NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE

Luglio '99

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Mentre il padronato si prepara a gustare la torta da spartire per gli appalti in kosovo e - forse! o quando farà comodo a lor signori - in Serbia, l'attitudine stragista del profitto capitalista continua a mietere vittime, nelle forme più disparate, anche tra la classe operaia italiana.
E' per questo che noi diciamo che bisogna unire le lotte dei lavoratori contro i tagli allo stato sociale, contro i carichi di lavoro, contro i licenziamenti alla lotta più generale contro l'imperialismo e l'aggressione bellica. L'imperialismo è una fase del capitalismo, quel
capitalismo che da noi sfrutta e uccide, indipendentemente dallo stato di guerra esterna che crea.


"8 luglio 1999"


L'AVIS DI CASTELLAMMARE

E' stata la denuncia di un dipendente in pensione dell'Avis, azienda del gruppo Finmeccanica con sede a Castellammare di Stabia a far scattare le indagini.
P. C. ha mostrato agli inquirenti una decina di foto dove si vedono alcuni suoi ex colleghi interrare sacchi di amianto nei capannoni della fabbrica. La scoibentazione delle carrozze ferroviarie è una delle attività primarie dello stabilimento stabiese, che attualmente impiega
settanta lavoratori, molti dei quali hanno confermato di essere stati costretti a seppellire tonnellate del pericoloso materiale durante la notte o nei periodi festivi.
Così, a 11 anni di distanza dai fatti, il caso è esploso: i fabbricati sono stati posti sotto sequestro, dieci tra dirigenti ed ex dirigenti dell'azienda hanno ricevuto gli avvisi di.
Le prime analisi sui campioni prelevati dai carabinieri del Noe all'interno dello stabilimento sembrano confermare la contaminazione del suolo, ma escludono che il fiume Sarno sia inquinato dall'amianto, peraltro insolubile in acqua; uno dei possibili capi d'imputazione
verrebbe così a cadere. Resta invece da chiarire se e come sono stati impiegati i fondi europei per lo smaltimento sicuro delle polveri, che l'Avis pure aveva ottenuto. E soprattutto, restano i morti per mesotelioma, tumore ai polmoni e varie patologie derivanti dall'inalazione di polveri di asbesto, numerosi anche gli operai non addetti alla bonifica delle carrozze.
Intanto, per i dipendenti si fa più concreto il rischio di perdere il lavoro, dopo aver perso la salute. Tempo fa era stato raggiunto un accordo per complessive 350.000 ore lavorative e gli operai avevano accettato anche di proseguire la scoibentazione delle vetture. Poi la scoperta di nuovi casi di affezioni alle vie respiratorie e le proteste per ottenere lavori meno dannosi per la salute. Dopo oltre un mese di lotte, le richieste dei lavoratori sono state accolte: in cambio
l'azienda ha ottenuto il prepensionamento o la cassa integrazione per altri cento dipendenti, provvedimenti partiti appena qualche settimana fa. "Un ricatto", dice qualcuno; ma l'alternativa era il licenziamento.
Un'ipotesi che sembra solo rinviata, visto che attualmente le commesse da evadere non vanno oltre il primo semestre del 2000. Già mezzo secolo fa studi clinici avevano dimostrato l'azione
cancerogena dell'asbesto; ciononostante le Ferrovie dello stato hanno continuato ad impiegarlo fino al 1975 come isolante termoacustico, in forma di schiume e pannelli. Ottocentoventi chili per ogni vagone, quando una sola fibra può essere fatale. Poi, a partire dai primi anni Ottanta, il grande business della scoibentazione: circa diecimila fra carrozze, motrici e rimorchi devono essere bonificati e rimessi in circolazione. Vengono adattate alcune fabbriche delle Fs, ne aprono di nuove.
Una di queste è l'Isochimica di Elio Graziano, nei pressi di Avellino, chiusa nel 1989 dopo che nel parcheggio antistante lo stabilimento furono rinvenute tonnellate di polveri nocive interrate dagli operai. "E' un pratica molto diffusa ancora oggi", afferma Francesco Maranta, che già venti anni fa aveva denunciato il rischio amianto nelle officine di Santa Maria La Bruna, riconvertite a colpi di battaglie sindacali e ordinanze dei magistrati. "Esistono - aggiunge - alternative alla scoibentazione. Per esempio l'Ecolfer, un sistema ideato da due scienziati del Cnr che permette di trattare il materiale rotabile con un rischio praticamente nullo e risolve anche il problema dello stoccaggio dei rifiuti".
Si tratta di fondere intere carrozze a temperature assai elevate per produrre lingotti di una lega inerte metallo-amianto da utilizzare successivamente nell'industria siderurgica. Un impianto sperimentale era stato annunciato in provincia di Udine, ma per ora rimane sulla carta.
"A Migliaro, presso Ferrara, è stata aperta lo scorso anno un'altra fabbrica destinata alla scoibentazione con il metodo tradizionale", prosegue il delegato ai trasporti del Prc campano. "C'è una mafia di imprenditori, sindacati, partiti e associazioni ecologiste che continua a speculare sulla vita dei lavoratori. Ci aspetta una bomba ecologica di dimensioni enormi, di cui oggi vediamo solo una piccola parte".
L'"Associazione esposti all'amianto" calcola che in Italia siano annualmente circa un migliaio i decessi per asbestosi e malattie collaterali. Non sono solo le carrozze ferroviarie a nascondere insidie, ma anche navi, edifici prefabbricati, tettoie in Eternit.

