Notizie dalla lotta di classe

Aprile 2001

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Unire quello che il capitalismo divide.

 

01 aprile ’01

 

I TURNI NELLE FS

I turni e la loro organizzazione pesano sulla fatica del singolo e aumentano il rischio di incidente. Ogni indagine ministeriale o aziendale sugli incidenti in ferrovia si conclude inevitabilmente con la diagnosi di "errore umano", ossia la colpa è del macchinista. Quasi 100 anni fa - nell'Inghilterra vittoriana - al termine di un processo per la morte di 40 passeggeri in un disastro ferroviario, la corte condannò... i dirigenti dell'azienda, che avevano obbligato il gruppo di macchinisti a una settimana di turni di notte.
Altri tempi, altre magistrature, altri medici: l'azienda non può ammettere come "causa di servizio" il più comune "colpo di sonno", lo stress, i tumori allo stomaco, ecc. Eppure la ricerca del psicofisiopatologo Ruggieri, condotta su 60 macchinisti di Roma e Ancona, non lascia molto spazio ai dubbi. Al centro dell'analisi sono l'orario del turno, la qualità dell'ambiente di lavoro (illuminazione, rumore e temperatura), le modalità del sonno prima dell'inizio del turno, i disturbi manifestatisi (per tipo e durata), nonché le variabili intervenute (dall'incremento dell'irritabilità all'insorgere dell'ansia, ecc). Emerge che nelle modalità di turnazione dei macchinisti non esiste alcuna regolarità, se non quella generale delle "sestine" (quattro giorni di lavoro, due di riposo). Nei quattro giorni di lavoro "variano continuamente l'ora di dinizio e di fine del lavoro e del sonno e, quindi, la quantità di sonno e riposo maturato al momento di iniziare il lavoro". Una particolare attenzione viene posta al sonno nella fascia orario che va dalle 20 alle 24, poiché secondo la letteratura (scientifica) tale quota di sonno, definito "sonno àncora", risulta "indispensabile per mantenere la stabilità dei cicli circadiani"". La turnazione, dunque dovrebbe esser tale da consentire l'adeguato recupero dopo un turno che "brucia" tale fascia di sonno. E invece la prassi "normale" tratta ogni fascia come assolutamente equivalente, come accade per il "materiale rotabile".
Una prassi che pone problemi su due versanti: la salute dei lavoratori e la sicurezza dei trasportati. In determinate condizioni, infatti, "i sistemi di sicurezza che si basano sulla produzione di un segnale visivo o sonoro rischiano di non mostrarsi efficaci per l'individuo che si trova in una situazione di inibizione diffusa". Ovvero, stanco. Un meccanismo che crea "errori umani", in questo settore, dovrebbe essere fermato subito. Ma non è questo che prevede il dio della "flessibilità".

 

03 aprile ’01

 

EX BELLELI

Nel caso Belleli, a Taranto, si riaffaccia il gruppo Marcegaglia. Per i 1700 dipendenti dell'industria leader nella costruzione di piattaforme petrolifere ad alte profondità marine, in cassa integrazione ormai da tre anni, è un balletto di proposte.
Antonio Marcegaglia, amministratore delegato della Cct, controllata del gruppo, vorrebbe investire 35 miliardi, per realizzare un centro produttivo di caldaie industriali e impianti energetici, che darebbe lavoro a 200 persone. All'autorità portuale di Taranto, ha chiesto la concessione di un'area di 150.000 dei 360.000 metri quadrati dello Yard Belleli.
I sindacati, però, puntano ancora sull'ipotesi che a realizzare un grosso insediamento portuale e, soprattutto, a rilevare gli stabilimenti di Statte, sia il gruppo Fantuzzi-Officine Reggiane, che, dopo aver firmato nell'ottobre scorso un accordo che prevedeva la riassunzione di 950 lavoratori, poco meno di un mese fa ha improvvisamente fatto marcia indietro. La ex Belleli, a Luciano Fantuzzi, sembrava non interessare più. Recentemente, però, l'industriale emiliano si è rifatto avanti: o si abbassa il prezzo della concessione dell'area portuale, o non se ne fa niente.
In pratica, Fantuzzi chiede l'intera area dello Yard, tutti i 360.000 metri quadrati e non soltanto i 300.000 che le autorità locali gli avevano inizialmente concesso. E poi, vorrebbe pagare 970 lire al metro quadro, quello che già paga il vicino Emilio Riva, e non 4000, cifra imposta dall'autorità portuale. Non è ancora chiaro se Fantuzzi sia disposto a prendere, oltre alla concessione dell'area portuale, anche gli stabilimenti di Statte. Il governo si è offerto, di rilevare, attraverso la controllata Sviluppo Italia, il 49% dell'industria; il 51% andrebbe al gruppo Fantuzzi. Per acquisire il controllo della nuova società, non sarebbe neppure necessario un investimento monetario, dato che il governo ha prospettato la possibilità di conferire un ramo d'azienda.

 

04 aprile ’01

 

ALCATEL TAGLIA 1.100 POSTI

Il gruppo francese Alcatel ha annunciato la soppressione di 1.100 posti di lavoro negli Usa, 800 dei quali a tempo pieno. I tagli sono giustificati con la necessità di "restare competitivi a fronte del rallentamento economico negli Usa e del calo delle spese da parte dei clienti".

 

 

05 aprile ’01

 

FIAT: LAVORATORI DI TROPPO A MIRAFIORI

La Fiat ha deciso di avviare le procedure di mobilità per 454 lavoratori della Powertrain (la società in joint venture tra Fiat e General Motors che ha rilevato la produzione di motori alle meccaniche di Mirafiori). Si tratta di 4 quadri intermedi, 40 impiegati e 410 operai, su un totale di 2417 operai, 6 intermedi e 318 tra quadri e impiegati.
La Fiat minimizza, parlando di una "storia vecchia" che va avanti dal '99, quando venne posto il problema degli "esuberi alle meccaniche". Poi, tra la disdetta del contratto integrativo e l'accordo di marzo 2000 con la Gm, era finita nel dimenticatoio, sostituita da frequnti periodi di cassa integrazione, in media da una a tre settimane. La notizia della mobilità è stata data dall'agenzia Reuters e dal tg piemontese ben prima che le Rsu di fabbrica venissero convocate. In fabbrica la notizia è arrivata tardi, ma le previsioni fatte in V Lega parlavano comunque di uno sciopero già in serata, dopo la pausa per la mensa, e per il giorno dopo. Anche se le iniziative vere cominceranno solo lunedì, perchè in questo momento ci sono 1300 (su 2.800) lavoratori in cassa integrazione (gli addetti alla costruzione dei motori); al lavoro vanno solo quelli del reparto "cambi".
La Fiat nega che ci siano problemi di divisione dei compiti tra Fiat e Gm. Sul piano sociale, secondo la Fiat, la mobilità alla Powertrain non provocherebbe "nessun problema, perché l'età media alle meccaniche è più vicina ai 60 che ai 50 anni".
A Mirafiori come a Cassino, a Pratola Serra come a Melfi, non c'è più ombra di contrattazione. L'azienda dirama le sue scelte e quelle restano. Ai sindacati viene lasciato il compito di dividersi tra chi è disposto a "comprenderne" le ragioni (il Fismic, ossia l'ex Sida, in prima fila; ma anche Uil e Cisl, sempre più spesso) e chi le contesta sul campo.

 

LAVORO DA MCDONALD'S

In cucina è un continuo trillare di griglie. Devi mettere prima la fetta di pane, subito dopo l'hamburger, la fettina di formaggio e i cetriolini, "sparare" il Ketchup con le speciali pistole, poi un'altra fetta di pane, e via verso il banchetto che li tiene in caldo. Non possono sostare più di 10 minuti, dopo vanno buttati, come le patatine, che "reggono" al massimo per 7 minuti.
In tutti i 28.000 fast food McDonald's del mondo, per circa 1.500.000 dipendenti, i pesi degli hamburger, il formato delle patatine, i tempi di cottura delle griglie, con i relativi squilli che richiamano all'ordine, sono standard. Derogare è un'eresia. Un ragazzo di Salerno che ha lavorato per quasi due anni in due McDonald's di Milano, di fronte alla stazione centrale, racconta i tempi di lavoro McDonald's. Adesso è tornato in Campania, rinunciando al lavoro nella multinazionale e agli studi. In cambio - magra consolazione - nel settembre scorso ha avuto un assegno di 10 milioni. La Mac ha detto: tu rinunci a farci causa per i part time poco regolari, noi ti paghiamo questa cifra. Prendere o lasciare.
"Ho passato due anni d'inferno", spiega. "All'inizio stavo facendo carriera per diventare manager, ma il fatto che chiedessi di conciliare gli orari del mio studio con quelli del lavoro ha cominciato a dare fastidio. Sono stato trasferito e mi sono iscritto al sindacato (Fisascat Cisl) per essere più garantito". Nel locale milanese, il Duca D'Aosta 2, lavoravano anche 14 o 15 immigrati, originari delle Filippine, del Bangladesh, del Perù. "Qualsiasi mio tentativo di sindacalizzarli era osteggiato dalla direzione. Misero la bacheca sindacale sopra un rotolo di carta, in alto, in modo che gli altri avessero difficoltà a vederlo, e vicino agli uffici dei manager, per dissuadere da letture troppo prolungate. Cominciarono a mettermi orari impossibili, con molte albe. Ero costretto a contare un numero immenso di scontrini in una cantina, dicevano che 'sentivano puzza' quando passavo. Evidentemente, non potendomi licenziare, avendo un contratto di 21 mesi, volevano che me ne andassi da solo".
Per i banconisti più buoni, mensilmente è indetto il concorso "dipendente del mese". "Affiggono la tua foto, ti danno un premio di 100.000 lire, e un viaggio se diventi 'dipendente dell'anno'". L'altra faccia della medaglia, è un computerino interno alle casse che fa il conto di quanti clienti servi al minuto. "Devi essere un robot: più ne servi, meglio è. In 2 minuti devi mettere panini, patatine, coca cola e ghiaccio, e se ritardi vieni rimproverato dai manager che ti tengono d'occhio continuamente". D. ha deciso di accettare l'assegno, l'avvocato lo ha dissuaso dal fare causa.

ITALGAS LICENZIA

L'Italgas sceglie la via della terziarizzazione di alcuni rami d'azienda, dei contratti a termine, del part time. E 1500 dipendenti andranno a casa nel giro di 24 mesi. La notizia era già nell'aria. Alla conferma, si è aggiunto che altri 500 lavoratori saranno messi in mobilità. Il primo troncone partirà quest'anno. Per gli altri se ne riparlerà nel 2002. Il riassetto riguarda tutte e quattro le sedi italiane: Torino, Roma, Venezia e Milano.
Italgas, (gruppo Eni), da sei mesi sta mettendo mano ad un pesante piano di ristrutturazione aziendale che passa attraverso la terziarizzazione e la nascita di nuove società, come Telecom e Enel. L'ultima, in ordine di tempo, è stata varata la scorsa settimana a Torino, attraverso la fusione con l'Azienda elettrica municipale di Torino per il teleriscaldamento e l'erogozione del metano nel capoluogo piemontese.
Saranno invece ceduti a società terze la rilevazione dei consumi, le attività informatiche decentrate, la rilevazione cartografica computerizzata e il ramo servizi generali. Questa manovra comporterà il taglio di 300 addetti:.per gli altri 700 si cercherà la strada della messa in mobilità interna. Cigl-Cisl e Uil invece sono convinti che la strategia dei vertici societari sia la mobilità per 400 dipendenti come scivolo verso il prepensionamento. Gli altri 300 invece saranno, tout court, licenziati.
Italgas, che ha di recente aperto due call center e sta puntando sempre più sul franchising, avrebbe anche proposto una passaggio di alcuni dipendenti in questi nuovi centri, con contratti a termine. I lavoratori dell'Italgas sono entrati in sciopero per otto ore il 6 aprile. Italgas negli ultimi bilanci ha registrato una crescente espansione delle quote di mercato con conseguente incremento degli utili (l'ultimo esercizio si è chiuso con un risultato netto di 649 miliardi di lire".
I sindacati hanno chiesto alla società Italgas "di discutere il piano industriale, implementare i servizi forniti, verificare il modello organizzativo dell'impresa valorizzando competenze e risorse, impegnarsi nello sviluppo delle infrastrutture nel Mezzogiorno".

