NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE |
Agosto '99 |
Un anno niente male, il 1998, per le imprese italiane: il fatturato non e' cresciuto di molto, ma grazie anche al minor carico fiscale legato all'arrivo dell'Irap, gli utili netti sono cresciuti del 53 per cento. E meglio di tutte, ma non e' una novita', sono andate le imprese pubbliche.
Per le quali il processo di dismissione, di cessione di rami d'azienda ecc.
significa riduzione dei costi interni, ossia una appetibilita' maggiore per gli acquirenti delle imprese stesse. Altra cosa e' il costo complessivo, che si innalza a causa dell'aumento di partecipanti al "banchetto" spartitorio.
Aumentano le societa' di "gruppo", diminuiscono le garanzie per i dipendenti, aumentano i privilegi per i dirigenti.
Nessuna novita', invece, per l'occupazione: seguita a diminuire. Un solo dato: tra il 1989 e il 1998, tra le 1755 imprese censite dall'indagine annuale di Mediobanca resa nota ieri, il numero dei dipendenti e' sceso di quasi 300 mila unita'.
Il campione analizzato da Mediobanca nel rapporto sui "Dati cumulativi di 1765 societa' italiane" include, tra l'altro, 1.675 aziende manifatturiere, tra le quali tutte quelle di grandi dimensioni, che rappresentano il 42% del fatturato complessivo e del valore aggiunto delle 46 mila imprese industriali con piu' di venti addetti censite dall'Istat nel 1994. Insomma, un buon campione, "significativo", la cui quota sulle vendite all'esportazione e' pari al 45% e quella sugli investimenti fissi lordi del 58%, mentre gli occupati rappresentano il 32 per cento.
La crescita modesta del fatturato e' stata trainata soprattutto dalle esportazioni, il cui valore e' salito del 2,7%, mentre le vendite domestiche segnano un modesto +0,4 per cento. Il dato dell'export, tuttavia, non e' brillante, visti i precedenti tassi di crescita che, a partire dal '93, dopo la svalutazione della lira, hanno fatto segnare un boom. Tanto che la quota di fatturato all'estero e' salita tra il '92 e il '97 dal 19,4 al 26,2 per cento, per raggiungere quota 26,7% nel '98.
Il costo del lavoro viene registrato in diminuzione sia nelle imprese industriali (-0,2%) che nel terziario (-1,7%) ma occorre tenere presente che nel frattempo e' intervenuta l'Irap che ha eliminato una serie di oneri, favorendo la crescita degli utili netti. Il costo del lavoro per addetto e' invece cresciuto dello 0,6 per cento. Da sottolineare come gli utili rappresentino una quota pari al 15,4% del capitale netto medio (era il 9,6% nel '97), mentre l'aliquota fiscale media che colpisce le imprese e' scesa tra il '97 e il '98 dal 54 al 43,1 per cento. Questo ha consentito alle imprese di migliorare il rapporto tra debiti finanziari e capitale netto che e' sceso a 0,90 (90 centesimi di debiti per ogni lira di capitale) il livello piu' basso dell'ultimo decennio. Il totale dei debito rispetto al capitale netto e' invece sceso a 2,1 (2,3 nel '97)
Da tempo segnaliamo come sia sul terreno dell'aumento assoluto del saggio di sfruttamento che si gioca la partita della rivalutazione del capitale in questa fase di crisi. In questo senso vanno tutte le iniziative governative e padronali che mirano a tagliare i diritti degli occupati (presenti e futuri), riducendone cosi' il costo, e nello stesso tempo aumentarne la ricattabilita' per poter conseguire l'obiettivo di aumentare la produttivita' diretta, ossia relativa all'orario lavorato (essendo gia' aumentata quella relativa all'uso di piu' elevata tecnologia).
Esperimenti in questa direzione sono anche quelli estivi in cui si diletta la giunta milanese.