SIAPA: ANCORA STRAGI DI OPERAI

- da un comunicato dell'AsLO -

Siapa, società italoamericana per prodotti antiparassitari, appartenente al gruppo Caffaro. Più di 20 operai negli ultimi anni sono morti per tumore o malattie al fegato. La causa ? Gli operai morti erano tutti addetti alle squadre di disinfestazione e al montaggio di macchinari per l'erogazione di diserbanti. Gli operai uccisi sono di età compresa tra i 47 e i 61 anni che hanno trascorso gli ultimi anni della loro vita tra sofferenze indescrivibili. Dalle denunce fatte dagli operai vengono fuori i rapporti tra padroni e operai nelle fabbriche. Un operaio, M.N , ha denunciato che nelle campagne di disinfestazione effettuate per conto della Siapa, non vi era nessuna precauzione nell'uso del materiale adoperato per la l'opera di disinfestazione. Appena la direzione sanitaria della Siapa si accorgeva che qualcuno degli operai addetto a queste squadre si ammalava, lo destinava ad altro incarico oppure lo licenziava. Dopo un breve periodo dal licenziamento, gli operai che manipolavano i diserbanti però, morivano di cancro o di altre forme di tumore (cancro al polmone o al fegato per esempio). Candidamente gli stessi dirigenti della Siapa hanno ammesso che nella'zienda veniva usato fino agli anni 80 il DDT, sostanza vietata dal 1969!!

Solo le denunce degli operai hanno fatto scoprire questi assassinii. Per l'amianto alla Sofer di Pozzuoli o alla Ex-Sacilit di Volla o all'AVIS di Castellamare di Stabia o alla ILVA di Taranto; o per Il PVC della Montedison di Castellanza e per la storia dell'Enichem di Manfredonia è stato così. Solo gli operai hanno permesso di mettere in luce il rapporto e la gerarchia di fabbrica che dopo lo sfruttamento quotidiano ti toglie la vita e ti licenzia. Con la copertura di magistrati, sindacalisti, partiti e medici. Di storie come quella della Siapa, a Roma, nel Lazio, ce ne saranno a decine.

- L'Unicem di Guidonia , il più grande cementificio d'Europa, e la lavorazione del materiale per produrre cemento, presenta un alto tasso di tumori e malattie derivate . La paura dei licenziamenti impedisce agli operai del cementificio di far uscire fuori il problema.

- Stessa cosa vale per La Ondulit di Cisterna di Latina per l'amianto.

 

