Notizie dalla lotta di classe |
Ottobre 2001 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Da una parte General Electric. Dall'altra i quattordici
cassintegrati del Nuovo Pignone, reintegrati in agosto dal tribunale del lavoro
ma di nuovo messi in mobilità dalla direzione dell'(ex) fabbrica gioiello di
componenti meccaniche ad alta tecnologia, svenduta a G.E. negli anni '90. Da una
parte una multinazionale che nel 2000 ha fatturato 300mila miliardi di lire, con
un utile di 27mila miliardi e capitalizzazione in borsa pari a 850mila miliardi.
Dall'altra l'operaio Quintilio Cherubini, che è padre di tre ragazzi e non
accetta di essere pensionato a 50 anni ad un milione e 300mila lire al mese.
Ci sono anche tutti i lavoratori superstiti di una strategia d'azione fatta di
esternalizzazioni di periodiche "ristrutturazioni" messe in atto con
il placet più o meno convinto degli enti locali e dei sindacati confederali.
Dipendenti impauriti di perdere a loro volta il lavoro, ma che alla fine si sono
ribellati, con uno sciopero di mezz'ora, ed un'assemblea.
L'operaio Cherubini parla di persecuzione. Il comunicato della Rsu del Pignone
lo conferma: "L'azienda ci ha comunicato la decisione di non reintegrare in
maniera cautelare, come stabilito dal Tribunale di Firenze, i 14 lavoratori
messi in mobilità a marzo. La direzione aziendale aprirà una nuova mobilità
ordinaria per 13 di loro, e una restante mobilità lunga per il quattordicesimo.
E' una decisione grave, che va contro una sentenza esecutiva della
magistratura".
La storia dei 14 cassintegrati nasce nel 1999, quando la penultima
ristrutturazione porta alla cassa integrazione per 221 lavoratori. In una
realtà produttiva con un bilancio del Nuovo Pignone che aveva segnato nel 1998
un utile di un migliaio di miliardi di lire. Prepensionamenti, outplacement,
incentivi e corsi di formazione per recuperare alcuni dipendenti nel ciclo
produttivo, riducono in parte gli effetti della "cura dimagrante". Ma
quando nella primavera 2001 scade la cig, in sedici restano fuori. L'azienda
approfitta di un nuovo ricorso alla mobilità per inserirli in una lista di 94
esuberi.
I soldi per rinnovare i contratti del pubblico impiego in
scadenza a fine anno non basteranno: mancano all'appello circa 2500 miliardi.
Blocco delle assunzioni a tempo indeterminato e relativo blocco di tutti i
concorsi (anche se è ancora da capire che cosa si deciderà per i concorsi già
banditi). Riorganizzazione nella scuola che penalizza centinaia di insegnanti e
non risolve i problemi in modo strutturale e duraturo. Sono questi alcuni dei
punti dell'impianto della finanziaria 2002.
I rappresentati dei sindacati di categoria del pubblico impiego e i segretari
nazionali confederali che si occupano del settore pubblico hanno stato deciso lo
"stato di agitazione". Secondo i sindacati, la finanziaria del governo
Berlusconi viola l'impianto della contrattazione collettiva e - con il blocco e
la riduzione dell'occupazione, che si uniscono al taglio delle risorse per gli
enti e gli istituti di ricerca - sono "la premessa di quel processo di
privatizzazione" ipotizzato dalla finanziaria.
La finanziaria contiene molti aspetti gravi: uno riguarda la destrutturazione
del sistema pubblico, un secondo una sorta di violenza alla contrattazione: per
legge si definiscono norme e non si danno risorse né per la contrattazione
nazionale, né per il recupero del differenziale di inflazione, né per la
contrattazione integrativa.
In generale, per quanto riguarda il contratto del pubblico impiego che risulta
ancora aperto il governo ha deciso di stanziare 5000 miliardi. I sindacati
avevano invece calcolato una cifra intorno ai 7-7500 miliardi. Cifre così
contrastanti e distanti sono dovute al 2,1% di differenziale di inflazione che
è rappresentato dal dato di aumento del costo della vita "importato",
pari appunto al 2,1%. Tradotta in cifre questa "forbice" tra l'offerta
del governo e le richieste del sindacato si traduce appunto in circa 2500
miliardi.
Sono perlopiù donne - oltre il 70% dei lavoratori del settore
- con un netto più basso rispetto a molte altre categorie operaie - 1 milione e
500-600 mila lire - e un comparto straziato dalla terziarizzazione: le grosse
marche fanno grandi profitti, mentre le aziende che lavorano su commissione
spesso arrancano, si trasferiscono all'estero e si rifanno a spese di chi lavora
direttamente sul prodotto. Gli 800 mila tessili italiani si preparano al rinnovo
del biennio economico (scade il 31 dicembre), con un futuro assolutamente
incerto, una bassa presenza sindacale in molte zone d'Italia e con la Cgil di
categoria che non sa ancora se appoggerà la Fiom nello sciopero nazionale del
prossimo 9 novembre, dove verrà al pettine il nodo della democrazia nei luoghi
di lavoro.
Cotone, lana, seta, maglieria, scarpe, giocattoli, ombrelli, una parte
consistente del made in Italy oggi viene prodotto in Romania, Tunisia, Egitto,
dove il lavoro costa meno e i diritti sociali sono ancora a uno stadio arretrato
rispetto al nostro paese. L'ultima riunione dell'Assindustria trevigiana, per
esempio, è stata tenuta a Timisoara. Eppure, dall'altro lato, le produzioni di
alta qualità, per grosse griffes come Gucci o Prada, stanno ritornando a poco a
poco in Italia. Ma il settore resta comunque in difficoltà. La contrattazione
di secondo livello non è mai decollata, ed è ferma al 28% degli addetti, con
la maggior parte dei contratti integrativi siglati nel centro-nord. Al sud, il
sindacato è più debole.
Filtea Cgil, Femca Cisl e Uilta hanno presentato la loro piattaforma: le
richieste di aumento, 160-165 mila lire, pari a un incremento del 6% della
retribuzione. L'aumento in busta paga potrebbe essere
ancora più esiguo, riducendosi da 160-165 mila lire a 150-155 mila lire, se
fossero istituiti i nuovi livelli professionali intermedi, così come è già
stato previsto dal rinnovo quadriennale siglato due anni fa.
Ventuno giornalisti, quasi tutti dipendenti a tempo indeterminato della società spagnola LaNetro, con sede a Milano sono stati licenziati in tronco. La società, affermata nel campo dell'editoria on line nella penisola iberica e in Sudamerica, ha aperto una filiale anche in Italia. I "giornalisti" di questa redazione inserivano in un sito un breve testo. Gli straordinari (diverse ore al giorno nel primo periodo di attività) venivano pagati a forfait e il contratto prevedeva l'incredibile patto di concorrenza. Una specie di truffa: se un dipendente decideva di passare a una società concorrente doveva pagare a LaNetro una percentuale degli stipendi già incassati. La filiale italiana era in perdita: non c'erano entrate. I giornalisti non ci stanno e sono in assemblea permanente. Non si sono fatti intimorire dalla polizia giunta in redazione.
In agosto le retribuzioni contrattuali sono aumentate del 2,5% rispetto all'agosto 2000: ancora una volta meno del costo della vita (+2,8% nello stesso mese). Rispetto al mese di luglio, le retribuzioni, conferma l'Istat, non hanno segnato alcun aumento.
Già si preannunciavano difficili, queste elezioni per le Rsu
(rappresentanze sindacali unitarie) alla Fiat di Melfi: l'episodio di selvaggia
violenza su un delegato della Fiom ad opera di un capo aziendale le ha
ulteriormente surriscaldate. Nel primo turno di martedì tre delegati sindacali
della Fiom, che svolgevano la loro normale attività di controllo elettorale, si
sono imbattuti, nel reparto montaggio, in una ennesima e pericolosa imposizione
del movimento delle vetture alla fine del ciclo. Ai lavoratori veniva imposto di
movimentare le vetture con il motore acceso in un'area dove è proibito per
regole contrattuali e dalla legge 626 sulla tutela della salute.
Il delegato Fiom Rosario Palandra, che ha cercato di protestare per l'accaduto,
è stato investito da una vettura guidata dal gestore operativo (è praticamente
il capo di sette capi Ute e controlla 280 lavoratori) Stefano Matera. Soccorso e
portato in ospedale, a Rosario è stato diagnosticato un trauma al ginocchio e
un periodo di dieci giorni di riposo. Ora è a casa sua, ad Accadia (Foggia), a
44 chilometri dallo stabilimento di Melfi.
"Eravamo in giro - racconta Rosario - per una perlustrazione nei seggi
elettorali quando siamo passati per la Ute 16 dove arrivano le vetture già
finite. Le auto dovrebbero essere trasportate da un gancio a motore spento per
evitare ai lavoratori di essere intossicati. Invece ne avevano già trasportate
una decina a motore acceso e continuavano con le altre. Ho fatto notare al
gestore operativo che non potevano fare quel tipo di lavoro. Per tutta risposta
mi ha affrontato con un arrogante e perentorio 'dovete sparire ché qui dobbiamo
fare macchine'. E hanno continuato, con l'unica furba accortezza di spegnere i
motori, appena arrivavano al nostro cospetto, e spingere le vetture a mano,
pratica anch'essa proibita dal contratto e dalla legge. Una di queste macchine,
dove vi era il Matera alla guida, mi ha investito storcendomi la gamba e
buttandomi per terra".
Rosario, che ha 33 ani e lavora da 8 in Fiat, è amareggiato, ma non è tipo da
resa facile: "Sindacati di comodo - prosegue - portano acqua alle solite
armi che usa la Fiat in queste zone: il contentino da una parte e le minacce
dall'altra. E' stato davvero stomachevole vedere, in questi giorni di elezioni,
rappresentanti di alcuni sindacati sempre ligi alle richieste Fiat, portare con
mano i lavoratori a votare nei seggi mentre l'azienda faceva i suoi porci comodi
altrove. Tutto il mondo Fiat è sfruttamento ma qui si esagera, si sentono
autorizzati persino alla violenza. Hanno però fatto male i loro conti: ho
lavorato in Germania dall'età di 16 anni, sono abituato a battermi per i
diritti dei lavoratori e anche adesso andrò avanti sino alla fine. E' una
questione di dignità umana".
Ma è anche una questione forte per la Fiom che ha diramato un duro comunicato
di protesta in cui, come prima richiesta alla Fiat, c'è la rimozione del capo
responsabile dell'accaduto dalle sue funzioni. La Fiom inquadra l'episodio di
violenza nel clima generale in cui sono state preparate e si stanno svolgendo le
elezioni per le Rsu a Melfi. Già bloccate dalla magistratura a giugno per un
ricorso dei Cobas, le elezioni vedono la partecipazioni di 7 liste (Fim, Fiom,
Uilm, Fismic,Ugl, Cobas, Cisal).
