitare solo se i datori di lavoro sono in grado di minacciare di licenziamento i lavoratori che non accettassero riduzioni del costo del lavoro - non solo del salario - ma anche delle garanzie su orari, diritti, sicurezza sul lavoro ecc che pure incidono sul costo del lavoro. Dunque flessibilità, nelle sue varie declinazioni, è sostanzialmente sinonimo di licenziabilità. L'abolizione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori non è che la punta di diamante della flessibilità.
In realtà ragioni teoriche ed empiriche portano a respingere l'idea che il sacrificio salariale e normativo induca una crescita dei posti di lavoro, come invece sostenuto dal governo e dai padroni. L'unico effetto sarebbe una crescita dei profitti. Per molte settimane la Confindustria e il suo governo hanno accusato i sindacati di attribuire valore eccessivo alla cancellazione dell'articolo 18, che dopotutto si applica solo a una quota limitata di imprese italiane, quelle con più di 15 addetti. Numericamente poche, esse impiegano però oltre 60% degli addetti del settore manifatturiero, e più del 40% del totale degli occupati. Di fronte all'obiezione che era la Confindustria per prima a fare dell'articolo 18 questione di vita o di morte, i suoi esponenti hanno ripiegato negli ultimi giorni verso l'argomento che vi sarebbero nel paese migliaia di imprese sotto i 15 addetti pronte a fare il balzo verso la crescita, con centinaia di migliaia di assunzioni (D'Amato, Il Sole, 13/3/02) solo che fosse rimossa la famigerata norma sui licenziamenti. Dati Istat del 1999 (La "questione dimensionale" nell'industria italiana, Il Mulino, a cura di F.Traù) mostrano come si ripartiscono in percentuale le imprese italiane per dimensione e non c'è nessun affollamento delle imprese attorno ai 15 addetti (quelle pronte al balzo). Lo stesso studio conclude che è difficile pensare ad una rilevanza estrema delle normative a tutela del lavoro nello spiegare il nanismo delle imprese italiane. Citando Maurizio Zenezini lo studio adombra l'idea che le imprese aggirino di fatto la soglia dei 15 dipendenti costituendosi in piccoli gruppi di imprese. I dati Istat dicono però che alla fine del 1997 solo il 4,6% delle imprese manifatturiere fra 1 e 20 addetti era parte di una piccola holding. Naturalmente molte imprese possono esser parte di un gruppo in maniera informale (per esempio, una impresa di 30 addetti si suddivide in due, la prima intestata alla moglie e la seconda al marito). La verità è che l'abolizione dell'articolo 18 non è importante per le piccole imprese, ma per attaccare i diritti dei lavoratori, e dei sindacalisti in particolare, nel loro nucleo più duro, le imprese medio-grandi dove, per dirne una, vengono nei fatti strappati i contratti nazionali che vanno a beneficio anche delle fasce di lavoratori meno garantite.

RESPINTO LICENZIAMENTO ALLA CARIME

Vittoria di una battaglia sindacale: la Banca Carime revocherà il licenziamento deciso nei giorni scorsi per Francesca Furfaro, segretario generale della Falcri, che aveva diffuso i risultati di un sondaggio che metteva in evidenza alcune carenze dell'istituto di credito. Inoltre, è stato anche revocato il provvedimento di sospensione di due sindacalisti della Fabi, ugualmente «puniti» dalla banca. Francesca Furfaro, nell'esprimere soddisfazione per l'esito della vicenda, ha ricordato che alla revoca del licenziamento e delle sospensioni «si accompagna l'avvio di una importante trattativa volta a riportare Banca Carime sul piano dell'osservanza delle norme contrattuali e di legge, così come richiesto da più mesi da tutte le organizzazioni sindacali, con il coinvolgimento della capogruppo Comindustria che si è finalmente attivata per una positiva soluzione».

ALITALIA: ACCORDO CONCERTATIVO

L'Alitalia ha accettato la proposta di riduzione del costo del lavoro elaborata dalle organizzazioni sindacali per risolvere la questione degli oltre 2500 esuberi dichiarati dall'azienda nel piano d'impresa. I lavoratori della compagnia contribuiranno per gli anni 2002-2003 per un totale complessivo di 276, 5 miliardi di lire. Vengono destinati alla riduzione del costo del lavoro i benefici derivanti dai rinnovi contrattuali in corso fino al 31/12/2003. Inoltre, 12.700 lavoratori di terra dovranno fare ricorso anche ai contratti di solidarietà, avranno il blocco della previdenza integrativa per tutto il biennio e la rinuncia delle festività soppresse.