 

 

7 aprile ’01

 

SIRTI DIMEZZA I LAVORATORI

Sedici ore di sciopero, di cui otto il 18 aprile. E' la risposta che il coordinamento delle Rsu della Sirti - l'azienda ex Telecom dedicata all'installazione della rete telefonica fissa - danno al "piano industriale" presentato nei giorni scorsi: 2.700 "esuberi" su 5.800 dipendenti.
La privatizzazione di Telecom è all'origine di tutto: questo piano industriale è paradigmatico di un settore che ormai da tempo va avanti per esuberi, crisi, scorpori. La Sirti sembra stare lì apposta per testimoniare di un disastro industriale - con pesanti ricadute sociali e sullo sviluppo del paese - messo in moto dai governi di centro-sinistra: la trasformazione di Telecom in public company, prima (col governo Prodi), e la sua scalata, poi, da parte di Colaninno, pubblicamente benedetto dall'allora presidente del consiglio, Massimo D'Alema.
Quella privatizzazione non teneva affatto conto che la rete telefonica era unica, sul territorio nazionale, e non duplicabile con i capitali privati (che puntano, specie nelle tlc, sul profitto cash, massimo due anni per tornare in attivo). La riprova viene fornita da e-Biscom, E-Via e gli altri "audaci" che hanno cominciato a stendere reti in fibre ottiche: rigorosamente nei soli grandi centri del nord. Tutti gli altri "concorrenti" di Telecom si guardano bene dallo stendere un solo chilometro di rete, preferendo appoggiarsi su quella già esistente e gareggiare sul "mobile", impiantando tutt'al più qualche call center. E Telecom stessa non ha più alcun interesse, una volta privatizzata, a implementare la rete fissa. Un esempio può aiutare a capire: in certe zone di montagna portare il telefono in una casa può costare la messa in opera (e la manutenzione) anche di venti pali; una cifra che nessun "traffico di chiamate" potrà mai ripagare, un lavoro che nessuna compagnia privata commissionerà mai più. Il risultato inevitabile sarà che, fuori dai grandi centri, ci sarà sempre meno telefonia fissa. Una scelta industriale masochista, per un paese, visto che questo tipo di rete garantisce una quantità di traffico e una stabilità operativa enormemente superiori rispetto al mobile.
Ma questo è il core business della Sirti e delle decine di aziende più piccole che si sono buttate nel settore attratti dalla bassa intensità di capitale necessaria a "stare su questo mercato". Telecom ha però anche imposto uno "sconto" del 40%, dando così il via alla serie di gare al massimo ribasso che stanno spezzando ogni residua possibilità di operare per imprese regolari. Anche la Sirti, dunque, si è messa a operare come una di queste micro-aziende, puntando solo al risparmio di lavoro (e di salario) invece che a una riqualificazione industriale con l'occhio al futuro.
Fiom, Fim e Uilm hanno chiesto che venga attivato un tavolo con i ministri dell'industria, del lavoro e delle telecomunicazioni. Un richiamo alla responsabilità, perché le reti non possono essere gestite con la logica del puro profitto. Francia e Germania, sulla questione dell'energia, hanno già rotto il diktat di Bruxelles su tempi e modi di "privatizzazione" delle reti.

 

 

8 aprile ’01

 

SCIOPERO A MELFI

La Fiat cerca sempre di "scucire" lavoro in più dai suoi operai. Ma la lotta non si ferma. A Melfi, dovendo ridurre la produzione, l'azienda ha tolto al montaggio due persone per ogni "Ute" (unità tecnologica elementare). Quando invece doveva aumentare la produzione nell'identica misura ne aggiungeva uno soltanto. La Fiom-Cgil si è mossa, mentre gli altri (Cisl, Uil, l'ex Sida ora Fismic e l'ex Cisnal ora Ugl) sono disposti a riunirsi nelle commissioni dove accettano i diktat della Fiat. Si è fermata per un'ora una sola "Ute", 17 operai su 20. Ma nei prossimi giorni l'iniziativa dovrebbe contagiare a turno un po' tutte le altre "ute". Dalla lastroferratura, intanto, arriva la notizia di pericolose fughe di fumi tossici. Un lavoratore del reparto, pochi giorni fa, è stato ricoverato in ospedale dopo un malore. A Melfi alcuni mesi fa il ministro dell'ambiente Bordon, nel corso di una visita, aveva rilevato carenze nelle misure di sicurezza a tutela della salure dei lavoratori. Ma nulla, nel frattempo, sembra essere cambiato.

ACCORDO BERTONE

Alla carrozzeria Bertone sindacati e azienda hanno siglato un accordo tale da concludere la vertenza sulla contrattazione aziendale. Negli ultimi due anni la Bertone aveva assunto un migliaio di giovani sotto i 25 anni, raddoppiando di fatto l'organico. Per tutti questi giovani operai, dunque, si è trattata della prima esperienza di vertenza, che ha anche dimostrato quanto falsa sia l'idea che "i giovani" non si riconoscano nelle forme classiche del conflitto di fabbrica. Oltre 10 ore di sciopero, blocco degli straordinari, e infine un 96,4% di consensi sui contenuti dell'accordo. Soddisfazione della Fiom. Per Giorgio Airaudo, segretario Fiom della zona ovest di Torino, l'accordo della Bertone "è ancor più significativo di fronte al perdurare del blocco della vertenza Fiat".

 

10 aprile ’01

 

LA MARCONI LICENZIA

La società britannica che produce apparecchiature per telecomunicazioni ha deciso di ridurre drasticamente i propri dipendenti. I sindacati hanno riferito infatti che la Marconi ha intenzione di tagliare 3000 posti di lavoro, di cui la metà nello stesso Regno unito. La decisione della società viene collegata al cattivo andamento dei titoli Marconi in borsa. La decisione della Marconi avviene in un contesto di grave attacco all'occupazione in Inghilterra.

 

BASSI SALARI OPERAI


L'istituto europeo di statistica ha rilevato che il costo del lavoro in Italia, nel terzo e quarto trimestre 2000, è stato il più basso d'Europa. E' cresciuto dell'1%, rispetto alla media euro-15, del 3,5%. Le cifre sono riportate in "termini nominali", non depurate del fattore inflazione (quasi il 3% nell'area della rilevazione): in pratica i salari italiani sono diminuiti anche nel 2000. Dagli accordi del luglio '93 il calo è stato costante, secondo una dinamica che nel corso degli ultimi 20 anni ha pesantemente ridotto il monte salari complessivo rispetto alla quota di reddito che finisce alla rendita e ai profitti.
Negli ultimi mesi del 2000, comunque, l'erosione salariale è ha mantenuto la media degli anni precedenti. Nei paesi-modello di Confindustria, la Gran Bretagna del neo-tatcheriano Blair e dell'ex-franchista Aznar, negli ultimi sei mesi i salari sono cresciuti rispettivamente del 4,6 e del 2,7% (il dato più basso d'Europa, Italia a parte). L'Irlanda dei miracoli paga i suoi lavoratori il 4% in più; le stime danno un +5% ai salari francesi, un +3,3 a quelli tedeschi e così via.
Disaggregando i dati salariali dai costi aggiuntivi del lavoro (sicurezza sociale, contributi, ecc) il risultato non cambia. Anzi. In Italia i lavoratori hanno trovato in busta paga il 2,1% in più; ma hanno anche perso l'1,9% in termini di "salario differito", oneri contributivi, ecc. a causa delle riduzioni dei contributi alla sicurezza sociale introdotte nel '99 dal governo D'Alema. In termini di salario netto la crescita media europea è del 4%, con punte del 6,1 (Francia), 4,1 (Finlandia), 4,2 (Irlanda). Persino nella Spagna la crescita del salario netto (+2,7%) si è coniugata con quella dei contributi (+2,6%).
Il salario italiano segue una dinamica opposta a quella europea. Cala in termini di "salario netto reale" (perché la crescita nominale è inferiore all'andamento dell'inflazione), e diminuisce in termini assoluti sul fronte della sicurezza sociale (previdenza). Un calo che viene registrato dal '98, legato all'introduzione dell'Irap, e che diminuisce il gettito sul fronte previdenziale per gli anni a venire.

PININFARINA

"Ci è pervenuto il giudizio del Medico Competente attestante la Sua attuale idoneità limitatamente a lavori che consentono il solo utilizzo del braccio sinistro. Considerato che le mansioni a Lei normalmente affidate comportano l'utilizzo di entrambe le braccia e che, nell'ambito aziendale, non vi sono mansioni disponibili che consentano il solo utilizzo del braccio sinistro, riteniamo non utilizzabile la Sua idoneità residua e Le comunichiamo che, stante il Suo impedimento fisico, a far data dal 31/3/2001 il Suo rapporto resta sospeso sino al venir meno dell'impossibilità temporanea di cui al giudizio sopra citato". Il mittente di questa lettera è il direttore delle relazioni industriali della Pininfarina, l'azienda di proprietà del presidente della Federmeccanica. Il destinatario, cioè il titolare della "idoneità residua", è l'operaio ventiquattrenne Christian Tripelli, colpevole di essersi "giocato" il braccio destro proprio in seguito al lavoro alla catena di montaggio del capo dei padroni metalmeccanici. A Christian sono bastati meno di quattro anni di lavoro per contrarre il "tunnel carpale", una malattia professionale tipica non sempre riconosciuta come tale. Una volta questo tipo di malattia si manifestava alla fine di una vita di lavoro: quindi i casi sono due: o i giovani operai sono "merce" scadente e si rompono prima, oppure la ragione di questo peggioramento della salute operaia sta l'aumento dei ritmi e dello sfruttamento in linea di montaggio. E non c'è dubbio che la seconda causa è sicuramente vera e dimostrabile proprio per la generalità degli eventi e nello stesso tempo per la riconducibilità a rapporti di causa effetto precisi.
Poco tempo prima altri due giovani operai Pininfarina avevano subito un trattamento analogo a cui i compagni di lavoro e le Rsu avevano risposto con una lotta risultata vincente. La strategia di Andrea Pininfarina è sempre la stessa: quando un lavoratore si "deteriora" e sempre con la stessa diagnosi, dopo un po' di mutua viene riconosciuto "momentaneamente inidoneo" a mansioni che prevedano l'uso di entrambe le mani. A questo punto i dirigenti (e i medici) aziendali consigliano al malcapitato di mettersi in mutua, tanto paga lo stato, tanto c'è il welfare che Confindustria vorrebbe buttare alle ortiche. A volte i ragazzi accettano, ma c'è chi non ci sta e pretende un lavoro adeguato e compatibile, anche perché contrattualmente i giorni di mutua rimborsati integralmente non sono illimitati, ma legati all'anzianità di servizio. A questo punto la direzione decide di rimandare a casa il lavoratore senza stipendio, nell'attesa che recuperi la funzionalità del braccio offeso o che si tolga definitivamente dai piedi. Il quadro epidemiologico alla Pininfarina è preoccupate: l'azienda denuncia ben 500 inidonei, sempre su 2.200 dipendenti. Di questi, 385 lavorano alla catena di montaggio e 250 denunciano una patologia simile a quella di Christian.
La pratica della Pininfarina ha ricevuto una risposta unitaria e compatta dei lavoratori che la scorsa settimana hanno scioperato per imporre all'azienda il ritorno in fabbrica del loro compagno. Alla Pininfarina resta solido il tessuto di solidarietà operaia e sindacale, e tutti capiscono che domani o tra un mese ognuno potrà trovarsi nelle condizioni di Christian.