Le due ultime settimane di ottobre 20 mila dei 34 mila addetti
della Fiat auto le passeranno in cassa integrazione. Effetto della crisi
mondiale dopo gli attentati dell'11 settembre, ha detto il Lingotto. Per l'Alfa
di Arese, la cenerentola dove le cose vanno sempre peggio che altrove, la
razione di cassa integrazione è doppia. E se le Torri gemelle fossero ancora in
piedi, si sarebbe fatta ugualmente. Il ricorso alla Cig, infatti, è la norma in
uno stabilimento che la Fiat da un pezzo ha deciso di chiudere. Quattro le
settimane di cig per i 700 lavoratori delle carrozzerie dove si assembla il
Vamia (le uniche vetture che, con una media di 15 al giorno, escono da Arese).
Tre settimane di Cig per 400 colletti blu delle meccaniche, dove si produce il
motore 6 cilindri. Il dentro-fuori continuerà fino alla fine dell'anno.
I lavoratori di Arese sciopereranno per due ore. E' uno sciopero unitario nella
sostanza, anche se indetto separatamente dalla Fiom e dalle organizzazioni di
base, Slai Cobas e Flmu. Fim e Uilm, ormai ridotte al lumicino, sono rimaste in
silenzio.
La Fiat ha venduto per 400 miliardi tutta l'area di Arese - compresi i capannoni
che sta ancora usando - al bresciano Riccardo Conti, rappresentante della
misteriosa immobiliare Belfiore. Il mistero si è in parte chiarito in seguito,
quando Belfiore ha fatto una joint venture con il colosso statunitense
Aig-Lincoln. La grana e il know how per il polo logistico ce la metterebbe
quest'ultimo. C'è un piccolo problema: tutti gli accordi di programma,
sottoscritti dalla Fiat con ministeri, Regione ed enti locali, vincolano l'area
di Arese a uso industriale. Un polo logistico non è industria e la Fiat sta
usando i suoi poteri di convincimento per rimuovere l'ostacolo. Una volta
ottenuto dalle istituzioni l'ok al polo logistico, tirerà giù la saracinesca
ad Arese.
Cosa pensano Fiom e Slai di questa soluzione? "L'esperienza delle aziende
che dovevano installarsi nell'area già dismessa è stata fallimentare. La
Rottamfer ha appena licenziato 50 ex lavoratori Alfa", dice la Fiom. E lo
Slai aggiunge: "Il presidente del Consorzio per la reindustrializzazione ci
ha detto che in un polo logistico il massimo d'industria sarà attaccare i
bottoni alle giacche e le cerniere ai pantaloni. Non ci interessa, noi vogliamo
continuare a fare automobili".
L'Avvocato Gianni Agnelli in persona ha annunciato lacrime e
sangue: per effetto della crisi provocata dagli attentati terroristici
"ridurremo la produzione di macchine di 100 mila unità entro la fine
dell'anno e questo avrà conseguenze economiche". E comporterà "una
nuova cassa integrazione". "Non c'è dubbio - ha detto il presidente
onorario della Fiat - che le ultime 3-4 settimane abbiamo registrato un notevole
calo degli ordini".
La direzione Fiat, dal Lingotto, butta acqua sul fuoco. Alla domanda sul perché
nell'arco di pochi giorni la contrazione della produzione sia passata da 30 a
100 mila vetture, rispondono: avevamo detto 30 mila auto in meno a ottobre, dopo
ottobre arriva novembre e dopo novembre dicembre. I dati sul crollo degli
ordinativi dopo gli attentati in Usa - -35% - sono noti ed eloquenti. Per la
Fiom la crisi della Fiat viene da più lontano, e si teme che l'azienda usi la
crisi internazionale per coprire le sue difficoltà strutturali. Se a novembre e
dicembre la ricetta del Lingotto sarà la stessa di quella decisa a ottobre,
altri 35 mila lavoratori finiranno in cassa integrazione (20 mila per una
settimana, 15 per un'altra). Se invece la riduzione di 100 mila auto non fosse
limitata all'ultimo trimestre del 2001, il colpo sull'occupazione sarebbe
pesantissimo, soprattutto a Torino dove si producono 450 mila vetture l'anno,
proprio quelle più colpite dai tagli (si salverebbero solo la Stilo prodotta a
Cassino e l'Alfa 147 prodotta a Pomigliano). In questa seconda ipotesi, il 25%
della forza lavoro sabauda sarebbe a rischio. A tutto ciò va aggiunto che per
ogni lavoratore Fiat che si ferma ce ne sono altri 3-4 ricacciati a casa nella
componentistica e nelle aziende terziarizzate. Alla Pininfarina l'ex presidente
di Federmeccanica ha annunciato 500 esuberi prima dell'11 settembre, e oggi
precisa che gli effetti della crisi dell'auto e della Fiat potrebbero aggravare
la situazione. E ancora, nessuna speranza per centinaia di giovani operai
assunti con forme atipiche, a termine, di veder rinnovato il contratto. Infine,
delle 800 nuove assunzioni a Cassino, promesse a Fim e Uilm perché firmassero
un accordo separato, non se n'è più saputo nulla.
Sabato 13 ottobre i lavoratori della Rinascente sciopereranno per il rinnovo del contratto integrativo aziendale, scaduto da 21 mesi. Secondo gli organizzatori - Filcams, Fisascat e Uiltucs - lo sciopero si è reso necessario perché la direzione aziendale ha risposto in modo negativo su tutti i punti nevralgici della piattaforma, proponendo una linea che privilegia il rapporto tra singolo lavoratore e impresa.
I sindacati bocciano la decisione della Piaggio di ridurre gli organici per complessivi 200 dipendenti tra operai, impiegati e dirigenti. La direzione aziendale lega le mobilità alle difficoltà congiunturali della casa di Pontedera, che al momento ha 3.800 dipendenti. Il management puntualizza che gli esuberi - due terzi dei quali in fabbrica, il resto nella rete commerciale - avverranno ricorrendo in buona parte a strumenti di accompagnamento alla pensione. I sindacati replicano che l'annuncio è stato dato proprio mentre la trattativa per il rinnovo del contratto integrativo, in stallo da mesi, stava ripartendo.
"Allegri, allegri" con Allegrill. Ma dietro la
pubblicità c'è il ciclo industriale del pollo, una crudeltà seriale che mette
a disagio anche i carnivori più incalliti. Dietro le quinte ci sono anche le
dure condizioni di chi è costretto a fare, nella puzza e nell'umidità, un
lavoro sgradevole. Condizioni che padron Amadori cerca, se possibile, di
peggiorare.
Il gruppo Amadori, nato a Cesena, si è ingrandito nel tempo acquisendo
allevamenti e macelli in tutt'Italia. Ha 8 mila dipendenti e dei 2.000 in forza
a Cesena 1.400 sono avventizi (lavorano quando servono, 101 giorni all'anno
senza calendario prestabilito). Negli allevamenti e nei macelli che rileva
Amadori cerca d'introdurre l'avventiziato, che fa retrocedere gli addetti dal
comparto della trasformazione alimentare a quello dell'agricoltura. Ci sta
provando da tre anni anche all'Avicola San Martino di Cazzago (Brescia), dove
lavorano un centinaio di persone. Non essendoci riuscito, vuol prendersi la
rivincita su un altro terreno, quello del contratto aziendale. Ha tolto dalla
busta paga il premio di produzione conquistato con il precedente accordo
aziendale e ha posto pesanti precondizioni per trattare un nuovo aumento.
Amadori esige che sia legato alla presenza (basta qualche giorno di malattia per
perderlo) e che sia corrisposto solo ai vecchi assunti. Una forma di salario
d'ingresso, in deroga al contratto nazionale, con l'aggravante che per nuovi
assunti Amadori non intende solo quelli che cominceranno a lavorare dopo la
sigla dell'accordo, ma pure quelli che al macello di Cazzago lavorano da due o
tre anni. Quelli già "provati" prima come interinali e poi come
lavoratori a tempo determinato. Quel che risparmio con il salario d'ingresso
sulla pelle dei giovani, dice Amadori, se lo divideranno tra loro i vecchi.
Lavoratori e sindacato hanno rifiutato l'offerta "pretestuosa e
offensiva". Nell'ultima assemblea hanno deciso di proseguire gli scioperi;
d'ora in avanti saranno a singhiozzo e senza preavviso, una modalità più
incisiva quando si lavora sul prodotto fresco. "Stiamo facendo
resistenza", dice Oriella Savoldi, "ma i lavoratori e le lavoratrici
si sentono soli". E da soli non possono contrastare un sistema alimentare e
produttivo insensato. "Davanti a un'operaia che in un'ora mette quattromila
volte la mano dentro un pollo per verificare se è completamente eviscerato, mi
chiedo che senso ha fare la sindacalista, spuntare qualche lira in più per un
lavoro che è la ripetizione infinita di quell'unico gesto".
La prima cosa che fa Antonella, appena arrivata a casa, è la
doccia. "Per togliermi di dosso l'odore. Se uscendo dal lavoro devo andare
da qualche parte, in un ufficio o a una riunione, mi sento a disagio".
Antonella Paderni ha 39 anni e sono 23 anni che l'odore di pollo cerca di
fregarselo via. Lavora all'avicola San Martino di Cazzago del gruppo Amadori è
delegata della Cgil. Il macello è stato il suo primo e unico posto di lavoro.
Come ha fatto a resistere? "E' da quando ho 25 anni che mi guardo attorno
per trovare qualcosa di meglio, già allora mi rispondevano che ero troppo
vecchia. Figuriamoci adesso. Qualche mese fa sono andata a un'agenzia
interinale, ma non mi hanno messa nella lista perché ho più di 35 anni".
Da cinque anni Antonella non sta più alla catena di smontaggio dei polli.
"Peso e metto i polli nelle cassette. Da 400 a 600 polli all'ora a seconda
del peso. E' un lavoro duro, le spalle fanno male. Ma è quasi un paradiso
rispetto alla pulitura, dove stavo prima. Lì i polli girano sulla catena e devi
controllare se le interiora sono state tolte per bene. Quelle che lavorano lì a
fine turno escono che non capisci se sono bagnate o sudate. Nei reparti c'è
grande umidità. E' il prodotto che lo richiede, ma nessuno si preoccupa di quel
che richiede l'essere umano. Ho studiato la legge 626, ho fatto alcune richieste
per migliorare l'ambiente, l'azienda dice che non si può cambiare niente".
Si lavora 6 ore e 40 minuti per 6 giorni alla settimana. "Abbiamo una pausa
di 15 minuti. Ho provato a portarmi un tramezzino, ma lì non riesco a
mangiarlo, mi rovino lo stomaco. Bevo un tè. Quando sono a casa mangio perché
si deve mangiare, mi sembra d'essere diventata un automa. Sì, mangio anche il
pollo, ma senza gusto".
Se qualcuno cerca un lavoro, Antonella non se la sente di indirizzarlo
all'avicola. "Dentro di me mi piacerebbe che entrassero persone nuove. Ma
io so che questo posto uccide troppo la personalità e, allora, sto zitta. Il
posto peggiore è il reparto vivo, dove arrivano i polli. C'è molto sporco e
molta puzza. Da alcuni anni ci stanno i senegalesi, adesso si stanno mescolando,
ci sono anche gli albanesi e qualche vecchio assunto italiano. Gli albanesi sono
un po' irraggiungibili, c'è meno dialogo che con i senegalesi. Ma parlare è
difficile con tutti, non c'è un luogo dove incontrarsi. Finito il turno,
nessuno ha voglia di fermarsi a fare due parole in un posto simile. Alcuni
lavoratori interinali, sia italiani che immigrati, sono scappati prima del
tempo, non sopportavano l'odore".
