Notizie dalla lotta di classe

Novembre 2000

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Unire quello che il capitalismo divide.

 

1 novembre 2000

 

"ATIPICI": TELELAVORO

Il telelavoro esiste e riguarda quasi 800.000 persone in Italia. Ma la modalità - il lavoro a distanza, con trasmissione dell'"elaborato" via modem o cavo - non definisce né riassume adeguatamente la molteplicità di lavori che vengono compresi nella definizione di "telelavoro". Né, tantomeno, la molteplicità di figure professionali, inquadramenti contrattuali, livelli di competenza.
Una ricerca dell'Ires-Cgil evidenzia la crescita di un fenomeno che appena sei anni fa toccava soltanto 37.000 lavoratori, con un'incidenza sull'occupazione complessiva che e' salita dallo 0,5% al 3,6%. Ma come sono distribuiti questi lavoratori? Vi e' un'alta incidenza di telelavoro domiciliare (43,7%), mentre quello 'mobile' starebbe al 37% dei telelavoratori italiani. Gli autonomi rappresentano il 12,5%, mentre gli occasionali il 18,7%. Un quadro che sembra demolire l'ideologia che vuole il telelavoratore come un soggetto "libero per natura" e "refrattario" a gerarchie e ambienti standardizzati di lavoro.
I call center vengono inclusi nel telelavoro anche se e' evidente che si tratta di un lavoro da svolgersi all'interno di una sede aziendale (il fatto di rispondere al telefono, in altri termini, non e' new economy più di quanto non lo fossero le centraliniste della Teti negli anni '50!). D'altro canto si tratta di un servizio in espansione. Nel 1996 si contavano 180 call center; nel '97 erano già 400 e, nel '98, 760. Crescono, di conseguenza, anche le postazioni di lavoro (21.400 nel '98) e il fatturato (gli 80 miliardi del '96 sono diventati 200 nel '99). I "dipendenti" sono così arrivati ad essere 50-60mila, contro il milione di addetti attivi in Europa.
Ma il rapporto di lavoro dipendente vale solo per le grandi aziende telefoniche. Nella maggior parte dei call center impazza il lavoro ultra-precario (contratti di collaborazione, interinale, a partita Iva, part time, ecc). Una flessibilità totale che investe prevalentemente manodopera giovane, tra i 20 e i 30 anni d'età, per rispondere agli andamenti del mercato e alla debolezza di capitali di molte società che sono ancora all'inizio.
La CGIL, responsabile con gli altri sindacati confederali di non aver lottato contro la precarizzazione introdotta in questi anni dai vari governi, arriva a "lamentare" che la Confindustria "e' conservatrice". Bella scoperta!

 

2 novembre '00

 

350 mila BAMBINI AL LAVORO

In Italia sono almeno 350 mila i bambini che non vanno regolarmente a scuola per essere impiegati dagli adulti nei lavori più svariati. O che a scuola ci vanno, ma nel pomeriggio, anziché fare i compiti o giocare, devono faticare per produrre profitto. E' questa la realtà messa in luce da un'inchiesta della Cgil. E il Centro-Nord non può vantarsi, questa volta, di essere più avanzato del Sud, in quanto, per differenti motivi, i bambini vengono mandati al lavoro da famiglie che vivono in tutte le zone d'Italia. La povertà culturale, come quella materiale, spinge i genitori a considerare naturale che i propri bambini lavorino. Viene evidenziata una corrispondenza tra lavoro minorile illegale e lavoro nero: diventa quasi un automatismo, dove le condizioni socio-economiche favoriscono lo sviluppo di un'economia sommersa, dove spesso i bambini non completano l'iter scolastico c'e' il lavoro minorile. L'inchiesta della Cgil, durata due anni, ha coinvolto decine di esperti e ricercatori che hanno raccolto le storie di oltre 600 bambini italiani impiegati illegalmente.

 

3 MILIONI PER UN RINNOVO CONTRATTUALE

Sono oltre tre milioni i lavoratori che attendono il rinnovo del contratto nel loro settore: metalmeccanici, autoferrotranvieri, ferrovieri, imprese di pulizie, lavoratori domestici, poste, ricerca, settore acqua e gas, settore elettrico, vigilanza privata. Periodo caldo anche per le vertenze sugli integrativi nelle grandi aziende: riguardano oltre un milione e mezzo di lavoratori metalmeccanici. Alla Fiat, si e' ancora in una fase di stallo. Negli scorsi giorni e' stata siglato, invece, l'accordo con i lavoratori della Fincantieri. Bloccata anche la vertenza che riguarda i 110 mila autoferrotranvieri italiani, quelli che in questo periodo stanno scioperando più degli altr. In attesa anche il comparto del lavoro domestico: i lavoratori sono circa un milione, anche se quelli regolarmente assunti e segnati all'Inps sono 216 mila. Quasi la metà di questi provengono da paesi extra Ue.

 

3 novembre '00

 

SCIOPERI IN CRESCITA A MC DONALD'S

Umiliati tra palloncini e hamburger, a ritmi velocissimi i dipendenti dei Mc Donald's cominciano a ribellarsi. Da Firenze a Catania, due giorni fa la protesta e' arrivata a Roma.
Un giornalista che provi a entrare in un McDonald's - in via del Corso a Roma, per esempio - non riesce assolutamente a parlare con i ragazzi del "crew" ("equipaggio", gli impiegati al più basso grado, con uno stipendio da 750.000 a 1.100.000 lire per un part-time di 24 ore settimanali) perché viene subito bloccato dai gradi superiori. C'e' il "manager" (detto anche "shift"), un capetto che coordina e spesso rimprovera per delle inezie i subordinati (il suo stipendio e' di 1.500.000 al mese) o il direttore, messo a capo del locale direttamente dalla McDonald's o da un licenziatario (chi ha il marchio in concessione). Bisogna essere autorizzati addirittura dalla "Company" (sede centrale), a Milano, per poter parlare oltre il bancone di qualcosa che non sia necessariamente un cheese burger. E chiedere alla ragazza che ti mesce il milk shake se, per esempio, nelle ultime 4 ore ha potuto fare pipì o bere un po' d'acqua, o se può programmare il weekend con il fidanzato da qui a due giorni. O se per caso ha ricevuto dalla direzione un'aspra lettera di contestazione perché aveva il "badge" (cartellino) un pò storto sul petto.
Ma non si può. L'esercito degli impiegati dei Mc Donald's e' formato da circa 10-15.000 giovani in tutt'Italia, che lavorano in 270 negozi sparsi sul territorio nazionale. Venti sono direttamente gestiti dalla "Company", 250 sono dati in concessione. Contratti in regola, spesso di formazione lavoro, che permettono forti sgravi fiscali ai proprietari. Se i ragazzi lavorano sodo, e soprattutto se obbediscono tacendo, dopo due anni magari arriva l'assunzione a tempo indeterminato. Ma la loro vita e' un inferno e spesso lasciano prima. Soprattutto perché, quasi ovunque, non possono disporre del proprio tempo.
Sono solo i ragazzi che hanno lasciato il lavoro, o quelli che da anni lottano coi sindacati a raccontare quello che succede. Mansioni non rispettate, straordinari non pagati, contestazioni continue per ogni sciocchezza. A Roma, dove la catena e' presente da molti anni, grazie ai primi scioperi, verso il '92, con alcuni licenziatari si e' riuscito a firmare contratti più umani, dove e' possibile programmare i turni e le ferie ma a livello nazionale la trattativa con la "Company" e' bloccata.

CALL CENTER: PRECARIETA' E BASSI SALARI

Altra ricerca dell'Ires: riguarda i call center e investe solo tre delle imprese più grandi: Telecom, Omnitel e Atesia. Resta fuori la massa, con la sua polverizzazione di rapporti di lavoro e forme contrattuali. Paradossalmente la ricerca Ires disegna una situazione atipica, fatta di regolare lavoro dipendente (Telecom, Omnitel) o di collaborazione "a partita Iva" (Atesia).
Ma che cosa produce un call center? Se sono parti di aziende più grandi, come le telefoniche, fanno "assistenza al cliente", intercettandone richieste, proteste, problemi. Se invece, come per Atesia, l'azienda "e'" il call center, vengono prodotti conto terzi "servizi ad alto valore aggiunto, a cui viene affidata la relazione con un cliente potenziale o effettivo" (manutenzione software, installazioni, ricerche di mercato, attività di vendita, sondaggi). Nel secondo caso - ma in parte anche nel primo - il call center e' un "centro di profitto", non "un costo".
In qualche misura riproducono la fabbrica, esattamente come le centraliniste con cuffia e filo. Ma una fabbrica sconvolta continuamente da turni, part time, momenti di addensamento e altri di rarefazione della manodopera. La "flessibilità", qui, e' l'unica regola vera: flessibilità di orario, salario, forma contrattuale. Inevitabile che la manodopera sia soprattutto femminile e giovane, mediamente acculturata (il diploma), "precaria" per condizione generazionale (transitoria) più che per "scelta di libertà". Giovani studentesse part time, ragazze che alternano il call center agli ipermercati; che a stragrande maggioranza vivono in casa dei genitori e con quel salario soddisfano le proprie esigenze non primarie o contribuiscono al bilancio familiare. Un quadretto sociale che somiglia più all'Italia anni '50 (corrispondono alle "apprendiste" di allora) che non al futuro "tecnologico".
La "professionalità", in queso settore, si riduce a un aspetto comportamentale: essere disponibili a tutto, senza fiatare troppo. Si tratta, infine, di una "fabbrica" di cui e' facile prevedere la rapida obsolescenza (buona parte dei servizi potrebbero essere appaltati in outsourcing, o addirittura assegnati individualmente su postazioni di telelavoro).