STORIE DI LAVORATORI LICENZIATI

La Lombardia vanta un esponente di Forza Italia «salvato» dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E' Sergio Fedeli, 51 anni, ex sindaco di Sordio, consigliere comunale di Fi a San Zenone. Lavora da ventidue anni ai Supermercati Gs, è direttore della filiale di Vizzolo Predabissi, in provincia di Milano. Senza l'articolo 18 oggi sarebbe o disoccupato o costretto ad accettare un lavoro con qualifica e stipendio più bassi. Invece, continua a fare il direttore del supermarket Gs. Il giudice Antonio Ianniello l'ha reintegrato in via cautelare nel posto di lavoro con una sentenza che definisce il suo licenziamento privo di «giusta causa» e «crudele». Fedeli è stato licenziato per aver sponsorizzato un'opera di bene senza l'autorizzazione «giusta». In attesa della sentenza di merito, Fedeli resta un militante di Forza Italia, non partecipa a girotondi e a manifestazioni contro il governo. Ma sull'articolo 18 non segue Berlusconi: «E' giusto tutelare prima di tutto il lavoratore. Quell'articolo non va modificato. Non c'è risarcimento che possa ripagare la perdita del lavoro e della serenità». Soldi in cambio del licenziamento? No, grazie. Due anni di stipendio sono una mancia che non risolve niente. Aldilà dell'aspetto economico, «chi mi avrebbe restituito la dignità di fronte alla gente?» Quella che il governo spaccia per «sperimentazione» è la prima tappa per smantellare l'articolo 18, che andrebbe esteso, non ristretto.

 
24 marzo 2002

TRE GENERAZIONI IN PIAZZA

Berlusconi ha sostenuto che sarebbero scesi «in piazza i padri contro i figli». Franca Torrini ha 67 anni, e sfila accanto alla figlia Paola Lai, di 42, che a sua volta è madre di Manuele e Lorenzo, di 15 e 9 anni. Tre generazioni in piazza, con gli stessi slogan. Paola da ben 23 anni va avanti a contratti di collaborazione di 3 o 6 mesi, eternamente rinnovati e mai trasformati in un posto fisso, già esperta di formazione per il Comune e la Provincia di Roma, per una commissione del Senato e una sfilza di altri enti.
I precari, dai Cococo agli interinali, in piazza ci sono tutti, insieme ai ragazzi di McDonald's, American Express, Virgilio, Omnitel, Blu, Tim e di tutto il nuovo universo che raccoglie in sé l'atipico e il flessibile. E se con l'articolo 18 ci si può sentire insicuri, figurarsi senza.

 

26 marzo 2002

BRUCIA L'AST DI TORINO: 500 IN CASSINTEGRAZIONE

Dalle 13 di domenica 24 marzo l'incendio divampato a Torino, in corso Regina Margherita, presso lo stabilimento Acciai Speciali Terni, ex Ilva, del gruppo tedesco Tyssen Krupp, ha distrutto la fabbrica. Si tratta di uno dei 119 impianti piemontesi considerati a rischio. Al momento dello scoppio del rogo nello stabilimento c'erano un centinaio di operai, ma non ci sono state vittime. Il fuoco ha provocato un'immensa nuvola di fumo nero che ha invaso parte della città. Le vasche contenenti l'olio di raffreddamento hanno ceduto, l'olio si è sparso nei cunicoli e nelle condutture sottostanti gli impianti di lavorazione rendendo inaccessibile ai soccorritori l'intera area. Timori emergono anche per la stabilità complessiva delle strutture.
Oltre allo spegnimento delle fiamme, i vigili del fuoco e i tecnici ieri hanno provveduto a misure precauzionali, come quella di spostare dalla zona d'incendio le cisterne di acido cloridrico e di acido fluoridrico, utilizzati nell'ex Ilva per la pulitura di acciai lavorati.
Da ieri mattina i 513 dipendenti della Acciai Speciali Terni sono stati posti in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane. Venti operai saranno trasferiti immediatamente nell'impianto di Terni, dove è previsto un aumento della produzione. Data la situazione ancora di emergenza, i tecnici impegnati nelle operazioni di soccorso non sono riusciti a fornire una stima precisa dei danni causati all'impianto dalle fiamme. Va tenuto presente, però, che l'Acciai Speciali Terni è un laminatoio a freddo, specializzato nella produzione di acciai utilizzati poi dall'industria elettrodomestica. Una fabbrica in espansione che aveva superato brillantemente i problemi causati dall'alluvione subito nel 2000, non a caso acquistata di recente dal gruppo tedesco Tyssen Krupp.