"Con 23 anni di anzianità prendo un milione e 900 mila lire al mese. Gli
altri prendono molto meno. Adesso Amadori ci ha tolto il premio di produzione
precedente e per darci quello nuovo pretende che accettiamo il salario
d'ingresso. Vuole dividerci tra vecchi e giovani, assume a tempo indeterminato
quelli che fanno i piaceri. Ci sta trattando male, non ci rispetta, aumenta i
ritmi e noi, per garantire la qualità, li rispettiamo ugualmente".
"Così non si può continuare. Io egoisticamente voglio che il macello dove
lavoro continui ad esistere, perché mi dà da vivere. Però lo vede bene che è
tutto un sistema sbagliato".
Alla Ducati motor di Bologna un lavoratore, tra i più considerati dall'azienda, rimane vittima di un incidente che ne menoma le capacità lavorative. Un "disabile", nel linguaggio ordinario; una "unità improduttiva", in quello aziendale. Non che non possa lavorare, ma certo non può più ricoprire le stesse funzioni di prima. Ricollocato in un lavoro d'ufficio, era costretto più volte a chiedere l'utilizzo di una sedia dotata di ruote, per facilitare gli spostamenti interni (e quindi accrescere la sua produttività!). Solo dopo l'intervento del sindacato la richiesta viene esaudita, ma il lavoratore viene spostato un una stanza a vetri in un corridoio di passaggio, senza alcun lavoro da fare, ma messo in modo che ognuno possa vedere che fine fanno gli "improduttivi" in Ducati. Non basta. Terminato il calvario delle operazioni chirurgiche (con tanto di visita del medico fiscale persino di sabato e domenica!), si vede negare le ferie perché i compiti che deve svolgere sono "urgenti e fondamentali". Una storia che potrebbe diventare "normale", in ogni luogo di lavoro, se passeranno le "riforme" del Libro bianco di Maroni.
Da 315 giorni il pozzo Sella della miniera di Monteponi è
occupato. E' un pozzo storico, del 1870, e il villaggio uno di quelli in cui è
stata scritta una parte della vicenda del movimento operaio, e del capitale
internazionale, della Sardegna modernizzata. Chiuso, non ci si estrae più
niente dagli anni 80. L'imboccatura della miniera è all'ombra di una grande
parete boscosa, e si apre come su di un cortile: il villaggio, alla periferia di
Iglesias, è spopolato. Funzionano una scuola materna comunale, un ufficio
postale di periferia e uno spaccio, ma da dieci mesi c'è un'animazione nuova: i
486 precari dei lavori socialmente utili che si danno i turni per occupare la
galleria, insieme a un consigliere regionale dei Ds, Giampiero Pinna. Nella sala
ci sono alcune brande, tavoli con il computer, un citofono per il collegamento
con una roulotte fuori nel piazzale, un archivio con la rassegna dei comunicati
e degli articoli di giornale sull'avventura cominciata alla vigilia di Natale
dell'anno scorso da un uomo che sembrava solo e aveva contro anche il suo
partito che considerava la sua un'alzata di testa, un gesto individualistico,
propagandistico. Adesso è un movimento, è diffuso nel Sulcis, arrivano a
Monteponi con i pranzi e le cene dai paesi vicini, le cene sono ogni giorno
raduni politici.
Aspettano tutti la firma del decreto istitutivo del parco geominerario, e la
nomina della commissione provvisoria per la gestione. Il parco lo vogliono
tutti, anche fuori di qui, o meglio, nessuno apertamente si oppone al progetto
di recupero dell'immenso patrimonio di villaggi, gallerie, edifici, terreni,
affidati alla società pubblica Igea per la liquidazione, privati o enti non
importerà, tutto va messo all'asta, prima o poi, per legge. Da Guspini a
Iglesias, da Carbonia e sino al mare di Buggerru, di Arbus, questa vasta area è
per l'Unesco di interesse generale; ha firmato una carta a Cagliari in una
cerimonia tra gli altri con la presidenza del consiglio dei ministri. C'è una
legge dello stato già approvata nella finanziaria dell'anno scorso; i fondi,
mille miliardi, 6 dei quali spendibili in progetti per l'occupazione. Ma tutto
va avanti faticosamente. La regione non nomina la commissione provvisoria per la
gestione, il governo non mette in calce al decreto istitutivo le tre firme dei
ministri competenti, ambiente, beni culturali e industria.
Suscitano appetiti i terreni al mare e gli edifici sulla costa, a Masua, Nebida,
Piscinas, alcune aree forestabili, gli edifici di pregio dentro i centri urbani,
o nelle immediate vicinanze, naturalmente tutto da recuperare con i soldi
pubblici, anche dall'imprenditore privato. E il resto no, solo Ingurtosu piace
tra gli insediamenti verso l'interno, ci si passa per andare al mare di Piscinas,
è una visione che affascina i turisti d'estate, il villaggio fra i boschi, le
palazzine liberty della direzione, gli archi, le bifore, mentre capre pascolano
negli spazi una volta urbani, nei piazzali della laveria a valle, a Naracauli.
Intanto, l'area è una di quelle di malessere sociale diffuso, la gente va via, Iglesias e Carbonia, città vivaci anche solo trent'anni fa, sono diventate paesoni di pensionati, le piazze sono piene di anziani nel sole di ottobre, non c'è un cinema, né qui né là. La campagna, desertica per la siccità, è una metafora della crisi sociale. Si vedono i fuochi dei pastori, bruciano le stoppie per liberare i pascoli, prepararli alle piogge. Sono venuti con le transumanze dall'interno, si sono insediati qui, con grandi greggi. Dice Mauro Olianas, di Bacu Abis, uno degli Lsu a 800 mila lire al mese: "Il mio è un paese di 2500 abitanti, in un anno sono andati via in 20 della mia generazione, destinazione il Nordest dell'Italia. Io provo ad aspettare". Aspettano la stabilizzazione, come si dice, che venga trasformato in lavoro il presidio disarmato delle aree dismesse che ora fanno sotto la gestione di alcune società private che li mandano armati di una vanga e una zappa a pulire sentieri, sovrastati dall'enormità delle strutture cadenti, dell'opera di recupero vero che nessuno fa, nessuno fa fare, e loro lo vorrebbero.
E' stato un successo per la Fiom alle elezioni per il rinnovo delle Rsu alla
Fiat Sata di Melfi. La Fiom è stato il più votato - ed è la prima volta che
avviene a Melfi - con 1103 voti (23,3%), davanti alla Fim che con 1095 voti
(23,1%) perde il primato e flette del 4,5%. Poi c'è la Uilm, che con 916 voti
(19,4%) aumenta di 3 punti. Il Fismic, con i suoi 679 voti, registra una sonora
sconfitta e lascia sul campo il 6,8% dei consensi. L'Ugl ha 406 voti (8,6%),
diminuendo dello 0,9%, mentre il Failms Cisal, per la prima volta presente, ha
181 voti (3,8%). Da segnalare il successo dello Slai Cobas, anch'esso presente
per la prima volta, che ha avuto 351 voti (7,4%). Complessivamente, in Fiat Sata
e nelle aziende terziarizzate della Comau, della Fenice e di Magneti Marelli (ma
poco meno di 500 lavoratori devono ancora votare alla Arvil), le rappresentanze
sono così ripartite: 19 delegati alla Fiom (più 3 in rapporto al 1998), 16
alla Fim (meno 3), 13 alla Uilm (meno 1), 8 al Fismic (meno 5), 3 ai Cobas e 2
alla Cisal.
La Fiom sta preparando a Melfi, per i prossimi giorni, un incontro nazionale per
fare il punto sulla strategia di lotta contro la precarizzazione.
Il direttore delle risorse umane delle Poste Italiane Francesco Micheli, ha detto che verranno assunti 300 contrattisti a termine, nel periodo 1 ottobre 2001-31 gennaio 2002, per far fronte al maggiore carico di lavoro che ci si aspetta con l'arrivo della moneta unica. E per gente che viene (anche se solo temporaneamente), altra gente va, o viene riposizionata: sono i 9 mila esuberi, di cui ormai si discute da mesi.
Sciopero riuscito all'ospedale di Verona. All'astensione, indetta dalle Rsu dell'azienda ospedaliera e da Fp Cgil, Fps Cisl, Fpl Uil provinciali, ha partecipato, secondo i sindacati, l'80% del personale. I lavoratori protestano contro "la gravissima carenza di personale che crea problemi al personale e all'utenza, mentre l'azienda riduce sempre di più il personale infermieristico e incrementa quello di supporto, che costa meno". In più, aggiungono i sindacati, "non è ancora stato concluso il contratto aziendale e le relazioni sindacali sono di basso livello, dato che sui cambiamenti dell'organizzazione del lavoro, degli orari del personale, sulla gestione dei diritti collettivi e individuali non siamo più nemmeno consultati o informati".
Due giovani operai, entrambi di 29 anni, sono morti ieri in un incidente sul
lavoro avvenuto a Trieste, nello stabilimento della Crea, in via Italo Svevo. I
due sono caduti in una delle vasche di decantazione e sarebbero morti
sull'istante, uccisi dalle esalazioni tossiche che hanno respirato. Sembra che a
cadere nella vasca sia stato prima uno dei due operai, mentre l'altro sarebbe
caduto dopo, quando ha tentato di soccorrere il collega. L'impianto è stato
messo subito sotto sequestro. I responsabili dell'azienda non hanno fatto nessun
commento.
I delegati della Automotive Lighting, ex Magneti Marelli, con le altre rsu di
fabbrica di Torino ovest, avevano intrecciato la lotta alla guerra a quella per
la democrazia e i diritti. E sulla democrazia la risposta l'hanno avuta,
immediata, dalla Fiat. Come rsu intendevano riunire un'assemblea per discutere
della vertenza integrativa, sepolta in lungo silenzio, sulla quale la Fiom-Cgil
ha indetto uno sciopero in tutti gli stabilimenti del gruppo il 12, venerdì. La
Fiat ha risposto picche: la Rsu non le pare soggetto sufficientemente legittimo
per convocare un'assemblea, e dunque, poiché "mancano le firme delle altre
organizzazioni" in calce alla lettera, niente assemblea.
La Fiom sta pensando di fare causa, ma intanto 'è stata subito una mezz'ora di
sciopero, allungatasi a un'ora su richiesta dei lavoratori. Lo sciopero di
venerdì resta uno sciopero duro, difficile, in Fiat, dopo sei mesi di silenzio
sulla vertenza. Assemblee affollate in varie officine, segnate da "grande
attenzione" per la "novità" della Fiom che va anche allo
sciopero da sola per riaprire una vertenza, sperando di ricostruire una unità
dei sindacati, a partire dalla risposta dei lavoratori, contro il procedere
unilaterale della Fiat, le minacce di espulsione di lavoratori.
Sulla guerra, il segretario della Fiom emiliana Gian Guido Naldi, dice,
"l'avevamo detto anche come Cgil che la guerra non era una risposta al
terrorismo, e questa è sicuramente un'azione di guerra, quindi bisogna
cominciare a contrastarla".