 

4 novembre '00

 

MC DONALD'S: NUOVO SCIOPERO

Firenze e' la città che ha inaugurato gli scioperi e che adesso ne annuncia uno per il 7 novembre, quando i ragazzi del McDonald's di Via Cavour, decimati dagli autolicenziamenti per le troppe angherie, torneranno in piazza. Ma da ex dipendenti: 15 persone che negli ultimi due mesi hanno dovuto dare le dimissioni, le ultime 4 proprio ieri sera.
Una struttura esemplare quella del McDonald's fiorentino, che fa comprendere come la multinazionale stia importando in Italia un modello primitivo dei rapporti di lavoro, o, se si vuole, ultra-moderno, cioe' americano. Il McDonald's di via Cavour e' in mano a una famiglia, i Govoni, che hanno creato una sorta di 'cupola' interna al locale. Il proprietario, Stefano, ha messo alla contabilità la moglie e la sorella, e ha dato il ruolo di 'manager' (sorta di kapò di grado superiore rispetto ai ragazzi tuttofare del 'crew': cassieri, lavagabinetti, cuochi) al marito della sorella. I lavoratori più "scomodi", vengono minacciati e continuamente umiliati da questo compattissimo gruppo. Una delle ragazze che si sta licenziando si era rifiutata di svolgere in pratica un ruolo da facchina, che non rientrerebbe nelle sue mansioni: il gruppo familiare dei dirigenti l'ha costretta a sostare per tre ore in piedi davanti a una timbratrice, impedendole di lavorare.
E' stata questa una delle cause dello sciopero dello scorso 8 ottobre. Da allora le angherie si sono moltiplicate. I 9 lavoratori che hanno manifestato si sono ritrovati a eseguire continuamente turni di notte, o comunque incompatibili con la loro attività di studenti o con altri lavori. In barba alla legge sul part-time e al recente decreto Salvi, che prevedono un part-time a orari rigidi o uno a limitata flessibilità, ma maggiormente retribuito, il contratto dei McDonald's applica una iperflessibilità: l'orario viene stabilito sulle esigenze dell'azienda settimana per settimana, o mensilmente senza compensi aggiuntivi e impedendo ai lavoratori di programmarsi una vita dignitosa. E prevede degli operatori cosiddetti "polivalenti": si possono lavare i gabinetti e subito dopo essere messi alla cottura degli hamburger o alle casse. Alla faccia dell'igiene.
Ma a parte queste storie private, che sono costate anni di stress e il posto di lavoro ad almeno 15 persone - dipendenti da 2-3-4 anni - da Firenze viene in luce un'altra realtà, che illumina definitivamente una scena desolatissima: i rapporti sindacali, la vera bestia nera della multinazionale. "Alcuni di noi che si erano già licenziati - racconta una ragazza - hanno fatto vertenza all'azienda per ottenere i soldi persi a causa del part-time iperflessibile. Le cause sono ancora in corso, e i ragazzi potrebbero ottenere anche 6-7 milioni per anno. Per evitare altre cause, il proprietario ci ha proposto 150.000 lire per ogni anno e un orario più vicino alle nostre esigenze in cambio di una dichiarazione di rinuncia a fare vertenza. Sei o sette hanno firmato, il resto ha deciso di scioperare. La 'Company' (sede centrale Mc Donald's), due giorni dopo lo sciopero, ha inviato dei supervisori, ma ci ha imposto dei colloqui individuali". Ecco la novità dei rapporti sindacali made in America: via al sindacato individuale, addio organizzazione di gruppo.

 

SCIOPERO ALLA FIAT DI PRATOLA SERRA


E' una giornata da non dimenticare quella di venerdì 3 novembre, per i lavoratori e per la stessa Fiat, stordita dal successo dello sciopero di 8 ore proclamato dalle Rsu della Fma (fabbrica motori automatizzati) di Pratola Serra, dove si produce il 70% dei motori del gruppo per il segmento medio-alto. Il 95% dei 1.800 lavoratori di questa fabbrica integrata, gemella di Melfi, ha bloccato la produzione nei tre turni.
La vertenza riguarda la richiesta dello stesso salario degli altri lavoratori del gruppo (attualmente alla Fma si percepiscono circa 280.000 lire in meno al mese, rispetto ai loro colleghi Fiat) e i turni massacranti, a partire da quello notturno (la "doppia ribattuta" nel gergo sindacale, cioe' le due settimane consecutive di lavoro di notte). La rottura e' avvenuta nell'incontro romano del 27 ottobre tra la Fiat e i rappresentanti sindacali della Fma. L'azienda "ha opposto la consueta arroganza" e, nonostante riconoscesse agli operai Fma grande professionalità e produttività, ha ricordato che di aumenti salariali non se ne parla. La riunione e' stata aggiornata al 13 novembre, ma i lavoratori non ci stanno. "Consapevoli che la tattica della Fiat - dice Fausto Roberto, della Rsu di fabbrica - e' di far slittare il confronto a fine dicembre, quando la contrattazione aziendale finirebbe per cedere il passo al contratto collettivo nazionale, abbiamo saltato le direttive del sindacato nazionale di due ore di sciopero a fine novembre. Come Rsu abbiamo proclamato le assemblee in fabbrica che hanno avuto un'adesione incredibile. Lì abbiamo toccato con mano che i lavoratori sono stanchi di essere sottopagati e sfruttati con ritmi non più disponibili".
Indescrivibile era la gioia dei lavoratori già al turno notturno di giovedì, quando e' iniziato lo sciopero. Lì si e' capito che era avvenuto qualcosa di totalmente nuovo in una fabbrica che non ha mai brillato per combattività e anzi e' stata fin troppo "responsabile" verso la Fiat.

 

APPRENDISTI IN FERROVIA

Il 23 ottobre e' entrato in vigore un altro tassello della "deregulation" contrattuale che accompagna la privatizzazione in atto nelle ferrovie. E' stata infatti siglata l'intesa che introduce l'"apprendistato" e, di conseguenza, un doppio regime salariale all'interno dell'azienda. La denuncia arriva dall'organismo di rappresentanza dei capistazione, l'Ucs, che denuncia anche la "spasmodica ricerca della concertazione" a sostegno della riduzione del costo del lavoro e dei diritti sindacali.

 

5 novembre '00

 

CONTINUA LA LOTTA CONTRO MC DONALD'S


I dipendenti hanno comiciato a raccontare le loro storie di soprusi e angherie ed e' saltato fuori anche un "segretissimo" regolamento aziendale che non deve essere mostrato al di là dei banconi. In ogni locale vigerebbe la "politica delle porte aperte", che dovrebbe spingere i ragazzi a discutere col management dei "problemi o ragionevoli preoccupazioni sulle condizioni di lavoro". Un altro capitoletto si intitola "Le tue idee personali": i "boys" sono invitati a porgere le loro critiche costruttive all'attenzione della direzione. Un modello democratico insomma.
Ma per il management non c'e' tempo per questa democrazia, se si pretende che venga impiegato al massimo 1 minuto e mezzo per servire ogni cliente, cronometrando il lavoro.
Manualetti a parte, forse e' più utile leggere tra le pieghe dei contratti McDonald's: una ragazza del locale di Via Cavour, a Firenze, ha firmato un contratto in cui veniva assunta come "banconiere" - secondo il contratto nazionale del turismo, quindi, un quinto-sesto livello - però, tra le sue mansioni, erano previste incombenze da settimo livello: "carico e scarico, pulizie, oltre a sbarazzo e lavaggi", si legge nel testo. E poi: "L'orario sarà di 4 ore giornaliere (...). Precisiamo che i suoi orari potranno essere spezzati e flessibili, e ciò in relazione alle necessità giornaliere (...)". Un'assunta part-time, quindi, che dovrebbe aver diritto per legge a un part-time rigido (o leggermente flessibile, ma con maggiorazione della retribuzione), si vede costretta a spalmare gratis le sue 4 ore giornaliere in archi più ampi: "Il giorno stesso - racconta la ragazza, ora dimissionaria - mi veniva detto che dovevo fare 2 ore la mattina e 2 il pomeriggio". Per questo motivo, il proprietario del locale di Firenze e' stato costretto, da una sentenza della magistratura, a risarcire parecchi ragazzi versando loro 6-7 milioni per ogni anno che avevano lavorato. Nel nuovo contratto proposto agli altri, viene offerto un part-time rigido con una "clausola di elasticità": chi accetta una certa flessibilità ha una maggiorazione del 10-20% rispetto alla propria retribuzione.