Cosa c'e' davvero dentro il "patto per il lavoro nella citta' di Milano", sottoscritto il 29 luglio da Comune, associazioni imprenditoriali e delle cooperative, sindacati, ma non dalla Cgil? Si capisce bene dalle sette cartelle degli allegati "segreti" alla pre-intesa che prefigurano, in
anticipo su una trattativa formalmente aggiornata a settembre, forme e metodi della flessibilita' aggiuntiva (rispetto alla molta gia' a disposizione), vera ciccia del patto per il lavoro. Si capisce tutto leggendo le dichiarazioni del sindaco Gabriele Albertini al Sole 24 ore del 27 luglio: l'obiettivo del patto e' favorire l'ingresso nel mondo del lavoro, soprattutto degli immigrati ma non solo, "a condizioni meno pesanti per le aziende garantendo retribuzioni inferiori (e quindi anche contribuzione ridotta) rispetto a quelle contrattuali, flessibilita' d'impiego con contratti della durata massima di due anni e possibilita' di risoluzione in ogni momento".
Contratti "leggeri" li chiama il sindaco: a misura della leggerezza Albertini l'ha da' poche righe sotto, quando precisa che il salario andra' dalle "600 alle 800 mila lire al mese". Queste le perle contenute nello scrigno degli allegati. Contratti leggeri - come se gia' non lo fossero - per il lavoro parasubordinato e interinale che devono diventare le tipologie dominanti di lavoro. Contratti a termine fino a due anni (il limite vigente e' di sei mesi). Il datore di lavoro non ha l'obbligo di giustificare perché l'assunzione e' a termine, basta l'accettazione "soggettiva" del lavoratore.
Salta anche l'obbligo per le imprese a rispettare le percentuali fissate dai vari contratti di categoria, in base alle quali gli assunti a termine non possono superare una certa percentuale del totale dei dipendenti.
Due le conseguenze automatiche di questo doppio scempio: si sottrae materia alla contrattazione nazionale e chi viene assunto a queste condizioni e' sempre licenziabile senza giusta causa (anche se lavora in aziende con piu' di 15 dipendenti, senza bisogno del referendum Bonino-Pannella). Ancora: contratti di formazione lavoro senza certezza di assunzione e con un salario inferiore di due categorie (non di una, come prevede la legge) rispetto alla mansione svolta.
Uno scarto di due livelli anche per i contratti di inserimento; in questo caso, la penalizzazione salariale durera' per ben quattro anni. L'ambizione del patto non e' quella di far cancellare i graffiti da una dozzina di ultraprecari pagati a poco prezzo. E' quella di tirare una riga, segnare uno spartiacque, dire che per il futuro esistera' solo questo modo di lavorare. Il Comune si spogliera' del ruolo di fornitore diretto di servizi, diventera' un ente che si limita a mettere a disposizione di altri soggetti imprenditoriali una "griglia di flessibilita'".
Questa e' la posta in gioco.
Il governo ha messo a punto un documento (Piano d'azione nazionale per l'occupazione) sul quale avviera' la concertazione in settembre con le parti sociali. L'obiettivo del piano e' rendere piu' flessibile il mercato del lavoro, riformare il sistema degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all'occupazione, ridurre il carico fiscale e contributivo.
Si tratta dell'estensione a livello nazionale di progetti come quello sopra esposto di Albertini.
I 200 mila posti di lavoro creati negli ultimi 15 mesi, e' scritto nel documento, "non sono sufficienti e modificare un quadro generale che permane negativo" e sul quale pesa soprattutto il problema del Mezzogiorno nel quale la disoccupazione e' il triplo di quella del Centro-Nord.
Nell'immediato si tratta di elevare la percentuale di lavoratori a orario ridotto dal 7,3% del 1998 ad almeno l'8% del totale degli occupati entro la fine del '99. Con questa crescita si stima possano essere creati almeno 100 mila nuovi posti di lavoro.
Non fa una grinza: nessuna perplessita' sul fatto che questi lavoratori ad orario ridotto abbiano anche salario ridotto, pur dovendo campare sempre alle medesime condizioni degli altri. Inoltre, qui non si dice, ma anche le condizioni di fornitura della forza lavoro sono a ridotta garanzia per il prestatore, mentre, anche con la suddetta defiscalizzazione, le garanzie aumentano per i padroni.