ANCORA AMIANTO: A BARI

Hanno manifestato ieri mattina sotto la sede Inail di Bari per i loro diritti pensionistici.
Sono i lavoratori dell'Ansaldo, dell'Ilva e della ex-Nuova Siet di Taranto, già colpiti da asbestosi, quella particolare forma di tumore polmonare che colpisce chi si espone sistematicamente all'amianto. Hanno gridato la loro rabbia, sventolando ciascuno la propria cartella clinica con la diagnosi di patologia neo-plastica in tutta evidenza. Eppure questi lavoratori, da decenni nei reparti insalubri delle aziende siderurgiche tarantine, si vedono negare i benefici pensionistici previsti per chi lavora a contatto con l'amianto. Denunciano accertamenti fasulli e discriminazioni tra lavoratori nella concessione della pensione, ma anche sistemi clientelari da parte dell'organismo che effettua gli accertamenti e le perizie per conto dell'Inail. Nell'Ilva due settimane fa, nel reparto Pla2, è stato ritrovato un grosso ammasso di amianto, di fronte al terrore dei lavoratori che lì operano da anni, consci di aver inalato da tempo le micidiali microfibre. Insomma, si sentono presi in giro dalle aziende che non effettuano alcun controllo, in barba alla legge, e dall'Inail, che procede con le solite richieste di informazioni supplementari, pur in presenza di diagnosi terribilmente vere.

LAVORO DA MORIRE

Ercolano, Brescia, Cosenza: in un solo giorno due morti e tre feriti Una vittima aveva solo 16 anni. A Ercolano un ragazzo di 16 anni, G.P., è caduto da un'impalcatura mentre tinteggiava la facciata di un palazzo. A San Lucido, un paese in provincia di Cosenza, ha perso la vita Massimo Mannarino, un muratore di 24 anni che è stato sepolto dal crollo di un solaio in ristrutturazione. Altri due gravi incidenti si sono verificati a Brescia - dove due operai sono rimasti gravemente ustionati mentre ispezionavano la cisterna di un distributore di benzina - e nei pressi di Roma, dove un operaio è rimasto ferito mentre lavorava in un cantiere della linea ferroviaria che collega la capitale con Cesano. Nello stesso cantiere si sono già verificati altri due incidenti negli ultimi mesi. Troppa fretta Oltre al mancato rispetto delle norme di sicurezza, una delle cause degli incidenti è nell'aumento dei ritmi e degli orari. E' quanto hanno denunciato ieri i sindacati di categoria della capitale commentando il grave incidente sulla tratta ferroviaria Roma-cesano. "Non è un caso - è scritto in una nota - che l'infortunio sia avvenuto in un cantiere dove si lavora sei giorni alla settimana per 10-12 ore al giorno". Nel caso specifico, il lavoro straordinario è giustificato dall'esigenza di terminare in fretta le opere in vista del Giubileo del 2.000. Così, denunciano i sindacati, "le autorità preposte non impongono il rispetto dei regimi di orario, come se una persona potesse resistere ininterrottamente per due turni consecutivi. Bisogna dire basta a chi continua a strillare per far rispettare i tempi di consegna in vista del Giubileo: è meglio ritardare di un giorno la consegna dei lavori e risparmiare una vita umana".

 

"10 luglio 1999"

 

GENOVA: LA STRAGE CONTINUA

- Due persone sono morte in un incidente sul lavoro avvenuto nel porto di Genova, sulla nave Jolly Rosso ancorata al ponte Nino Ronco del terminal Messina. Le vittime sono il terzo ufficiale di coperta, Emilio Caso, 25 anni, di Ancona, e Giovanni Sorriso, 33 anni, di Torre del
Greco, mozzo. Quest'ultimo e' stato decapitato da in cavo di acciaio a prua, che si e' rotto in fase di attracco della nave... Questa la notizia cruda.
La pericolosità del lavoro nei porti aumenta a seconda di quante persone "girano" attorno alle varie operazioni. La fase di ormeggio, ad esempio, comporta la presenza di almeno cinque o sei marinai attorno ai meccanismi di attracco: quindi, in caso di incidenti, la possibilità che questi vengano coinvolti è alta. Più è grossa, la nave, più lungo è l'ormeggio, anche in presenza di eliche laterali come nel caso della Jolly Rosso.
Ma è durante la fase di carico e scarico che il rischio si impenna, soprattutto per le navi "Ro-Ro", ossia portacontainer capaci anche di ospitare camion e rimorchi. In questo caso, infatti, i contenitori salgono a bordo sui camion e qui vengono scaricati con carrelli e forche. L'operazione è delicata perché le forche devono sostenere carichi di 20/30 tonnellate e quindi è necessaria una squadra di supervisione per il movimento e la sistemazione in base allo scalo di destinazione. Con le merci convenzionali, ossia merci varie, casse, veicoli, strutture o parti in ferro, il numero dei portuali attorno ai congegni raddoppia: infatti ogni merce abbisogna di metodi di imbarco, sollevamento e imballaggio differenti; tutte operazioni da fare a mano. Non solo: casse da 50 tonnellate devono essere bilanciate e quelle sistemate nelle stive sono da pesare e "rizzare" per rendere il carico omogeneo. "Rizzare" significa anche sistemare tacchi in legno (magari da modellare sul momento) tra una cassa e l'altra, infilarsi nelle stive durante il carico. Contrariamente, sulle navi "full-container" i contenitori sono caricati sul ponte con le grandi gru fisse dette "Pacheco": in questo caso i lavoratori sono a buona distanza e il rischio è minimo. Ma non in tutti i porti sono disponibili tali gru e la manovra a carrello resta la più diffusa, così anche in scali dove sono attive le Pacheco arrivano navi "Ro-Ro". Le condizioni della meccanica e della manutenzione dei carrelli, forche e moschettieri, però, non è sempre delle migliori.