POSTE BRITANNICHE PRIVATIZZATE

Avevano detto che undicimila persone avrebbe perso il posto di lavoro. Ed era (quasi) crollato il mondo. Ieri hanno annunciato che gli esuberi saranno quindicimila e che nei prossimi tre anni altre migliaia di posti di lavoro salteranno. Ed è stato il caos. Autori di questa vera e propria decapitazione Consignia, ovvero le poste britanniche. Ma il governo inglese per bocca della ministra dell'industria Patricia Hewitt ha fatto sapere che «gli esuberi sono inevitabili». Colpa delle politiche dei precedenti governi conservatori, ha detto Hewitt. Una giustificazione che ha irritato i sindacati che invece puntano l'indice contro le politiche di questo governo. La ministra ha cercato di sedare gli animi dicendo di rendersi conto che «la perdita così consistente di posti di lavoro sarà un duro colpo per i dipendenti e le loro famiglie, ma - ha aggiunto - questo episodio segna anche una svolta radicale nel futuro delle poste».
Gli esuberi: quarantamila dipendenti considerati in qualche modo l'agnello sacrificale del nuovo corso delle poste britanniche. Alle quali il governo ha confermato di aver dato «mano libera» per cercare di rovesciare in meglio le sorti di un'azienda che perde un milione e mezzo di sterline al giorno. I quarantamila licenziamenti dovrebbero servire, ha spiegato il governo, a far recuperare almeno una parte del miliardo e duecento milioni di sterline necessari per far ritornare a galla una azienda altrimenti destinata ad affogare nei debiti. Ma poiché la priorità è quella di «garantire la creazione di un servizio postale di alta qualità - ha spiegato ancora la ministra - abbiamo dovuto riconoscere, pur soffrendo, che esuberi della portata enunciata sono inevitabili».

GERMANIA

Sono iniziati gli scioperi di avvertimento organizzati dall'Ig Metall, il secondo sindacato metalmeccanico tedesco, uno dei più potenti d'Europa con i suoi 3,6 milioni di iscritti. Hanno iniziato oltre 4mila lavoratori di Berlino, del Brandeburgo e della Sassonia, che hanno sospeso il lavoro per un'ora. Altri operai in altri luoghi li seguiranno nel corso della settimana. Il sindacato chiede un incremento dei salari del 6,5%. Il padronato ha contro proposto un 2%. Se gli avvertimenti di questa settimana resteranno inascoltati, sarà sciopero generale, probabilmente entro maggio. Gli scioperi si tengono solo nei laender che un tempo facevano parte della Germania dell'est. Nella Germania occidentale la legge sindacale proibisce ai lavoratori di attuare azioni di protesta fino al 28 marzo, giorno in cui finisce il periodo «di grazia» di quattro settimane dopo la scadenza del contratto.

SUDCOREA

E' scaduto ieri alle 9 ora locale l'ultimatum lanciato dalla società elettrica pubblica ai suoi dipendenti in sciopero da un mese contro le privatizzazioni. Adesso, contro i 3.500 lavoratori (su 5.000) che ieri non sono tornati al lavoro sono partite le lettere di licenziamento. Così almeno la Kepc ha affermato ieri di aver fatto, senza ripensamenti né cedimenti. Il governo aveva dichiarato lo sciopero fuori legge e aveva già licenziato 196 tra sindacalisti e semplici dipendenti. Altri 100 sono stati arrestati ieri all'alba nel campus dell'università di Seoul dove si erano riuniti 2.500 lavoratori e dove nel cuore della notte 2.000 poliziotti hanno fatto irruzione.