Non è esattamente una ri-nazionalizzazione, ma ci si avvicina molto. La
decisione del governo inglese di congelare i fondi (350 milioni di sterline)
destinati a Railtrack (la compagnia privata che gestisce la rete ferroviaria
britannica) esprime comunque la volontà di riprendere le redini di una gestione
che fa acqua da tutte le parti e pone seri rischi alla sicurezza dei passeggeri.
Il governo, dopo aver deciso di staccare la spina dei finanziamenti (e i manager
di Railtrack annunciano battaglie legali) dovrà ora risanare i debiti del
gruppo e quindi darlo in gestione ad un trust, una fondazione 'senza scopi di
lucro', i cui profitti verranno reinvestiti nella rete ferroviaria e non divisi
tra gli azionisti. Si tratta dunque di una rinazionalizzazione più di nome che
di fatto, ma va comunque in controtendenza rispetto alle politiche del governo
Blair, impegnato nel privatizzare tutti i servizi pubblici ancora esistenti.
Gli utenti la considerano una vittoria: da anni infatti, e soprattutto dopo gli
incidenti di Southall ('97, sette morti), Ladbroke Grove ('99, 31 morti) e
Hatfield (2000, quattro morti), associazioni di passeggeri e familiari delle
vittime chiedono al governo di riprendere in mano la situazione. Railtrack era
stata privatizzata nel '96, uno degli ultimi atti del governo conservatore di
John Major. Nel '99 la compagnia dichiara profitti per un milione di sterline al
giorno, ma nel maggio del 2001 conferma perdite pari a 534 milioni di sterline.
Il collasso di Railtrack è il primo fallimento di una corporation nella
storia recente del paese e il ministro Byers ha confermato che non ci saranno
disponibili soldi pubblici per pagare i debiti con gli azionisti (250mila).
Il governo ha confermato ieri che i treni manterranno gli orari attuali, le
tariffe non verranno toccate. Soprattutto, il ministro ha voluto tranquillizzare
i dipendenti della compagnia: non andrà perso alcun posto di lavoro. I
sindacati, che non si fidano totalmente del governo, hanno promesso di tenere
sotto strettissima osservazione l'andamento della vicenda. abbiamo
assistito".
11 ottobre 2001
Secondo la difesa al processo per i morti e il disastro ambientale causati
dal Petrolchimico di Porto Marghera non ci può essere pensa senza colpa: e
poichè secondo la difesa è impossibile dimostrare al di là di ogni
ragionevole dubbio la responsabilità individuale degli imputati, verrebbe meno
la causa penale. Nell'aula bunker di Mestre l'ha perorata soprattutto il
difensore di punta degli imputati Enichem, il professor Federico Stella,
talmente innamorato della sua tesi da dedicarle un libro, Giustizia e
modernità, la protezione dell'innocente e la tutela delle vittime. Il pm
Felice Casson l'ha definita una tesi "incostituzionale", replicando
alle arringhe della difesa (la sentenza è attesa per metà novembre).
L'argomentazione "fantastica" e di sapore "manzoniano" del
professor Stella, sostiene Casson, cozza con ben sei articoli della Costituzione
che tutelano la salute e il lavoro. Le accuse portate in aula, codice penale
alla mano, hanno un ben preciso fondamento costituzionale. Inutile arrampicarsi
su progetti passati e futuri di revisione del codice penale, va applicato quello
esistente. Fatta questa premessa, il pm veneziano è andato giù ancor più
duro. "Il professor Stella può parlare dei suoi desideri, delle sue
speranze, delle sue pie intenzioni, che forse tanto pie non sono, ma le cose
stanno diversamente. Non è vero che in questo processo lo scontro con l'accusa
è solo tecnico. No, lo scontro è costituzionale e istituzionale e, per quanto
mi riguarda, anche culturale ed etico. L'ottica di Stella è quella delle
aziende, quella del mercante nel senso peggiore del termine, che pensa di
sistemare tutto con il denaro, di riparare qualsiasi danno pagando". E
ancora: i risarcimenti alle parti lese uscite dal processo, per altro pagati
dalle assicurazioni, sono un'ammissione di responsabilità degli imputati. E
l'accordo per la chimica a Marghera sottoscritto dall'Enichem non è un atto di
liberalità, è un atto "socialmente dovuto". Come è
"giuridicamente" dovuto il risarcimento per il danno ambientale. Per
quel danno l'avvocato dello Stato Giampaolo Schiesaro aveva chiesto quasi 80
mila miliardi alle aziende succedutesi nella proprietà del petrolchimico.
L'Enichem sostiene che è responsabilità dello Stato aver riempito la seconda
zona industriale - su cui fu costruito negli anni '50 il Petrolchimico - con i
rifiuti inquinati della prima zona. Mille miliardi è la cifra che l'Eni
dovrebbe sborsare in base all'accordo per bonificare quello che Schlesinger
definisce "un inquinamento che non ha causato". Per i 28 imputati il
pm Casson ha chiesto pene da 3 a 12 anni.
Un taglio di almeno 10 mila dipendenti solo in Svizzera. Si tratta del più massiccio taglio occupazionale mai avvenuto nella Confederazione elvetica. Secondo le stime dei sindacati, la Swissair sta, infatti, per approvare un piano di ristrutturazione che prevede l'esubero di 10 mila lavoratori nella sola Svizzera, ben più ampio dei 4.100 licenziamenti annunciati lunedì dall'amministratore delegato Mario Corti. Altri 9 mila licenziamenti sono previsti nei vari uffici e agenzie sparsi in tutto il mondo. La nuova Swissair (che nascerà dalla fusione con la Crossair.
Nulla di fatto nell'incontro tra governo e sindacati: l'Alitalia e tutto il
comparto degli aerei restano sospesi nell'incertezza. Sul capo dei dipendenti
della compagnia di bandiera pesano i 2500 esuberi annunciati dall'azienda,
confermati ancora una volta ieri dall'amministratore delegato Francesco Mengozzi
davanti alla commissione lavoro della camera, con la minaccia di attivare le
procedure di licenziamento se non verranno disposti degli ammortizzatori per far
fronte alla crisi. E in crisi, l'Alitalia era già prima dell'11 settembre. Ma
dopo l'attentato alle Twin Towers il traffico aereo del vecchio continente è
crollato del 30%.
I sindacati hanno chiesto al governo la ricapitalizzazione della compagnia di
bandiera con fondi pubblici e una serie di ammortizzatori sociali per i
dipendenti, dalla cassa integrazione alla mobilità lunga, al fondo di
solidarietà. In un documento unitario diffuso nel pomeriggio, i sindacati,
oltre alla ricapitalizzazione, chiedono anche il rinvio della privatizzazione e
la verifica della capacità del management. Ma è lo stesso Mengozzi a spegnere
le speranze, almeno per quanto riguarda uno dei tre punti richiesti dai
sindadati. L'amministratore delegato dell'Alitalia ha detto che di
ricapitalizzazione ce n'è già stata una del 1996 e quindi non ce ne potrà
essere una seconda.
Per la ricapitalizzazione di Alitalia, il governo ha comunque rinviato la
decisione a dopo il 15 ottobre, quando si incontreranno i ministri dei trasporti
europei, per concordare gli interventi. I governi che hanno sostenuto fino a
oggi le proprie compagnie di bandiera, infatti, hanno rischiato di violare le
leggi sulla concorrenza.
A essere messi peggio sono soprattutto i giovani. Tra contratti a termine e di
formazione lavoro, rischiano il posto fino a 1300 lavoratori. Professionalità
molto qualificate, che rappresentano l'unico futuro possibile per l'azienda. Un
tecnico elettronico, di 28 anni, con il contratto in scadenza in questi giorni,
spiega che due anni fa aveva preso il contratto di formazione "con la
certezza di venire poi assunto, ma adesso mi è stato detto che non verrò
riconfermato". "Alitalia - aggiunge - sta decapitando proprio i
settori più produttivi, quelli di ingegneria e manutenzione, che ricevono
grosse commesse da compagnie come Klm, Continental, Lufthansa, Iberian. In
questi giorni stiamo lavorando su molti cargo merci stranieri, che viaggiano di
più perché i passeggeri preferiscono restare a terra. Ma se l'azienda prevede
di licenziare o di non riconfermare fino a metà di noi, come annuncia, queste
preziose commesse straniere verranno perdute".
Altri 100 lavoratori Piaggio devono andare in mobilità, dopo i 200 annunciati la settimana scorsa. Il comunicato aziendale non lascia spazio ad equivoci sulla natura dei provvedimenti: "La Piaggio ha confermato le 200 eccedenze di struttura, gestibili con l'avvio a pensionamento anticipato dei dipendenti che ne hanno i requisiti. Inoltre ha segnalato la necessità di utilizzare lo strumento della mobilità-pensione anche per circa 100 operai". Per spiegare gli esuberi l'azienda parla di una flessione del mercato, e del "prevedibile perdurare di un rallentamento dei consumi, aggravato dalla crisi internazionale". In risposta i sindacati denunciano per l'ennesima volta la mancanza di un piano industriale. Non ci sono scioperi, ma solo perché 2000 lavoratori sono stati messi in cassa integrazione lunedì scorso.
A Brescia, La Spezia e Udine oggi il settore metalmeccanico si fermerà per
quattro ore per sostenere la lotta dei lavoratori della Ocean, il gruppo
italiano molto attivo nel settore del freddo e delle lavatrici. l'Ocean rischia
di essere travolto dal fallimento della Mulinex-Brand, il gruppo italo-francese
controllato dalla famigli Nocivelli nato appena un anno fa. A rischio sono
soprattutto gli 860 lavoratori della Ocean di Brescia (dove si producono
frigoriferi e congelatori), i 420 di La Spezia (lavatrici), i 160 di Udine. Un
rischio che dividono con altre migliaia di lavoratori delle fabbriche europee
della Mulinex (5.000 miliardi di fatturato. Se l'avvenire della Moulinex,
infatti, è ancora in sospeso, quello di una buona fetta dei dipendenti è già
segnato: nessuna proposta di acquisizione pervenuta all'amministrazione
giudiziaria dell'azienda prevede di mantenere al 100% l'occupazione.
La proposta considerata maggiormente credibile, quella della concorrente
francese Seb, prevede la soppressione di 4600 posti di lavoro (più di 3000 in
Francia). In sostanza, l'occupazione esce dimezzata dall'ancora eventuale
ristrutturazione (solo 2450 posti di lavoro in Francia e 1800 nel mondo, in
particolare in Spagna e in Messico, verrebbero salvati da Seb). Philips è
candidata all'acquisizione della marca tedesca Krups, che faceva parte del
gruppo ora in istanza di fallimento. In Francia, la proposta di Seb sta
suscitando proteste enormi, poiché tutte le fabbriche "storiche"
della Moulinex, quelle della Normandia, sarebbero destinate alla chiusura (chusi
l'impianto di Cormelles-le-Royal che fabbrica micro-onde, quello di
aspirapolveri di Falaise, di caffettiere e ferri da stiro di Alençon e delle
friggitrici di Bayeux).