 

"18 luglio 1999"

AMIANTO KILLER ALLA FIBRONIT

Due dirigenti della Società Cementifera Fibronit compariranno davanti al giudice per omicidio colposo plurimo. Si tratta di Dino Stringa e Gianfranco Cuniolo, rispettivamente ex-vicepresidente ed amministratore delegato di un'azienda che fino all'86 produceva materiali in fibro-cemento utilizzando amianto. Al centro dell'inchiesta della magistratura ci sono almeno un centinaio di casi di morte di lavoratori per mesotelioma pleurico, quella particolare forma di tumore polmonare in cui degenera l'asbestosi, patologia respiratori direttamente correlata all'inalazione dei micidiali microfilamenti di amianto. Il caso Fibronit torna così a far discutere e ora si spera che l'inchiesta divenga occasione per lanciare uno sguardo sulla presenza ventennale dell'azienda a ridosso di tre quartieri centrali di Bari: Madonnella, Japigia e San Pasquale, qualcosa come 80mila abitanti. I suoi capannoni e piazzali conservano ancora, in pessimo stato di conservazione, manufatti e materiali in fibro-cemento, ormai degradati dagli agenti atmosferici, insieme a grossi cumuli di polvere di amianto e grandi trasformatori contenenti oli esausti altamente tossici.
La Fibronit ha finora provocato oltre 190 decessi tra i lavoratori che sono stati occupati nei suoi reparti nocivi, a contatto con l'amianto, quelle fibre mortali che si insinuano lentamente nell'apparato respiratorio. Una malattia che ha colpito con frequenza anche le mogli di operai che per anni hanno lavato le tute utilizzate in fabbrica. Il caso Fibronit è stato lungamente sottovalutato per i pericoli sull'ambiente e sui cittadini (la fabbrica si trova a pochi passi da una
scuola materna e a 700 metri dalla stazione). Dunque, la sua storia si è intrecciata per anni con quella dei quartieri circostanti, dove i rischi di una contaminazione di massa sono all'ordine del giorno, visti i lunghi periodi di latenza della malattia. Un quadro pressoché ignorato dalle autorità sanitarie, nonostante le grida di allarme che da anni lancia l'Associazione esposti amianto di Bari, che ha sempre chiesto invano un'indagine epidemiologica sui quartieri a rischio.

 

"21 luglio 1999"

REGGIO EMILIA: Sciopero per i morti sul lavoro

La morte sul lavoro è diventata "normale". Nel senso che aumentano gli incidenti e le morti. Ma anche l'indifferenza a questo quotidiano e "individuale" morire. Reggio Emilia conta ormai un morto al mese nel '99, e ben 1600 incidenti. Le due ore di sciopero indette per oggi dai sindacati Cgil, Cisl e Uil (a fine turno) sembrano anch'esse una risposta limitata, di routine. Così come la richiesta di un "tavolo di concertazione" talmente esteso da non responsabilizzare nessuno.
Servirebbe una frustata, un'iniziativa in grado di smuovere coscienze intorpidite, di incidere. "Non deve più accadere..." (lo slogan in testa al volantino per lo sciopero) rischia altrimenti d'essere una frase da ripetere spesso. Intanto il presidio previsto per oggi alle 16,30, davanti alla prefettura di Corso Garibaldi.