FIUMICINO: BLOCCO DELLE MERCI

I lavoratori del catering ex-Ligabue hanno bloccato ancora una volta, ieri mattina, il varco merci dell'aeroporto di Fiumicino. La protesta ha preso le mosse dal tentativo di far firmare loro - in cambio dello stipendio di febbraio e marzo - un documento contenete in pratica l'accettazione di un percorso di licenziamento. Secondo gli accordi sottoscritti all'atto della privatizzazione del catering, infatti, i lavoratori dovevano tornare alle dipendenze degli Aeroporti di Roma nel caso di «fuga» dell'acquirente privato. E così era infine stato deciso al «tavolo istituzionale» riunito dal prefetto. Ieri, infine, il tentativo dell'AdR di scaricare la patata bollente.

 
27 marzo 2002

DECISO LO SCIOPERO GENERALE

Sciopero generale di otto ore il 16 aprile contro le modifiche dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, l'arbitrato e la decontribuzione prevista nella delega previdenziale. Non accadeva da vent'anni. L'ultimo sciopero generale di otto ore è stato quello del 25 giugno 1982. Allora furono Luciano Lama, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto a proclamarlo contro la disdetta della scala mobile decisa dalla Confindustria. Questa volta lo sciopero generale unitario è in difesa dello Statuto dei lavoratori e contro una serie di «riforme» della destra che, se divenissero legge di stato, stravolgerebbero il sistema fiscale, quello previdenziale, nonché tutte le norme che regolano il mercato del lavoro.
Certo è significativo che in vent’anni questi sindacati non abbiano mai sentito la necessità di una mobilitazione generale dei lavoratori (ma non solo): d’altra parte è anche per questo che siamo arrivati a questo punto.
I sindacati hanno anche replicato in serata al premier Berlusconi, che - appresa la notizia dello sciopero - ha detto che il fatto non lo preoccupa e che comunque lo sciopero non sarà generale, ma parzialissimo, visto il seguito dei sindacati nella società. La Cgil giudica gravi e preoccupanti le affermazioni di Berlusconi. La Cisl risponde che lo sciopero riuscirà e che il presidente del consiglio dovrebbe imparare a moderare i termini.

GERMANIA IN SCIOPERO

Con tutta la gradualità connaturata al sindacalismo tedesco, i metalmeccanici hanno cominciato questa settimana a mobilitarsi per il rinnovo del contratto. Il 25 marzo nell'est della Germania 5300 operai hanno interrotto il lavoro in 15 stabilimenti, un'ora prima della fine del turno, per uscire in corteo. Ieri questi piccoli Warnstreiks (scioperi di avvertimento) si sono ripetuti in Sassonia, in Brandeburgo e a Berlino. Il contratto è scaduto a fine febbraio, ma a ovest l'Industrie Gewerkschaft Metall - il sindacato dell'industria metalmeccanica - si è impegnato sin dal 1979 a rispettare un assoluto «obbligo di pace sociale» per le quatto settimane successive. Questo impegno non è mai stato sottoscritto nelle regioni orientali. La IG-Metall chiede aumenti salariali del 6,5%, l'avvio dell'inquadramento unico tra impiegati e operai (che comunque richiederà diversi anni per la sua realizzazione), un impegno per la riduzione d'orario a est. Nelle regioni della ex Rdt è stato concordato fino alla primavera del 2003 un orario settimanale di 38 ore, di tre ore più lungo che a ovest. «A est si lavora per un mese gratis», commenta il vicepresidente della IG-Metall Jürgen Peters.
Un aumento del 6,5% può sembrare una rivendicazione estremista in una fase di stagnazione economica, con 4,3 milioni di disoccupati. Ma rituali consolidati vogliono che, all'inizio di una stagione contrattuale, i sindacati chiedano sempre il doppio di quello che contano realisticamente di ottenere. Nel 1999 l'IG-Metall rivendicò il 6,5% e accettò il 3,2%. Nel 2000 chiese il 5,5%, ma firmò un responsabilissimo contratto biennale con aumenti del 3% nell'anno in corso e del 2,1% l'anno seguente.
Certo è che la pazienza degli operai è arrivata al limite, e nelle fabbriche ci si aspetta un risultato consistente. Gli ultimi quattro anni dell'era Kohl sono stati catastrofici per i salari operai, che al netto di tasse, contributi assicurativi e inflazione sono continuamente diminuiti tra il 1994 e il 1997. Le speranze che questo andazzo cambiasse con il governo rosso-verde sono andate ampiamente deluse. I reddito netto medio di un lavoratore dipendente è aumentato in termini reali solo dello 0,1% nel 1998 e dello 0,6% nel 1999, è rimasto fermo nel 2000, per poi salire dello 0,9% nel 2001.
Un piccolo sconto sulle sue aspettative salariali la IG-Metall è però disposta a concederlo pur di varare l'inquadramento unico per operai e impiegati, un progetto che si trascina irrisolto da decenni. Le fabbriche metalmeccaniche lavorano ormai con macchine a guida elettronica, capaci di fresare, trapanare o levigare un pezzo con fantastica precisione. In certi reparti chi programma queste macchine è un «operaio», in altre un «impiegato». La differenza è che il primo per queste «difficili mansioni specializzate» guadagna un «salario» tra 2110 e 2300 euro al mese (lordi). Il secondo, a stare alla tabella degli «stipendi» per compiti difficili, percepisce da 2650 a 3020 euro.