Il 29 settembre, subito dopo la notizia della proposta di Seb, si sono svolte
una quindicina di manifestazioni in tutti i siti industriali della Moulinex in
Francia. Per ora, invece, sembra meno nero il futuro della Brandt, filiale di
Moulinex: i 5.000 dipendenti, rimasti in cassa integrazione a settembre,
potranno riprendere il lavoro grazie all'intervento di alcune banche.
Novemila lavoratori della Boeing perderanno il posto di lavoro a partire dal
14 dicembre. Il piano, che era stato annunciato subito dopo l'attacco dell'11
settembre, è stato presentato dal portavoce del gruppo aziendale, Tom Ryan. I
primi ad andare a casa sono i dipendenti residenti a Puget Sound, dove si
trovano il maggior numero di hangar della Boeing. Altri 6 mila licenziamenti
saranno fatti tra gli gli impiegati. Dall'inizio della crisi, ormai, nel settore
dell'aereotrsporto Usa, sono già messi in lista di disoccupazione circa 30 mila
lavoratori del settore.
I lavoratori hanno rotto il silenzio che durava da sei mesi e sono tornati
protagonisti sulla vertenza integrativa e contro gli accordi separati, questo il
primo giudizio della Fiom, dopo che tre cortei sono sfilati alle Carrozzerie, in
lastratura, verniciatura, alle linee di Montaggio. E al pomeriggio, le
carrozzerie sono state percorse da altri 600 operai nello sciopero del 2 turno.
Al mattino alla Powertrain (ex Meccanica), decimata dalla cassa integrazione, la
maggioranza degli operai superstiti presenti in fabbrica ha attraversato
le Officine fin fuori dei cancelli, dove li aspettavano quelli in cig, e si è
fatta l'assemblea. Stessa scena alle Presse - che la Fiat intende terziarizzare
nei prossimi mesi. E ovunque nei cortei operai iscritti anche a Fim e Uilm
nonostante diversi delegati "delle altre organizzazioni", che
normalmente lavorano fuori-linea, per lo sciopero si fossero trasferiti sulle
postazioni del montaggio per garantire un po' di produzione. Con loro parecchi
capi della Fiat, le cui "minacce sono state particolarmente dure in questa
occasione".
Buona riuscita, la sera, anche a Rivalta, in particolare montaggio e Tnt, dove
sono usciti in sciopero con noi anche due delegati della Uilm.
Buone percentuali anche alla Fiat Hitachi e alla Fiat Avio - sul 60%, come alle
Teksid di Carmagnola e Crescentino, mentre la Teksid di Borgaretto supera il
90%. Sciopera metà fabbrica alla ex Lancia di Verrone Biella, si sale fra l'80
e il 90% al Comau plastiche e Dtg.
Non c'è stata grande riuscita, invece, a Pomigliano. A Cassino sono invece
soddisfatti: al primo turno era fuori il 30% della fabbrica, oltre il 50% degli
addetti alle linee; e si continua con gli scioperi articolati quando i carichi
di lavoro superano ogni sopportabilità. Linee tutte ferme alla Fiat di Jesi con
la partecipazione anche parecchi iscritti a Fim e Uilm
La mitica Polaroid ha dichiarato bancarotta ed il presidente della società ha presentato i "libri" della società ad una corte Usa. La fabbrica fondata, nel 1937, da Edwin Land ha un debito pari a 950 milioni di dollari e nel quarto trimestre del 2001, sono state contati 100 milioni di dollari di perdite. L'impresa che impiega 3.000 non è più concorrente con le moderne tecnologie digitale. L'azienda, dopo la dichiarazione fallimentare, potrebbe essere venduta ad alcuni acquirenti, quali la Onyx o Opal.
Programmati 2.700 licenziamenti nel settore dei veicoli da trasporto. La divisione europea, con sede a Francoforte, è arrivata a questa decisione in seguito alla caduta dei profitti nell'anno in corso. Il piano prevede un risparmio di 850 milioni di dollari, da realizzare con una riduzione dei costi di produzione (materiali ed operai). Gli impianti che potrebbero chiudere sono situati in Ontario e Kelowna, Woodstook e British Columbia. Il taglio dei posti di lavoro avverrà in due fasi successive, prima saranno 1.100 operai e dopo altri 1.600 a partire dal prossimo anno. Il piano prevede l'accettazione da parte dei lavoratori rimamenti di un taglio dei salari ed anche di alcuni benefici aziendali. Così come era già stato deciso nel corso di un referendum promosso dai sindacati, lo scorso mese
Sei sindacati di categoria del settore pubblico hanno proclamato uno sciopero di protesta contro la decisione unilaterale del governo di decretare un aumento dei salari pari al 5% della attuale paga. Lo sciopero dovrebbe avere luogo a partire da lunedì prossimo e dovrebbe riguardare circa mezzo milione di impiegati. Complessivamente iscritti ai sindacati sono un milione di lavoratori. La richiesta avanzata dai sindacati era del 7-8% di aumento e, se fosse accolta, potrebbe provocare una spesa aggiuntiva di 5 miliardi di rand.
S i è conclusa con lo sciopero, ieri sera a Melfi, la lunga giornata di
angoscia dei 200 giovani cui scadeva il contratto a termine, di fronte al
licenziamento, con beffa, della Fiat. Un'ora e un quarto di fermata a fine
turno, nelle Ute del montaggio dove lavorava la maggioranza dei ragazzi. Qualche
capo l'ha spiegata così a un delegato: abbiamo già pronte 200 lettere di
conferma, e 200 di smentita, a seconda di quel che ci diranno da Torino daremo
la busta A o la busta B.
Questi 200 ragazzi lavoravano in Fiat, e nelle postazioni più pesanti, da un
anno, fianco a fianco di altri lavoratori stabili, perciò ieri il licenziamento
ha prodotto in fabbrica angustie e lacrime. Il pomeriggio, alcuni giovani del 2
turno, saputo del licenziamento, sono entrati, poi hanno ritimbrato e sono
usciti: "ce ne andiamo noi, è una questione di dignità".
Per la scuola lo sciopero generale è sempre più vicino. Fallito il previsto
incontro tra i sindacati di categoria e il ministro dell'Istruzione Moratti,
ieri Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda hanno confermato l'intenzione di arrivare al
più presto a una mobilitazione nazionale. I sindacati, che contestano le norme
contemplate dall'articolo 13 della finanziaria - aumento dell'orario di lezione
a 24 ore e blocco delle supplenze per assenze fino ai trenta giorni - hanno
avviato le procedure per la proclamazione dello sciopero generale da fissarsi
non oltre il 15 novembre, ultima data utile per modificare la finanziaria.
E dai Cobas è arrivato l'invito a partecipare unitariamente allo sciopero da
loro proclamato e già fissato per il 31 ottobre. Stessa sollecitazione viene da
Stefano D'Errico dell'Unicobas che conferma la manifestazione nazionale prevista
per venerdì 19.
Al centro delle polemiche anche la necessità di nuovi investimenti per i
contratti: "E' lo sciopero generale della scuola - ha dichiarato Enrico
Panini della Cgil - contro questa finanziaria. Ad essere salvaguardato, secondo
Panini, è il diritto di tutti a frequentare una buona scuola in ogni zona del
Paese, il ruolo della formazione pubblica.
Contro la finanziaria che taglia i fondi per la scuola pubblica, manifesterà -
il prossimo 25 ottobre - anche l'Unione Studenti ma ad aprire il corteo sarà
uno striscione con scritto: "Dalla scuola un mondo di pace". L'Unione
chiede diecimila miliardi per la scuola pubblica e una riforma degli organi
collegiali che assicuri la parità di rappresentanza tra studenti e docenti.
Paola è stata licenziata. Era manager in un McDonald's milanese. E, insieme,
delegata sindacale della Cgil. Due ruoli inconciliabili, per la multinazionale.
O accetti di essere la longa manus del direttore, chiudendo tutti e due
gli occhi sulle irregolarità quotidiane compiute ai danni della
"ciurma", i ragazzi che stanno dietro al bancone, o alzi la testa per
affermare il rispetto delle regole. Non c'è una "terza via", la
logica ferrea della multinazionale non concede deroghe.
Paola non è stata rispettata dal proprio datore di lavoro, il titolare della Planet
Food, impresa che gestisce in franchising (affitto del marchio) due
McDonald's, uno a Vercelli e l'altro a Corbetta, nel milanese.
"Ho cominciato a lavorare nel locale di Corbetta - racconta Paola Esposito
- dal 1998, quando fui trasferita da un altro McDonald's per sostenere la Planet
Food nell'apertura del nuovo locale. Lavoro nella ristorazione veloce da oltre
10 anni, stavo già nella catena Burghy prima che venisse acquistata dalla
McDonald's. Quando fui chiamata a Corbetta, ero manager di terzo livello, e mi
fu promesso che avrei migliorato la mia posizione, che presto avrei avuto un
contratto di primo livello".
Al primo livello, Paola non c'è mai arrivata. Dopo tre anni, in compenso, ha
rimediato un licenziamento in tronco. "Appena giunta nel locale - continua
- il nuovo direttore mi ha chiesto perché ero iscritta al sindacato. 'E' una
detrazione inutile', mi disse. 'Posso cancellartela?'. Io risposi di no, ma sin
dalle prime buste paga, vidi che la mia iscrizione al sindacato era comunque
stata cancellata. Mi iscrissi così alla Filcams Cgil anonimamente. Avevo molte
mansioni di responsabilità, tra le altre cose decidevo anche la tabella dei
turni. Ma cominciai a notare che il proprietario compiva molte irregolarità,
confermate successivamente dall'ispettorato del lavoro".
"Non venivano rispettati - spiega Paola - i turni e gli orari, c'era un
abuso dei contratti di apprendistato, attivati per risparmiare, ma senza fare
formazione e, goccia che ha fatto traboccare il vaso, non fu confermato un
ragazzo che aveva concluso il contratto di formazione e contemporaneamente ne
furono assunti due nuovi. Decisi a questo punto di farmi nominare delegata
sindacale, non sopportavo tutti questi soprusi. Il capo la prese male, mi chiese
di andare via e di accettare le offerte che nel frattempo mi arrivavano da altre
sedi: 'Ti consiglio di accettare', disse, 'altrimenti d'ora in poi la tua
permanenza qui sarà difficile".
Paola, però, decise di restare, e da quel momento in poi, il capo cominciò a
tempestarla di lettere di contestazione - "cinque in un anno, quando non ne
avevo mai ricevuta una in due anni" - le tolse la tabella dei turni e
cominciò ad assegnarle orari che lei non poteva conciliare con la propria vita
privata. Analogamente, anche i turni di altri 4 iscritti al sindacato
peggiorarono visibilmente". Le lettere di contestazione sono oggi citate
nella lettera di licenziamento, insieme a una non meglio precisata "fine
del rapporto di fiducia con la direzione".
I rapporti tra McDonald's e sindacato sono sempre difficili, e la quarantina di
locali nel milanese presenta poche eccezioni. Adesso nel locale di Corbetta i
ragazzi hanno più timore nei confronti della direzione.
