NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE

Ottobre '99

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Ottobre è il mese delle finanziarie, con le quali i governi fanno un accordo con i padroni su come il denaro extra recuperato dalle tasche dei lavoratori salariati di ogni tipo - pensionati compresi - debba essere restituito al padronato stesso, affinché recuperi profitti e si disponga a meglio sfruttare la forza lavoro. A questo si sta apprestando con fattiva collaborazione padronale e sindacale anche il governo della sinistra imperialista, il quale, dopo due anni di azione antiproletaria, di distruzione di norme e garanzie che in parte difendevano la condizione del lavoratore rispetto all'arbitrio del capitale, ritiene di far "opera di bene" facendo fare "meno" sacrifici ai lavoratori. Ma certo! Come diceva una vecchia - ma sempre attuale - canzone di lotta, i padroni si accingono "dopo un anno di sfruttamento a festeggiare l'anno nuovo, 'chè gli vada ancora meglio"!

Ecco le cifre della legge di fine millennio

Quella per il 2000 sarà una manovra da 15 mila miliardi: 11 mila per tagli alle spese correnti e 4 mila per entrate extratributarie (dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico che saranno gestite direttamente dal ministero del tesoro). Parte dei soldi risparmiati (in totale 3.500 miliardi) saranno restituiti ai cittadini, sotto forma di sconti fiscali, incentivi agli investimenti e all'occupazione, aumento dei fondi destinati al welfare.

La parte dei tagli è composta da un insieme di misure che comprendono in primo luogo la rinegoziazione dei mutui i cui oneri sono a carico dello stato e "le cui condizioni siano disallineate rispetto a quelle di mercato". Dall'operazione si conta di risparmiare circa 2.300 miliardi. Il grosso dei tagli, però, si concentra sulla spesa corrente della pubblica amministrazione. Forti risparmi sono previsti per gli acquisti di beni e servizi e i vari contratti di fornitura. Non è chiaro se anche il settore della sanità sarà coinvolto in questa operazione (Rosy Bindi non sembra particolarmente favorevole). Altra misura "antispreco" riguarda gli immobili (in affitto) utilizzati dalle amministrazioni dello stato: è prevista una riduzione dei metri quadrati utilizzati di almeno il 3% per il 2000 e del 5% nel biennio successivo. C'è poi il capitolo della riduzione del personale: nel 2000 i dipendenti della pubblica amministrazione dovranno essere almeno l'1% in meno rispetto a quelli in servizio al 31 dicembre del 1997. Inoltre per i primi sei mesi del 2000 ci sarà un blocco delle assunzioni e sarà favorito il rapporto di lavoro interinale e il part-time che, nel secondo semestre del prossimo anno, dovrà raggiungere una quota pari al 50% dei nuovi assunti.

Nel capitolo risparmi, o sarebbe meglio dire del risanamento, c'è poi un capitolo che riguarda le pensioni. In primo luogo la soppressione del fondo degli elettrici, il cui disavanzo dovrà essere ripianato direttamente dall'Enel e dalle altre società elettriche (1500 miliardi nel 2000; e altrettanti nel biennio successivo). Sempre in tema di pensioni, una piccola stretta anche per il clero (pochi preti, tanto deficit) anche se i maggiori introiti non raggiungeranno i 20 miliardi: i contributi verranno innalzati di 800 mila lire l'anno, mentre l'età per andare in pensione sale a 68 anni.

Anche le società telefoniche si dovranno fare carico del risanamento dei loro fondi pensione: sono previsti versamenti attorno ai 300 miliardi l'anno fino al 2004. Le imprese elettriche e telefoniche, visto che i fondi speciali saranno soppressi e confluiranno, anche se con contabilità separata nell'Inps, godranno di una riduzione sia dei contributi per assegni familiari che di quelli per la maternità. sarà soppresso anche il fondo dei ferrovieri (anche in questo caso sarà istituito un fondo speciale all'interno dell'Inps) e il disavanzi saranno addossati direttamente all'azionista di maggioranza, cioè il tesoro.

Non è ancora chiaro, invece, se nella finanziaria ci sarà una riduzione dell'aliquota di rendimento per le pensioni più alte, mentre è sicuro che sarà introdotto per tre anni un contributo di solidarietà: il 2% sulla parte eccedente i 138 milioni annui. Tale contributo sarà destinato a incrementare il fondo pensione dei lavoratori atipici. Fin qui i tagli.