VALEO

A Mariglianella, a due passi da Pomigliano d'Arco, c'è un'azienda di cablaggio che si chiama Valeo Cablauto, indotto Fiat. E' il prodotto di una terziarizzazione Fiat, fatta nel `96, per togliersi dai piedi un settore marginale rispetto alla produzione, i cui 370 operai svolgono mansioni a basso contenuto professionale. All'atto della vendita la Fiat garantisce l'occupazione per 5 anni, ma in quest'arco di tempo di dipendenti ne sono rimasti soltanto 150, grazie all'utilizzo della mobilità e dei pensionamenti. Ora, la Valeo ha comunicato ai lavoratori sopravvissuti la sua intenzione di chiudere baracca e burattini, così risolvendo alla radice il problema. Dice che nel napoletano i costi del lavoro sono troppo elevati e dunque lo stabilimento sarà chiuso e la produzione trasferita altrove. Parte la lotta: la Fiat, ex proprietaria e attuale acquirente della nostra produzione, impone prezzi e condizioni che legittimano le scelte di trasloco (globalizzazione) della Valeo. Dal canto suo, la Fiat si dice disinteressata al problema: prendetevela con i vostri padroni, noi garantiamo le commesse e dunque avete sbagliato indirizzo. Convinti invece che l'indirizzo scelto sia quello giusto, ieri un centinaio di operai della Valeo Cablauto sono entrati in corteo all'Alfa di Pomigliano e hanno bloccato per protesta le linee di montaggio.
La risposta della Fiat non si è fatta attendere: «Ritiro della direzione aziendale» dallo stabilimento di Pomigliano «fino a quando si saranno ripristinate le normali condizioni di agibilità». E «messa in libertà» di tutti i dipendenti a partire dalle 16». Al Lingotto, la direzione Fiat precisa che «non avevamo alternative, essendo impedita la produzione e non potendo garantire la sicurezza delle persone e degli impianti». Il rischio di mettere gli operai dell'Alfa contro quelli dell'indotto attraverso la sospensione dal lavoro dei primo è stato scongiurato da un immediato moto di solidarietà: questa mattina, dicono alla Fiom di Pomigliano, gli operai dell'Alfa manifesteranno insieme ai loro più sfortunati e tartassati compagni della Valeo Cablauto.

SCIOPERO ALL’ATESIA

Atesia, call center controllata da Telecom, è stata bloccata per due ore da un'agitazione indetta contro il licenziamento di oltre 100 lavoratori. Lo sciopero ha completamente bloccato tre delle «campagne» principali e, a seconda dei settori, ha coinvolto tra il 40 e il 90% dei telefonisti, al punto che spesso è stato mandato in onda un disco pre-registrato (il che comporta il pagamento di pesanti penali ai committenti da parte dell'azienda). I licenziamenti, vista la forma contrattuale «atipica», sono formalmente dei «mancati rinnovi», tutti rigorosamente individuali e per i motivi più vari. L'agitazione è stata indetta da Cgil, Cisl e Uil.