FERROVIE: VITTORIA DI FLTU E SINCOBAS

A Napoli il tribunale ha deciso che i due sindacati di base - Fltu Cub e SinCobas - potranno presentarsi alle elezioni per il rinnovo delle Rsu con una sola lista unitaria (Ferrovieri uniti-Ferrovia unita), accogliendo il ricorso presentato dalle due organizzazioni contro la decisione della "commissione di garanzia" regionale di escluderli in virtù di una norma ("a ciascun sigla deve corrispondere un sindacato") che era stata in realtà introdotta allo scopo di impedire a uno stesso sindacato di presentare più liste. La lista unitaria potrà pertanto presentarsi ed essere votata, tra il 7 e il 10 novembre, negli stabilimenti ferroviari che ormai contengono lavoratori facenti capo a società "indipendenti" (Trenitalia, Fs, Italferr e Metropolis). "Questi saranno i delegati - dicono le due organizzazioni in un comunicato - che dovranno sottoscrivere e gestire un contratto che riduce il salario e accelera il processo di privatizzazione. Perciò diventa importante per il movimento antiliberista e democratico l'esserci". La riuscita o meno del processo di ricomposizione delle molte sigle apparse sull'onda del progressivo - e molto evidente - distacco tra sindacati confederali e ferrovieri e' una delle incognite che pesa sul futuro della categoria: uno dei pilastri e dei fondatori del movimento operaio.

 

7 novembre 2000

 

5000 "ESUBERI" ALLA ROLLS ROYCE

I lavoratori hanno chiesto, tramite i loro rappresentanti sindacali, un incontro urgente con i vertici della Rolls Royce. Le unions vogliono che "l'azienda dica chiaro e tondo quali sono le sue intenzioni": la metà dei nuovi tagli riguarderebbe lo stabilimento di Derby che impiega dodicimila persone. Secondo le voci di corridoio, i tagli farebbero parte del piano di ristrutturazione (in ballo ci sarebbero centocinquanta milioni di sterline) annunciato, ma mai confermato o esplicitato dall'azienda. Un piano che mira, come hanno detto i vertici aziendali, a raggiungere una "maggiore efficienza" e che, come sottolineano i sindacati, ha già portato al taglio di duemila posti di lavoro solo un anno fa. I cinquemila nuovi esuberi verrebbero messi fuori nei prossimi tre anni riducendo di un ottavo la forza lavoro del settore areonautico della Rolls. Per i sindacati si tratta di un "ulteriore chiodo sulla bara dell'industria high-tech" britannica, come ha dichiarato il segretario generale della Manufacturing Science and Finance Union, Roger Lyons. "I lavoratori - ha detto ieri Lyons - vogliono che i vertici dell'azienda dicano chiaramente quali sono i piani futuri. La preoccupazione è palpabile". Preoccupazione che si è trasformata in panico quando si sono aggiunte quelle della possibile chiusura, entro il 2001, dello stabilimento di Derby dove si producono componenti per motori e sul quale si dovrebbe abbattere la scure dei tagli (almeno tremila). Gli altri duemila posti di lavoro saranno tagliati negli altri stabilimenti inglesi ed esteri del gruppo.

 

8 novembre '00

 

ANCORA LOTTA AL MC DONALD'S DI FIRENZE

Il loro era stato il primo sciopero italiano in un McDonald's. Ma dopo appena un mese se ne sono dovuti andare, proprio mentre la protesta dei dipendenti della multinazionale del fast food si estendeva a macchia d'olio in tutta la penisola. Ora i ragazzi e le ragazze del locale fiorentino di via Cavour raccontano: "Siamo stati costretti a licenziarci, perché da quando avevamo fatto sciopero il lavoro era diventato impossibile, ancor peggio di prima". Il confronto tra McDonald's Italia, i sindacati e i singoli licenziatari in franchising va avanti a fatica, per cui comunque i quindici ormai ex dipendenti in part time del locale sono passati con i loro avvocati alle denunce in sede penale e civile, ed un ricorso alla magistratura del lavoro per riuscire ad ottenere il pagamento di quanto avevano guadagnato lavorando in part time flessibile. Poi, subito dopo un'ultima manifestazione davanti al loro vecchio posto di lavoro, con indosso cartelli espliciti: "I crew si sono licenziati, per non essere più maltrattati", e "L'azienda incontra i sindacati, quando ormai i dipendenti scomodi sono stati eliminati". Al loro posto, il titolare del fast food ha già trovato i sostituti: tre lavoratori "in affitto" reperiti dal più vicino ufficio di Manpower, e alcuni giovani filippini. "Tanto loro non protestano, nemmeno di fronte alle sopraffazioni", spiega una delle ragazze che si sono autolicenziate.

 

FIAT CONTRO GLI OPERAI A PRATOLA

Lo sciopero aveva per la prima volta bloccato la fabbrica, col 95% dei lavoratori in lotta su indicazione unitaria di tutta la Rsu locale. Per questo l'azienda ha sospeso due dei delegati sindacali che avevano partecipato allo sciopero. C'è qualcosa di paradigmatico, in questo contrapporsi di "prime volte". E' come se tutte le chiacchiere che si sentono sul "nuovo" tornassero improvvisamente, come meritano, nel dimenticatoio. Contro la decisione della Fiat, che prelude in pratica al licenziamento, l'attivo dei delegati Fiom-Fim-Uilm della Campania ha indetto per stamattina mezz'ora di sciopero in tutte le aziende del gruppo Fiat e in quelle terziarizzate. Si tratta solo di una "prima risposta - dicono le strutture sindacali territoriali - alla provocazione portata avanti dalla Fiat". Le stesse strutture invitano i lavoratori a partecipare "allo sciopero degli straordinari e allo sciopero di due ore di lunedì 20 a sostegno della piattaforma integrativa".
Giorgio Cremaschi ha reso noto che la Fiat sta distribuendo tra i lavoratori delle "una tantum" unilaterali di 450.000 lire o di 350 lire l'ora. Il che significa, ha fatto notare, che "non è vero che la Fiat non ha soldi da dare, ma vuole darli in maniera discriminatoria. A maggior ragione questo richiede la piena riuscita degli scioperi previsti per i prossimi giorni".

Cosa che è puntualmente avvenuta. Lo sciopero di due ore proclamato dalle organizzazioni sindacali e dalle Rsu in risposta alla sospensione di due delegati, dopo il grande successo dello sciopero della settimana scorsa, ha ricevuto l'appoggio massiccio dei lavoratori: il 95%. La manifestazione di solidarietà che si è svolta di fronte allo stabilimento poco prima del turno delle 14 ha accolto centinaia di operai, molti provenienti dagli altri stabilimenti del gruppo Fiat della provincia (Marelli, Iveco, Limasud, Stampi 3) che, insieme alle altre fabbriche Fiat della regione, hanno scioperato per mezz'ora. Scioperi di solidarietà nel gruppo Fiat si segnalano anche a livello nazionale, a Bologna, Cassino, Milano.
I due delegati della Uilm, Antonio Di Capua e Donato Ciccarelli sono incredibilmente accusati di aggressione ad altri lavoratori e a un poliziotto. La notizia ha fatto salire la tensione alle stelle, in fabbrica. Antonio Di Capua, presidente delle Rsu aziendali, uno dei più attivi nel preparare le assemblee, è sconcertato e ributta tutte le accuse: "Io sono tranquillo, incidenti sinceramente non ce ne sono stati, e la dimostrazione viene anche oggi dagli operai che hanno scioperato in massa. Non ho dato né schiaffi a operai né aggredito un poliziotto. E' evidente che con qualcuno c'è stato qualche spintone, ma nulla di più. Quando gli operai hanno saputo della cosa erano increduli: ma come, proprio tu? Sono cose che non stanno né in cielo né in terra. Per me è evidente che la Fiat ha voluto dare un segnale: in una fabbrica dove in passato scioperavano poche persone, ora si trova con questo colpo duro sulla testa. E il successo dello sciopero di solidarietà di oggi è un colpo ancora più forte perché dimostra che la nostra lotta non ha valore effimero". "La verità - dice un altro sindacalista - è che lo sfruttamento dei lavoratori, e parliamo di operai che hanno dato tutto a questa azienda, ha raggiunto il limite. Il 'prato verde' viene a conoscere cos'è lo sfruttamento e dà una risposta per noi estremamente positiva".