C'è poi il capitolo sull'alleggerimento della pressione fiscale: 10.300 miliardi nel 2000. In verità parte di questi soldi erano già previsti. In ogni caso sicuramente sarà ridotta dal 27 al 26 per cento l'aliquota del secondo scaglione Irpef (quello da 15 a 30 milioni di reddito lordo); saranno aumentate le detrazioni per familiari a carico; saranno aumentate le esenzioni per i redditi più bassi; saranno mantenute le detrazioni Irpef per la prima casa decise per il '99 (1,4 milioni) e forse saranno anche aumentate. Sempre in tema fiscale è prevista una semplificazione e un allegerimento delle imposto di successione, ma anche una riduzione delle imposte di registro che penalizzano l'attività immobiliare. Sarà confermata la detrazione del 41% per le ristrutturazioni edilizie, ma il vero obiettivo (Ue consentendo) è di dimezzare l'Iva del 20% che grava sui lavori edili (è anche una misura antievasione). Per le imprese, altri 1000 miliardi per un incremento dei fondi destinati alla superDit, ma anche una alleggerimento del costo del lavoro del 2%, grazie alla fiscalizzazione di alcuni contributi di "maternità". L'assegno di maternità per chi non ha garanzie previdenziali sale da un a 3 milioni e sarà erogato dall'Inps su indicazione dei comuni.

Queste brevi note dicono solo che, a fronte delle chiacchiere, dopo anni di salasso salariale e normativo, lavoratori e pensionati non faranno un passo avanti nei confronti dei loro padroni e sfruttatori, sia privati che pubblici. Inoltre, il tanto odiato stato si farà carico di manovre atte ad aumentare il consumo, che altro non è, in una epoca di eccesso di beni per tutti, un ulteriore regalo al capitale produttivo, che viene schiacciato da quello finanziario. Un po' di keinesismo mentre si taglia il welfare non guasta!

 