 

28 marzo 2002

DATI ISTAT

In Italia aumenta il numero delle persone che lavorano e diminuiscono i disoccupati. Il risultato è la discesa - in gennaio - del tasso di disoccupazione al 9,1%, il livello più basso dal 1993. I dati Istat dicono che l'emersione del sommerso è stata richiesta da appena un centinaio di imprese; la Tremonti-bis ha prodotto addirittura risultati negativi, avendo bloccato gli investimenti in attesa della sua approvazione e gli investimenti stanno diminuendo e gli industriali (come risulta da una inchiesta di Bankitalia) non sembrano assolutamente disposti a impegnarsi. E ancora: lo scudo fiscale non sta riportando in Italia quei capitali che avrebbero dovuto alimentare il processo di accumulazione, mettendo a disposizione del sistema produttivo enormi risorse.
I dati Istat dimostrano perfettamente che la crescita può essere trainata unicamente dal lavoro regolare e stabile, che garantisce anche le imprese più dinamiche. La conferma si ha dai dati territoriali sulla disoccupazione: al Nord il tasso di disoccupazione è sceso al di sotto del 4%, mentre nel Mezzogiorno il tasso dei senza lavoro (anche se in riduzione) rimane appena al di sotto del 19%. Poter licenziare al Sud, con l'abolizione dell'articolo 18, chi è appena emerso non creerà nessun nuovo posto di lavoro, mentre al Nord, a questo punto e salvo poche realtà territoriali, il problema è solo quello della carenza di manodopera. Il problema, insomma, non è quello della flessibilità e della precarietà, ma dell'accumulazione in un'area dell'Italia, puntando a conquistare quote di mercato nelle produzioni tecnologicamente avanzate. Tutto il contrario della flessibilità e dei bassi salari, che con l'abolizione dell'articolo 18 rilancerebbero unicamente le produzioni a basso valore aggiunto.

POMIGLIANO SCIOPERA

Sciopero e assemblea generale alla Fiat di Pomigliano d'Arco deciso unitariamente dai metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil. La protesta è stata decisa dopo che l'azienda ha messo in libertà gli operai e gli impiegati Valeo Cablauto che avevano preso parte alla manifestazione di martedì dei lavoratori. In particolare la Fiat accusa i 100 lavoratori della Valeo-Cablauto di avere impedito l'attività lavorativa. In una nota diffusa dai tre sindacati e dalla Fismic viene accusata la Fiat di «atto ignobile e volgare» e denunciano la latitanza dell'impresa che non interviene presso la francese Valeo per fare sospendere i licenziamenti e avviare un tavolo delle trattative.

 

30 marzo 2002

ANCORA SULL’ACCORDO ALITALIA: I LAVORATORI SI “TASSANO” PER SALVARE L’AZIENDA

Alitalia riesce ad evitare il dissesto economico e finanziario grazie anche a un accordo, siglato giovedì notte da tutte le componenti del sindacato, che prevede in sostanza un prestito `forzoso' da parte dei lavoratori, finalizzato ad alimentare un piano di risanamento di natura finanziaria più che industriale. Il testo dell'accordo, basato in particolare su costo del lavoro e warrant, è stato consegnato nelle mani dell'amministratore delegato della compagnia Mengozzi, che a sua volta lo ha poi presentato al Consiglio di amministrazione. Si tratta di un accordo pieno di ombre e di incertezze per il futuro, che cade poi in un momento drammatico per la compagnia aerea italiana. Ieri, subito dopo l'intesa sindacale, il consiglio di amministrazione di Alitalia ha dato il via libera ad una gigantesca operazione di ricapitalizzazione che avrà il valore di 1,4 miliardi di euro, previo completamento dell'operazione di ricapitalizzazione del `97 per circa 370 milioni di euro. In che cosa consiste l'accordo sindacale? In base alle prime indicazioni prevede il riconoscimento, e dunque la compensazione, dell'80% dei sacrifici a carico delle categorie interessate alla riduzione del costo del lavoro in Alitalia (piloti, assistenti e tecnici di volo, personale di terra) con il ricorso a warrant, obbligazioni convertibili che alla scadenza del piano 2002-2003, consentono la sottoscrizione di azioni ad un prezzo di favore oppure la liquidazione diretta del controvalore.
Per dirla in altri termini i lavoratori sono diventati parte integrante del salvataggio della compagnia grazie a un prestito dai contorni finanziari non ancora noti e comunque poco chiari.
La vicenda dovrebbe insegnare qualcosa ai liberisti e a tutti coloro che vorrebbero mettere i beni pubblici nelle mani del Dio mercato. Anche il Cda, ovviamente ha accolto con entusiasmo l'accordo sindacale: il consiglio di amministrazione in una nota della compagnia ha sottolineato che l'accordo costituisce un «elemento costitutivo della politica di implementazione del Piano Biennale 2002-2003».

