NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE

Aprile '99

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"2 aprile 1999"

 

IVECO

La Fiat vende 287 operai con il reparto presse dell'Iveco, ma la trattativa ha permesso che i lavoratori mantenessero inalterati i diritti e le garanzie occupazionali.
Per ottenere questo sono stati necessari 20 ore di sciopero e il blocco delle merci.
La cessione del ramo aziendale sara' verso il gruppo Magnetto di Torino: sara' solo il primo passo di una serie di esternalizzazioni. E' gia' prevista, entro l'anno, la cessione del reparto plastica, con 500 lavoratori. I lavoratori "ceduti" restano nel contratto metalmeccanico.
La cessione non significa il trasferimento fisico del reparto e dei lavoratori: essi resteranno all'interno dello stabilimento ma il loro padrone sara' diverso. Questa differenziazione tra lavoratori impegnati gomito a gomito in questo caso specifico e' stata "limitata" dalla lotta. Anche a livello di diritti sindacali e' stato stabilito che i lavoratori costituiranno una loro rappresentanza sindacale in collegamento con quelle dello stabilimento.
All'Iveco si sono dunque ottenute condizioni migliori rispetto ad altre terziarizzazioni: segno che la lotta paga, e che deve essere estesa, e allora potra' impedire che gli uomini e le donne che arricchiscono i padroni vengano trattati come merci.

SCIOPERO INTERNAZIONALE

Un primo sciopero internazionale - di un'ora - si e' svolto ieri negli stabilimenti italiani di COMAU (Fiat) e in quelli francesi della SCIAKY e della RENAULT Automation, queste ultime recentemente acquisite dalla Fiat.
I lavoratori quindi cercano di unirsi anche quando i padroni li vogliono divisi, addirittura fomentando la divisione tra sindacati: Fim e Uilm hanno siglato un accordo separato alla Marelli di Venaria, dove l'azienda - sempre Fiat - ha deciso che ci dovranno essere 65 esuberi e ha chiesto di poter allungare il periodo di mobilita' previsto dalla legge da 4 a 9 mesi. La Fim ha ccettato, sostenendo che altrimenti si andava al licenziamento dei piu' giovani - non pensionabili - mentre la Fiom non ha accettato perche' ritiene che si possano affrontare questi problemi con riduzioni d'orario o contratti di solidarieta'.
E' evidente che, al di la' delle forme, c'e' comunque una logica di subordinazione alle esigenze del profitto, che sono diverse dalle esigenze produttive in se. La condizione dei lavoratori muta al mutare delle necessita' capitalistiche, ben lungi dall'essere una programmazione effettiva della produzione sulla base di bisogni concreti della gente, ma basata solo sulla quantita' di profitto intascabile. A questo scopo e' fondamentale da una parte sfruttare al massimo la manodopera gia' "pagata", e dall'altro non solo non assumere, ma mettere a rischio il lavoro e quindi la vita di centinaia di persone.

PINIFARINA VENDE AD UNA FERRAMENTA

La Pininfarina vuole vendere terreno, stabilimento e personale ad una grande catena francese del Bricolage: cosi' gli operai specializzati delle carrozzerie Pinifarina di grugliasco passerebbero a vendere cacciaviti.

 

"5 aprile 1999"

 