Il boom degli "atipici" precarizza il nord ma non crea occupazione al sud

Nel frattempo, la sinistra capitalista conferma con la pratica che l'Italia è un paese diviso in tre: una macroarea, quella del Nord, dove la piena occupazione è quasi una realtà (con un tasso medio di disoccupazione del 4,9% e uno minimo del 2,8% nella provincia di Bolzano); una seconda macroarea, quella del Centro, dove il tasso di disoccupazione (8,4%) è inferiore a quello medio europeo; infine il Mezzogiorno dove è senza lavoro quasi una persona su quattro, visto che il tasso di disoccupazione è al 22%.
L'Istat ha confermato che anche in luglio l'occupazione è aumentata: 256 mila gli occupati in più rispetto al luglio '98 (+1,2%). I dati della rilevazione trimestrale confermano però che il divario Nord-Sud si sta ampliando e che i lavori atipici ai quali l'Istat accredita il 75% dei nuovi posti di lavoro, al Sud non producono effetti. Al contrario: l'occupazione seguita a diminuire e tasso di disoccupazione a crescere.
I dati Istat mostrano una realtà terribile: in luglio il numero degli occupati è salito a 20 milioni 893 mila con un incremento di 256 mila unità sul luglio '98. Un valore medio all'interno del quale troviamo una crescita di 207 mila occupati al Nord (+1,9%) accompagnata da una caduta dell'11,3% del numero dei disoccupati; una crescita di 111 mila occupati al Centro (+2,7%) con un discesa del 5,5% delle persone in cerca di occupazione e una diminuzione dell'1% degli occupati al Sud (62 mila in meno) accompagnata da un aumento dell'1,5% dei senza lavoro (il milione e 651 mila disoccupati rappresentano oltre il 60% dei senza lavoro italiani).
Meglio un lavoro flessibile, atipico che la disoccupazione, canta il coro diretto dal governatore di Bankitalia. Scrive l'Istat: "l'aumento su base annua dell'occupazione ha beneficiato della forte crescita delle forme di lavoro atipico (...) l'occupazione dipendente a carattere temporaneo è cresciuta di 141 mila unità e quella a tempo parziale di 101 mila unità". Non bisogna fare la somma, avverte però l'Istituto di statistica, perchè spesso i due istituti contrattuali si sovrappongono. In totale le forme atipiche hanno creato 191 mila nuovi occupati e tra il luglio '98 e il luglio '99 l'incidenza del lavoro temporaneo sul totale dei dipendenti è salita dal 9,1 al 9,9 per cento (12,1% per le donne). L'incidenza del lavoro a tempo parziale sull'occupazione alle dipendenze, nello stesso periodo è salita all'8,2% dal precedente 7,7%. Anche in questo caso la precarietà coinvolge di più la componente femminile, visto che part-time lavora ormai il 15,6% del totale delle donne, un punto in più rispetto al luglio '98. Sono esclusivamente queste forme di lavoro a consentire la "forte espansione dell'occupazione femminile" cresciuta di 198 mila unità (2,5%) in dodici mesi, mentre quella maschile registra un incremento dello 0,5%. Nonostante questo, il tasso di disoccupazione femminile al Sud è salito dal 30,3 al 31,6% anche se il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) si è "ridotto" scendendo dal 62,8 al 62,2 per cento.
L'occupazione è stata creata quasi esclusivamente dal settore dei servizi che occupava a luglio poco meno di 13 milioni di addetti, con un incremento di 269 mila unità (il 2,1%) sul luglio '98. In flessione invece l'occupazione nell'agricoltura (-4,4%) e nell'industria in senso stretto (-0,2%) anche se il confronto congiunturale dei dati destagionalizzati segnala un incremento dello 0,6% su aprile. In crescita anche gli occupati nelle costruzioni (3,3%) come risultato probabilmente dei lavori per il Giubileo e dello sblocco dei grandi appalti. Nel terziario, la spinta principale l'ha dato il comparto dei servizi alle imprese (+7,7%) ovvero l'esternalizzazione di lavori che un tempo le imprese facevano al loro interno. Diminuiscono, invece, i dipendenti della pubblica amministrazione (-0,6%) e in misura maggiore (-3,2) gli occupati nel comparto dell'intermediazione creditizia e finanziaria. In ogni caso gli aumenti sono tutti tra i lavoratori dipendenti (+2,2%) mentre diminuisce l'occupazione tra gli indipendenti (-1,1%). Infine un dato che farà felice D'Alema: tra l'aprile '96 e il luglio '99 (il confronto è tra dati destagionalizzati) i governi di centro sinistra hanno creato quasi 600 mila posti di lavoro, ma al Sud i senza lavoro sono quasi 200 mila in più

 

"2 ottobre 1999"

ITALTEL : 700 esuberi

Settecento esuberi (su duemila addetti) nella fabbrica aquilana Italtel: sono il punto d'approdo del processo di deindustrializzazione che ha investito il capoluogo abruzzese da oltre un decennio. L'impianto è ormai transitato nel sistema Siemens, e si chiama "Telecomunicazioni Esse". La multinazionale che ne è ora proprietaria persegue una propria strategia di dismissioni che promette di radere al suolo lo stabilimento, considerato "maturo". L'Aquila è in picchiata. La catastrofe Italtel è andata ad aggiungersi alla voragine occupazionale che si è aperta da anni con lo sradicamento del contiguo insediamento Alenia.
Alenia industria, com'è noto, è stata investita da un processo di ristrutturazione all'indomani della guerra del Golfo, tra tutti i segmenti del sistema Alenia quello che venne colpito fu, all'inizio del decennio che si chiude, proprio quello aquilano. Quel che più colpisce nella vicenda dell'apparato industriale dell'Aquila non è tanto l'atteggiamento delle organizzazioni sindacali, anch'esse da lungo tempo vittime di una sindrome che segnala scarse capacità di immaginare scenari e strategie industriali - ma lo stile del Comune, oggi saldamente nelle mani del Polo, sindaco Biagio Tempesta, storico esponente del neofascismo doppiopettista. Tempesta tace. Come taceva, fino a un anno fa, la giunta di centro-sinistra.
Il silenzio del sindacato, infine. Da anni, ormai, Fim-Fiom- Uilm sono apparse incapaci di parola di fronte alla catastrofe. Negli scorsi giorni una delegazione di cassintegrati ex-Alenia ha incontrato il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nel vedere il loro striscione e nell'ascoltare i cassintegrati, Ciampi ha detto: "farò tutto ciò che è possibile".