MICRON: FLESSIBILITA’ A TUTTO VAPORE

Il decennio di moratoria contrattuale è iniziato. Con indiscutibile piglio governativo, il management di Micron Technology ha compiuto nei giorni scorsi i primi passi volti a mostrare urbi et orbi che l'avvio dell'epoca di moratoria contrattuale coincide con una impennata dell'occupazione, essenzialmente a favore dei giovani. Prima, l'incontro con Fiom, Fim, Fismic (la Uilm è enturage dell'azienda più che sindacato metalmeccanico). Alla delegazione, che aveva chiesto l'incontro per aprire un tavolo di negoziato in materia di contratto integrativo, il management si è limitato a rispondere che Micron non ha alcun interesse alla trattativa né sul sistema dei turni né sull'organizzazione del lavoro. Poi, l'annuncio dell'inizio di una magnifica epoca di felicità. Nella sede aquilana dell'Unione industriali, il management Micron ha infatti annunciato un programma di nuove assunzioni con contratti di formazione-lavoro. Nei prossimi mesi entreranno in Micron 225 giovani (150 impiegati di produzione; 45 impiegati tecnici di quinto livello; 25 impiegati tecnici di terzo livello; 5 amministrativi). Queste 225 assunzioni a cfl devono essere sommate ad altre 100 legate a un accordo precedente. Lo stabilimento presenterà un profilo giovane e una struttura del rapporto di lavoro flessibile.
L'interfaccia di questa politica di incremento di organico in fabbrica è costituito dalla linea sulla quale il management persegue la strisciante rottamazione degli addetti anziani. Per anziani s'intendono dipendenti di 37-38 (avete letto bene) anni. Fino a dicembre scorso, l'azienda ha convinto 60 di costoro a rassegnare spontaneamente le dimissioni, dietro corresponsione di 24 mensilità di salario. Non sarebbe male gettare una lunga occhiata a una qualunque delle lettere di assunzione a contratto di formazione-lavoro, spedita dall'azienda ai giovani in ingresso. Molto istruttivo, dal momento che il management specifica che il primo giorno successivo alla scadenza dei 24 mesi a cfl, il giovane tecnico sarà utilizzato nei turni di 12 ore - il che significa che i cfl sono una forma giuridica in cui la vera natura del rapporto di lavoro in Micron è dissimulata ma è chiarissima.

GIUSTA CAUSA: RIASSUNTA ANTONELLA

Mercoledì 20 marzo un corriere ha consegnato una lettera ad Antonella Barbi, l'operaia dell'Avicola Monteverde di Rovato licenziata perché controllava troppo (secondo il padrone) la qualità dei fegatini di pollo. Il titolare del macello aveva fatto marcia indietro, comunicava alla dipendente di presentarsi al lavoro il giorno seguente. Il 21 gennaio il tribunale di Brescia, applicando l'articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, aveva giudicato illegittimo, perché senza «giusta causa», il licenziamento di Antonella Barbi e ordinato il suo reintegro nel posto di lavoro. Cosa che l'azienda non aveva fatto, preferendo pagare l'operaia perché stesse a casa. I due mesi liberi Antonella li ha messi a frutto. Ha rilasciato interviste, del caso «dei fegatini» hanno parlato i giornali e Sciuscià; il 12 marzo, allo sciopero generale della Cgil a Brescia, dal palco in piazza Loggia lei, al suo primo comizio, aveva conquistato 30 mila manifestanti. «Lavorare è fatica, lavorare con la paura è fatica doppia. L'articolo 18 ci protegge dalla paura. Per questo va difeso ed esteso a tutti». All'Avicola Monteverde devono aver fatto due conti sul danno d'immagine causato dal tener fuori un'operaia diventata «famosa» e per di più licenziata perché faceva troppo bene i controlli di qualità. Meglio riprenderla. La prima persona che Antonella ha incontrato rimettendo piede in azienda è stata la nipote del padrone. Fa l'avvocatessa e ha difeso l'Avicola in tribunale. «Mi ha salutato lei per prima», racconta Antonella, e altrettanto ha fatto il titolare. Poi, in reparto, abbracci festosi e complimenti dai colleghi. Maschi, precisa Antonella. Freddine, invece, le donne. All'Avicola sono una decina e con loro il rapporto non era buono anche prima del licenziamento (l'autorevolezza e il protagonismo femminile - vere ragioni del licenziamento - urtano più le donne degli uomini?). Piccolo neo nel trionfale ritorno: ad Antonella è stata assegnata una mansione diversa. Ora toglie i fegatini e i ventrigli dai polli che girano sulla catena di «smontaggio», i controlli li fanno altri operai a valle. All'Avicola Monteverde solo Antonella e un altro lavoratore sono iscritti «pubblicamente» al sindacato. Altri cinque sono tesserati «di nascosto». I padroni vogliono cambiare l'articolo 18 «per essere liberi di fare quel che vogliono». Se ci riusciranno, il vantaggio «andrà tutto nelle loro tasche». Quell'articolo dello Statuto è importantissimo perché «garantisce il diritto d'aprire bocca senza avere paura». Senza di quello, anche il sindacato «avrebbe meno forza».