ITALTEL: Manifestazione contro i 5000 licenziamenti e contro la guerra in Kosovo

L'obiettivo principale della manifestazione era quello di "farsi vedere". L'hanno raggiunto salendo sul tetto, restandoci un paio d'ore, accendendo un fumogeno arancione, lanciando centinaia di volantini in aria. Quanto al "farsi sentire", hanno battuto legni e ferri e qualche brano del concertino che ne e' scaturito e' stato diffuso in diretta da "Radio popolare".
Il tetto - un terrazzone piatto a 50 metri d'altezza - e' quello del Quadrifoglio, il palazzo uffici dell'Italtel di Castelletto. Un'azione di massa compiuta da una cinquantina di lavoratori, in prevalenza donne.
I manifestanti hanno srotolato due striscioni: "No alla svendita dell'Italtel", "No alla guerra". Cinquemila tagli all'Italtel - spiega il delegato Fiom Roberto Dameno - sono un problema enorme, "diventano un granellino di fronte a quel che sta succedendo in Serbia e in Kossovo".
Ormai la protesta piu' che contro il megataglio - che riduce di un terzo il numero degli addetti Italtel - e' contro la svendita e lo smembramento dell'unica azienda italiana di telecomunicazioni. Un esito accelerato dall'opa ostile lanciata da Olivetti su Telecom, coproprietaria con Siemens di ITALTEL.
La spartizione si avvicina: i tedeschi si terranno il settore radiomobile, quello fisso restera' a Telecom che lo vendera' prima possibile per far cassa, per contrastare la scalata guidata da Colaninno. La strategia di Bernabe' prevede d'alienare tutto cio' che e' manufatturiero (stessa sorte tocchera' alla Sirti e alla Finsiel), ma una Telecom senza Italtel - citazione testuale dal quotidiano "Sole 24 Ore" di mercoledi' scorso - "rinuncia definitivamente a qualsiasi forma di controllo diretto sull'innovazione della rete e dei servizi".
Infine arriva la ciliegina sulla torta, la cassa integrazione partita ieri per 600 lavoratori a Castelletto. E' stata questa a stuzzicare la fantasia della Rsu che ha replicato bloccando per tre giorni le portinerie e scalando il tetto del Quadrifoglio.

CONSORZIO TRASPORTI PUBBLICI: I dimostranti aggrediti dalle forze dell'ordine

A Napoli, circa 60 dipendenti del Consorzio trasporti pubblici che protestavano contro la decisione dell'azienda di trasferire il deposito principale da Capodichino a Giugliano sono stati aggrediti dalla polizia: chiedevano un incontro con l'assessore ai trasporti Losa.

Alcuni lavoratori sono stati fermati e condotti in questura. Tra loro il segretario regionale di Rifondazione comunista, Enzo Gagliano, che dovra' rispondere di concorso in interruzione di pubblico servizio.
Le "forze dell'ordine" hanno aggredito il consigliere regionale di Rifondazione Salvatore Cerbone che ne esce con 10 giorni di prognosi per un ematoma a un'arcata sopracciliare. Denuncia di essere stato aggredito da alcuni poliziotti: "Non c'erano tafferugli ne' vandalismi in corso. Eravamo seduti accanto ai bus quando i poliziotti hanno cercato di farci sgombrare con calci e strattoni. A me sono toccati tre schiaffi in faccia". Testimoni del fatto anche due consiglieri comunali di An, che in un comunicato stampa manifestano la loro solidarieta' con i lavoratori e la condanna per l'atteggiamento "irresponsabile" tenuto da comune e provincia, dai quali il consorzio dipende direttamente. Solo in tarda serata il sindaco Bassolino incontra una delegazione dei manifestanti e la situazione torna lentamente alla normalita'. Da ieri e' quindi in attivita' il nuovo deposito, una vetreria dismessa che - sostengono i lavoratori - potrebbe presentare residui di amianto.
La situazione igienica sarebbe ulteriormente compromessa dalla vicinanza di una fabbrica dove vengono trattati materiali organici. Ci sono perplessita' anche sul contratto di locazione e sul successivo acquisto del deposito: la trattativa non sarebbe del tutto trasparente e finirebbe col favorire l'attuale proprietario a scapito degli interessi dello stesso consorzio.
L'azienda minaccia ritorsioni contro i partecipanti alla manifestazione e si parla gia' di 19 lettere di licenziamento.