 

11 aprile ’01

 

REINTEGRATI I LICENZIATI FIAT

I due delegati Rsu Uilm, Antonio Di Capua e Donato Ceccarelli, licenziati per rappresaglia antisindacale nel novembre scorso dopo i primi scioperi vincenti organizzati alla Fma, sono stati reintegrati al loro posto di lavoro dall'ordinanza emessa dalla sezione lavoro del tribunale di Avellino. Ai due lavoratori, tra i più attivi nella vertenza alla Fma, era stata consegnata la lettera di licenziamento nel turno delle 22 dell'11 novembre scorso per "comportamento di tale gravità da integrare la giusta causa di recesso e da non consentire più la prosecuzione, neppure a titolo provvisorio, del rapporto di lavoro". L'azienda era avvelenata per gli scioperi dei giorni precedenti che avevano rotto l'incanto (per la Fiat) della fabbrica più partecipativa e generosa del Sud dove non si scioperava mai o quasi mai. Quella lettera fece capire a tutti i lavoratori che la Fiat aveva deciso di giocare in modo duro. Era anche il segnale, però, che non bisognava abbassare la guardia. Così è stato. E in questi mesi, nonostante la ambiguità di parte del sindacato come la Fim, gli scioperi, sempre portati avanti con successo, per i due punti decisivi della vertenza (l'equiparazione salariale a tutto il gruppo Fiat e la messa in discussione della massacrante turnistica notturna) sono sempre stati accompagnati dalla richiesta del reintegro nel posto di lavoro dei due delegati.

ITALCEMENTI: FILLEA-CGIL MONETIZZA LA SICUREZZA

Sull'home page del sito sindacale Fillea campeggia in bella vista lo slogan scelto dalla confederazione per avviare una "grande campagna di prevenzione e per la sicurezza nei luoghi di lavoro": "Al lavoro, sicuri", recita l'apertura di un breve documento. E, di fianco, la data della pubblicazione on line: venerdì 6 aprile 2001. Nelle stesse ore, invece, uno dei membri della segreteria nazionale della Fillea - Luigi Aprile - stava firmando con l'Italcementi un accordo che "monetizza" la riduzione degli incidenti sul lavoro e, di fatto, ne disincentiva la denuncia; ovvero la rilevazione statistica. Un caso di palese schizofrenia o di linee politiche divergenti all'interno della Cgil?
Una durissima presa di posizione in merito all'accordo è arrivata ieri dalla Fillea lombarda, concordata con le rappresentanze provinciali di Bergamo, Brescie e Pavia (le città in cui è presente l'Italcementi nella regione). Si sono aggiunte le firme della Cgil regionale, nonché delle camere del lavoro delle tre province interessate. Una sconfessione netta dei "vertici" nazionali, operata da sezioni importanti del sindacato di categoria.
Nel verbale è stato "introdotto un importo economico a carico dell'azienda finalizzato al miglioramento dell'andamento infortunistico nelle unità produttive". Per misurare i "risultati utili per la maturazione dell'impegno economico dell'azienda" viene predeterminato un "indice medio" (con criteri statistici non meglio precisati). Il risultato provvisorio sono "80.000 lire lorde per ogni dipendente a fronte di una riduzione del 10% dell'indice medio degli infortuni". Questa cifra, inoltre, non sarebbe automaticamente nelle disponibilità dei singoli lavoratori, perché la "destinazione di tali risorse" sarebbe rinviata "all'incontro annuale sull'informativa a livello nazionale" tra azienda e sindacati. Per finire, tutta la parte dell'accordo riguardante i "combustibili non convenzionali" usati nella produzione "ha un'incidenza diretta nelle determinazione di uno degli indicatori che compongono il premio di risultato".
Un accordo del genere produce una sola dinamica certa: incentivare i lavoratori a non denunciare gli incidenti meno gravi per non correre il rischio di perdere quelle 80.000 lire lorde! 80.000 in una mano e, oplà, gli incidenti si riducono di oltre il 10% senza cambiare una virgola nelle misure di sicurezza sul lavoro. La responsabilità degli infortuni, ancora una volta, viene così scaricata sui lavoratori.

TERMINE DI CONTRATTO

Mentre si palesa un accordo separato tra Cisl, Uil e imprenditori sui contratti a termine, la CONFCOMMERCIO, rompendo il fronte padronale, fa sapere che non accetterà questa pratica. La pratica, certo, non il merito!
Quanto al merito dell'intesa, che il governo ha già chiarito non accettabile se non condivisa da tutti, è anche "un atto politico, e una scelta mediatica, solo per segnare la rottura sindacale", denuncia Cofferati.
Alla fine la segreteria nazionale della Cgil invia una lettera alla Confindustria, in seguito all'"imprevisto e inatteso" invito, dicendosi disposta a un nuovo incontro sui contratti a termine, "il 20 aprile alle 17", e se gli imprenditori fanno sapere prima di essere disponibili stavolta a "recepire" le stesse "condizioni essenziali" rifiutate il 5 marzo: piena titolarità della contrattazione collettiva "sulle causali e sui limiti" d'uso dei contratti a termine; "precedenza d'assunzione dei lavoratori stagionali"; "ripristino dell'attuale normativa di proroga". Insomma, anzichè dire un no preciso sulla libertà di licenziamento - chè altro non è questo accordo - si è disposti a trattare, solo per addurre regole alla mancanza di regole.

 

12 aprile ’01

 

ITALCEMENTI: REFERENDUM CONTRO LA SVENDITA DELLA SICUREZZA

Sull'accordo ITALCEMENTI devono decidere i lavoratori. La clausola che monetizza la salute incentiverà atteggiamenti di "connivenza" dei lavoratori: per garantirsi il premio saranno disposti a mascherare un infortunio da malattia. Mettere la firma sotto una clausola simile, inoltre, equivale a imputare ai lavoratori ogni responsabilità in materia di infortuni. Tralasciando la sicurezza degli impianti, l'eccesso di straordinari, i continui cambiamenti di turno che dipendono dalle scelte dell'azienda. Una accordo chiuso "troppo" frettolosamente, disattendendo il parere delle Rsu.
Ma se tutte le Rsu erano contrarie, perché l'accordo è stato firmato? Secondo un delegato Fillea si sono superati tutti i limiti e la clausola sugli infortuni non è l'unica pecca di un accordo che dà poco sul salario ed espropria le Rsu della titolarità contrattuale di secondo livello. Affidata ad un coordinamento di gruppo di 30 persone "nominalmente" indicate. Indicate da chi?

CONTRATTO GIORNALISTI

Tra mugugni, accuse di corporativismo, contraccuse di aver svenduto il precariato, critiche e conflitti interni, i vertici della Fieg e quelli della Fnsi hanno comunque firmato il nuovo contratto di lavoro dei giornalisti in un clima di rottura e lacerazione. Due le defezioni: Campania e Lombardia hanno deciso di non apporre la loro firma nel protocollo di accordo.
Le ferite sono ancora aperte ma è opinione dei vertici sindacali che si dovrà e si potrà andare a una gestione sindacale dei punti più qualificanti. "Molti colleghi - spiega Marina Cosi, vicesegretario Fnsi - ci hanno accusato di introdurre i contratti a termine. In realtà quei contratti c'erano già, noi abbiamo tentato di introdurre una regolamentazione. Per esempio il lavoro on line: in sede di stesura del nuovo testo contrattuale, si legge che il contratto 'trova applicazione anche nei confronti dei redattori già titolari di rapporto di lavoro subordinato regolato da disciplina collettiva non giornalistica'. Non mi sembra una cosa da nulla". "I punti che destano qualche preoccupazione, ammette Marina Cosi, sono quelli relativi alla contrattualizzazione dei free lance e alla gestione del lavoro nelle multitestate. Ma su queste questioni, lo ripeto, sarà decisiva la gestione del contratto". Ancora quindi una politica di accettazione e governo della deregolamentazione capitalistica.
Quali sono stati i punti di maggiore contrasto? Il dissenso riguardava il lavoro online e la regolamentazione del precariato ma il punto più spinoso è stata la modalità di consultazione, compreso il referendum. Serventi ha detto che la richiesta di referendum non era recepibile: "E' chiaro che il percorso previsto dallo Statuto non lo prevede, e ripeto: non considero il referendum uno strumento alternativo, ma uno degli strumenti della democrazia dei giornalisti". Quindi... meglio non usarlo!

SKF

Otto mesi per poter vedere rispettato il più elementare dei diritti: sancire o disconoscere, con il voto, l'accordo siglato da tre sindacati (Uilm, Fim-Cisl e Fismic) con l'azienda. Ma disconosciuto dal quarto, la Fiom Cgil, e - perlomeno a livello di mugugno - dalla maggior parte dei lavoratori.
E' la storia dell'ultimo anno alla Skf, industria metalmeccanica di cuscinetti a sfera, con sede centrale ad Airasca (in Piemonte) e stabilimenti a Cassino, Bari e Villar Perosa. Storia paradigmatica dell'andamento che vanno prendendo le "relazioni industriali" in Italia. Il 7 luglio del 2000 i tre sindacati rompono con la Fiom e firmano con l'azienda un contratto di secondo livello che abbandona per strada molti dei contenuti della piattaforma sindacale comune. Parte una raccolta di firme (1.038) per chiedere lo svolgimento del referendum tra i lavoratori. Le procedure vengono rispettate alla lettera, ma il giorno fissato per il voto (alla fine di novembre) la Skf - con l'appoggio pieno dei tre sindacati firmatari dell'accordo contestato - decide di non consentire la consultazione. Il ricorso al pretore termina con un giudizio anodino: l'azienda non ha torto, ma le parti trovino un accordo. Si ricorre alla commissione nazionale di garanzia, che riconosce infine che tutto si è svolto secondo leggi, regole e regolamenti; e che quindi questo referendum si deve svolgere.
Tra i punti contestati dell'accordo è in primo piano certamente il salario (c'è una differenza di 2 milioni annui tra la piattaforma originaria e la bozza firmata a luglio), ma anche le questioni concernenti i turni, l'orario, le condizioni di lavoro, le garanzie sulle "terziarizzazioni". Si sono recati alle urne più di mille e trecento della Skf nei vari stabilimenti nel pinerolese, a Mass, a Cassino e a Bari. Troppo pochi, il 44%, 500 in meno rispetto al 50% più uno degli aventi diritto a dire la loro sull'accordo separato firmato da Fim, Uilm e Fismic e rifiutato dalla Fiom. L'esito non era scontato ma più che prevedibile, in una realtà in cui la Fiom è nettamente minoritaria, ferma al 16%. La percentuale dei votanti ha superato il 50% nel pinerolese e ha toccato l'80% a Massa, mentre a Cassino e Bari ha votato meno del 20% dei dipendenti. Dunque l'accordo è valido, e le condizioni di lavoro possono essere peggiorate. Tutte le organizzazioni sindacali compreso il sindacato padano, Fiom esclusa, hanno dato indicazione di astenersi e non partecipare al referendum. Per la Fiom si tratta di una sconfitta a metà: il consenso alla sua posizione (si calcola il 90% dei votanti), va ben al di là delle adesioni all'organizzazione. La Fiom "prende atto" del risultato senza rassegnazione e "continuerà a battersi per migliorare le condizioni di lavoro". Il fatto che preoccupa la Fiom, è che il quorum non è stato raggiunto per la bassissima partecipazione negli stabilimenti del sud, in particolare a Cassino, dove è in ballo il referendum alla Fiat.