SCIOPERO RIUSCITO ALLA RINASCENTE

Adesioni ovunque superiori al 60%, con punte oltre l'80%, allo sciopero per il rinnovo del contratto integrativo, scaduto da oltre un anno, per i 30 mila dipendenti del gruppo Rinascente-Auchan. Rinascente ha spostato dirigenti e personale amministrativo dietro casse e banconi e ha fatto ampio ricorso a lavoratori in affitto (cosa proibita in caso di sciopero). L'azienda, denunciano i sindacati del commercio, si è impegnata al massimo con ricatti e intimidazioni per fare fallire lo sciopero. Alla Città Mercato Auchan di Vimodrone il clima è stato da botte. La vigilanza interna ha «insultato» e «usato violenza» contro il presidio dei lavoratori, mettendo a rischio l'incolumità dei clienti, afferma Fabio Sormanni, segretario della Filcams Lombardia. Alla Città Mercato di Merate, dove erano stati reclutati numerosi lavoratori esterni, il sindacato ha fatto intervenire l'Asl per verificare se erano provvisti del libretto sanitario (obbligatorio per chi opera nel settore alimentari). A Torino commesse e lavoratori hanno fatto un presidio davanti alla Rinascente. Rinascente rifiuta l'armonizzazione del trattamento economico e normativo (solo i dipendenti di alcune divisioni godono del premio fisso di 93 euro) e non vuole trattare sull'utilizzo dei contratti part time e a tempo determinato. In compenso pretende che il lavoro festivo sia considerato ordinario, cioè pagato senza maggiorazioni salariali.

 

31 marzo 2002

ADECCO

L'Adecco, multinazionale leader del lavoro in affitto, in Italia ha più di 500 filiali e oltre 2 mila dipendenti. Il 20 marzo Enrica Torresani ed Erica Belingheri, selezionatrici del personale in due filiali bergamasche, hanno descritto il «dietro le quinte» dell'Adecco. Un mondo a parte che si fregia dello slogan «le persone fanno la differenza» e dove tutti si chiamano per nome e danno del tu al direttore generale. Ma dove nei front office si lavora dalle 9 alle 19, si salta la pausa pranzo, lo straordinario è abbondante, coatto e non retribuito, le violazioni della privacy e le pressioni psicologiche sono all'ordine del giorno, il turn-over è volutamente alle stelle per avere materiale umano sempre fresco da sfruttare e per tenere lontano il sindacato.
I primi risultati di queste rivelazioni sono stati di costringere alle dimissioni la coordinatrice Adecco della Lombardia orientale (che comprende la provincia di Bergamo); hanno scatenato una tempesta di e-mail tra i dipendenti Adecco; hanno costretto l'azienda a tenere riunioni di zona per censire le ragioni del «disagio» dei lavoratori, con il chiaro intento di risolvere la cosa in famiglia, senza l'intervento del sindacato. I dipendenti di diverse filiali (tra cui Roma) hanno contattato la Filcams di Bergamo (a cui Enrica ed Erica sono iscritte) per far decollare una vertenza di gruppo. Il megadirettore si è reso disponibile a incontrare nel suo ufficio in piazza Diaz a Milano chi avesse qualcosa da dirgli.
Le prime a farsi avanti sono state Enrica e Erica.