ILVA DI CORNIGLIANO: Assunti con contratti di formazione e cacciati alla scadenza

Acciaierie Ilva di Cornigliano, Genova. Padron Riva assume in questi giorni 110 ragazzi per due anni in formazione e lavoro. Peccato che la settimana scorsa ne abbia licenziati altrettanti assunti due anni prima sempre in formazione e lavoro.
E' il prezzo della flessibilita' ma, soprattutto, il ringraziamento del re italiano dell'acciaio a 150 ragazzi che per due anni hanno fatto di tutto, lavorando nei giorni festivi e mentre i colleghi piu' anziani scendevano in sciopero, quei 150 ragazzi che per 24 mesi non si sono mai ammalati. Li hanno chiamati gli "stakanovisti di Cornigliano", forse anche perche' a scaricare l'ultima nave di laminati e di rotoli di acciaio proveniente da Taranto nell'ultimo giorno dell'anno erano loro. "Ci avevano detto di stare tranquilli - dice uno dei licenziati - e che se ci fossimo comportati bene ci avrebbero assunti tutti; noi abbiamo fatto tutto quello che ci hanno chiesto". Il loro contratto di formazione e lavoro era scattato tra il febbraio e l'aprile del '97, dopo 24 mesi precisi, l'Ilva ha riaperto per loro i cancelli della disoccupazione, accogliendo altri 110 ragazzi alle stesse condizioni. Tra due anni faranno la stessa fine.
Ma se si va a fondo della vicenda emergono altri preoccupanti aspetti. A parlare sono dodici giovani che avevano spesso lavorato nello stesso turno: "Fin dai primi giorni i capi ci avevano spiegato quello che dovevamo fare: non dovevamo iscriverci ai sindacati ne' scioperare, il nostro compito era quello di esserci sempre, non ammalarci, non chiedere permessi". Non sono mancati problemi con i lavoratori anziani, specie con i sindacalizzati: "Quando loro erano in sciopero noi andavamo ugualmente in fabbrica e quando pioveva noi eravamo comunque in banchina a scaricare". Ancora: "Quando e' iniziata la cassa integrazione ci hanno fatto fare il lavoro di chi non c'era piu'; eravamo tutti convinti che questa fosse l'unica strada per essere assunti, ma ci siamo sbagliati". Adesso, oltre 100 ragazzi denunciano di essere stati completamente abbandonati e in molti accusano anche il sindacato di "essersi dimenticato" di loro.
La risposta dei sindacalisti non si e' fatta attendere: "Ci siamo costantemente battuti per questi ragazzi - afferma Francesco Grondona, Fiom-Cgil - e uno dei motivi dell'ultimo sciopero di 24 ore era proprio questo. Purtroppo c'e' una legge dello stato che parla chiaro: gli imprenditori possono utilizzare a loro piacimento questi contratti di formazione e lavoro e noi non possiamo fare piu' di tanto".
Lo stato sta da una parte della lotta di classe, quella della borghesia e del capitale.

SAMMONTANA GELATI: RESPINTA LA PIATTAFORMA SINDACALE

(da un comunicato dei lavoratori)

È stata bocciata a larghissima maggioranza, nelle due assemblee alla Sammontana Gelati, l'ipotesi di piattaforma dei sindacati confederali sul contratto nazionale 1999 della categoria Industria Alimentare.
Le percentuali dei lavoratori che hanno espresso il loro voto, su quanti hanno partecipato alle assemblee:

SI 0,46%

NO 97,75%

astenuti 1,85%

Nonostante la presenza di capitoli positivi della piattaforma, alcuni solo parzialmente, e' stata riscontrata da parte dei lavoratori Sammontana la volonta' di snaturare il contratto nazionale della sua particolarita' atta a tutelare la totalita' dei lavoratori della categoria.
Oltre a non aver nessun accenno - di fatto - alla riduzione dell'orario di lavoro e concedendo alla controparte la promessa di flessibilita' che porterebbe a modificare le ormai da tempo acquisite e familiari ricreazioni giornaliere dal lavoro; con in piu' l'istituzione per contratto del lavoro interinale che tanti danni sta facendo nell'industrializzato nord (in particolare Lombardia e Emilia) dove viene in un primo momento richiesto per sopperire alla crescita non prevedibile della domanda (con la concessione del lavoro interinale a piccole ditte esterne dove prevalgono spesso retribuzioni al minimo, con tendenza non certo all'eccesso, e mancanza di diritti) e in un secondo tempo si parla di esuberi interni.