 

13 aprile ’01

 

L'AVICOLA MONTEVERDE LICENZIA UNA LAVORATRICE

All'Avicola Monteverde di Rovato (Brescia) si macellano 30 mila polli al giorno. I padroni dell'Avicola hanno licenziato l'operaia Antonella Barbi, 37 anni, perchè il 21 marzo ha obiettato all'ordine del capo macello di mettere insieme tutti i fegatini, invece di selezionare a parte - secondo l'indicazione del veterinario dell'Asl - il 30% destinato al consumo umano. Il giorno stesso è scattata la sospensione cautelativa, seguita il primo aprile dal licenziamento in tronco. Motivo accampato: l'operaia, riferendo al veterinario l'ordine del capo macello, avrebbe detto il falso. Versione contraddetta in parte dalla stessa azienda. "Quel giorno avevamo fretta, per questo motivo il capo macello ha detto di raccogliere i fegatini tutti insieme, i controlli però sono stati fatti in un secondo tempo", sostiene Mario Crescenti, uno dei titolari dell'Avicola Monteverde. Motivo vero del licenziamento, l'insubordinazione. Quel che brucia all'azienda risulta evidente da un passo della lettera di licenziamento: "Prendiamo atto che (lei, ndr) ritiene di poter avocare a sé addirittura competenze di medicina veterinaria e di assurgere al ruolo di paladina dei consumatori e della loro salute, dimentica che lei è semplicemente addetta alla raccolta di fegatini...".
Pretese stravaganti per un'operaia pagata 1 milione e 400 mila per stare sei ore al giorno con le braccia alzate in un ambiente umido a squartare polli che corrono sulla linea di smontaggio.
Il segretario della Flai di Brescia ha chiesto l'intervento del ministro delle politiche agricole Pecoraro Scanio perchè verifichi la catena di produzione del macello Monteverde per tutelare non solo i cittadini che mangiano, ma anche i dipendenti che lavorano per loro. Dove non sono garantiti i diritti dei lavoratori, non sono garantiti neppure quelli dei consumatori.
All'Avicola Monteverde, dove lavorano una sessantina di persone per la maggior parte immigrati, il sindacato ha sempre avuto vita dura, gli iscritti si contano sulle dita di una mano. In tre anni l'operaia licenziata ha subìto diversi provvedimenti disciplinari e per tutelarla la Flai l'ha messa nel direttivo provinciale. "In quel posto hanno talmente in odio il sindacato che di fronte a un'operaia che fa valere le sue ragioni scatta l'irrazionale", sostiene Bertoli, "la licenziano nonostante gli effetti collaterali controproducenti". Sulla vendita dei fegatini.

 

SCIOPERO DIPENDENTI DEL COMMERCIO

La Faid (la federazione della grande distribuzione) ha speso qualche miliardo per pubblicare sui quotidiani un'inserzione apparentemente lapalissiana, cioè che gli esercizi commerciali delle aziende associate "saranno aperti al pubblico anche nella giornata di venerdì 13 aprile"; alla clientela sono assicurate "serenità e tranquillità d'acquisto in un momento così importante come le Festività Pasquali". Il non detto - per non incorrere nei rigori della Costituzione e dello Statuto dei lavoratori - è lo sciopero, indetto per oggi per il rinnovo del secondo biennio del contratto nazionale del commercio (un milione e mezzo di addetti).
Nonostante si stiano espandendo a ritmi vertiginosi, nonostante la crescita dei consumi e quindi degli utili offrono un misero aumento salariale di 70 mila lire (per di più dilazionato) contro le 115 mila lire, appena sufficienti a tutelare il potere d'acquisto, chieste dal sindacato. La trovata della Faid mira a creare tensioni tra i lavoratori. Abbinata alla tattica pubblicitaria, per depotenziare lo sciopero le grandi catene ricorreranno anche questa volta alla tecnica collaudata di spostare quadri e manager dagli uffici ai banchi e alle casse. Un espediente che tiene alzate le serrande di supermercati e grandi magazzini anche quando le adesioni agli scioperi tra commesse e banconisti sono buone.
Oltre che sul salario, le parti sono distantissime sulla normativa che riguarda le Rsu. E' una "coda" ereditata dal precedente contratto, in cui il sindacato aveva accettato la clausola che riconosce le Rsu solo se alle elezioni partecipa almeno il 51% degli addetti. Una zappata sui piedi. Se si pretende che quella clausola sia applicata alla lettera, ed è quel che ha fatto per prima la Esselunga, trascinandosi poi dietro l'intera Confcommercio, il sindacato sparisce in tutti i nuovi punti vendita. Dove i dipendenti sono quasi tutti assunti a termine e a part time, dove non c'è diritto d'assemblea.

LA ZANUSSI SPACCA SINDACATI E LAVORATORI

I numeri sono difficili da mandar giù. Sembra di vederli, tutti questi operai che si infilano spontaneamente il collare dello schiavo. 856 sono Quelli che hanno votato "sì" nel referendum che si è tenuto alla Zanussi di Susegana, Veneto. Hanno approvato l'accordo firmato da Fim-Cisl e Uilm, che accetta la richiesta aziendale di accelerare il ritmo della catena di montaggio. La Fiom-Cgil non aveva firmato; da lei era partita la raccolta di firme per chiedere, e infine ottenere, il referendum. In cambio, l'azienda promette di non licenziare più i 246 lavoratori dichiarati in "esubero". Era quella la minaccia gettata sul piatto, il ricatto forte per "persuadere", il gesto che sarebbe stato certamente compiuto se avessero prevalso i "no".
705 lavoratori hanno votato "no", altri 40 hanno lasciato la scheda bianca, oppure - con un gesto estremo di sfiducia - l'hanno annullata. Non sarebbe cambiato nulla; gli schieramenti in campo erano chiari, per quanto numericamente non troppo distanti.
Una storia uguale ad altre mille. Alla Skf si è votato ieri; alla Fiat di Cassino, forse, si voterà tra qualche settimana. Il meccanismo è sempre lo stesso: se il sindacato non accetta le decisioni dell'azienda partono i licenziamenti.
La richiesta-ordine della Zanussi era semplice: bisogna aumentare la velocità delle catene di montaggio. A Susegana ce ne sono nove, del tipo "vincolato". Significa che i movimenti della catena sono automatizzati, e il lavoratore non ha modo di eseguire le operazioni in un tempo diverso da quello centralmente fissato. Le catene "svincolate", per chiarire, non è che siano più "umane". Semplicemente - se l'operaio che ha concluso la propria lavorazione vede che alla stazione successiva non sono ancora pronti - ferma il processo, facendo da "polmone" al movimento generale. Non vi sembra una produzione post-fordista? Beh, "qui si lavora, non si sta su a contar favole".
La Fiom aveva tentato la mossa che da 20 anni è diventata "linea ufficiale": sì all'aumento della produttività, ma non attraverso l'aumento dei carichi di lavoro (ritmi, pause, turni, ecc). Sì - perciò - all'eliminazione delle inefficienza, sì agli investimenti tecnologici, sì alle modifiche dell'organizzazione del lavoro. Ma quelli dell'azienda sono diktat, non obiettivi contrattabili. E la Fiom resta sola a difendere alcuni princìpi elementari, per un sindacato: le condizioni di lavoro, i diritti primari, non essere considerati "merce" come un'altra.
E dire che un aumento della velocità della catena era già stato contrattato nel '98. Con effetti disastrosi: aumento degli incidenti e delle malattie. La catena può correre quanto vuole; l'essere umano più di tanto non può fare. Siamo alla condizione-limite. E lo ha riconosciuto anche il gran capo mondiale della Zanussi, Michael Tresco. In una lettera a tutti i "cari colleghi" ha ringraziato tutti per i risultati conseguiti, i profitti elevati, gli obiettivi raggiunti integralmente. Ma ha anche detto che "per stare sul mercato" le "componenti di costo devono essere tenute sotto controllo". E se qualcuno dovrà essere licenziato, sappia che ciò andrà a maggior gloria della "sua" azienda.
Fino a che punto si può andare avanti sulla strada di accordi che, punto dopo punto, peggiorano le condizioni di lavoro?. Che significa essere un sindacato?

 

YAHOO: LICENZIA 420 DIPENDENTI

Yahoo, il colosso mondiale americano per Internet, è in perdita, quindi licenzia. E, neppure a dirlo, subito dopo l'annuncio del taglio occupazionale, il titolo in borsa è schizzato ieri verso l'alto.
Yahoo ha fatto registrare una perdita di 11,5 milioni di dollari (2 cent ad azione) nel primo quadrimestre 2001, contro un profitto di 67,6 milioni di dollari (11 cent ad azione) nel primo quadrimestre del 2000. Per questo il gruppo ha deciso di licenziare ovvero il 12% della sua forza lavoro complessiva.

 

 

14 aprile ’01

 

REPUBBLICA ESPELLE, I GIORNALISTI SCIOPERANO

Non era mai successo che un collaboratore venisse bloccato all'ingresso del giornale: è successo quando Pietro D'Ottavio, come tante altre volte negli ultimi dieci anni, si è presentato in redazione. I vigilantes lo hanno bloccato dicendogli che non poteva entrare. Lui, D'Ottavio, ha protestato e allora è arrivata la polizia di stato che lo ha accompagnato fuori dalla porta. Ma è bastata qualche telefonata ai redattori di piazza Indipendenza per far scattare la protesta: i giornalisti di Repubblica - che si sono distinti negli ultimi mesi per la critica ai cedimenti agli editori nella vicenda del contratto - hanno deciso di scioperare dopo un'assemblea che ha votato quasi all'unanimità (solo tre voti contrari). Molti redattori, avuta la notizia dell'accaduto, sono anche scesi in strada in segno di solidarietà con il loro collega giornalista. E lo hanno materialmente "portato dentro", aprendo con il loro intervento le porte chiuse dalla vigilanza. Poi lo sciopero. Cosicché ieri mattina il giornale, con annesso Il Venerdì, non era in edicola.
D'Ottavio si era rifiutato di firmare un contrattino con l'azienda da lui considerato peggiorativo rispetto al grado di coinvolgimento professionale degli ultimi anni. D'Ottavio ha avuto molti contratti a tempo al giornale e ha anche lavorato molto. Si parla di una "produttività" di 800 articoli l'anno. L'ultima proposta della direzione è però peggiorativa. Risultato: D'Ottavio non firma e la direzione gli impone il divieto di ingresso in redazione. Con lo sciopero di ieri - anche questo una novità dal punto di vista dei rapporti tra redattori e collaboratori di un giornale - si rimette però in discussione tutto. Il comitato di redazione ha avuto un incontro con la direzione rappresentata ieri dal vicedirettore Mauro Bene e il caporedattore Gregorio Botta per chiedere la modifica sostanziale della posizione del giornale rispetto a D'Ottavio. Il direttore Ezio Mauro (ieri assente) che era stato interpellato giovedì dal cdr, ha negato di aver mai dato l'ordine dell'espulsione fisica di D'Ottavio. La decisione dei vigilantes di chiamare la polizia sarebbe stata un riflesso automatico, non l'applicazione di una scelta della direzione.