 

"23 luglio 1999"

ALLA FIAT TRATTORI DI JESI: NO AD ALTRI SABATI IN FABBRICA

Non faremo altri sabati lavorativi oltre a quelli già obbligati dal contratto nazionale metalmeccanici. Il rifiuto è arrivato dalle Marche, dagli operai della Fiat Trattori di Jesi, la New Holland, una delle industrie più grandi della provincia di Ancona. Ed è stato non solo un no all'azienda, ma soprattutto alla rappresentanza sindacale interna che con l'azienda aveva trattato.
Bocciata con 287 no contro 237 sì la proposta della Rsu di altri 4 sabati lavorativi (la Fiat ne aveva chiesti 5) entro l'anno per addetto, che dovevano andare ad aggiungersi ai 3 previsti per contratto, essendone già stato consumato uno nei primi mesi dell'anno. Secondo la New Holland - che dopo la fusione con la multinazionale americana Case è diventato il secondo gruppo mondiale per scavatrici e trattori - dopo le difficoltà di mercato del primo semestre '99, è ora necessario un ciclo continuo di produzione per la ripresa delle vendite e per il lancio di modelli agricoli più sofisticati. Nella trattativa, però, la dirigenza aziendale ha mantenuto un atteggiamento rigidissimo - questa l'accusa dei sindacati confederali che sono stati i primi, comunque, a pagare per quel tentativo di accordo. Rigida l'azienda su una richiesta di busta paga più pesante per giustificare le 28 ore in più per operaio: la trattativa si è fermata a 55.000 lire in più e in totale per i 4 sabati, più l'indennità di straordinario. Troppo poco, in particolare per i turnisti per i quali l'accordo significherebbe lavorare ogni sabato da qui a fine anno. Così come taccagna è apparsa l'offerta di incremento occupazionale dello stabilimento jesino, il più grande in Italia della New Holland e che da 3 anni non fa assunzioni: a fronte di un aumento della produzione e dei ritmi alle linee, solo 10 nuovi addetti e 30 interinali.
Polemizza da Torino la Fiat: l'accordo è stato bocciato perché è stato impedito agli impiegati di votare, un'ottantina su 780 lavoratori. Replicano i confederali, pur scossi dalla bocciatura: gli impiegati non hanno mai votato una cosa che non li riguarda né li riguarderà, in compenso hanno votato tutti i capi. L'Rsu non si è dimessa e ha rinviato confronto e problemi a ottobre, quando termineranno i sabati contrattualmente a disposizione dell'azienda. Solo una tregua estiva apparente. Nel frattempo il Cobas interno rivendica la vittoria dei no: avevamo ragione a rifiutare l'intesa.


IN SCIOPERO I LAVORATORI DELL'AEROPORTO Catullo

Turni di lavoro massacranti e non concordati, ferie e riposi che saltano, richieste continue di lavoro straordinario, contratti a tempo determinato che non diventano assunzioni neanche dopo 5 anni di "stagionalità": i lavoratori dell'aeroporto Valerio Catullo di Verona-Villafranca hanno detto basta. Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti-Uil, dopo le assemblea con gli aeroportuali, hanno indetto uno sciopero per lunedì 26 luglio prossimo. Nell'aeroporto Catullo, con un indotto miliardario e governato dal potentissimo Massimo Ferro - presidente dell'Assoaeroporti e della Camera di Commercio di Verona - si vive e lavora in un continua emergenza: 160 addetti fissi e 105 "stagionali" (15 giorni l'anno a casa per non essere assunti), fuori del contratto nazionale che fissa al 10% il tetto massimo di lavoratori a tempo determinato. Gli "stagionali" svolgono mansioni anche delicatissime, come il 'centraggio' (il bilanciamento degli aerei) e la 'rampa' (il lavoro in pista). Sindacati e lavoratori chiedono assunzioni immediate, parità di trattamento normativo ed economico per la medesima attività. Queste condizioni di lavoro - dicono - mettono a serio rischio la sicurezza e la qualità del servizio; "vogliamo uscire da questa perpetua emergenza e chiediamo all'azienda che applichi e rispetti gli accordi stipulati a suo tempo con le organizzazioni sindacali di categoria. Non è più possibile che i turni contengano un sacco di ore straordinarie programmate, ma non concordate con i lavoratori". Per questo i lavoratori del Catullo, cui sono stati chiesti recentemente sacrifici notevoli (con orari giornalieri anche di 11-12 ore), hanno deciso di spezzare l'incanto dell'azienda "fiore all'occhiello" di una città forse troppo ricca e indifferente per occuparsi dei diritti dei lavoratori.