Ma il documento punta molto piu' in alto e come obiettivo di medio periodo vi e' quello di avvicinare il lavoro part time in Italia al valore medio europeo: il 16,9% degli occupati dipendenti. Non vengono, invece, esplicitate le strategie (riforme normative, incentivi fiscali e
previdenziali) con le quali il governo favorira' il part-time (che potrebbe, teoricamente, coinvolgere anche lavoratori pensionabili, come approvato in Germania).
Nell'anno scorso 260 mila disoccupati hanno frequentato corsi di formazione; 140.736 sono stati impiegati in lavori socialmente utili; 62.827 hanno ottenuto una borsa di studio; 67.590 in cassa integrazione, mobilita' o disoccupati di lunga durata, hanno avuto assunzioni agevolate; 42.735 sono state le assunzioni incentivate con credito d'imposta per le piccole e medie imprese nelle aree svantaggiate; 34.767 hanno fatto stage e tirocini; 36 mila sono stati coinvolti in piani di inserimento professionale; 3.360 hanno avuto prestiti d'onore; 5.644 sono stati interessati da contratti di solidarieta'; 19.500 lavoratori svantaggiati hanno trovato lavoro nelle cooperative sociali; 5.550 sono stati i beneficiari dell'imprenditoria femminile. Infine 47.337 interventi hanno riguardato iniziative regionali di politica attiva.
Insomma, ce n'e' per tutti i gusti. Anche se gli imprenditori preferiscono il gusto della flessibilita': il contratto a tempo determinato nel '98 ha interessato il 25% nei neo assunti delle piccole imprese e il 33% nelle grandi; i contratti a tempo parziale riguardano oltre il 20% dei nuovi
ingressi nelle aziende.
L'Elettrolux Zanussi, nonostante gli utili netti in aumento, mette sul mercato cinque fabbriche tra Veneto e Friuli e sposta 200 manager a Bruxelles al fine di cambiare l'assetto strategico del gruppo. Oltre a quelle italiane, verranno chiuse le fabbriche di componentistica in Messico, Germania, Spagna, Austria, Nord America, Cina, Egitto e Iran:
complessivamente 10.000 lavoratori. Nel nostro Paese la decisione riguarda i 1309 dipendenti della fabbrica di compressori di Mel (provincia di Belluno), i 246 di quella che produce motori per compressori a Rovigo, i 146 dell'Infa di Aviano, i 65 della Metallurgica di Maniago e i 737 addetti della Sole di Pordenone (motori elettrici). 770 miliardi di giro d'affari.
VESPA invece diventa un marchio USA: la Piaggio infatti conferma la vendita dell'azienda al gruppo americano TPG, gia' acquirente della Ducati. La TPG e', per inciso, un "fondo d'investimenti" che rileva le aziende piu' disparate, le "risana" a norma di FMI con metodi bruschi e antioperai e poi le rivende per realizzare il massimo.
Con il rinvio a giudizio per tentata violenza privata di Emilio Riva e di suo figlio Claudio sembra chiarirsi lo scenario che fa da sfondo alla vicenda della Palazzina Laf dell'Ilva di Taranto, dove lavoratori "sgraditi" vennero confinati, ed ora, dopo la chiusura imposta dal pretore, sono tenuti
a casa pur in presenza di retribuzione.
"Era ora", ha subito commentato Filippo Fagherazzi, portavoce del Comitato confinati Palazzina Laf. "Al di là del processo - dice - ci interessa che la direzione riveda le sue posizioni e metta mano ad un comportamento più umano. Siamo nel 2000 e non si può continuare a fare il padrone delle ferriere. Aspettiamo che succeda qualcosa e intanto continuiamo a stare a
casa. Tutto questo è inaccettabile, ma ormai ce ne stiamo dando una ragione".
La vicenda della Palazzina Laf, dal nome del laminatoio a freddo in cui si trova l'immobile, prende corpo un paio di anni fa, ufficialmente per esigenze di servizio e di spostamento provvisorio di alcuni lavoratori. Guarda caso, ad essere tenuti isolati otto ore al giorno, in uffici
sprovvisti finanche del telefono, sono figure professionali di ottavo livello, ingegneri e tecnici con trent'anni di Ilva alle spalle, dirigenti in qualche modo non in linea con il massiccio e violento processo di ristrutturazione avviato da Emilio Riva dopo la privatizzazione dell'ex colosso dell'acciaio di Stato. I lavoratori interessati sono tuttora una settantina, anche alcuni sindacalisti, in genere dipendenti che non si erano dimostrati sufficientemente disponibili verso l'azienda. Riscontri raccapriccianti sugli esiti dell'isolamento nel reparto-confino sulla salute di alcuni lavoratori sono divenuti anche oggetto di indagine da parte del Centro salute mentale dell'Asl-Ta1.