SALARI SOTTO L'INFLAZIONE

Retribuzioni lorde inferiori all'aumento dell'inflazione. Lo rivela l'ufficio studi della Cisl che, anzi, sottolinea una gobba verso il basso rispetto al 1993. Nel duemila, prosegue il sindacato, i salari hanno avuto una crescita tra lo 0,3% e lo 0,5%. Nell'agricoltura si registra anche un grosso ribasso: meno 0,9%. Complessivamente, dal '93 la retribuzione media dei lavoratori dell'industria è risultata pari al 2,7% (ovvero 0,4% in media l'anno). In conclusione, ribadisce la Cisl, l'Italia si è trovata tra i paesi dell'Unione con la più bassa dinamica retributiva in termini nominali e una certa riduzione in termini reali.

 

PIL CON MENO PENSIONI

Spesa per pensioni e rendite più contenute nel 2000. Rispetto al prodotto interno lordo, in totale per la protezione sociale si è speso solo il 2,4% contro il 5,7% del 1999. Tale dinamica, spiega la Relazione generale sulla situazione economica del paese, rivela che si sono sentiti gli effetti degli interventi fatti in questa materia, durante gli anni Novanta. La sola riforma del '92 ha comportato oltre 200 mila miliardi, ricordava ieri, il ragioniere generale Andrea Monorchio. L'incremento corrisposto alle pensioni nell'anno trascorso, in base all'inflazione programmata, è stato pari all'1,5%. Anche la spesa per prestazioni assistenziali (assegni sociali, pensioni di invalidità civile e di guerra) è cresciuta solamente del 2,6% con un'incidenza più limitata sul Pil.

SMT

I dipendenti della Smt sono 40, quasi tutti immigrati dal Maghreb e dalla Nigeria. C'è anche qualche italiano, per lo più donne. Sarà per questo che per 12 anni nessun lavoratore si è accorto che l'amministratore delegato, Lamberto Lamandini, "dimenticava" di applicare alle buste paga i contratti di secondo livello firmati con le rappresentanze sindacali.
Nessuno se ne accorgeva, nemmeno i funzionari sindacali: la Smt firmava gli accordi senza bisogno di scioperi o trattative e nella zona le aziende metalmeccaniche "da seguire" sono moltissime. Solo quest'anno Bellavita, operaio in distacco temporaneo, ha deciso di fare qualche assemblea in più in quella piccola azienda e si è accorto che qualcosa non funzionava. I contratti di secondo livello firmati nel '89 e nel '96 non sono mai stati applicati. Un assunto nel 1996 deve avere dall'azienda dai sette milioni e mezzo ai nove milioni, a seconda dei livelli contrattuali. In totale, la Smt deve ai suoi dipendenti 400 milioni. L'equivalente delle 600 mila lire che ogni mese sparivano dalle buste paga dei lavoratori.
Per qualcuno, però, i soldi c'erano. Tolti alle buste paga, infatti, quei soldi venivano utilizzati dall'amministratore Lamandini per premiare i lavoratori più produttivi, quelli che rimangono sempre un paio d'ore in più e per i quali il sabato è un giorno di lavoro come un altro. A loro il dirigente si è sempre preoccupato di assicurare "qualcosa di più" in busta paga. Anna, dipendente della Smt da undici anni, non ha mai avuto un premio di produzione: "Il lavoro è già abbastanza pesante per 8 ore - racconta - non ce la faccio a fare pure gli straordinari". E' stata proprio lei ad accorgersi che qualcosa nelle buste paga non tornava e a chiedere a Bellavita di controllare meglio.
I soldi sono solo uno dei problemi che affronta chi lavora in questa piccola fabbrica del bolognese. La Smt si occupa di sbavatura, verniciatura e sabbiatura di particolari pezzi ricavati da fusioni: "La rifinitura dei pezzi da fonderia potrebbe essere fatta anche a macchina, ma ci vorrebbe un investimento - spiega il sindacalista - ed è molto più economico assumere un gruppetto di nigeriani che lavorino a un milione e trecento mila lire al mese piuttosto che comprare le macchine nuove". Il lavoro viene fatto praticamente a mano, pezzo dopo pezzo. "Per di più - dice uno dei lavoratori che parla italiano - gli aspiratori sopra i banconi spesso non funzionano e noi ci respiriamo tutto il tempo quella robaccia".
La mattina dopo l'assemblea, mercoledì, alle 7.30 Lamberto Lamandini è già in azienda per chiedere ai lavoratori di non scioperare: "C'è stato un errore, non è il caso di arrivare allo scontro". Lo sciopero rimane confermato per 4 ore: quando i dipendenti rientrano in azienda, l'accordo per la restituzione dei 400 milioni è già stato firmato.

 

SUCCESSO DELLO SCIOPERO DEL COMMERCIO

1 milione e 400 mila addetti che aspettano da gennaio di rinnovare il secondo biennio contrattuale (quello economico). All'Ortobell adesioni al 100%: qui il 95% dei lavoratori sono marocchini. Tutti i delegati Ortobell sono marocchini, un caso unico in Italia.
Questi i dati forniti dalla Filcams Cgil nazionale. Nella catena Rinascente Auchan, adesione del 70% a Genova, del '95% a Catania Misterbianco, del 100% a Le Gru di Torino. Alla Rinascente di Piazza Duomo ha scioperato il 95% degli addetti, casse aperte solo fino al terzo piano, fatte funzionare dai dirigenti. Chiusura totale alla Agfa color e alla Cgt di Milano. Adesioni superiori al 90% in tutti i depositi che riforniscono le farmacie lombarde. In Piemonte adesione media del 90%, 70% quella alla Standa, con chiusura del punto vendita di Moncalieri. Sciopero totale al Carrefour e alla libreria Feltrinelli di Torino. Pam di Venezia e Treviso 80%, Coin Veneto media del 70%. 60% la media nazionale all'Ikea. 60% alla Esselunga di Campi Bisenzio (Firenze). Decisamente più basse le adesioni nelle altre Esselunga.
Oltre ai picchetti, nelle grandi città ci sono stati presidi e speakeraggi per invitare la clientela a rinviare gli acquisti. In Piazza Duomo, di fronte alla Rinascente, manifestazione con trecento persone rifocillate dalla pizza offerta dalle Rsu.
In ballo non c'è solo lo scarto tra le 115 mila lire chieste e l'offerta ultimativa della Confcommercio di 70 mila lire a regime. In gioco c'è la messa in discussione da parte dell'organizzazione di Sergio Billé della "base di calcolo" per gli aumenti salariali, fissata dall'accordo del 23 luglio. Le resistenze di Confcommercio assomigliano parecchio a quelle di Federmeccanica. In pubblico Billé si smarca da Confindustria e fa il morbido con Cofferati. Ma al tavolo contrattuale, ridiventa duro, sta dalla parte sua. Gli indicatori del settore sono tutti positivi. Negli ultimi 6 mesi i consumi sono aumentati. Certo, più al Nord che al Sud, più negli ipermercati che nella distribuzione tradizionale. Ma persino in quest'ultima, decimata in passato dalla grande distribuzione, il trend si è invertito: si aprono più negozi. Dunque, i profitti sono aumentati. I diritti sindacali sono l'altro punto su cui si sono interrotte le trattative.
A Firenze i sindacati segnalano un utilizzo maggiore di lavoratori interinali. Rimpiazzare il personale in sciopero con gli interinali è vietato sia dalla legge che dal contratto. A Milano correva voce di un supermercato dove le merci sugli scaffali le hanno messe i dipendenti dell'impresa di pulizia.

 

GUINNESS: BLOCCATA LA CHIUSURA

A tirare un sospiro di sollievo sono stati soprattutto i proprietari dei pub: quando giovedì sera il sindacato ha annunciato che lo sciopero a oltranza proclamato dai lavoratori della Guinness era stato rinviato, per festeggiare si è "spinato" in abbondanza la storica stout, la birra scura per eccellenza. Nel sospendere lo sciopero dopo appena 15 ore di picchetti i sindacati hanno sottolineato che la decisione è anche il risultato di una piccola e parziale vittoria: i vertici della Guinness infatti hanno sospeso la chiusura dello stabilimento di Dundalk fino al termine della vertenza con i sindacati che sarà avviata dopo le vacanze pasquali. Nell'annullare lo sciopero le Unions hanno anche sottolineato che i negoziati con l'azienda e la Labour relations commission (la commissione sui rapporti di lavoro, sponsor dei colloqui) cominceranno giovedì prossimo. Se lo sciopero fosse continuato, ha detto il segretario generale del sindacato interno alla Guinness, Sean Mackell, "non v'è dubbio che ettolitri di birra sarebbero stati distrutti".
Lo sciopero infatti riguardava il settore distribuzione della compagnia: lo stabilimento di Dundalk effettua due consegne alla settimana nei locali di Dublino e una in quelli fuori dalla capitale irlandese. La Guinness, ormai di proprietà del gruppo inglese Diageo (leader mondiale in materia di bevande) aveva annunciato l'estate scorsa l'intenzione di chiudere lo stabilimento di Dundalk con il conseguente licenziamento di oltre centocinquanta persone. Lo sciopero, che sarebbe dovuto durare una settimana (la chiusura dello stabilimento era prevista per il 27 aprile), era stato immediatamente un successo: anche i lavoratori degli altri stabilimenti Guinness, infatti, avevano assicurato il loro sostegno ai compagni di Dundalk, con il risultato che la produzione di birra si era fermata nelle fabbriche di tutta Irlanda. Per il momento dunque i picchetti sono sospesi. I lavoratori attendono la ripresa dei negoziati giovedì prossimo, mentre migliaia di avventori irlandesi e non potranno godersi la tradizionale pinta di guinness anche per questa pasqua.

 

15 aprile ’01

 

TURCHIA: PROTESTE E SCONTRI CONTRO IL PIANO

Sacrifici. E' la parola chiave del nuovo piano di risanamento economico presentato ieri dal ministro dell'economia turco, Kemal Dervis. Ed è una parola che ha molte declinazioni. Significa soprattutto un deciso taglio alla spesa pubblica. Ma anche un'accelerazione nella privatizzazione della compagnia dei telefoni e delle linee aeree. E ancora, il tentativo di risanamento bancario. Quest'ultimo è un obiettivo che potrebbe forse essere raggiunto con una seria inchiesta della magistratura sulla corruzione e la gestione "allegra" delle banche del paese. Per mettere in pratica questo piano di risanamento, il ministro ha confermato che sono necessari almeno 10-12 miliardi di dollari, cioè 20-25mila miliardi di lire. Soldi che il governo turco cercherà di ottenere forse già la prossima settimana in occasione dell'incontro del G7. Nel suo discorso, Dervis ha riconosciuto che la crisi economica sta avendo un impatto pesantissimo sulla popolazione: mezzo milione sono ormai i disoccupati, vittime di questo disastro finanziario. Ma Dervis ha anche confermato che, almeno per quest'anno e per tutto il 2002, i tempi saranno assai duri. Nel tentativo di imbonirsi lavoratori e sindacati, ha quindi dichiarato che "l'obiettivo del governo è quello di cercare di impedire ulteriori licenziamenti, perché per noi la dimensione sociale è estremamente importante". Quanto agli sperperi del settore pubblico, il ministro ha confermato che le assunzioni saranno per il momento congelate.
Mentre Dervis illustrava nella conferenza stampa di Ankara il suo piano di risanamento economico, le strade di decine di città turche (e kurde) si riempivano di gente. Il portavoce della Emek Platformu (la piattaforma per il lavoro che riunisce quindici sindacati e che ieri ha presentato una lista di domande al governo e la sua visione della crisi e della sua possibile soluzione) Kaya Guvenc, dice: "Nonostante il divieto a svolgere manifestazioni, sono scese in piazza ben più di centomila persone. A Istanbul ce n'erano oltre 40 mila, a Adana, Antep, migliaia. Non ci sono stati problemi da nessuna parte. I lavoratori hanno manifestato, come sempre in maniera pacifica anche se determinata, la loro contrarietà a questo piano che come andiamo dicendo dall'inizio della crisi ricadrà negativamente sulla popolazione turca".
Gli slogan delle manifestazioni erano gli stessi in tutto il paese: "Fmi uguale disoccupazione e fame", oppure "Fmi go home". La Emek platformu, che riunisce un milione di lavoratori, ha ieri ribadito che se il governo vuole davvero uscire da questa crisi, prima o poi dovrà parlare con la gente, con i disoccupati, con i poveri. "Ma finora - dice il portavoce della piattaforma - il governo si è rifiutato di ascoltare le domande della gente e ha preferito rispondere mandando la polizia armata a sedare le proteste". Nelle manifestazioni dei giorni scorsi, infatti, oltre duecento persone sono rimaste ferite e decine sono state fermate.