 

Una giornata per i diritti delle vittime dell'amianto

Non s'arrende l'Aea, associazione esposti all'amianto (051-229208 oppure 055-494858), e convoca un convegno e una manifestazione nazionale a Roma per il 9 ottobre, in vista cioè della seduta della Corte costituzionale che il 12 del mese dovrebbe deliberare sui diritti pensionistici degli amianto-esposti, in base ai quesiti avanzati da magistrati di Ravenna e Vicenza.
"Potrebbe essere l'ultima occasione per far sentire la nostra voce" è lo slogan che riecheggia nelle sezioni Aea e fra le vittime dell'asbesto, o amianto, "l'immacolato che uccide" come viene definito anche in sede scientifica per i tumori maligni che colpiscono, fra l'altro, i polmoni e gli organi addominali. I quesiti rivolti all'alta Corte sono "surrettizi e infondati", secondo l'Aea, e rischiano di riproporre un trattamento differenziato fra lavoratori del settore pubblico e privato. Secondo l'Aea l'esposizione ad amianto è comunque sempre indebita anche in base alle vecchie norme del decreto 303/1956 oltreché della legge 275/92. Se le domande di riconoscimento d'esposizione "per almeno 10 anni" sono in Italia circa 90 mila non sono troppe, come strilla qualcuno, ma solo il drammatico segnale di quanto per anni la salute di chi lavora (e delle popolazioni) sia stata considerata un bene superfluo. Forse i più dotati di memoria ricorderanno le lotte dei ferrovieri (e nel '95 il pretore Amendola sequestrò a Roma 100 vagoni all'amianto, destinati a essere venduti nell'Est Europa) e la strage-continuata di Casale Monferrato. Anzi, incalza l'Aea, "quelle 90 mila domande sono la punta di un immenso iceberg che forse ha le dimensioni d'un milione di persone". La discussione parlamentare è, al solito, arenata e comunque l'orientamento sembrava quello di "disconoscere diritti già acquisiti, piuttosto che renderli effettivamente fruibili".
Non si tratta di vetero marxismo-operaismo, ma della difesa di interessi che non sono solamente quelli dei lavoratori esposti ma di tutti. Sembra uno slogan d'altri tempi ma effettivamente la mobilitazione del 9 ottobre concerne la salute di tutti. C'è infine una palese contraddizione fra i tentativi parlamentari (ma anche dell'Inail e di alcuni giudici) di considerare l'amianto un rischio sopravvalutato e comunque ormai limitatissimo, in assoluta contraddizione con l'orientamento di altri Paesi, e quanto invece vanno scoprendo le varie commissioni parlamentari sulle "eco-mafie" che, nel '98 a esempio, arrivando a Bari scopre discariche a cielo aperto nelle aree dell'ex Fibronit e dell'es Gasometro, in spregio a ogni norma.

 

"4 ottobre 1999"

IVREA: SCIOPERO GENERALE per difendere l'Op

Continua l'odissea dei lavoratori dell'OP di Scarmagno, licenziati. Ventimila persone hanno partecipato alla manifestazione indetta a Ivrea a sostegno della vertenza. Il corteo si è svolto in concomitanza con lo sciopero di quattro ore indetto in tutto il canavese da Cgil, Cisl e Uil per chiedere una soluzione che garantisca l'occupazione nella fabbrica di Scarmagno.
Al corteo hanno partecipato i sindaci della zona, i consigli di fabbrica di numerose aziende e una delegazione dei Centri sociali torinesi.
Secondo il calendario messo a punto al tavolo di crisi istituito presso la presidenza del consiglio, questa dovrebbe essere una settimana decisiva per trovare una soluzione alla vicenda. In questi giorni dovrebbero giungere al tribunale fallimentare di Ivrea le proposte di acquisto da parte degli imprenditori contattati dai curatori. Poi, prima della decisione definitiva dei magistrati, entrerà in campo la Itainvest, la finanziaria pubblica che ha garantito di assistere il ministero dell'industria nella valutazione della validità industriale dei piani presentati dai pretendenti.