 

10 novembre '00

 

TRANVIERI

Si è arenata la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dei ferrotranvieri. Il sottosegretario al Lavoro, Raffaele Morese, ha rinviato a martedì prossimo l'incontro con le parti. Il punto di rottura si è determinato sulla regolamentazione degli orari di lavoro. Mentre gli orari delle aziende aderenti a Federtrasporti (per esempio quelle di trasporto urbano come la milanese Atm e la romana Atac, 70.000 lavoratori in tutta Italia) sono stabiliti dal contratto, quelli dei circa 35.000 lavoratori delle aziende aderenti ad Anav e Fenit (imprese private di trasporto pubblico locale o che gestiscono le ferrovie in concessione) sono regolati da una legge. La Filt-Cgil ha chiesto che anche gli orari di questi ultimi lavoratori vengano fissati per contratto, "in modo da evitare che la loro applicazione concreta avvenga senza un confronto con il sindacato e in modo illegittimo". Abusi nei confronti dei lavoratori, quindi, ma non solo. La iperflessibilità imposta dalle aziende può essere pericolosa anche per tutti i cittadini che usano i mezzi pubblici. Guido Abbadessa, segretario generale Filt-Cgil, denuncia che "in molti servizi extraurbani i conducenti sono impegnati per tantissime ore giornaliere e saltano i riposi settimanali con conseguenze spesso drammatiche per la sicurezza". Fenit e Anav non vogliono inserire gli orari nel contratto e così la Filt ha chiesto al ministro dei Trasporti, Bersani, e a quello degli Interni, Bianco, di intensificare i controlli e le sanzioni. Martedì prossimo, ancora una volta, i sindacati tenteranno di ottenere la contrattualizzazione degli orari.

 

45 LICENZIATI ALLA PERONI

La Peroni di Napoli licenzia 45 persone e i lavoratori decidono di scendere in piazza l'11 novembre per un corteo che si concluderà con un'assemblea pubblica davanti alla fabbrica. La deputata Cobas, Mara Malavenda, che interverrà alla manifestazione, ha presentato un ordine del giorno "antilicenziamenti" alla Camera, sia per la Birra Peroni che per l'insieme delle aziende operanti nel Mezzogiorno. Il voto è previsto per il 17 novembre prossimo.

 

SCIOPERO ALLA FIAT MIRAFIORI

Il 9 i lavoratori della Fiat Mirafiori hanno scioperato per mezz'ora (dalle 7.30 alle 8.00) per protestare contro l'aggravamento dei carichi di lavoro e l'indisponibilità della Fiat a rispettare gli accordi sui tempi e sul mix produttivo. Secondo i sindacati confederali l'adesione ha raggiunto l'80% degli operai della linea di montaggio della Marea. Il S.In.Cobas sottolinea "la necessità di una nuova lotta per un rinnovo contrattuale sostanzioso che ridia dignità alle buste paga, oltre a un netto no a ogni forma di flessibilità sull'orario di lavoro". La giornata di sciopero nazionale in tutto il gruppo Fiat è prevista per il prossimo 20 novembre.

 

CONTRATTO POSTE

E' rottura tra i sindacati e i vertici di Poste spa per il rinnovo del contratto di lavoro scaduto da tre anni. I sindacati autonomi e di categoria, conseguentemente, hanno proclamato una giornata di sciopero in una data da fissarsi tra i primi giorni di dicembre. I sindacati avevano sottoposto all'amministratore delegato di Poste spa, Corrado Passera, le richieste che prevedevano la salvaguardia del potere d'acquisto dei salari attraverso il recupero dell'inflazione per i bienni 98/99 e 2000/2001. Ma l'offerta economica dell'azienda si è rivelata molto distante.

 

SCIOPERO ALLA FILTRAUTO

Alla Filtrauto Italia di Sant'Antonino di Susa (To), fabbrica metalmeccanica di 400 dipendenti dell'indotto auto, stanno difendendo il posto di lavoro. Hanno scioperato per due ore e si sono recati in corteo al municipio della cittadina piemontese, dove una delegazione è stata ricevuta dalle autorità locali. Dopo un lungo percorso di cambio proprietà (Gilardini, Tecnocar, Filtrauto Italia, Labinal) con i relativi strascichi che comportano le cessioni, i lavoratori si trovano nuovamente ad affrontare la mobilità aperta dalla multinazionale che ha comprato per ultima, la Valeo.
"Solo nel 1997, con il passaggio di proprietà dalla Filtrauto Italia alla Labinal, gli operai hanno fatto un anno di cassa integrazione straordinaria a rotazione, dopodiché l'azienda ha dichiarato 119 esuberi ed ha avviato la mobilità, - racconta Maurizio Zanirato della Fiom - Successivamente, nel dicembre 1999, l'impresa ha firmato l'accordo di termine della crisi con il sindacato, per poi a luglio 2000 vendere alla Valeo che immediatamente si è presentata con un'altra procedura di mobilità per altri 72 dipendenti".
Dice Maria Caracciolo delegata di fabbrica: "Dopo avere appena concluso la fase di fuoriuscita degli operai e con l'accordo che sanciva la fine della crisi, è stato un duro colpo per noi essere ceduti a un altro gruppo e constatare che niente era cambiato essendo di fronte all'ennesima revisione dell'organico. Se le cose vanno avanti di questo passo, di cessione in cessione, da ristrutturazione a ristrutturazione, nel 2003 l'azienda non esisterà più e tutti gli operai perderanno il loro lavoro. Credo che sia troppo facile licenziare facendo ricadere su di noi le inefficienze aziendali e recuperare i deficit accumulati in questi anni tagliando sul costo del lavoro, deficit non certo procurato dai dipendenti che si sono sempre impegnati per aiutare l'azienda a uscire da una fase difficile".
"La cosa grave è che a nessuno interessa la sorte di noi operai, neanche quando ci sono i margini per evitare dei licenziamenti - continua Caracciolo - così, mentre si fa di tutto per l'alta velocità in Val di Susa, che nessuno degli abitanti vuole, non si fa niente per conservare i posti di lavoro tradizionali presenti in questa zona. Così facendo, con questi continui cambi di proprietà e ridimensionamenti, viene distrutto il lavoro anche quando si potrebbe farne a meno". "E per che cosa? - conclude Zanirato - Per la logica della globalizzazione che diventata una spirale senza fine, tutto globalizzato tranne il lavoro, sempre più depauperato".

Per la logica del capitalismo, aggiungiamo noi.

 

11 novembre '00

 

ZANUSSI

L'ostinazione dei lavoratori nel bocciare la precedente intesa ha permesso la conclusione della lunga vertenza per il contratto aziendale che la scorsa estate era finita sotto i riflettori per la richiesta dell'impresa di introdurre il "job on call", il lavoro a chiamata, una sorta di moderno caporalato industriale per cui un lavoratore (pur assunto a tempo indeterminato) rimaneva a casa a disposizione dell'azienda, che lo faceva lavorare solo in caso di (sua) neccessità; con le relative - e negative - ripercussioni salariali. In una frase, il massimo della precarietà possibile. Oltre a questa "proposta", Zanussi imponeva in quell'accordo (firmato da Fim e Uilm e poi bocciato in un referendum) altre misure di flessibilità, prima fra tutte ingenti aumenti di produttività cui legare i premi di produzione.
L'intesa firmata fa scomparire il "job on call"; il part-time legato alle produzioni stagionali sarà concordato fabbrica per fabbrica con le Rsu e non deciso unilateralmente dall'impresa; scompare progressivamente la differenziazione salariale per gli ultimi assunti (che non godevano dei premi relativi al lavoro notturno); viene introdotto il diritto individuale all'uso della banca ore previsto nel contratto nazionale; i premi di produzione saranno gestiti a livello di stabilimento e non saranno calcolati al netto degli investimenti, ma legati alla prestazione reale. Infine, l'aumento salariale per i prossimi quattro anni sarà di 1.450.000 lire.
Ora l'ipotesi d'intesa sarà valutata dalle Rsu (martedì), poi illustrata nelle assemblee e infine sottoposta a referendum, seguendo la stessa procedura che alcuni mesi fa ha permesso a operai e impiegati di respingere un pessimo accordo.

ALENIA

Dopo oltre otto mesi di trattative e otto ore di sciopero è statao siglato l'accordo aziendale 2001-2004 per gli 8 mila lavoratori del gruppo Alenia aeronautica. Il premio di risultato basato sui parametri di redditività e produttività è pari a regime a 2,4 milioni. E' stato, inoltre consolidato il vecchio meccanismo di premio per 1,4 milioni, mentre 400 mila lire rientrano nel nuovo meccanismo. Sul fronte economico, l'accordo prevede anche il pagamento di una "una tantum" di 1,8 milioni: 800 mila in dicembre e un milione a luglio 2001.

 

DIRITTI SINDACALI IN FERROVIA

Riammessi su sentenza della magistratura, i ferrovieri aderenti alla lista "Ferrovieri uniti, ferrovia unita" (ovvero Fltu-Cub e SinCobas) hanno dovuto contestare in moti seggi della zona di Napoli il fatto di non essere stati inseriti sulle schede elettorali per il rinnovo delle Rsu. Al seggio numero 2 alla stazione centrale si è arrivati alla denuncia per irregolarità, con successivo arrivo dei carabinieri. Già solo per "contattare" la Commisione regionale di garanzia i sindacalisti delle due sigle erano stati costretti a ricorre all'ufficiale giudiziario. Si tenga presente che le elezioni erano nel frattempo iniziate, e che, per le contestazioni in atto, i seggi saranno chiusi un giorno dopo in diversi impianti della Campania.