 

17 aprile ’01

 

SCIOPERO CONTRO PRIVATIZZAZIONE DELLE TASSE

Le privatizzazioni investono anche quelle sfere che ogni "Stato liberale" si guarda bene dal mettere in mano ai privati, come nel caso della riscossione dei tributi, ossia del denaro pubblico per definizione. Esisteva già l'anomalia dei fratelli Salvo, concessionari dei tributi della Sicilia. La trincea del pubblico era rappresentata dal controllo centrale sul Consorzio nazionale dei concessionari (Cnc), attraverso cui riceveva unità logica e operativa la variegata massa dei singoli riscossori.
Nella recente "ristrutturazione" del ministero delle finanze la privatizzazione ha fatto un passo avanti. Dopo tre mesi di incontri tra Cnc, sindacati e ministero è finalmente saltato fuori il "piano industriale": gli 800 addetti dovranno diventare solo 300. La Fisac-Cgil ne ha tratto le conseguenze: "questo è un piano di dismissione", che va contrastato - intanto - con primo sciopero indetto per il 17.
Oltre ai 500 lavoratori che rappresentano un patrimonio di esperienza "pubblica" altrettanta importanza riveste l'affermazione di un principio "politico": mantenere il carattere pubblico del Cnc significa confermarne la "caratteristica istituzionale di raccordo tra il committente pubblico e chi, per concessione di questo, riscuote i soldi pubblici". E' facile capire che la privatizzazione integrale della riscossione crea problemi irrisolvibili invece di rimuovere quelli esistenti. Ma tra i partiti nessuno o quasi sembra cogliere l'incongruenza di uno stato che abbandona il controllo dell'attività esattoriale. Nè, in parallelo, l'incompatibilità tra "cessioni di rami d'azienda" (come nel caso dei 140 da "vendere" alla spa con Elzag) e possibilità di utilizzare i "contratti atipici" per rimpiazzare la manodopera "garantita" messa fuori produzione.

 

 

18 aprile ’01

 

ZANUSSI IN UNGHERIA

Una delle aziende del gruppo Zanussi, la Sole di Pordenone, ha annunciato ai sindacati che ci saranno presto 300 esuberi e quindi potenzialmente 300 licenziamenti. L'azienda ha motivato la notizia dicendo di aver deciso di "delocalizzare" una parte della produzione dei motori per frigoriferi in base alla necessità di ridurre i costi. Per ridurre una parte del costo del lavoro si decide cioè il trasferimento in uno dei paesi dell'est europeo, l'Ungheria. Da questa scelta deriverebbe un taglio di 180 lavoratori, mentre altri 120 sarebbero in esubero per riorganizzazione interna. La Fiom si è già dichiarata contraria alla scelta. La Zanussi, in base al suo sistema di relazioni industriali, ha convocato per ora solo i sindacati metalmeccanici locali del Friuli.

 

INTESA ALLA MARZOTTO

La trattativa è durata quattro mesi. Ci sono volute quattro ore di sciopero. E' stata raggiunta una prima intesa per il rinnovo del contratto aziendale della Marzotto, che ha attualmente 4.300 dipendenti. Il nodo più difficile da sciogliere è stato quello sul salario. I sindacati tessili, Filtea, Filta, Uilta hanno concordato con l'azienda un premio legato alla redditività della Marzotto. Il premio partirà da una base minima garantita per poi incrementarsi al miglioramento dei risultati del gruppo. Ci saranno quindi 300 mila lire uguali per tutti quale risultato del 2000 e un premio variabile appunto tra le 300 e le 900 mila lire a seconda dei risultati per il 2001-2003. La variabilità del premio sarà tra le 500 e le 900 mila lire e sarà incrementato fino al 50% per i lavoratori che avranno una maggiore presenza in azienda. I tre sindacati di categoria sono soddisfatti perché l'accordo innoverebbe sul piano delle relazioni industriali nella nuova fase della internazionalizzazione della Marzotto.

PROTESTA CONTRO LA CHIUSURA DELLA STAZIONE

Per denunciare lo smantellamento della stazione di San Rossore, un delegato RSU è salito su una torre dello scalo merci, dove è rimasto per quattro ore, a quindici metri di altezza. Ora denuncia: "Sono salito sulla torre perché non ce la facciamo più. Solo cinque anni fa qui lavoravano 70 persone. Oggi siamo rimasti 40 a far andare avanti questo impianto di smistamento. Qui i treni vengono scomposti e ricomposti, vagone dopo vagone, a seconda delle destinazioni finali delle merci. Ora però l'azienda tende ad organizzare e far partire, da altre stazioni, treni 'completi'. Con il risultato che i piccoli e i medi trasporti vengono penalizzati, e allora le ditte scelgono la strada".
Le Ferrovie assicurano che non vogliono cancellare lo scalo di San Rossore e spiegano che la riduzione del personale è dovuta soltanto alla scarsa produttività dei dipendenti. "Ma per lavorare c'è bisogno di uomini e di attrezzature moderne - replica Gonfloni, che è componente del coordinamento nazionale della Fltu-Cub - non di motrici che risalgono al 1940". Così i ferrovieri ed i manovratori del settore merci della Toscana hanno deciso di scioperare, e il 20 aprile incroceranno le braccia, alla vigilia di un agitazione nazionale del comparto prevista per il fine settimana.
La protesta dei manovratori arriva a poco più di due mesi dalla firma a Firenze di quattro intese tra Ferrovie ed istituzioni locali, per potenziare e qualificare il sistema ferroviario dei trasporti in Toscana. I protocolli prevedono anche lo sviluppo dell'interporto di Livorno-Guasticce.

 

19 aprile ’01

 

FS: BERSANI LIMITA LO SCIOPERO

Come già accaduto per lo sciopero (poi revocato) che doveva tenersi prima di Pasqua, il ministro dei trasporti Bersani ha disposto che l'agitazione proclamata da Ucs e Fisast dovrà concludersi alle ore 14,30 (anziché alle 21) di domenica 22 aprile. I due sindacati di base hanno ricevuto un sostegno dai macchinisti del Comu siciliano. Tra le motivazioni alla base della decisione del ministro la "necessità di garantire il diritto alla circolazione dei cittadini-utenti in un periodo di elevata mobilità in coincidenza con la fine delle vacanze pasquali".

SIRTI

La vertenza aperta sugli "esuberi" alla Sirti - azienda di installazioni telefoniche che è stata da poco "privatizzata" e scorporata dal gruppo Telecom - ha rischiato di interrompersi alla prima riunione tra le parti sociali. Fiom, Fim e Uilm si sono trovati davanti alla dichiarazione di 2750 "eccedenze" (2000 "esuberi" e 750 esternalizzazioni) e a una chiara sproporzione tra il calo del fatturato e il numero delle eccedenze denunciate. Già da ora appare chiaro che la discussione dovrà essere spostata in una sede istituzionale, che coinvolga anche il governo. Le aree interessate del mezzogiorno rischiano di essere definitivamente falcidiate.

 

MERIDIANA SCIOPERA

Un'agitazione che comprende tutte le categorie (personale di terra, assistenti di volo e piloti) della compagnia Meridiana è stata proclamata da Filt-Cgil, Uiltrasporti, Anpac e Anpav per il prossimo 4 maggio. Lo sciopero è stato indetto "a sostegno della vertenza contro il piano industriale presentato dall'azienda e per il mancato rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, scaduti da anni". Come per tutti i casi di scioperi nei trasporti, sono inutilmente state espletate tutte le "procedure di raffreddamento e di conciliazione".

MIRAFIORI: SCIOPERO CONTRO 454 LICENZIAMENTI

Fiat non ha mostrato alcuna disponibilità a discutere il piano industriale e il futuro occupazionale della joint venture con Gm, la Powertrain che assorbe l'organico della meccanica di Mirafiori e ne decreta gli esuberi. La Fiat è interessata solo a strappare ai sindacati una firma sulla richiesta di mobilità (prepensionamenti) per 454 lavoratori "eccedenti", concentrati alle linee di montaggio dei motori. Ecco la ragione dello sciopero unitario di due ore, ecco la ragione della sua riuscita in un contesto veramente pesante per i lavoratori di Mirafiori: esuberi e cassa integrazione a raffica, niente prospettive future, niente contratto integrativo per il rifiuto dell'azienda a trattare. E infine, niente rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici.
Alle 9,45 del 19 le meccaniche di Mirafiori si sono fermate. L'adesione ha superato il 70%, e questo è un risultato importante tenuto conto del fatto che i lavoratori colpiti dai provvedimenti della Fiat sono quelli dei motori, e non (ancora) quelli dei cambi, che pure hanno partecipato allo sciopero. Un corteo di 500 operai ha attraversato le officine e infine è uscito dalla porta 20 in via Settembrini, per raggiungere in corteo corso Orbassano dove si è tenuta un'assemblea. La partecipazione allo sciopero dei lavoratori del secondo turno, nel pomeriggio, è stata ancora più alta e ha toccato l'80%. Si è ripetuto il copione del mattino, dal corteo interno (almeno in 800 hanno sfilato), fino al blocco stradale in corso Orbassano con annessa assemblea.
Sono ormai quasi 2.000 gli esuberi denunciati solo nell'auto a Torino (730 agli Enti centrali, 500 alla Tnt e 454 alle meccaniche). A questi tagli si aggiungono i 147 operai a tempo determinato a cui la Fiat non ha rinnovato il contratto. Sono invece 300 i giovani interinali rispediti a casa a Melfi, mentre a Cassino è iniziata una massiccia cassa integrazione, motivata con l'esigenza di attrezzare le linee per la produzione del nuovo modello di fascia C che sostituirà Bravo e Brava. Se i lavoratori di Cassino si comporteranno bene, saranno assunti (chissà come, e per quanto tempo) 800 giovani operai. Se invece seguiranno la Fiom sulla strada del referendum per bocciare l'accordo separato firmato da Fim, Uilm e Fismic-Sida che peggiora le condizioni di lavoro, chissà. Il ricatto del lavoro, per sé e per i figli, potrebbe funzionare.

 

 

20 aprile ’01

 

DIRIGENTI SEQUESTRATI

Per impedire la chiusura della loro fabbrica, gli operai della Pechiney Electrometallurgie (la Pec.Pa) di Marignac, nella Francia sud-occidentale, si sono impossessati dello stabilimento e hanno sequestrato per l'intera notte una ventina di dirigenti. Il rilascio è avvenuto ieri, solo dopo che i lavoratori hanno ottenuto l'impegno della società e del governo a riaprire le trattative sul futuro della fabbrica. Lo stabilimento di Marignac è specializzato nella lavorazione del magnesio ed è messo sotto pressione dalla concorrenza internazionale, in particolare quella cinese.