 

"23 aprile 1999"

 

IL COSTO DEL LAVORO E IL COSTO DELLA GUERRA

Il governo imperialista attualmente in guerra puo' annoverare un altro risultato, oltre a quello di far precipitare i popoli in guerra: quello di aver prodotto l'abbassamento del costo del lavoro in Italia del 2,1%.
Le due cose sono evidentemente collegate, facendo parte entrambe di un processo di crisi, ristrutturazione e guerra che in questo momento si sviluppa su tutte e tre le questioni. In termini semplici, i lavoratori italiani guadagnano di meno, i padroni e lo stato guadagnano di piu' e il tutto puo' essere usato per finanziare una guerra di aggressione imperialista, in cui l'Italia non e' ne' puo' essere seconda a nessuno. La guerra e' stata quindi preparata dai processi di ristrutturazione e dalle politiche governative, di cui anzi, in un ragionamento generale, e' la conclusione piu' logica.
A questa riduzione del valore della forza-lavoro si associa inoltre un aumento della disoccupazione, soprattutto nella grande industria, ossia quella che, per organizzazione, ha permesso e permette ai lavoratori di contrattare migliori condizioni salariali e normative, di difendersi meglio con i contratti nazionali e con organizzazioni sindacali storicamente piu' forti.
La guerra e' un affare per molti padroni e per i gruppi imperialisti piu' forti i quali, non solo non hanno interrotto i loro "affari" con i governi in guerra, compresa la Serbia, ma si preparano gia' a gestire la ricostruzione, per non parlare poi delle commesse militari.
Per i lavoratori, gia' "ammorbiditi" dalle politiche salariali, pensionistiche, sociali e normative tese a ridurne la forza contrattuale e il valore economico, la guerra e' sempre perdente perche' inoltre li porta, almeno nell'immediato, a distogliere la loro attenzione dalla lotta per la trasformazione della societa' mediante anche quelle giuste rivendicazioni economiche che, scontrandosi con gli interessi del capitale in crisi, producono la coscienza dell'impossibilita' di migliorare le proprie condizioni restando "sotto padrone". Essi vengono cosi' dirottati verso atteggiamenti di "comprensione" del proprio paese in guerra, di "salvaguardia" dell'economia nazionale, e cooptati verso aumenti produttivi per "sopperire" alle diminuite produzione di consociate nei Balcani, o per la produzione militare e logistica. I padroni, nella loro foga di guadagnare anche dalle distruzioni che provocano, cercano di trascinare i lavoratori delle loro fabbriche in questo gioco terribile. E quando non vi riescono, la guerra si trasforma in un utile strumento per minacciare i lavoratori di licenziamento.
Per questi motivi i lavoratori, la classe operaia in testa, devono scendere in campo contro l'aggressione NATO, cercare l'unita' di tutti i proletari, operai, lavoratori dei paesi attaccati e proclamare lo sciopero generale nazionale CONTRO IL GOVERNO D'ALEMA, CONTRO IL PADRONATO ITALIANO, CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA.

Allora la guerra potra' essere vincente per il proletariato e perdente per la borghesia.

 

AFFARI DI GUERRA

I padroni italiani hanno continuato a trattare con la Jugoslavia, nonostante le sanzioni finanziarie degli ultimi anni, uniti ma in concorrenza mortale con i loro colleghi francesi, inglesi e americani. Telecom e' rimasta sul posto per tutelare i propri investimenti in Serbia, pronta comunque a "ricostruire" quello che i "suo" governo distruggera'. Il basso costo del lavoro nella repubblica jugoslava riconquistata al mercato capitalistico e' un ghiotto boccone per i padroni nostrani, che chiudono le fabbriche in Italia per poter sfruttare meglio la forzalavoro. Certo la guerra per alcuni di loro portera' danni: ma abbiamo imparato che il padrone scarica i suoi costi sugli operai. Alcuni di questi, come in serbia, moriranno tra le macerie o resteranno chissa' per quanto tempo senza lavoro; altri, piu' "fortunati" vedranno aumentare il proprio sfruttamento.

Questa guerra e' guerra per spartirsi un mercato, di beni e di forza lavoro.