 

LA FIAT LICENZIA I "FEDELI" IMPIEGATI

L'annuncio della Fiat è calato sulla testa dei lavoratori come un fulmine, in un cielo già pieno di minacciose nubi. 1.000 impiegati, soprattutto a Torino e per la precisione a Mirafiori, sono "esuberanti". La colpa di questa "sofferta" considerazione, secondo la multinazionale del Lingotto, sarebbe della "reingegnerizzazione", in parole povere della ristrutturazione del lavoro impiegatizio attraverso l'utilizzo di internet e di tutte le tecnologie che renderebbero superfluo il lavoro umano. Per di più, una consistente fetta dei quasi 5 mila impiegati italiani del settore auto è in età vicina alla pensione, e quindi tutto si potrebbe risolvere senza traumi attraverso l'utilizzo della mobilità breve (fino a tre anni), un traghetto semi-indolore verso la pensione.
La Fiat ha comunicato la sua intenzione di trovare una soluzione condivisa per raggiungere l'obiettivo entro l'anno, precisando che in caso di mancato accordo "avrebbe deciso autonomamente". Insomma, o i sindacati sottoscrivono i 1000 licenziamenti oppure la decisione sarà unilaterale dell'azienda.
Nonostante una sua buona presenza sui mercati italiano, europei e latinoamericani (le quote dei marchi della casa torinese sono in crescita), la redditività procede in direzione opposta. Insomma, la Fiat non fa soldi, anzi. La concorrenza è spietata e per vendere si fa di tutto. E questo bilancio, oltre a preoccupare la direzione aziendale non deve far piacere alla sorella maggiore americana, la General Motors che grazie all'accordo di qualche mese fa è diventata proprietaria del 20% della Fiat Auto, cioè di una società che perde soldi e in cambio ha ceduto ai suoi soci italiani il 5% della società americana, che invece i soldi li fa. E qual è il modo più semplice per abbassare i costi, se non licenziare i lavoratori "esuberanti"?
E' significativo che in seguito al processo di riorganizzazione della Fiat, avviato con l'accordo con Detroit, i lavoratori dichiarati esuberanti (cioè zavorra) siano proprio quelli tagliati fuori dalle due joint venture tra le due multinazionali, una sui motori e l'altra sugli acquisti. I mille che potrebbero usufruire della mobilità breve verso la pensione lavorano in grandissima parte a Mirafiori e nell'area torinese, ma la direzione Fiat ha precisato che il provvedimento potrebbe interessare anche un nucleo di impiegati di Pomigliano d'Arco dove si produce per il marchio Alfa Romeo.

 

14 novembre ’00

 

FIAT

Dopo che la Fiat ha annunciato la sua intenzione di liberarsi di mille impiegati degli Enti centrali (a Mirafiori e in piccola parte a Pomigliano), si sono tenute le prime assemblee in fabbrica a cui hanno partecipato un migliaio di lavoratori, operai e impiegati insieme. I lavoratori degli Enti centrali hanno respinto l'attacco dell'azienda che punta con un'unica mossa a liberarsi dei presunti esuberi - gli impiegati che non sono interessati dalle due joint venture tra Fiat e General Motors - e ad accantonare l'integrativo. Le trattative per il rinnovo del contratto aziendale non sono mai decollate per l'intransigenza della multinazionale torinese. Le Rsu decidono le forme di lotta da mettere in campo e non è escluso un aumento delle ore di sciopero (due) già programmate per lunedì prossimo per il contratto. Le ore di sciopero saranno invece otto a Pratola Serra e a Melfi, decisione presa ieri dopo il rifiuto della Fiat di ritirare i due licenziamenti per rappresaglia antisindacale nello stabilimento avellinese.

 

15 novembre ’00

 

SCIOPERO DEI MARITTIMI DELLA TIRRENIA

Alla fine il traghetto Domiziana è rimasto nel porto di Civitavecchia. Nonostante le gravi intimidazioni messe in atto dalla compagnia, spalleggiata dalla polizia, i marittimi della Tirrenia hanno deciso infatti di rispondere all’appello lanciato dal Sin. Cobas, che aveva indetto uno sciopero di 24 ore a partire dalle 17.30 del 14/11. Protesta riuscita anche a Napoli, dove il "Florio" diretto a Palermo non ha potuto mollare gli ormeggi. Hanno invece ottenuto l’effetto sperato le minacce del comandante del traghetto Olbia-Civitavecchia, che pur di far partire la nave non ha esitato a definire l’agitazione illegittima, paventando conseguenze legali per chi avesse aderito allo sciopero. Una "strategia dell’intimidazione" che tuttavia a Civitavecchia non ha funzionato anche grazie all’intervento di Rifondazione comunista, prontamente corsa al fianco dei lavoratori non appena si è saputo che la compagnia aveva chiamato la polizia. "Dapprima - riferisce Simona Ricotti - un ispettore ha minacciato di precettare i marittimi. Poi, dopo il nostro intervento, si è limitato a identificare coloro che avevano deciso di partecipare allo sciopero: un atto di intimidazione vergognoso". Ma quali sono le ragioni della protesta? I motivi dell’agitazione riguardano tutti la tutela dell’occupazione e la sicurezza dei lavoratori e dei viaggiatori, e derivano in buona parte dall’accordo "segreto" che Cgil, Cisl, Uil, Cisal, Ugl hanno sottoscritto il 9 ottobre con la Federmar e La Tirrenia spa. Accordo che prevede l’ulteriore dimagrimento degli addetti sulle navi. Una vera e propria decimazione generata dall’introduzione di un nuovo calcolo, che fissa il numero degli addetti alla navigazione in ragione del numero dei passeggeri. Un’aberrante trovata che consente, per esempio, di ridurre gli elettricisti e gli addetti alle sale macchine nel caso in cui i passeggeri di una linea di viaggio riducano la loro presenza. La logica, che ha suggerito l’accordo contestato deve essere stata, per i settori in esame, quella che l’apparato elettrico e quello dei motori della nave, per effetto del minor numero degli imbarcati lavorino di meno e quindi abbiano bisogno di minor personale. Nulla di tutto ciò è vero, le sollecitazioni degli impianti elettrici e dei motori non derivano dal numero dei passeggeri, ma solo e soprattutto dalla navigazione. Diminuire gli addetti oltre a significare un aumento dei ritmi e dei carichi lavorativi, significa inevitabilmente ridurre i tempi di controllo e di manutenzione, aumentando quindi i rischi in termini di sicurezza dei lavoratori e dei passeggeri. Ma significa soprattutto aprire ulteriormente al lavoro precario, attraverso contratti a termine e lavoro interinale. Proprio sulla sicurezza la Commissione elettorale (Sindacati Confederali e Tirrenia) che ha gestito le elezioni delle Rls, che si sono tenute oltre un mese fa ed i cui risultati non sono ancora noti, ha deciso autoritariamente di escludere alcuni candidati del Sin. Cobas, cancellando senza alcuna motivazione i nomi dalle liste. Decisione contro la quale il sindacato ha presentato ricorso al magistrato. Ma l’offesa maggiore, che i dipendenti della Tirrenia devono subire, è che ormai tutto quello che viene deciso nei loro confronti deriva da accordi tra l’Azienda e dirigenti sindacali confederali che discutono e decidono dei marittimi, senza rapportarsi con gli stessi. Non a caso i lavoratori hanno proclamato lo stato di agitazione, allorquando sono riusciti ad intercettare e valutare il contenuto del verbale dell’accordo del 9 ottobre, sottoscritto senza che nessuno ne sapesse niente. L’opposizione dei lavoratori del Sin. Cobas ha prodotto un primo risultato: Cgil, Cisl, Uil il 30 ottobre, con una laconica lettera, hanno chiesto alla Federlinea ed alla Tirrenia "lo slittamento momentaneo" dell’accordo del 9 ottobre "allo scopo di verificarne l’applicabilità". Una vera e propria ritirata tattica per riproporre in tempi migliori, quando sarà passata la buriana dell’opposizione dei lavoratori, lo scellerato patto. Il Sin. Cobas chiede invece "che tutto quello che riguarda i lavoratori siano essi amministrativi od imbarcati debba essere preventivamente discusso dagli stessi".