Andrè Dose, presidente della Crossair, il vettore regionale svizzero, si è detto pronto a salvare la Swissair. Ma batte cassa: in un incontro con le banche creditrici della compagnia di bandiera elvetica ha chiesto 2,2 miliardi di franchi svizzeri (4500 miliardi di lire) per poter procedere al salvataggio attraverso l'assorbimento della flotta Swissair da parte della Crossair. Per Dose, però, è anche necessario licenziare 9.100 lavoratori, 4.100 dei quali in Svizzera.
Non se la passa bene neppure l'Iberia, la compagnia di bandiera spagnola. Ieri è stato confermato l'avvio di un piano di riduzione dei costi, tagliando dell'11% le rotte. I tagli dell'organico corrisponderanno a quelli dell'attività, ma il vettore non ha precisato alcuna cifra, anche se secondo alcune stime gli esuberi dovrebbero aggirarsi attorno alle 3 mila unità.
La multinazionale tedesca Siemens ha comunicato nuovi pesanti tagli nella divisione reti telefoniche (Icn) che occupa 50 mila addetti. Viene confermata l'eliminazione di altri 5 mila posti di lavoro (2 mila in Germania) che si aggiungono ai 5 mila annunciati in precedenza. Saranno chiusi metà dei 20 siti produttivi del settore sparsi in tutto il mondo (ma saranno mantenuti in produzione i tre impianti in Germania). L'obiettivo è di ridurre i costi di 2 miliardi di euro (quasi 4 mila miliardi di lire) entro il 2002. Oltre ai siti produttivi in Germania, la Siemens ha fatto sapere che "le unità di produzione automatizzate e che forniscono un alto valore aggiunto in Brasile e in Cina continueranno a operare". Per la banca d'affati Sal Oppenheim, i tagli sono una mossa positiva che manca però di una strategia complessiva
Il comparto aereo italiano è in agitazione: i 9 sindacati di categoria hanno proclamato per lunedì 29 ottobre uno sciopero generale nazionale, per 4 ore, dalle 13 alle 17. Riguarda sia i dipendenti delle aziende che operano direttamente nel trasporto aereo, sia quelli dell'indotto, "per sensibilizzare governo e forze politiche a predisporre misure adeguate ad affrontare l'attuale crisi".
Si preannuncia una raffica di scioperi, per gli addetti al trasporto e per quelli delle pulizie. Lo sciopero nazionale dei ferrovieri è stato proclamato dai sindacati di categoria per l'intera giornata di venerdì 9 novembre, mentre gli addetti alla circolazione di treni e traghetti si fermeranno dalle 21 di sabato 10 novembre alle 21 di domenica 11. Contro i bandi di gara delle Ferrovie, dal 19 al 24 ottobre gli operai delle pulizie dei treni effettueranno vari scioperi regionali, mentre hanno già preannunciato un nuovo sciopero nazionale.
Diminuisce ancora a luglio, secondo l'Istat, l'occupazione nelle grandi imprese. A giugno la diminuzione tendenziale era stata del 2,7%, con una perdita di 22 mila posti, in luglio si è registrata una perdita più accentuata: -3%, e 24 mila posti in meno. Le variazioni congiunturali (rispetto al giugno 2001) sono state -0,4% (indice grezzo occupati) e -0,7% (indice occupati al netto cig).
Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato 12 ore di sciopero per le Cartiere Miliani,
in segno di protesta contro "le mancate risposte del ministero e del
poligrafico dello stato alle ripetute richieste d'incontro avanzate dai
sindacati". La prima protesta, lunedì prossimo: 4 ore di astensione e di
presidio davanti allo stabilimento di Fabriano. Tra gli obiettivi, la ripresa
del confronto con il ministero dell'economia e con il poligrafico, un serio
progetto di rilancio delle cartiere, una verifica sulle prospettive di
Fabercarta.
La Fiat di fronte alla crisi dei mercati reagisce pigiando sul pedale della
giungla contrattuale esistente ormai all'interno delle sue fabbriche. Ieri si è
riunito al Lingotto l'Osservatorio del gruppo Fiat, convocato per analizzare
l'evoluzione dello scenario economico. Ed è uscito furi chiaro l'influsso
pesantemente negativo dell'11 settembre e del clima di guerra che si respira nel
mondo. I mercati, già col fiato corto, hanno subito dato segnali di forte
riduzione della domanda di automobili in tutti i paesi dove la Fiat opera. Altri
settori del gruppo (come Teksid, Comau, Avio, Magneti Marelli, eecc) presentano
invece dinamiche differenziate, e verranno discussi in modo differente.
Inevitabile, dunque, per la Fiat metter pesantemente mano agli organici.
La novità, rispetto al passato, è che la Fiat ritiene di non dover ricorrere a
tagli dell'occupazione "stabile", ormai fortemente ridotta. Gli
interventi riguarderanno perciò fondamentalmente i contratti a termine e il
lavoro interinale; ma non mancheranno le "fermate produttive", ossia
la cassa integrazione per il "non licenziabili". Si vede qui
chiaramente come le garanzie ancora offerte dallo Statuto dei lavoratori tornino
a vantaggio dei dipendenti, specie - ma non solo - nei momenti di crisi. E si
vede chiaramente anche come, per l'azienda, l'obiettivo di avere "mano
libera" - fino al limite dei "contratti individuali" - significhi
disporre della forza-lavoro come di una merce qualsiasi.
Sui 9 mila esuberi annunciati già da qualche mese da Poste Italiane, dopo
una nottata di intense trattative, all'alba è stato raggiunto un accordo tra
azienda e sindacati. Una soluzione che ha registrato la soddisfazione di
entrambe le parti, e che prevede, nell'arco dei prossimi 3 anni, pensionamenti
obbligatori, uscite volontarie e mobilità interne (volontarie e obbligatorie),
oltre a un numero consistente di nuove assunzioni.
La cifra dei 9 mila esuberi, risolti in diverse maniere, è pressoché
confermata, dato che è stato stabilito il destino di 8.500 dipendenti, e che
per la quota restante di esuberi verrà presto definito un sistema di mobilità
interna volontaria verso sedi sparse su tutto il territorio nazionale. Nel
dettaglio, 5 mila dipendenti che avranno maturato entro il 31 marzo 2002 i
requisiti previsti dalla legge Dini per la vecchiaia o l'anzianità, sono
destinati al pensionamento obbligatorio. Per altri 2.200, è prevista la
possibilità di uscita volontaria nell'arco dei prossimi 3 anni, incentivata
attraverso un Fondo di solidarietà a partire dall'aprile 2002, appena verrà
conclusa la tornata dei pensionamenti obbligatori. Nel contempo, per compensare
queste uscite, verranno assunti 2.200 giovani con contratti di apprendistato.
Altre 800 assunzioni - e il totale sale così a 3000, da effettuare entro giugno
prossimo - verranno dalla trasformazione di contratti da tempo determinato a
tempo indeterminato, risolvendo così la situazione di precarietà che affligge
molti postini.
Ultimo capitolo, le mobilità. Che riguardano tutti quegli esuberi che restano
fuori dalle predette misure, e cioè circa 1800 dipendenti. Per 1300 di loro,
verrà applicata la mobilità obbligatoria, ma soltanto all'interno della
provincia in cui già lavorano, e saranno indirizzati sia verso il recapito che
verso gli sportelli. Per quelli che restano - presumibilmente circa 500 - si
prevede la mobilità, soltanto volontaria, nell'ambito nazionale, destinata
soprattutto alla "investitura" di nuovi postini. Per fissare i criteri
di questa ultima misura, un nuovo incontro azienda-sindacati è fissato per il
prossimo 23 ottobre.
Scioperi per la vertenza Fiat, indetti dalla Fiom-Cgil, a Brescia, mentre
l'azienda annuncia nuova cassa integrazione a novembre: due settimane, dal 19
novembre al 2 dicembre per Mirafiori Carrozzeria (per la produzione Marea),
mentre si ferma per la prima settimana anche Rivalta (linee Alfa 166 e Lybra), e
per la seconda settimana, dal 26 novembre al 2 dicembre, Pomigliano (la 156) e
Termini Imerese (la Punto). Sospesi in tutto quasi 11mila lavoratori. Agnelli
ammonisce che "in questi momenti in cui non si capisce che tipo di cose
stiano succedendo, ci si rivolge ai valori", e tra questi c'è
"l'appartenenza alla Fiat": così si è rivolto agli ex allievi della
scuola di formazione Fiat, premiati nell'occasione, che ha definito "le
truppe scelte della Fiat", ricordando come molti avessero partecipato alla
"marcia dei 40mila".
Agli operai, evidentemente bassa truppa, niente premi, ma cassa
integrazione. Da Brescia, la Fiom e i delegati della Om Iveco rispondono
comunicando la riduzione di produzione di parte operaia: ferme tutte le linee e
i reparti, il 75% dei lavoratori, nello sciopero di due ore con assemblee. E' la
puntata bresciana della lotta indetta negli stabilimenti del gruppo dalla Fiom
nazionale per riaprire la vertenza integrativa bloccata da mesi. E a Brescia
sottolineano che si sciopera "non solo per dire basta alla Fiat che nega i
diritti più elementari delle persone, ma anche per discutere con i lavoratori
le modifiche da apportare alla piattaforma unitaria varata nel luglio
2000".
La Lufthansa ha annunciato nuovi esuberi e la Crossair ha fatto sapere - che
a causa dell'incertezza sulle risorse finanziarie - non potrà continuare a
rilevare i voli della Swissair. Il vertice della compagnia aerea tedesca ha
dichiarato che non potrà evitare di tagliare tra i 6.000 e i 7.500 posti di
lavoro, a meno che non sia introdotta la settimana lavorativa di quattro giorni.
La crisi economica del settore aeroportuale, aperta dopo l'11 settembre,
continua quindi a mietere vittime. Gli incontri per tentare un accordo sono
iniziati già ieri. Anche i piloti della Swissair sarebbero disposti di fronte
"a sostanziali concessioni" se fosse data sconatata l'eventualità che
l'intero gruppo chiuda i battenti. All'inizio della settimana la Crossair aveva
indicato, al governo di Zurigo, la giornata di ieri come termine ultimo per
avere i fondi e dare via al passaggio di consegne delle attività della Swissair.
Hanno scioperato anche i ragazzi precari, è la prima volta che succede a Melfi.
Lo sciopero è riuscito, un'astensione del 25% reale, ben più degli iscritti
Fiom. L'apice nel turno serale, una delle due linee di produzione immobile per
mancanza di persone. Nessuna possibilità per la Fiat di mascherare il black
out, come aveva tentato in giornata, facendo fermare e ripartire le linee a
singhiozzo, scontando l'uscita di pezzi incompleti pur di non ammettere la botta
dello sciopero.
Importante l'adesione dei giovani con contratto a termine. Ce ne sono ancora 125
in fabbrica, in scadenza i primi di dicembre. Sono gli ultimi rimasti,
dopo la decimazione fatta dalla Fiat che ha buttato fuori a marzo 300 ragazzi interinali,
e il 13 ottobre altri 200 a termine.
Non è un caso. Le speranze di "salvarsi dal licenziamento"
affidandosi all'azienda, alimentate le altre due volte dal comportamento ambiguo
della Fiat, e dalle promesse improvvide di qualche sindacato - il Fismic, per
farsi votare nelle elezioni delle Rsu aveva millantato un proprio potere di
intervento sui licenziamenti - sono risultate del tutto mal riposte.