Molti di essi presentavano un gravissimo stato depressivo, con evidenti intenzioni suicide. Le denunce non sono mancate, da quelle insistenti dello Slai-Cobas a quelle tardive dei sindacati confederali, ma la direzione ha sempre risposto picche. Un forte clima di impunità per il gruppo Riva ha sempre accompagnato tutta la vicenda fino al giorno del sequestro dell'immobile, lo scorso 8 novembre.
Dal 1993 i governi succedutisi, in nome della ristrutturazione del sistema statale - ma più concretamente in nome dei profitti e del rafforzamento della classe al potere - hanno attaccato le pensioni come non mai.
Non si tratta solo di far valere il principio del dominio del capitale - attraverso il suo stato - sui lavoratori anche quando non sono più in produzione; si tratta in realtà di recuperare profitti dal salario differito, laddove non è - ancora - possibile approfondire il salasso dei salari o aumentare oltre misura lo sfruttamento relativo e assoluto. Le pensioni sono pur sempre salario da lavoro dipendente.
La Spi-Cgil, il sindacato dei pensionati, ha ricordato che negli ultimi sei anni sulle pensioni ha stata fatta una manovra complessiva che supera i 200 mila miliardi. Il messaggio che ne deriva è chiarissimo: di fronte a certe cifre, appare ingiustificato un ennesimo intervento sul sistema
previdenziale. Le cifre, infatti, sono enormi: dal 1993 a tutto il 1999, i tagli previsti dalle varie riforme hanno permesso di conseguire 144 mila miliardi di risparmio nella spesa previdenziale. Sempre dal '93 le maggiori entrate contributive ammontano a 50 mila miliardi.
L'appendice della casa madre di Pontedera - l'Almec di Nusco - pare non sia nel pacchetto di vendita alla Texas Pacific Gropu (TPG) e forse sarà ceduta a un'azienda del settore della pressofusione; un nome ancora top secret per la direzione della casa madre che tiene sulle spine il sindacato e i circa 400 addetti. L'Almec (rilevata e rilanciata anni fa dal gruppo di Pontedera)
è situata nell'area industriale di Nusco, in Alta Irpinia, in una delle aree industriali nate dopo il terremoto del 1980. Allora si vociferò persino di un passaggio di gran parte del gruppo in quel di Nusco, ma una sollevazione popolare a Pontedera bloccò la proposta (o forse il ricatto verso una combattiva classe operaia). Nell'area di Nusco è concentrato il lavoro più duro e malsano del gruppo toscano: la fonderia. Attualmente si producono tutti i pezzi in alluminio non solo per la fabbrica madre ma anche su commesse di Fiat, Rover, Renault e altri. La fabbrica di Nusco, anche se è una delle poche fabbriche frutto del post-terremoto in Irpinia che produce e anzi incrementa gli investimenti, resta non solo un'appendice di Pontedera ma più precisamente un "ghetto", dove si svolgono i lavori più pesanti che la classe operaia toscana cominciava da tempo a rifiutare. Perciò è stata difficile in questi anni la sindacalizzazione, stanti i continui ricatti della direzione aziendale.
Gli scioperi sulla salute degli anni scorsi, spesso condotti dagli operai in contrasto con i sindacati, sono stati la prima spallata all'arroganza aziendale. Scioperi che hanno obbligato la Piaggio a dotarsi degli impianti di aspirazione (gli operai lavoravano sommersi da fumi nocivi) e hanno posto le basi per buon un lavoro sindacale futuro. Su sei delegati delle Rsu ben tre sono della Fiom. E parte proprio da questo sindacato dei metalmeccanici la denuncia e l'interrogativo angoscioso (siamo in una zona ad alto tasso di disoccupazione oltre che di nuova emigrazione) sul futuro dell'Almec .