 

MINISTERIALI

Per la Confindustria è un pericoloso "bonus elettorale"; per le Rappresentanze di base che hanno occupato per alcuni minuti la sede dell'Aran in via del Corso, un "pre-accordo vergognoso, in quanto non rispetta nemmeno il recupero del differenziale tra inflazione programmata e quella reale". Al centro del contenzioso, il pre-accordo (in quanto non è ancora stata approvata la legge di copertura) siglato lunedì all'Aran per i 270 mila dipendenti dei ministeri per il biennio 2000-2001.
Si tratta delle 154 mila lire a regime (comprese le risorse per la produttività) che sono state concordate tra l'Aran e Cigl, Cisl e Uil, oltre al Confsal-Unsa e che rappresentano un aumento del 3,8%, al di sopra del tasso programmato d'inflazione. Guidalberto Guidi, consigliere di Confindustria per le politiche industriali, afferma, invece, che l'aumento comporterà un incremento salariale di quasi il 4,7% e "se aggiungiamo poi un punto percentuale di previdenza integrativa si arriva al 5,7%".
Per Massimo Fabiani, portavoce, delle Rdb, il pre-accordo non recupera che una picola parte della perdita del potere d'acquisto dei salari. Citando uno studio della stessa Aran, Fabiani ha ricordato che in dieci anni le retribuzioni hanno perso il 10% del potere d'acquisto. Cioè tra le 330 e le 350 mila lire, contro le 154 mila di recupero previste dal pre-accordo. Che non è stato siglato dalle Rdb, non solo perché le rappresentanze di base erano contrarie, ma soprattutto a causa dell'esclusione dalla trattativa, visto che le Rdb per solo uno 0,25% non hanno neppure un rappresentante. Ma le Rdb denunciano il sovradimenzionamento delle rappresentaze dei sindacati confederali, ottenuto grazie a duplicazioni di deleghe che solo al ministero del tesoro sarebbero 3 mila su 16 mila.

AVEZZANO: MICRON TECHNOLOGY


Il management di Micron Technology ha disdetto l'integrativo aziendale in scadenza a fine anno. La disdetta non rientra nella routine, ma non è in vista la nuova stagione negoziale: il management ritiene maturi i tempi per eliminare la contrattazione aziendale.
Il sindacato ha indetto assemblee per trovare una risposta all'iniziativa. Le organizzazioni sindacali di categoria sono divise, alcune in crisi di rappresentanza, come la FIOM, altre nate da questa come la FISMIC, che però ha una natura corporativa. In linea di principio, la prima mossa toccherebbe al sindacato maggiormente rappresentativo: la Fismic, con 250 iscritti, contro i 100-110 di Fiom e di Fim e i 90 della Uilm. I rapporti tra confederali e Fismic sono pessimi, anzitutto perché Fismic fu costituita per erosione di Fiom. Inoltre vi sono questioni di stile e di linea politica.
La prima mossa l'ha però compiuta l'azienda, nella persona del plant manager Sergio Galbiati, un dirigente da 50 milioni al mese. Galbiati ha convocato la stampa locale, ha spiegato che il mercato delle memorie Sdram va a gonfie vele e di conseguenza, i profitti aziendali si sono gonfiati oltre ogni aspettativa; anche se Galbiati ha lasciato capire che era tutto previsto. Qundi l'idea: assumere altri 300 giovani; distribuire ai dipendenti il 10% degli utili. Si tratta di un premio di risultato che presuppone la cancellazione della normativa contrattuale integrativa aziendale che infatti è stata disdetta. Per Galbiati, Micron distribuirà il premio nel seguente modo: il 25% a tutti; il 50% in rapporto ai livelli di inquadramento; l'ulteriore 25% a discrezione del management aziendale. A guadagnare di più, quindi, saranno i livelli medio-alti dal momento che metà del premio totale va nelle buste paga in rapporto ai livelli di inquadramento, e che dunque i dipendenti con posizioni più elevate guadagneranno di più. E' anche ovvio che la corresponsione discrezionale del 25% del 10% degli utili premierà i dipendenti - come dire? - più vicini al management.
Questi lavoratori di Micron Technology, guadagnano circa un milione di più di un metalmeccanico con le medesime mansioni, giunto per anzianitò al massimo della retribuzione. E' evidente che, nelle condizioni determinate dall'iniziativa della multinazionale dell'Idaho, gli spazi di manovra del sindacato sono ristrettissimi. Di fronte alla disdetta dell'integrativo, infatti, è difficile per il sindacato di categoria presentare una piattaforma rivendicativa salariale.
Micron Technology preferirebbe che il sindacato neppure esistesse. Il sindacato, da parte sua, potrebbe rispondere proponendo alle assemblee di turno di ricorrere allo sciopero. Lo sciopero, ventilato nelle sedi confederali, non potrebbe che mettere in difficoltà il sindacato autonomo Fismic (i cui numerosi iscritti, com'è noto, non amano scioperare). Purtuttavia, il ricorso allo sciopero potrebbe forse costituire una minaccia sufficiente di fornte all'arroganza del management Micron. I managers forse non lo sanno, o non l'hanno forse mai studiato nei corsi aziendali: ma lo sciopero potrebbe intaccare i ritmi di accumulazione del profitto ai quali i grandi capi di Boise, Idaho, sembrano assuefatti. Per dirla con chiarezza: la generalità dei dipendenti, di fronte al gonfiarsi delle buste paga, metterà in discussione una politica aziendale fatta di regali?
Per ogni osservatore di queste dinamiche risulta evidente che la parola dovrebbe essere data, ora, alla lotta. Ma la lotta è una modalità desueta. La stragrande parte dei dipendenti Micron sembra considerarla intercambiabile o monetizzabile. Nessuno sembra pensare che, quando gli affari Micron andranno male, la Company non li fronteggerà cancellando i premi di risultato - ma semplicemente mandando a casa i lavoratori. Oggi sappiamo - con anticipo - che l'anno 2001 vedrà il crollo del mercato delle memorie Sdram. Strano che non lo sappiano di dipendenti Micron.
Micron ha ben capito il problema. Perché, difatti, il plant manager Galbiati ha praticamente offerto uno scambio: l'azienda offre il 10% dell'utile operativo e 300 nuove assunzioni in cambio di contratto zero.

FIAT: SCIOPERO CONTRO I LICENZIAMENTI


Quello che tutti si aspettavano è accaduto. I due delegati sindacali della Fma, Antonio Di Capua e Donato Ciccarelli, già sospesi dalla Fiat dopo lo sciopero del 3 novembre, sono stati licenziati. Lunedì notte, al turno delle 22, ai due delegati sono state consegnate ai cancelli le lettere di licenziamento per "comportamento di tale gravità da integrare la giusta causa di recesso e da non consentire più la prosecuzione, neppure a titolo provvisorio, del rapporto di lavoro". Antonio Di Capua, accusato di aver "minacciato e aggredito un suo collega di lavoro" e "aggredito un rappresentante delle forze dell'ordine colpendolo con schiaffi", ha rigettato ogni accusa e si prepara allo sciopero nazionale per il contratto di lunedì. Uno sciopero che alla Fma e alle fabbriche del gruppo Fiat operanti in Irpinia, come Iveco e Marelli, e alla Sata di Melfi sarà di otto ore, contro le due programmate in campo nazionale.
Lo sciopero alla fabbrica motori di Pratola Serra sarà accompagnato da una manifestazione ad Avellino. Un appuntamento che lavoratori e sindacati stanno preparando con cura, cercando di coinvolgere un ampio fronte di lotta. Due giorni fa, l'incontro tra l'azienda e i rappresentanti sindacali della Fma e della Sata nella sede degli industriali di Napoli. I sindacati hanno chiesto il ritiro delle sospensioni dei due delegati per proseguire l'incontro e la vertenza per l'equiparazione salariale a tutto il gruppo Fiat e la messa in discussione dell'attuale turnistica notturna. Ma la Fiat ha opposto un deciso no al reintegro dei due lavoratori e l'incontro è saltato. Angelo Petrillo, Rsu di Fma, racconta: "Il clima di condizionamento e intimidazione è incredibile, quando siamo giunti all'incontro ci attendevano due camioncini di poliziotti sotto la sede e due membri della digos in sala. E' dovuto intervenire il nostro rappresentante sindacale nazionale per far accomodare fuori i due poliziotti". Andrea Preziosi, segretario provinciale Uilm, il sindacato dei due licenziati, dice: "Sull'attacco alla libertà di sciopero non faremo un passo indietro né sconti alla Fiat. L'azienda deve sapere che non accetteremo per i nostri compagni soluzioni diverse dal rientro in fabbrica".
Andrea Amendola, segretario Fiom, è polemico verso i suoi colleghi di Torino: "Oggi più che mai abbiamo bisogno dell'aiuto dei lavoratori del Nord. Torino non ha fatto un'ora di sciopero di solidarietà, a differenza di altre città. Eppure è dal sindacato torinese che sono partite le bordate più forti contro l'accordo di Melfi e Pratola del 1993. Stiamo preparando una grande manifestazione, in cui vogliamo coinvolgere tutta la città perché è in gioco non solo la natura stessa del sindacato, ma anche diritti di civiltà che interessano tutti i democratici. Da soli, però, non andremo da nessuna parte". Alla Sata di Melfi si lavora anche per la solidarietà con i cugini irpini.