 

L'INTESA MARZOTTO: SALARIO E PROFITTO

Non tutti gli accordi sono uguali, anche se la confederazione che li sottoscrive - in questo caso la Cgil - è la stessa. La pre-intesa contrattuale siglata dai tessili di Cgil, Cisl e Uil con la Marzotto ha fatto arricciare più di qualche naso. A "sorprendere" è stato soprattutto il punto relativo al salario, con un premio annuale agganciato alla redditività dell'impresa. 300.000 lire di minimo garantito; 500.000 se la redditività nei tre anni raggiunge il 6,5% positivo; fino a 900.000 per risultati del 9%. Inutile girarci intorno, il problema di principio è chiaro: se il salario diventa una variabile dipendente dall'andamento del profitto - invece che una misura della quantità di lavoro erogata - salta qualsiasi comparabilità tra lavoratori che svolgono lo stesso lavoro in fabbriche diverse, e perciò ogni rappresentanza unitaria (tanto come categoria che come classe).
Sul lato dei diritti, secondo questa pre-intesa, l'azienda sarà tenuta a osservare un "codice di condotta" in ogni suo stabilimento, anche straniero, in linea con le garanzie richieste dall'Organizzazione internazionale del lavoro (rifiuto del lavoro minorile e di altre forme di sfruttamento condannate nelle sedi internazionali). E' prevista inoltre l'istituzione del Comitato aziendale europeo; nonché l'informazione su tutti i siti produttivi italiani ed esteri che lavorano per la Marzotto nel mondo.
Nel Comitato centrale della Fiom-Cgil riunitosi l'altroieri due sono stati gli "esempi negativi" di accordo che il sindacato dei metalmeccanici ha duramente stigmatizzato: quelli dell'Italcementi e della Marzotto, appunto. Nel primo caso la Fillea-Cgil aveva accettato di barattare 80.000 lire di premio annuo con una riduzione del 10% degli infortuni (che equivale a disincentivare la denuncia degli incidenti sul lavoro). In entrambi i casi, i metalmeccanici ravvisano l'accettazione della logica e dei contenuti che la Confindustria prova a far ingoiare loro. E che è alla base dell'impasse della trattativa sul contratto e sull'integrativo Fiat.

McDONALD'S

Nicola Antonacci è "padroncino" di due McDonald's di Milano (viale Certosa, via De Gasperi) e giudica "tutte cazzate" le richieste di pagare gli straordinari a una lavoratrice, che ha, in quanto "manager", il finto privilegio di non timbrare il cartellino cosa che si traduce spesso in qualche ora di lavoro in più al giorno; sempre regalata alla multinazionale.
Da un tale soggetto non ci si poteva aspettare altro che una punizione dopo una doppia assemblea sindacale (Cisl), culminata con due scioperi e con la ciurma (crew, quelli che friggono e faticano) disposta all'ammutinamento contro il padrone. E così, alla seconda assemblea, Daniela è stata trasferita. Anzi punita, da via de Gasperi a viale Certosa, dove una manager in più non serve e dove è tutto da creare (e non sarà facile) il clima di complicità che c'era tra i ragazzi che rispondevano alle direttive di Daniela. "O firmi questo foglio, o ti trasferisci ugualmente ma partendo con il piede sbagliato", questa l'alternativa proposta da Antonacci.
La Fisascat-Cisl ha impugnato il trasferimento. Su 21 addetti del locale, 12 sono iscritti al sindacato, compreso lo staff dirigenziale, e gli unici che non si sono iscritti sono nove lavoratori extracomunitari, perché hanno paura di perdere il lavoro.

 

21 aprile ’01

 

ANTICIPO DI SCIOPERI MECCANICI

In attesa che il 24 Fim, Fiom e Uilm decidano le "ulteriori" iniziative di lotta per il contratto, le principali fabbriche metalmeccaniche dell'Emilia e Romagna si sono fermate per protestare contro Federmeccanica che ha determinato la rottura delle trattative. Chi per mezz'ora, chi per un'ora e chi per due, spontaneamente o per iniziativa delle Rsu, hanno mandato il loro messaggio a Roma: la lotta è solo all'inizio, non ci piegherete. Chi non ha scioperato, magari frenato dalla moratoria che scade lunedì prossimo, ha già proclamato il blocco degli straordinari. Le 85 mila lire proposte dalla Federmeccanica, contro le 135 mila richieste dalla piattaforma sindacale unitaria, sono state vissute come uno schiaffo in faccia. Solo per citare una provincia, Reggio Emilia, si sono fermate la Smeg, Comer e Comer Axles, Som, Tecnogas, Brevini, Corghi, Fantuzzi Reggiane, Fort&Pegoraro, Om Pimespo, Bertazzoni, Conchiglia e numerose altre fabbriche.
Scioperi spontanei ci vengono segnalati da varie città italiane, anche se il grosso delle fabbriche si fermerà la prossima settimana. A partire da lunedì in Piemonte, da Torino (nella zona ovest sono almeno una ventina le aziende coinvolte) a Novara, da Alessandria a Cuneo. Ma già ieri, i lavoratori della Pininfarina hanno incrociato le braccia per un'ora per una vertenza interna e l'assemblea tenuta durante la protesta ha discusso "con rabbia" della rottura delle trattive sul contratto nazionale e ha deciso nuovi scioperi. Dalla Lombardia arriva il comunicato del consiglio generale della Fiom bresciana che plaude alla scelta della delegazione nazionale dei sindacati metalmeccanici e chiede "un programma di lotta che vada oltre le due ore di sciopero, per rispondere al livello della sfida che il padronato ha lanciato".
Il secondo punto all'ordine del giorno del vertice di Fim, Fiom e Uilm del 24 sarà la convocazione dell'assemblea nazionale dei delegati della categoria: in quella sede dovrebbe essere deciso un calendario di mobilitazioni che durino oltre la data delle elezioni. L'obiettivo, è ovvio, è la ripresa delle trattative per il contratto, costringendo la Federmeccanica a una ragionevolezza di cui finora non si è vista traccia.
Lo scontro sul contratto dei metalmeccanici si svolge tra denuncie di esuberi, mancati rinnovi di contratti a termine e interinali, forzature aziendali sull'organizzazione del lavoro. Ed ecco spuntare un nuovo licenziamento politico. Si tratta di Giuliano Marinelli, rappresentante sindacale del S.In.Cobas agli Enti centrali di Mirafiori, che in prima istanza aveva vinto la causa con l'azienda contro un trasferimento. In appello, la giustizia aveva dato ragione alla Fiat, che invece di ricollocarlo nel nuovo posto di lavoro ha deciso di licenziarlo. Anche la Fiom ha espresso la sua solidarietà a Marinelli.

 

 

22 aprile ’01

 

HOTEL CARMELITANO

Quattro persone avvolte nei loro cartelli di protesta davanti al cancello di ingresso della Domus Carmelitana di via Alberico II 44, a Roma, diretta da padre Vincenzo Mosca. Sono i lavoratori della cucina e del servizio in sala di quello che è ormai un albergo a tutti gli effetti. Qui, a due passi da piazza S. Pietro, arrivano i pullman, scaricano normalissimi turisti, instradati da regolari tour operator. Un albergo senza insegne, riservatissimo, elegante, centralissimo. Poco in linea magari con la regola carmelitana "povertà, obbedienza e carità". I quattro sono stati licenziati di punto in bianco. Lavoravano per una piccola società da loro stessi costituita e il contratto era arrivato alla normale scadenza. Qualcuno - ma non si sa chi - deve aver fatto un'offerta più bassa ed è subentrato. La legge vuole che in questi casi il personale venga salvaguardato, cioè assunto dal nuovo gestore. In casa dei carmelitani, invece, deve essere in vigore qualche altra legge: i portieri hanno ricevuto l'ordine di non far entrare i lavoratori. Senza altre comunicazioni. Né carità.

 

 

24 aprile '01

 

PREZZI E SALARI

In aprile i prezzi al consumo hanno registrato un forte incremento e il dato tendenziale è salito oltre la soglia del 3% (al 3,1%), che aveva abbandonato in marzo quando la discesa del tasso annuo al 2,8% aveva fatto pensare a un progressivo ridimensionamento della dinamica del costo della vita. Una ricerca sui lavoratori "poveri" pubblicata da Bankitalia segnala come in tutti gli anni Novanta in Italia e negli altri paesi Ocse si sia accentuato il fenomeno della crescita del numero dei lavoratori a bassa retribuzione, i low paid.

SCIOPERO METALMECCANICO

Hanno avuto successo gli scioperi per il rinnovo del contratto nazionale metalmeccanici: nella zona ovest di Torino, secondo la Fiom Cgil la partecipazione ha raggiunto una media del 95% in aziende come Automotive Lighting, Sandretto, Ficomirrors, Lear, Bitron, Comau Robotica. Gli scioperi sono stati fatti nell'ambito delle 2 ore decise da Fiom, Fim e Uilm.

LSU OCCUPANO IL TESORO

Una ventina di Lsu (lavoratori socialmente utili), organizzati dai Cobas, hanno occupato ieri la sede del ministero del tesoro a Roma. Circa 400 campani e 100 forestali pugliesi hanno chiesto la stabilizzazione per 1500 Lsu. Ma l'incontro con il sottosegretario al lavoro, Raffaele Morese, non li ha soddisfatti: "Vorrebbero assumerci a tempo indeterminato, a 30 ore, in una società per la prevenzione satellitare degli incendi - spiega Salvatore Stasio, Cobas Puglia - ma noi non crediamo che la regione vorrà finanziarlo". Anche Roberto Ascione, Cobas Campania, si è detto insoddisfatto delle posizioni del governo e ha annunciato nuove iniziative di lotta.

MENSE IN SCIOPERO

Mense pubbliche chiuse a Roma e provincia. I lavoratori hanno scioperato per il rinnovo del contratto territoriale, bloccato da 11 anni. Il settore occupa 10.000 persone, in scuole, ospedali, ministeri e al Coni. Lo sciopero ha avuto l'adesione dell'85%, mentre un presidio di oltre 500 lavoratori si è riunito davanti alla sede della Confcommercio, controparte nelle trattative. Dopo lo sciopero, la Confcommercio si è detta disposta a trattare.