 

"6 Ottobre 1999 "

INGHILTERRA:GLI OPERAI SCIOPERANO CONTRO IL RAZZISMO FORD

I dipendenti dello stabilimento Ford di Dagenham, in Gran Bretagna, sono scesi in sciopero ieri contro l'atteggiamento razzista e arrogante dell'azienda nei confronti dei lavoratori. 1.300 operai hanno incrociato le braccia, uno sciopero compatto come non accadeva da dieci anni nella fabbrica britannica della Ford. All'origine della protesta c'è la violenza esercitata la settimana scorsa da un caporeparto su un rappresentante sindacale di origine asiatica. La direzione aziendale si è rifiutata di sospendere il caporeparto, come invece avevano richiesto i sindacati. L'episodio non è il primo del genere: in settembre un altro lavoratore asiatico aveva denunciato di essere oggetto di abusi razzisti. Lo sciopero è partito dopo che i rappresentanti sindacali hanno riferito ai lavoratori di un incontro avuto con i vertici dello stabilimento, senza esito. Il segretario del sindacato dei trasporti Bill Morris ha chiesto ieri un appuntamento al presidente della Ford Jac Nasser per discutere della situazione a Dagenham.

 

"7 ottobre 1999"

LA FIAT DISDICE IL CONTRATTO INTEGRATIVO

La Fiat ha chiesto ai sindacati di non rinnovare il contratto integrativo di gruppo. Tradotto in soldoni, l'intenzione della Fiat è quella di abolire, a partire dal primo gennaio prossimo, la parte di salario derivante dall'ultimo accordo integrativo di quattro anni fa.
Il calendario della vertenza integrativa Fiat prevede, entro fine ottobre, la presentazione della piattaforma da parte dei sindacati. Da novembre dovrebbero iniziare gli incontri tra le parti che, in questa occasione, si svolgerebbero con la spada di Damocle del taglio dei salari nel caso in cui non si giungesse ad un accordo entro fine anno. Claudio Stacchini, segretario della lega di Mirafiori e Rivalta, ha aggiunto la richiesta di "rivedere l'attuale premio di produzione che ha dato ai lavoratori meno di quanto promesso dalla stessa Fiat e che ha il limite di basarsi su indicatori poco verificabili dai dipendenti". Dal '93 al '98 la produttività degli addetti al settore auto è salita del 45,4% e non si può certo dire altrettanto per i salari.

 

EX ITALTEL: Blocco delle merci a L'Aquila

Dritto dritto dal '69 arriva il mitico "blocco delle merci". Non è archeologia del movimento operaio, ma la lotta iniziata ieri all'ex-Italtel dell'Aquila. Non si tratta di un'azienda produttivamente arretrata e "decotta", ma di una fabbrica appena rimodernata di uno dei settori di punta dell'industria mondiale: le telecomunicazioni. Le merci finite e pronte per il mercato sono state bloccate dai picchetti di lavoratori (operai, impiegati, tecnici).
E' la storia quasi esemplare della distruzione del patrimonio industriale operato attraverso le privatizzazioni. L'Italtel era nata come joint-venture tra la nostrana Telecom e la tedesca Siemens, con stabilimenti un po' in tutta Italia e il 50% a testa. A luglio '98 viene presentato un piano industriale per il triennio '99-2001 tutto improntato a tagli occupazionali e zero investimenti: chiusura dello stabilimento di S. Maria Capua Vetere, dimezzamento di quello abruzzese e altri tagli minori. Con l'arrivo di Colaninno la joint-venture viene rimessa in discussione e si arriva ben presto alla separazione: alla Siemens dovevano andare gli stabilimenti di Marcianise e Cassina de' Pecchi. Ma Colaninno non ha liquidi per pagare la parte che gli resta e quindi cede l'impianto dell'Aquila per saldare il debito coi tedeschi. S. Maria Capua Vetere, Palermo e Milano finiranno invece sul mercato.
La Siemens presenta un nuovo piano industriale che praticamente distrugge l'impianto abruzzese (da 1700 a 90 occupati), lasciandovi in produzione solo la missione "multiplatori", ovvero le cabine di smistamento del segnale telefonico (audio e dati). Uno spezzone che occupa attualmente 300 operai e 200 addetti al laboratorio.
Il ruolo del governo è stato finora quello di un "arbitro silenzioso", che si limita a guardare quello che avviene senza mai intervenire. Ma a queste condizioni, fanno sapere i lavoratori, saltano tanti equilibri che vengono dati per scontati. E già suona uno slogan: "abbasso la concertazione!".