Così, "non ci incanta la Fiat, non ci fidiamo più", hanno spiegato i
precari che hanno scioperato, e ai cancelli sono arrivati anche parte dei 200
ragazzi già sbattuti fuori questo mese, per dare alla Fiom la propria adesione
alle iniziative future che intende intraprendere.
A Melfi nella Fiat e indotto ci sono 10.000 giovani a rischio.
La Fiom sta preparando lo sciopero nazionale del 16 novembre, ma l'intera
vicenda chiama in causa la stessa Cgil, e la scuola, il pubblico impiego, alle
prese col contratto: solo che finora da questi dirigenti sono venute
dichiarazioni di fuoco ma ben pochi fatti.
3.000 lavoratori delle varie società Alitalia di turno ieri mattina
all'aeroporto di Fiumicino hanno improvvisato uno sciopero spontaneo e un corteo
che ha bloccato i viali davanti all'aerostazione. Hanno ritenuto intollerabile
che, mentre si sente parlar di tagli ai posti di lavoro, si assumano più
dirigenti, che godono di benefit milionari (persino una assicurazione contro il
licenziamento!), e che ti fanno la predica sulla necessità di stringere la
cinghia.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l'annuncio, tramite i
giornali, di un inasprimento della ristrutturazione: i 2.500 "esuberi"
previsti sono levitato fino a 5.000. Tutti i "paracadute" sociali fin
qui immaginati, inevitabilmente, diventano impraticabili. Anche le esitazioni
del governo (che ha il 53% delle azioni) nel varare la terza tranche
dell'aumento di capitale - 750 miliardi - sono state lette come un tentativo di
"svalorizzare l'Alitalia per favorire l'ingresso di privati a prezzi
stracciati". Il ministro delle Infrastrutture Lunardi ha parlato della
necessità di un piano di ristrutturazione più drastico di quello presentato
dall'amministratore delegato, Francesco Mengozzi, e ha spalancato la porta a
nuovi soci. tra questi sarebbe già schierato Paolo Sinigaglia, proprietario del
calzaturificio Simod, alla testa di una cordata pronta a rilevare il 30%
dell'Alitalia.
Nel '96 c'erano 149 dirigenti, ora ce ne sono 250. Ed è stato calcolato che
soltanto i loro benefit costano 6 miliardi l'anno ("quanto il 'taglio delle
merendine' a bordo dei velivoli").
Sul lavoro ci si infortuna di più, ma si muore di meno. Così risulta dai
dati Inail per i primi 8 mesi del 2001. Rispetto all'analogo periodo del 2000
gli infortuni sono aumentati del 2,4%, i morti sono diminuiti del 7,9% (da 891 a
821). Con un'incidenza di 4,1 casi ogni 100 mila addetti l'Italia, secondo
l'Osservatorio Inail, è nella media della "zona euro". In Europa ogni
anno muoiono sul lavoro 5.500 persone, 4 milioni e mezzo subiscono infortuni con
prognosi superiore a 3 giorni per un totale di 146 milioni di ore.
Gli infortuni sono cresciuti soprattutto nel settore industriale, mentre sono
diminuiti nell'agricoltura. In Lombardia sono aumentati sia gli infortuni
(+3,5%) sia i morti (da 129 a 146). Per il lavoro sommerso, l'atipico e gli
extracomunitari per l'Inail va incentivata la prevenzione. In forte crescita
anche gli incidenti domestici.
I lavoratori delle imprese fiorentine di pulizia hanno incrociato le braccia per 15 ore, dalle 21 di domenica sera, e hanno bloccato la stazione di Santa Maria Novella per due ore. La protesta rientra nelle manifestazioni organizzate dai sindacati, a livello regionale, contro i licenziamenti previsti dalle nuove regole per le gare d'appalto, che riducono i costi e il personale. Le ferrovie fiorentine si discolpano: "E' la legge ad imporre alle Fs di procedere a gare europee per tutti gli appalti di importo superiore ai 400.000 euro". Ma rimane irresponsabile la scelta delle Fs di scaricare direttamente sui lavoratori i problemi e le contraddizioni del settore delle pulizie, con le 13 mila lettere di licenziamento a livello nazionale, così come i 300 posti a rischio in Toscana. Resta confermato lo sciopero nazionale di tutti i dipendenti per il 29 e il 30 ottobre.
Schiacciato e travolto dall'escavatore che stava manovrando, muore dopo tre giorni in seguito alle gravi ferite riportate. E' accaduto in un cantiere di Chiari, in provincia di Brescia, la vittima è Placido Nicoletta, un muratore di 31 anni, originario di Catanzaro. Sebbene non siano ancora chiare le cause dell'incidente l'indice è puntato sul rispetto delle norme di sicurezza e prevenzioni degli infortuni sul lavoro.
In controtendenza rispetto al resto d'Italia in Brianza - come in Lombardia -
nei primi dieci mesi dell'anno sono aumentati sia gli infortuni sul lavoro
(+10%, un incremento molto superiore alla media) sia quelli mortali. Questi
ultimi sono stati 9, contro i 4 del 2000. A provocare l'impennata due
"incidenti" in aziende chimiche costati da soli 5 morti. Gli altri 4
omicidi bianchi si sono verificati nell'edilizia. Così Cgil, Cisl e Uil della
Brianza mettono in campo iniziative per la settimana europea per la prevenzione
e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Due ore di sciopero generale (esentati solo
trasporti e sanità) oggi dalla 15,30 alle 17,30, con manifestazione a Monza,
precedute al mattino da un convegno alla sala Astrolabio a Villasanta. Le due
ore di sciopero decise dai sindacati confederali vogliono essere una denuncia,
ma anche un atto di sostegno della piattaforma territoriale stilato lo scorso
luglio dalle organizzazioni confederali e dai delegati alla sicurezza.
Le ragioni di questi infortuni sono quelle di sempre: aumento dei ritmi e degli
straordinari, lavoro irregolare e precario, appalti e subappalti, cooperative,
esternalizzazioni. A questa situazione, che si ritrova ovunque, la Brianza
aggiunge una forte spinta culturale a lavorare comunque, legata alla
dimensioni aziendali medio piccole.
Gli imprenditori considerano la sicurezza come un costo da abbattere, nelle Asl
organici e fondi per la prevenzione sono sempre carenti. Le imprese contano
sulle scarsità dei controlli e sull'esiguità delle pene (o sulla loro
prescrizione). Questo depotenzia la deterrenza della legge e spunta l'azione del
sindacato.
Sarà una indagine sanitaria della Regione Lombardia e dell'Asl di Lecco a far luce sulle 5 morti sospette avvenute fra gli operai della "Salvit", una azienda di Cassago Brianza (Lc) che fino a 10 anni fa produceva pannelli in cemento-amianto e i cui capannoni ancora oggi costituiscono una "bomba" ecologica nel bel mezzo della brianza per il loro contenuto di fibre d'amianto e la difficoltà nel procedere alla bonifica. La Regione ha chiesto di raccogliere informazioni sullo stato di salute nella storia professionale dell'azienda mentre l'azienda sanitaria ha nuovamente respinto un progetto di risanamento dell'intera area che sorge a ridosso del comune di Bulciago (Lc). La demolizione è definita a rischio dagli esperti "perchè la massa di polveri che si verrebbe a liberare nell'area supererebbe il livello di guardia in tutto il paese".
Tasso di disoccupazione record per Taiwan che in settembre, tra fabbriche chiuse e compagnie ristrutturate, ha toccato il 5,26%. Non poteva essere diversamente, visto il declino dell'economia mondiale: Taiwan è stata costretta persino a ritirarsi dall'ultimo vertice Apec per protestare contro le angherie della Cina. Nell'isola, l'occupazione è in declino da 12 mesi. Già l'anno scorso aveva toccato il 2,99%, ed era già un record. Né le prospettive future sono rosee, visto che anche Taipei l'anno prossimo entrerà nell'Organizzazione mondiale del commercio, evento che quasi certamente (lo prevedono tutti) farà aumentare ulteriormente i disoccupati.
Entro il 31 dicembre di quest’anno usciranno dalle Ferrovie 4 mila dipendenti.
Questo conferma l’obiettivo di scendere a quota 100 mila e la direzione di
marcia volta a perseguire l'abbattimento del 18-20% del costo del lavoro
complessivo, così come previsto dall’accordo del 23 novembre del ’99
Rottura con il governo sugli aumenti e partono gli scioperi. Tre milioni e
mezzo di lavoratori, dalla scuola alla sanità, dall'università ai ministeri,
scenderanno in piazza dopo l'8 novembre prossimo, in diversi scioperi di
comparto che Cgil, Cisl e Uil devono ancora fissare. Nel frattempo, in polemica
con i sindacati confederali, i sindacati di base (Rdb) della pubblica
amministrazione hanno proclamato uno sciopero generale di 24 ore, per il 9
novembre.
La rottura con il governo si è consumata quando il viceministro dell'economia
Baldassarri ha offerto ai sindacati un aumento dello 0,3%, a fronte di richieste
ben più alte, del 2,2-2,3%, relative al recupero della differenza tra
inflazione programmata e reale per il biennio 2000-2001. I lavoratori, a causa
dell'inflazione, hanno già perso circa 4 mila miliardi in due anni, che nessuno
restituirà loro.
Il governo offre ai singoli lavoratori soltanto 8 mila lire lorde, anziché le
66-70 mila richieste dai sindacati. Con gli aumenti previsti per i prossimi due
anni e l'andamento di settore, i sindacati, complessivamente, chiedono
retribuzioni più alte del 6,5%, mentre il governo offre aumenti complessivi del
4,3%.
Il comparto dell'impiego pubblico ha subito negli ultimi 10 anni un netto
ridimensionamento, con la spesa che si è ridotta di circa 50 mila miliardi, e
che ammonta oggi al 10% del Pil, mentre prima raggiungeva il 12%. Ma il governo
vuole tagliare sempre di più, e la via preferita sembra essere quella delle
privatizzazioni. Importanti istituti come l'Istat, il Cnr, o l'Inail potrebbero
diventare privati, senza che neppure il parlamento ci possa mettere bocca.
Peggiorano gli utili e la Kodak decide di tagliare 4.000 dipendenti. Nel terzo trimestre dell'anno l'utile della famosa azienda produttrice di macchine e accessori per la fotografia, è sceso a 152 milioni di dollari (contro i 430 dello stesso periodo nel 2000). Scendono del 7% anche i ricavi e a Wall street il titolo accusa un tonfo dell'8,4%. Il rallentamento generale dell'economia colpisce il settore della fotografia e la Kodak corre ai ripari con una serie di azioni di contenimento dei costi: i primi a farne le spese anche questa volta saranno i dipendenti.