 

25 aprile '01

 

MOTOROLA CHIUDE IN SCOZIA

Blair è intervenuto per cercare di evitare la chiusura dello stabilimento Motorola di Bathgate, in Scozia. Ieri l'azienda ha dato l'annuncio che la fabbrica chiuderà e tremila lavoratori rimarranno a casa. Attoniti i lavoratori che fino all'ultimo avevano sperato in una buona notizia, addirittura nel retromarcia dei vertici Motorola, specialmente dopo gli incontri con il governo centrale, con quello decentrato scozzese e con i sindacati. Quando ieri mattina si sono presentati in fabbrica, però, le voci di un imminente annuncio sul futuro dello stabilimento si erano fatte sempre più insistenti e i sindacati avevano cominciato a contattare i loro delegati per prepararli al peggio. I vertici Motorola hanno anche confermato che il piano di ristrutturazione non riguarda soltanto lo stabilimento scozzese: a livello mondiale infatti l'azienda ha detto di voler tagliare ventiduemila posti di lavoro

RIASSUNTI GLI OPERAI DELLE MENSE MILITARI ROMANE

Vittoria a metà. I 19 operai delle mense dell'aeroporto militare di Centocelle, che avevano perso il posto a causa dei prezzi troppo bassi offerti dal ministero della difesa in fase di gara d'appalto - e della conseguente fuga delle aziende da un mercato ritenuto poco remunerativo - sono tornati a lavorare. Altri 27 operai dell'aeroporto di Guidonia, però, sono in sospeso, e forse in settimana si saprà se torneranno al lavoro. Il ministero della difesa ha alzato i prezzi dei pasti, portandoli a livelli appetibili per le aziende, e riaprendo così la possibilità di nuove gare d'appalto che non andassero più deserte. E così, dalle 6000 lire iniziali, a Centocelle si è passati a 7100, permettendo alla Maci 2000 di rientrare nelle mense e riassumere i lavoratori. Più complessa è la questione di Guidonia, dove a scalpitare è la Sagem, l'azienda che si è aggiudicata l'appalto, e che sta tentando di non riprendere gli operai. La Sagem ha vinto la gara per 13.400 lire al giorno (incluse le derrate), ma non vuole riprendere i vecchi dipendenti, dicendo di voler ricorrere agli sgravi previsti dalla legge 407 per risparmiare sui costi. Per ottenere gli sgravi, dovrà assumere disoccupati di lunga durata, escludendo i vecchi dipendenti, che hanno anche 6-7 anni di servizio alle spalle. I lavoratori di Guidonia dovranno già accettare la diminuzione del monte ore, passate da 2680 a 2400. Se è vero che il ministero ha alzato i prezzi dei pasti, è anche evidente che ha abbassato le ore di lavoro. E' facile immaginare, comunque, che recupereranno con gli straordinari. In realtà, già prima di questa decisione, 2700 ore non erano sufficienti ad assicurare un servizio di qualità: cuochi e inservienti facevano parecchi straordinari, e infatti, come forma di protesta, avevano scelto proprio il blocco delle ore extra. Già una volta è stata bloccata l'entrata dell'aeroporto e c'è stato un mese di manifestazioni. Se prenderanno nuovi dipendenti, i lavoratori attuali non gli faranno mettere piede nelle mense.

 

26 aprile '01

 

RISCHIO AMIANTO NELLE FABBRICHE DI D'AMATO.

Potrebbe finire in mano all'autorità giudiziaria il fascicolo intestato al presidente di Confindustria, Antonio D'Amato. L'Authority ambientale della Campania (Anpac) ha effettuato un supplemento di indagini per verificare le anomalie riscontrate con i monitoraggi alla Seda Cartoplast, la fabbrica di bicchieri e coppe per l'alimentazione di Arzano, nel polo industriale a nord di Napoli. I dubbi riguardano la probabile presenza di fibre di amianto e polveri di vetro, l'inquinamento atmosferico da emissioni, la rumorosità fuori norma degli impianti industriali obsoleti. Non si sciopera in casa D'Amato, forse anche perché pesa il ricatto del presidente: vuoi che assuma tuo figlio, magari per tre mesi? e allora poche storie. Il tasso di lavoratori assunti con un contratto a tempo determinato va ben oltre il tetto stabilito nel contratto cartai (12%) e supera il 30%.

 

27 aprile '01

 

MOULINEX LICENZIA

La Moulinex, che l'anno scorso si è fusa con la Brandt (di proprietà italiana), ha confermato ieri le notizie già circolate nei giorni scorsi sui prossimi licenziamenti: sopprimerà 4 mila posti di lavoro, di cui 1700 nella sola Francia. Sette fabbriche chiuderanno, di cui tre in Francia. La Polonia è tra i paesi più colpiti: anche qui saranno soppressi mille e settecento posti di lavoro. In Italia è in forse la sorte di un impianto del ramo "lavaggio" che impiega 300 persone. La direzione di Moulinex ha fatto sapere che in Francia meno della metà dei 1700 dipendenti che non avranno più il posto dopo le chiusure perderà davvero il lavoro. Per gli altri ci sarà una ricoloccazione all'interno della stessa società, ma in altri siti di produzione. Il caso Moulinex viene ad aggiungersi, in Francia, alla valanga di ristrutturazioni annunciate dopo le elezioni municipali di marzo, dove la sinistra ha perso parte del voto popolare. Il governo è in difficoltà, ha varato una serie di misure per rendere più difficili i licenziamenti, che costeranno di più alle imprese (soprattutto a quelle che fanno utili), ma non ha preso la decisione radicale, reclamata per altro da parte della maggioranza (Pcf in testa) di ripristinare l'autorizzazione amministrativa ai licenziamenti, che era esistita in Francia dal '75 all'86. Le ristrutturazioni non sembrano più finire, in Francia. Ieri, Alcatel ha rivelato che rinuncerà a fabbricare telefonini. Venderà la fabbrica di Laval a un gruppo di Singapore, Flextronics, che però contemporaneamente all'annuncio dell'acquisto dell'impianto di Laval ha fatto sapere che taglierà 7 mila posti di lavoro nel mondo (il 10% del totale dei dipendenti).

SCIOPERO GENERALE IN GRECIA

Centinaia di migliaia di lavoratori hanno manifestato ad Atene, a Salonicco e in altre città contro la riforma del sistema pensionistico, promossa dal governo di Kostas Simitis. Sono rimaste chiuse le fabbriche, le scuole, le banche, i mezzi di trasporto e tutti i servizi pubblici, per lo sciopero generale indetto dalla Gsee e dall' Adedy, le due confederazioni dei settori privato e pubblico. Punto focale della critica, che ha provocato aspre reazioni anche nel consiglio dei ministri e del partito socialista, è il pacchetto di proposte del ministero del lavoro per la riforma del sistema pensionistico, di cui e prevista l'applicazione a partire dal 2007. Il governo, dopo aver assaporato il successo delle elezioni politiche del 2000 e dell'entrata del paese nella zona euro, ha dovuto affrontare il problema sociale per eccellenza, che riguarda proprio il sistema pensionistico. Ecco allora che due mesi fa ha richiesto a una società britannica di elaborare un progetto "personalizzato", sostenendo che il sistema in atto e soprattutto il rapporto 2 a 1 tra attivi e pensionati non reggerà a lungo.

SIEMENS LICENZIA

Il colosso tedesco dell'elettronica non è esente dalla crisi che in questi mesi fa "vittime" ovunque. L'azienda non è in perdita, ma non guadagna quanto vorrebbe. E così dà il via ai licenziamenti. Il presidente e amministratore delegato della multinazionale, Heinrich Von Pierer, ha annunciato un piano di 3500 tagli, da mettere in opera nei prossimi 18 mesi. I dipendenti tedeschi e americani subiranno i maggiori tagli al personale: 1400 in Germania, 2100 all'estero, la maggior parte negli Usa. Due terzi saranno veri e propri licenziamenti, un terzo sarà dato dalla mancata copertura di posti vacanti. A dire il vero, a perdere il lavoro, saranno più persone, in quanto è già stato annunciato che a 2800 contrattisti a tempo determinato, come è avvenuto recentemente in Fiat con i 147 ragazzi di Mirafiori, non verrà semplicemente rinnovato il contratto. I tagli da attuare si concentrano proprio nel settore reti private e in quello dell'Icn (Information and communication network), che dà lavoro a 54.000 persone in tutto il mondo. Questo perché "nei primi sei mesi - spiega Perrier - la crescita è stata trainata dai settori dell'energia, medicale e dei trasporti, mentre in calo si è mostrato il settore Information and Communication. L'utile lordo nel comparto telefonia mobile è stato di 6 milioni di euro contro i 287 archiviati nel secondo semestre dell'anno scorso". E' un segno del fatto che non è la "new economy" a fare la parte del leone nei profitti.

 

 

28 aprile '01

 

OCEAN RISTRUTTURA

I lavoratori della Ocean San Giorgio di La Spezia erano ancora dentro la fabbrica quando da Roma arrivava la notizia: il piano di ristrutturazione della Brandt Moulinex (cui appartiene la San Giorgio) a livello continentale andava a toccare anche lo stabilimento spezzino, 400 posti di lavoro. La San Giorgio - con tutta la Moulinex, dopo la fusione con Brandt - era tornata in mani italiane, la El. Fi. Uno specchietto per allodole in meno... A La Spezia la reazione è stata immediata ed ha coinvolto sia le altre fabbriche - Fincantieri, Oto Melara, San Marco, Baglietto, ecc - che le istituzioni locali. Il corteo ha attraversato le vie cittadine con in prima fila i consigli comunali e provinciali, i parlamentari eletti nei collegi dei dintorni. Tutti si impegnano a far sì che al tavolo delle trattative, fissato per il prossimo 3 maggio a Roma, partecipino direttamente i ministri dell'Industria e del Lavoro. La manifestazione del 1 maggio cambierà il percorso tradizionale, per concludersi davanti ai cancelli della San Giorgio. Fino alla conclusione della riunione del 3, comunque, resterà in piedi il presidio della fabbrica, chiusa ormai dalle 16,30 di giovedì, quando la notizia della chiusura ha raggiunto i lavoratori. La mobilitazione sarà continua, giorno e notte. Già la prima roulotte è stata portata davanti ai cancelli, per dare riparo a quanti si alterneranno nel presidio. Quanto alle prospettive di lotta, ci dicono dalla Fiom, "Se la riunione di Roma non darà risultati si andrà all'occupazione della fabbrica".

UNILEVER LICENZIA 8000 LAVORATORI

La scure dei licenziamenti si abbatte anche sui dipendenti della Unilever, la terza multinazionale mondiale dell'alimentare e dei saponi. I vertici del gruppo hanno annunciato pesanti tagli al personale, in Europa e Nord America: nei prossimi tre anni, verranno chiuse almeno 30 fabbriche e "fatti fuori" ben 8000 lavoratori, cifre che si aggiungono ai 25.000 licenziamenti già annunciati nel febbraio dello scorso anno. Nella classifica dei colossi alimentari, l'anglo-olandese Unilever segue la svizzera Nestlè e l'americana Philip Morris, proprietaria del marchio Kraft. Con 295.000 dipendenti nel mondo, produce (per fare qualche esempio) i saponi Dove, i dentifrici Pepsodent e Colgate, la maionese Hellman's, il tè Lipton, i gelati Algida e i bastoncini Findus. E proprio per salire sul podio delle vincenti, nel corso del 2000 si è lanciata in una campagna di acquisti in grande stile, comprando le statunitensi Slim-Fast (produttrice di bevande), Ben & Jerry (gelati) e Bestfoods (vari tipi di generi alimentari). Il tutto, per la rispettabile cifra di 50 mila miliardi di lire.

In Italia lavorano circa 1000 dipendenti, in tre stabilimenti della Unilever: a Cisterna di Latina, a Caivano (Napoli) e nel cagliaritano. A Cisterna di Latina, vengono prodotti i cibi Findus, mentre in Campania e in Sardegna si producono soprattutto i gelati Algida.

Secondo Giancarlo Battistelli, segretario nazionale Flai Cgil, "la catena del freddo, quella su cui la Unilever si è concentrata in Italia, non dovrebbe essere toccata dai tagli, e anzi è in espansione".

Si spera, a questo punto, che i "quattro salti in padella" non li debbano fare gli operai dei nostri stabilimenti. Se i tagli Moulinex - almeno a quanto diceva l'azienda due giorni fa - non avrebbero dovuto riguardare l'Italia, già ieri una doccia fredda è arrivata sui 400 lavoratori della Ocean di la Spezia: chiude anche l'industria ligure. Un bollettino tragico. Nell'ultima settimana, i licenziamenti in tutta Europa hanno toccato quasi la cifra di 15.000: basta aggiungere a quelli Unilever e ai 4000 della Moulinex, anche i 3.500 della Siemens e i 1.200 del produttore svedese di camion, Scania.