L'8 ottobre le lavoratrici e i lavoratori Italtel hanno risposto con uno sciopero al tentativo di parte aziendale di forzare il blocco delle uscite carraie dello stabilimento. Lo sciopero è scattato quando un tir carico di prodotti elettronici destinati a Palermo ha tentato di uscire forzando uno dei numerosi picchetti. Immediata la reazione. Messi in allarme dalle Rsu, gli operai hanno interrotto il lavoro. Il tir ha poi tentato di uscire da un altro passo, ma senza esito.

 

Comunicato

NO AL "PATTO PER IL LAVORO"!!!

SIGLATO DAL COMUNE DI MILANO, SINDACATI CONFEDERALI E IMPRENDITORI. CHE PREVEDE - IN CONTINUITA' CON LE POLITICHE CONCERTATE DA TUTTI I GOVERNI DEGLI ULTIMI ANNI INSIEME A CGIL, CISL E UIL - L'ESTENSIONE DEI CONTRATTI A TERMINE, SALARI RIBASSATI E LIBERTA' DI LICENZIAMENTO.

L'APPLICAZIONE DI QUESTO PATTO DETERMINA CHE IMMIGRATI, GIOVANI, DISOCCUPATI VENGANO ASSUNTI COME MANODOPERA PRECARIA A 600/ 800.000 LIRE AL MESE (UN SALARIO DI POVERTA') E POSSANO ESSERE LIBERAMENTE LICENZIABILI.

LA SOSTANZA E' UN MERCATO DEL LAVORO COMPOSTO DA LAVORATORI RICATTABILI, PERCHE' SOTTOPOSTI A CONTRATTO INDIVIDUALE, SOTTOPAGATI E SENZA TUTELE.

L'EFFETTO E' LA CREAZIONE DI UN MERCATO PARALLELO CHE CONTRAPPONE I LAVORATORI PRECARI A QUELLI COSIDDETTI "GARANTITI" METTENDOLI IN CONCORRENZA TRA LORO, CON L'OBIETTIVO DI ABBASSARE COMPLESSIVAMENTE I LIVELLI SALARIALI E LE CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO.

QUESTO PATTO PREVEDE, CON IL VERGOGNOSO RICATTO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO, L'UTILIZZO DI MANODOPERA EXTRACOMUNITARIA COSTRETTA PER FAME AD ACCETTARE CONDIZIONI DI SCHIAVITU' LEGALIZZATA.

ALTRA CONSEGUENZA E' UN PEGGIORAMENTO GENERALE DEI SERVIZI PUBBLICI, PERCHE' SEMPRE PIU' PRIVATIZZATI, APPALTATI E SVENDUTI AD IMPRENDITORI IN CERCA DI PROFITTI (SEMPRE MAGGIORI CON QUESTE NUOVE MODALITA' DI ASSUNZIONE) E NON CERTO INTERESSATI A SODDISFARE UNA SERIE DI BISOGNI SOCIALI.

I LAVORATORI E LE LAVORATRICI, I DISOCCUPATI E I PRECARI, I GIOVANI E GLI IMMIGRATI DICONO NO ALLA PRECARIZZAZIONE DEL LAVORO E ALLA NEGAZIONE DEI DIRITTI NO AI SALARI DA FAME E ALLA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI NO ALLA SOTTOSCRIZIONE DEL PROPRIO LICENZIAMENTO PER UN LAVORO E/O UN REDDITO DIGNITOSO PER DARE VISIBILITA' AL NOSTRO DISSENSO PER L'UNITA' NELLA LOTTA COSTRUIAMO UN PERCORSO DI OPPOSIZIONE RADICALE!!!

COMITATO CITTADINO CONTRO IL PATTO PER IL LAVORO DI MILANO

PER CONTATTI:

C.S. VITTORIA VIA FRIULI, ANGOLO VIA MURATORI TEL.FAX 025453986
SLAI COBAS, VIALE LIGURIA 49 TEL.FAX 028392117
PANETTERIA OCCUPATA, VIA CONTE ROSSO 20, TEL.FAX 0229518961

 

"10 Ottobre 1999"