La Volkswagen ha annunciato martedì che potrebbe tagliare 3.000 posti, nella principale fabbrica a San Paolo, se i sindacati continueranno a rifiutarsi di sottoscrivere il progetto per ridurre i salari e l'orario di lavoro del 20%. L'azienda automobilistica tedesca, di fronte alla depressione dei prezzi e al rallentamento dell'economia, cerca di tagliare i costi per essere più competitiva e non esita a chiedere il conto ai lavoratori. I 16.000 operai dell'impianto di San Bernardo do Campo, sono stati avvertiti dei provvedimenti, ma la compagnia non ha escluso che le misure potrebbero essere estese anche ai 7.000 dipendenti di Taubate.
Dopo la rottura delle trattative per il contratto, i sindacati degli edili (Feneal, Filca e Fillea) hanno proclamato 10 ore di sciopero da effettuare entro la fine di novembre. Le trattative per il secondo biennio salariale, a cui si è sovrapposta la contrattazione integrativa territoriale non sono mai decollate. La crisi post-tangentopoli è ampiamente superata, i cantieri sono ripartiti alla grande e i profitti pure. Ciò nonostante, l'Ance (l'Associazione nazionale dei costruttori edili) sostiene che non ci sono i soldi per far fronte agli aumenti salariali. Così restano al palo sia il contratto nazionale che gli integrativi. Le 137 mila lire richieste dai sindacati per il secondo biennio sono la pura somma aritmetica dell'inflazione pregressa e di quella programmata, in linea con l'accordo del 23 luglio. L'Ance, per ottenere ulteriori sgravi fiscali, con il no al contratto ricatta il sindacato per costringerlo a premere sul governo perché conceda gli sgravi. Gli addetti regolari, iscritti alle casse edili e coperti dal contratto, sono circa 600 mila.
In lotta contro i processi di privatizzazione della sanità. Mobilitazione
dei lavoratori ieri sia a Roma che a Milano. Due gruppi di dipendenti, uno
indipendentemente dall’altro, hanno scioperato e manifestato contro i danni
della esternalizzazione e della sanità per i ricchi.
I lavoratori delle Ipab di Milano hanno incrociato le braccia per quattro ore
contro il tentativo dell’azienda di affidare ad una ditta privata il servizio
di pulizia. La protesta è stata accompagnata da un presidio presso l’Istituto
geriatrico “Redaelli” di Milano. «L’amministrazione - scrivono i
rappresentanti sindacali unitari che sono riusciti ad indire l’iniziativa di
sciopero a livello unitario - non ha assolutamente tenuto conto del fatto che
dove il servizio di pulizie è già stato appaltato, come nel caso della sede di
Vimodrone, la qualità dei risultati non è migliorata affatto. Inoltre -
aggiungono - la conseguente riduzione di personale non ha dato l’auspicato
risultato di recuperare contingenti di personale da utilizzare per la cura dei
degenti ricoverati, col risultato che anche la qualità dell’assistenza, se
non peggiorata è quantomeno rimasta invariata e quindi sofferente». I
lavoratori hanno proposto all’amministrazione, in alternativa all’esternalizzazione,
di sperimentare una “squadra di pulizie” costituita con personale assunto in
modo da poter raffrontare i risultati ottenuti ma la risposta è stata “no”,
perché i costi non lo consentono. La rappresentanza sindacale unitaria ha
indetto lo sciopero anche per protestare contro la mancanza di informazione
sulla gara d’appalto e il mancato pagamento degli adeguamenti contrattuali per
il biennio economico 2000/2001.
A Roma alcune centinaia di lavoratori della casa di cura “Divina Provvidenza”
di Guidonia, hanno manifestato davanti alla sede del Consiglio Regionale a Roma.
Al centro della protesta la svendita della struttura avviata dalla proprietà e
il loro conseguente licenziamento. La “svendita” consentirà ad una non
meglio identificata società di Milano di trasformare la casa di cura in una
clinica, naturalmente privata, specializzata nella riabilitazione da patologie
gravi. L’assessore regionale ha ribadito ai lavoratori di non prevedere alcuna
“trasformazione” e si è impegnato a convocare le parti.
La Corte di Cassazione ha stabilito che un danno, se arreca sofferenza e
turba l'esistenza di chi lo subisce, deve essere risarcito anche quando non
costituisca reato. La sentenza è della sezione lavoro e chiude una controversia
aperta qualche tempo fa da un dipendente dell'azienda trasporti pubblici di
Foggia obbligato a lavorare durante il giorno destinato al riposo settimanale.
Il lavoratore intentò causa all'azienda sostenendo di averne ricevuto un
"danno da usura". L'Ataf replicò che il trattamento economico
previsto per i dipendenti in caso di mancato godimento del riposo settimanale
era addirittura migliore della norma prevista dal contratto collettivo.
La difesa non convinse né i giudici di primo grado né quelli di appello. Non
soddisfatta, l'azienda aveva presentato ricorso anche in Cassazione ed ora ha
perso definitivamente. La suprema corte ha deciso che i pregiudizi alla salute
ma anche i pregiudizi alla dimensione esistenziale "non possono essere
lasciati privi di tutela risarcitoria".
La sentenza sarà utile sia nelle cause di lavoro sia in quelle risarcitorie in
genere. Poiché, in effetti, il caso specifico può prendere il via dal terzo
comma dell'articolo 36 della Costituzione secondo cui "il lavoratore ha
diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può
rinunziarvi". In qualche misura, queste ultime tre parole si possono
intendere come un percorso obbligato: né le ferie né il riposo settimanale
possono essere monetizzati (l'Ataf infatti è ricorsa a una giustificazione in
"moneta": lo straordinario veniva pagato più di quanto previsto dal
contratto).
L'argomento diventa tanto più interessante nell'epoca in cui i datori di
lavoro, singoli o riuniti, privati o pubblici, si accingono ad assaltare il
fortino della rigidità del lavoro e delle regole che lo proteggono. In nome,
come è noto, di una flessibilità già ampiamente praticata (basta guardare i
dati nazionali sul lavoro sommerso) e mai abbastanza tutelata.
Esplode socialmente la crisi del trasporto aereo. La lunga serie di voci
sulla quantità degli "esuberi" che l'azienda starebbe calcolando,
alla fine, ha fatto muovere la categoria. Lo sciopero generale dei dipendenti
Alitalia è stato unanime. I sindacati parlano del 97% di adesioni, e l'azienda
non prova neppure a minimizzare: questo perchè la mobilitazione dei lavoratori,
in questo caso, potrebbe tornare utile anche all'azienda per ottenere
finanziamenti statali.
Allo scalo di Fiumicino oltre 7.000 lavoratori - praticamente tutti quelli non
impegnati nei "servizi essenziali" - hanno dato vita a due cortei che
sono poi confluiti davanti al terminal dei voli internazionali.
Le cifre della crisi Alitalia sono presto fatte: -30% sui voli
intercontinentali, -25 sugli internazionali, meno 10-15% sui nazionali. Ma le
vie d'uscita possono essere molto diverse tra loro. La via liberista classica
prevede tagli al personale, al numero dei voli, agli scali coperti. Tutte e nove
le sigle che hanno indetto lo sciopero di ieri hanno chiesto al governo di
dichiarare lo stato di crisi per il settore aereo. In cui mancano, ricordiamo,
gli ammortizzatori sociali. Le compagnie aeree straniere presenti negli scali
italiani hanno già cominciato a licenziare; e per chi perde il posto non c'è
alcun paracadute provvisorio. Per quanto riguarda l'Alitalia, invece, viene
chiesta non solo la ricapitalizzazione (750 miliardi) già prevista negli anni
scorsi, ma un progetto di rilancio. Che parte dal rifiuto della "svendita
della compagnia". Nelle condizioni attuali, infatti, qualsiasi idea di
privatizzazione - col titolo che ha perso in Borsa quasi il 7% - si tradurrebbe
in un regalo a qualche privato.
Ma si notano, tra i sindacati, anche voci concilianti sui costi sociali di
un'operazione di "risanamento". Claudio Genovesi, della Fit-Cisl, ha
aperto uno spiraglio all'introduzione dei "contratti di solidarietà per i dipendenti
di compagnie estere e dell'indotto che rischiano il posto di lavoro".
L'ipotesi è stata però respinta in numerosi interventi di delegati espressi
proprio dalle aziende dell'indotto. I comportamenti di aziende come la Laos
(pulizie) o la Ligabue (catering) rischiano di fare da apripista per un drastico
taglio delle retribuzioni in tutto il settore.
Il settore della componentistica per automobili è quello che risente
maggiormente le ripercussioni della contrazione del mercato: tre fabbriche
metalmeccaniche della zona ovest di Torino, tutte dell'indotto Fiat, sono state
travolte dalla mobilità e dal licenziamento della gran parte dei lavoratori. Si
tratta della W.E.Co.M. 70 dipendenti, della Emarc 80 dipendenti e della
Ficomirrors (specchietti retrovisori) 211 dipendenti. La W.E.Co.M. ha già
dichiarato fallimento facendo trovare l'altra mattina i cancelli chiusi ai
dipendenti, che per il momento hanno deciso di occupare lo stabilimento.
La W.E.Co.M. non è la sola a licenziare, anche la Emarc di Casellette ha
imboccato lo stesso "sentiero" e a rischio vi sono 70 posti di lavoro.
La prima risposta è stata un presidio davanti ai cancelli.
La Ficomirrors, ex Magneti Marelli ha comunicato la messa in mobilità di 211
lavoratori sui 300 occupati nello stabilimento di Venaria Reale. Alla
Ficomirrors la direzione dice che il costo del lavoro troppo alto a causa degli
accordi aziendali, della mensa e dei trasporti. E' chiaro che si vogliono
intaccare i diritti fondamentali e i lavoratori stanno rispondendo con presidi
ai cancelli e scioperi a singhiozzo.
A Torino la crisi sta facendo sentire pesantemente i suoi effetti negativi: le
ore di Cig sono già in questo momento ai livelli del '92-93 e nulla di buono si
intravede all'orizzonte. Intanto l'occupazione continua a calare.
Molte aziende stanno praticando ciò che il ministro Maroni propone con il suo
'libro bianco': dichiarano gli esuberi senza prima aver tentato di fronteggiare
la crisi con i normali strumenti usati in queste occasioni.
Oltre 400 dipendenti della Ocean di Valeranuova hanno manifestato nel centro di Brescia. I lavoratori sono scesi in piazza per ricordare le istanze delle 860 persone che rischiano di perdere il posto. Sono settimane che gli operai, pur recandosi regolarmente in fabbrica, non ricevono gli stipendi. Il tribunale di Brescia ha poi accolto la richiesta di amministrazione controllata della Ocean, che rischiava la chiusura per la crisi del gruppo francese Moulinex. Prossima tappa per sventare il fallimento, l'assemblea dei creditori del 10 dicembre. L'amministrazione controllata è stata concessa per 24 mesi (periodo massimo concesso per legge).
Da lunedì 35 dipendenti della Hutchinson di Pontelambro (Co) resteranno a casa per sette giorni, poi riprenderanno il lavoro una settimana sì e una no. L'azienda ha annunciato un periodo di cassa integrazione per almeno 3 settimane. A determinare la decisione della società - che produce componentistica quasi esclusivamente per la Fiat - è la crisi che attanaglia il settore auto. La Hutchinson, unico stabilimento italiano di una multinazionale francese che conta 95 unità del mondo, dopo l'11 settembre ha dovuto dimezzare la produzione.