 

16 novembre ’00

 

IL LAVORO SECONDO I PADRONI

Confindustria, con i dati dell'ISPO alla mano, conclude che i giovani merdionali non aspettano altro che lanciarsi nel lavoro flessibile.
L'Ispo (Istituto studi sull'opinione pubblica, diretto da Renato Mannheimer) ha effettuato una ricerca che ha interessato 5644 ragazzi italiani - la maggior parte dei quali di età compresa tra i 14 e i 29 anni. Il risultato parla del 37,2% dei giovani meridionali pronto anche da subito a forme di "alta flessibilità contrattuale", ovvero a entrare nel mondo del lavoro con contratti diversi da quelli a tempo indeterminato, cioè di formazione lavoro, a tempo determinato, stage o tirocini retribuiti e non. Quel che si dice una vera e propria miniera d'oro.
Conviene investire al Sud, dunque, visto che, spostandosi a nord, l'indice di "flessibilità contrattuale" scende a livelli insostenibili per qualsiasi industriale: 28,2% nel Centro, 24% nel Nord. Attenzione, però, perché il giovane meridionale, al Sud, gli imprenditori rischiano di non trovarcelo più. Dalla Puglia alla Sicilia, infatti, c'è anche un indice molto alto di "mobilità", ovvero la disponibilità a fare le valigie, visto che il piatto piange: quasi la metà dei giovani (47,5%) si è detto pronto a spostarsi contro una media nazionale del 37,4%.
Ma che tipo di lavoro vogliono i giovani? Oltre la metà (52%) punta a quello autonomo: e sono soprattutto maschi, già occupati e che risiedono nei comuni più piccoli. Le donne, i disoccupati e i giovani delle fasce più colte, invece, sembrano meno disposti a rischiare e tendono a raggrupparsi in quel 30% che cerca un impiego da dipendente. Il caro, vecchio "posto fisso", comunque, i giovani del Sud non l'hanno dimenticato, visto che quasi un quinto di loro (17,4%) vorrebbe lavorare alle dipendenze di un ente pubblico, contro il 9% dei settentrionali.
Tutti dati che, in fin dei conti, non sorprendono: per i giovani meridionali il lavoro "flessibile" non è affatto una scelta, ma un obbligo amaro. Non è che i ragazzi del Sud siano più moderni o "new-economizzati" di quelli del Nord - come forse gli imprenditori vorrebbero far credere - ma probabilmente hanno un cappio al collo più stretto. Secondo lo Svimez, infatti, Calabria, Campania, Sicilia, Sardegna e Basilicata guidano la classifica europea delle regioni a più alto tasso di disoccupazione giovanile (dal 65,2% della Calabria al 52,8% lucano). E le ragazze stanno anche peggio, se si pensa che, sempre al Sud, arrivano a totalizzare un tragico 64,2%.
Ecco spiegata la corsa alla flessibilità di napoletani, palermitani e catanzaresi. E si capisce anche la diffusione nel Sud di call center e catene di franchising tipo McDonald's. Agli imprenditori la flessibilità piace, ma i giovani fino a che punto la stanno scegliendo?

 

SCIOPERI ALLA FIAT

La settimana di scioperi alla Fiat si è aperta in anticipo con le fermate di ieri alle meccaniche di Mirafiori e le assemblee alle carrozzerie e alla palazzina impiegati, alla porta 5. Lunedì le proteste - due ore di sciopero, in qualche caso aumentate - riguarderanno tutti gli stabilimenti italiani e avranno al centro tre obiettivi: il rinnovo del contratto integrativo a cui l'azienda si oppone con prepotenza, il ritiro del licenziamento di due delegati a Pratola Serra e delle mille minacce di licenziamento tra gli impiegati "esclusi" dalle due joint venture tra Fiat e General Motors.
Da Torino a Pratola Serra. "Immediata e concreta apertura della trattativa per arrivare in tempi brevissimi a un accordo; richiesta al governo di una mediazione per la ripresa e la conclusione della trattativa in tempi rapidi (in particolare per Fma e SaTa di Melfi); ritiro dei licenziamenti". Sono questi i tre punti emersi dalle assemblee di fabbrica in preparazione dello sciopero dei metalmeccanici di lunedì alla Fma (Fabbrica motori automatizzata) di Pratola Serra.
Uno sciopero che qui sarà di otto ore (come a Melfi), a dimostrazione della durezza dello scontro che si è aperto al Sud tra i lavoratori e la Fiat. Pesa, come dimostra la rabbia dei lavoratori esplosa anche nelle assemblee di preparazione dello sciopero, il licenziamento dei due delegati di fabbrica di alcuni giorni fa. Ancor più pesa, probabilmente, nell'animo dei lavoratori, una sorta di amarezza e delusione per aver regalato all'azienda in questi anni una fiducia e una pace sociale che hanno prodotto profitti altissimi, ma non una straccio di normali relazioni sindacali.
Le otto ore di sciopero si terranno anche a Melfi, dove si sta sviluppando un duro scontro soprattutto contro le terziarizzazioni. Ma Giorgia Calamita, delegata della Sata, vuole dare un suggerimento agli amici e cugini di Pratola: "Oltre alla lotta per essere equiparati agli altri lavoratori Fiat, dobbiamo agire anche in senso generale, senza più sentirci diversi dagli altri lavoratori del gruppo. Perciò dobbiamo evitare di ghettizzarci e capire che sul contratto la partita è decisiva per tutti".

AMAZON: SINDACATO PER LA "NEW ECONOMY"

La calma cristallina dei siti web si rompe: i lavoratori di Amazon.com, il sito americano di e-commerce più noto al mondo, creano per la prima volta un sindacato. Tra i 400 impiegati dei servizi alla clientela di Seattle gira in questi giorni un modulo per l'adesione al Day2@Amazon.com, che diventerà una costola del WashTech, l'organizzazione che già da tempo tutela i lavoratori del settore tecnologico.
Per gli Stati Uniti è una vera e propria rivoluzione. Come afferma Marcus Courtney, di WashTech, "sfata il mito secondo cui i lavoratori della new economy non vogliono essere rappresentati e i sindacati sono inutili nel ventunesimo secolo". Gli Amazon-impiegati sono ormai decisi ad andare fino in fondo ma, perché la loro nuova creatura venga riconosciuta, dovranno raccogliere la maggioranza delle firme.
Intanto l'azienda corre ai ripari. Mentre il portavoce della compagnia, Patty Smith, ostenta nonchalance davanti alle telecamere della Cnn, affermando che "non c'è nulla di nuovo, non è la prima volta che tentano di organizzarsi", aggiungendo che i dipendenti "non hanno bisogno dei sindacati, in quanto possiedono anche le azioni", dall'altro lato i manager stanno inviando degli inviti molto particolari ai lavoratori.
Una gentile convocazione per quello che i dirigenti chiamano "all-hands meeting", una "democraticissima" assemblea dove tutti sono invitati a parlare. Novità rispetto a quelli del passato: questa volta - la riuscita preme molto all'azienda - la partecipazione verrà addirittura retribuita come una normale giornata di lavoro anche a chi non è in turno. I sindacati, dal canto loro, definiscono invece questo tipo di riunione "captive audience": un modo per chiamare a raccolta tutti gli impiegati e fare un'unica ramanzina intimidatoria. Tanto che, in una email ai supervisori, uno dei capi avrebbe scritto di "informare i dipendenti degli svantaggi che porta con sé l'adesione a un sindacato: scioperi, picchetti, multe e contributi".
Una vera e propria allergia ai sindacati, insomma. Peccato che i lavoratori di Amazon abbiano ormai gli occhi aperti, messi in guardia dai licenziamenti dell'anno scorso, che hanno riguardato il 2% dei dipendenti (150 sui circa 7500 di allora). E, soprattutto, il timore di nuovi tagli al personale viene dalle moderne strategie di risparmio adottate dalle compagnie americane, che trasferiscono i servizi di assistenza ai clienti nei paesi più svantaggiati.
A beneficiare dell'outsourcing Amazon, infatti, sarà la recente alleata indiana Daksh.com, che offre lavoratori a 109-175 dollari al mese (250-400 mila lire) contro i 1900 pagati ai dipendenti americani. La stessa Microsoft ha ormai trasferito buona parte dei propri servizi a Bangalore. Mentre il sito della Daksh seduce le grandi compagnie con dolci parole: "Vi forniamo significativi risparmi dovuti ai differenti sistemi di retribuzione tra India e Stati Uniti". Essere più espliciti sarebbe davvero impossibile.