Sarno, la Star minaccia di chiudere

Domenica 10 ottobre manifestazione davanti ai cancelli della Star e due pullman in partenza la sera per raggiungere lunedì i vertici aziendali ad Agrate Brianza, nel milanese, dove e' previsto un incontro tra sindacati, operai e azienda.
La Star - circa 300 addetti tra fissi, semistagionali e stagionali - starebbe per chiudere la sua attivita' . Una crisi che si trascina da due anni, avrebbe quindi questo finale drammatico nonostante le maestranze e il sindacato, consapevoli di molteplici ritardi, abbiamo sfidato l'azienda presentando un progetto industriale e competitivo sul mercato. Sembra pero'
che le scelte siano gia' fatte. Mentre le istituzioni parlano tanto di creare lavoro al Sud una delle piu' importanti aziende nazionali taglia la corda. I lavoratori della Star di Sarno, che hanno raggiunto in pullman la sede centrale milanese dell'azienda, sono stati accolti da uno sciopero di solidarieta' (e da un'assemblea che non si vedeva da anni) dei mille operai dei due stabilimenti Star di Agrate Brianza e Carnate. Gli operai di Sarno hanno iniziato un braccio di ferro con l'azienda intenzionata a chiudere lo stabilimento della cittadina sommersa dalla frana del 5 maggio dell'anno scorso.I vertici dell'azienda hanno consegnato agli operai e ai sindacalisti il loro documento in cui e' chiara l'intenzione di liquidare la fabbrica di Sarno operando un accordo con il gruppo La Doria di Angri, a cui verrebbe ceduta la lavorazione della polpa di pomodoro e un gruppo spagnolo a cui verrebbe ceduta la lavorazione del tonno. Il tutto, secondo l'azienda, salvaguardando in gran parte il reimpiego degli operai. Cosa di cui gli stessi operai dubitano fortemente.

Comunicato:

CONTRO IL LICENZIAMENTO DEL CAPOGESTIONE DI ROMA TERMINI

Nel mese di giugno, sulla base di presunti illeciti avvenuti nella biglietteria di Roma Termini, una fantomatica truffa sulla base di carte di credito "clonate", un ferroviere veniva dapprima sospeso ed il 27 luglio licenziato, dopo un sommario processo interno tenuto dai dirigenti responsabili l'ASA Passeggeri - Servizi alla clientela, in assenza di prove certe e negandogli il diritto a difendersi dalle accuse. Il ferroviere e' un capogestione, attivista sindacale della FLTU - CUB.
I dirigenti delle ferrovie, a corto di elementi di prova, ma pieni di livore nei confronti di chi lotta alla luce del sole per la difesa dei diritti dei lavoratori hanno atteso, per agire, che la Polizia Ferroviaria, di concerto con i "solerti investigatori", orchestrasse un'operazione provocatoria quanto inconsistente con l'accusa grottesca di collegamenti con la morte di D'Antona nel maggio '99.
Sebbene questa montatura si disarticolasse nello spazio di poche ore, montatura basata unicamente sul perverso teorema che la crescita del sindacalismo di base ed antagonista al regime sia l'alimento dell'eversione, restava in piedi la provocazione contro il lavoratore,
giudicato e licenziato prima che le accuse fossero contestate e provate e nonostante che lo stesso avesse respinto gli addebiti. A quanto pare la filosofia di Fossa e dell'esecutivo confindustriale viene messa in atto dalle traballanti FS prima della stessa grande industria
privata. La Societa' FS SpA anticipano polizia, magistratura, diritto e si erge a giudice e padrone: trasferisce, sospende, licenzia, attuando cosi' tutta la nuova flessibilità che Governo e Confindustria stanno introducendo nel mondo del lavoro.
Vale a dire che chi resiste e lotta contro gli attacchi al salario dei vari Governi, contro gli attentati al contratto ed alla sicurezza del lavoro dei manager di turno (Ligato, Schimberni, Necci, Cimoli, De Matta'), contro le aggressioni al diritto di sciopero sostenuti ed ampliati da certa stampa padronale e forcaiola, può venire messo fuori del lavoro con accuse infondate in ogni momento.
Questo c'e' dietro l'angolo delle nuove Ferrovie dello Stato, frazionate e normalizzate, pronte per il mercato.
RESPINGIAMO QUESTA PRATICA DISCRIMINATORIA E PUNITIVA E LA LOGICA INTIMIDATORIA DI COLPIRE UNO PER ADDOMESTICARE TUTTI!
DICIAMO NO AI LICENZIAMENTI POLITICI!
DICIAMO NO AL LICENZIAMENTO DI EMILIO!

Roma, 24/09/99

COMITATO DEI FERROVIERI A SOSTEGNO DI EMILIO



"15 ottobre 1999"


OLIVETTI, FABBRICA OCCUPATA DA UN MESE

"Da qui dovranno cacciarci": resistono i dipendenti, pretendono una soluzione per tutti. Erano 7 mila, oggi sono meno di 3 mila.
Op-computer fabbrica occupata": lo striscione indica agli automobilisti che corrono sulla Torino-Aosta. Appeso sul lato autostradale del grande stabilimento di Scarmagno un evento in corso da un mese e da altrettanto tempo ignorato. Stampa e tv locali a parte, un fatto che solo dieci anni fa avrebbe attirato l'attenzione di tutti, oggi sui media passa quasi inosservato: tutti guardano altrove. Non e' piu' tempo di fabbriche occupate, ci sono la finanza, le scalate, i "capitani coraggiosi". Il progresso corre per via telematica sui listini di borsa, o attraverso i telefonini, nelle offerte di tariffe a prezzi stracciati.
Poco importa che sia gli uni che le altre siano passati da questa fabbrica dimenticata, vecchio retrovia per accumulazioni industriali di capitali da spendere altrove. Come da qui sono passati tanti manager che per brevi periodi hanno gestito l'Olivetti (ricavandoci belle liquidazioni),
"facendosi le ossa" e un nome, allacciando relazioni da riutilizzare: Passera (oggi alle Poste), Celli (dirigente Rai), Barberis (Piaggio), Caio (Merloni); e poi, Rossignolo, Garuzzo, Schisano, fino a Colaninno, ultimo erede della dinastia di manager puri avviata da De Benedetti.
L'Op computer e' occupata dai suoi 1.100 dipendenti dal 16 settembre, giorno in cui il tribunale di Ivrea ne decreto' il fallimento. Bande musicali, associazioni cinefile e culinarie, artisti di strada, si alternano per portare la propria solidarieta' ai lavoratori dell'Op, per allentare l'isolamento.
Sono piccoli pezzi di una societa' civile locale che in dieci anni ha perso 13.000 posti di lavoro nell'industria - su una popolazione di 40.000 abitanti - e che da qualche anno non puo' piu' attingere agli ammortizzatori sociali o usare il pubblico impiego come rifugio; e comincia a sentire il peso della crisi, con i giovani che trovano lavori poveri - operai a termine o in affitto, in boite approssimative, ripercorrendo a ritroso il percorso che porto' i loro nonni dalla precarieta' della campagna alla stabilita' della fabbrica.
"Noi siamo abituati all'isolamento", dice Lino Malerba, del comitato d'occupazione che gestisce le giornate a Scarmagno tra assemblee, proiezioni di film, spettacoli di magia e l'attesa di notizie sul proprio futuro. A spezzare quell'isolamento non bastano gli striscioni delle Rsu delle altre
fabbriche meccaniche piemontesi appesi ai cancelli dello stabilimento. L'abitudine all'isolamento deriva da dieci anni di ristrutturazioni continue (che hanno ridotto i dipendenti Olivetti da 7.000 a meno di 3.000), ma anche dalla convinzione, radicata nel Canavese, che alla fine una soluzione "mamma Olivetti" la trovi sempre.
L'occupazione della fabbrica e' stata una scelta inevitabile, le brandine per la notte l'unico rifugio possibile, gli appelli a non mollare l'ancora cui aggrapparsi: "Da qui ci debbono cacciare - dice Malerba - noi occuperemo fino a che non ci sara' un lavoro per tutti e finche' non ci saranno garanzie sul futuro dello stabilimento. Altrimenti ci dovranno portare fuori a forza".
Dall'incertezza del domani esce solo una certezza: "Non voteremo piu' per il centrosinistra, ci ha deluso troppo". La frantumazione della societa' e il suo scollamento dal mondo politico si nutrono anche di queste sensazioni. L'astensionismo elettorale ha un grande futuro.
Piu' grande futuro dovra' avere la riconquista della fiducia verso un partito della classe operaia, al quale dobbiamo lavorare proprio a partire da queste contraddizioni concrete.