 

19 novembre ’00

 

SUDAFRICA: BRUCIATI IN FABBRICA

Lenasia, Johannesbug, Sudafrica. 11 persone morte nel rogo della fabbrica di detersivi in cui lavoravano ed erano prigionieri. Il dettaglio è più preciso: 10 donne, le operaie, e un uomo, il sorvegliante. Molto probabilmente tutti neri, questo le agenzie non lo dicono. E' giusto, non fa differenza. Di certo erano molto "flessibili": non guardavano all'orario e guadagnavano 350 rand (100.000 lire) al mese. Facevano il turno di notte, tra venerdì e sabato, e il padrone (probabilmente bianco, questo le agenzie non lo dicono - è giusto anche stavolta - comunque un "padrone", perché il ruolo, al contrario della pelle, fa differenza) le aveva chiuse dentro.
I vigili del fuoco hanno dovuto tagliare i lucchetti che bloccavano la cancellata esterna. Ma anche le porte di ingresso al capannone erano chiuse da fuori. Hanno dovuto fare un buco nel muro, neanche fosse una banca. Un gruppo di passanti di ritorno da un night aveva sentito le urla, ma non aveva potuto far nulla: porte e cancelli chiusi. Se le entrate non fossero state bloccate sarebbero scappati tutti. Ne avevano tutto il tempo. I corpi, o almeno le tracce, sono stati ritrovati un po' su tutti i lati del perimetro del capannone. Avevano corso, cercato un'uscita, lontano dalle fiamme che salivano dai banchi di lavorazione. Hanno avuto tempo.
Margaret Washington, un'operaia che non era al lavoro per uno dei tanti banali motivi della vita quotidiana, e molti testimoni dei dintorni hanno raccontato che quella di chiudere dentro le donne era un'abitudine di lunga data. Il padrone riapriva porte e cancelli solo al momento di far entrare il turno di mattina.
Il 25 marzo del 1911 andò a fuoco una fabbrica tessile di New York. Il padrone, anche lì, aveva chiuso dentro le sue operaie. Centoquarantasei; agli americani piace fare le cose in grande. Quella strage divenne il fondamento della giornata internazionale della donna, in un giorno diverso dello stesso mese, l'8. Ma allora si era agli albori del movimento operaio, quando i diritti dei lavoratori erano ancora tutti da conquistare. E di operai, donne e uomini, dovevano morirne a migliaia prima di ottenere il riconoscimento di essere umani, non "materia prima" della produzione. Quello che oggi stanno perdendo.

 

21 novembre ’00

 

FIAT: TUTTI SCIOPERANO

Il primo sciopero generale del gruppo Fiat dal 1980 è riuscito e ha finalmente scacciato da Mirafiori il fantasma della sconfitta. I cortei interni alle officine e agli stabilimenti del nord e del sud sono stati guidati dai giovani assunti, i ragazzi e le ragazze in contratto di formazione lavoro e quelli a tempo determinato, i più esposti ai ricatti aziendali e dei superiori. Così è andata a Mirafiori e a Rivalta, ma anche negli stabilimenti meridionali di Pratola Serra e di Melfi, dove le ore di sciopero da due sono diventate otto, e di Lecce. A Brescia i lavoratori sono usciti dalla fabbrica (Iveco) e in corteo hanno attraversato la città fino a piazza della Loggia. I bresciani hanno mostrato al primo cittadino le loro buste paga, il modo più diretto per spiegare le ragioni di un contratto integrativo (2.200.000 lire all'anno, in due anni).
Dalla Avio all'Iveco, dalla Marelli alla Allis, fino alle società terziarizzate dalla multinazionale torinese e agli stabilimenti dell'Auto, la Fiat ha dovuto incassare la prima sconfitta da molti anni: l'ultimo grande sciopero risale al '94 contro le pensioni, e quella era stata l'unica parentesi positiva dopo la fine dei 35 giorni dell'80. Come sempre, è Mirafiori il punto di osservazione privilegiato, sia per l'azienda che per i sindacati, negli anni delle lotte come negli anni duri. A Mirafiori come a Rivalta, come in tutti gli altri stabilimenti, la produzione di vetture è stata decimata dalla giornata di protesta.
Oltre alla conquista del contratto, a cui la Fiat si oppone con inedita prepotenza, tra gli obiettivi di questa stagione di lotta c'è il ritiro della minaccia di 1000 licenziamenti tra gli impiegati resi "esuberanti" dall'accordo con la General Motors. Per ora di licenziamenti la società del Lingotto ne ha fatti due ai danni di altrettanti delegati di Pratola Serra, colpevoli di guidare la lotta per conquistare negli stabilimenti meridionali del gruppo lo stesso trattamento di cui "godono" i lavoratori settentrionali

I cortei interni? E chi se li ricordava più? Funzionano così (lo scriviamo per i lettori più giovani e per gli smemorati, per i precari, gli interinali, quelli a tempo determinato, in nero, emersi e sommersi): quando scocca l'ora X - l'inizio dello sciopero - il delegato dà un fischio, gli operai incrociano le braccia e poco dopo anche le linee di montaggio si fermano scricchiolando. A questo punto gli operai convergono al centro dell'officina e alla bell'e meglio si incolonnano, cominciano a sfilare dietro uno striscione ritmando slogan e invogliando con tamburi e campanacci anche gli operai più dubbiosi ad aderire allo sciopero e ad entrare nel corteo che incrocia altri gruppi operai provenienti dalle officine vicine. Il corteo interno cresce lungo la sua marcia e si trasforma in un serpentone dipinto di blu, blu come il colore delle tute operaie. A Mirafiori e a Rivalta ieri è tornata la primavera. Alle Carrozzerie e alle Presse dei due stabilimenti torinesi gli operai hanno aderito in massa allo sciopero di due ore indetto da Fim, Fiom, Uilm e Fismic per il contratto e contro i licenziamenti minacciati di 1000 impiegati degli Enti centrali a Torino e a Pomigliano e i due licenziamenti di delegati effettuati dall'azienda a Pratola Serra. E i cortei interni hanno attraversato (una volta si sarebbe detto "spazzato") persino gli Enti centrali di Mirafiori, dove gruppi ancora minoritari ma significativi di impiegati hanno aderito alla giornata di protesta: è già un buon risultato, dato il crollo della cultura aziendalista tra i colletti bianchi che non credono più alla Fiat, non la vedono più come la Grande Mamma e all'idea di andarsene qualche anno prima in pensione con quattro soldi non ci sputano sopra. Non è facile, in questo quadro, organizzare una lotta contro le espulsioni dalla fabbrica di mille impiegati.

8 ORE A PRATOLA SERRA: DI SCIOPERO

90% alla Fma di Pratola Serra e in modo soddisfacente alla Sata di Melfi, con adesioni superiori al 50%. Sono le due fabbriche del gruppo Fiat dove si è scioperato per otto ore invece delle due nazionali. E' anche il sintomo evidente di come lo scontro, già duro in tutto il gruppo, sia qui al Sud ancora più forte. Mentre a Melfi ci sono stati i presidi davanti alla fabbrica, i lavoratori della Fma hanno sfilato per le strade di Avellino.
Dice Filippo Cristallo, del direttivo Fiom,: "Oggi si sciopera anche contro se stessi, perché se siamo giunti a tanto è anche perché il sindacato ha dormito. Il frutto di questi giorni di lotta l'ha ottenuto la base. Ora il sindacato deve farne tesoro mettendo in discussione patti territoriali e simili, oltre ai turni massacranti". Antonia, operaia all'Fma, è entusiasta: "E' solo l'inizio, siamo consapevoli che non otterremo granché se ci limitiamo a questo sciopero. La cosa veramente nuova è che si è creata nei lavoratori una coscienza dei propri diritti impensabile fino a poco tempo fa. In tutti questi anni in fabbrica c'è stata davvero paura di reagire". E un'altra operaia aggiunge: "C'è un'assoluta mancanza di rispetto nei nostri confronti. Questa è stata la delusione più grande che ho vissuto in prima persona, ma anche vedendo i comportamenti dei capi verso gli altri. Molti pensavano fino a poco tempo fa di poter dialogare con la Fiat. Il nostro amico Di Capua, oggi licenziato, è stato quello più disponibile al dialogo con l'azienda. Ma la nostra disponibilità non è stata mai ripagata. E' un disastro, tutta la gestione è subdola e senza rispetto".
E' dunque chiaro che se c'è del merito non per i sindacati istituzionali, che tutt'al più cercano di cavalcare la tigre: l'aspetto positivo sta nella riscossa - nel senso proprio di darsi una scrollata - operaia, che però non può basarsi poi sull'organizzazione sindacale confederale, proprio perchè già si è sperimentato come questa riesca a imbrigliare anche le lotte più forti e più giuste.

 

22 novembre ’00

 

AUTOGRILL

Nuovi casi di controllo illecito dei lavoratori per mezzo di un sofisticato occhio elettronico nei locali della catena Autogrill.
Nel locale di Limena (Padova) così è stato scoperto uno di questi circuiti: il direttore usa un track-ball del computer e può inquadrare il personale con precise zoomate, riuscendo a vedere quello che vuole con precisione: se un lavoratore sta troppo a lungo fermo in un posto, se si ferma a parlare con qualcuno; addirittura, una volta, ha anche richiamato uno dei dipendenti che aveva mangiato una fetta di salame avanzata dalla rifilatura.
Le telecamere devono inquadrare solo il pubblico e il bancone, escludendo assolutamente le facce dei baristi. Ma basta che il direttore di un locale conosca la password per sbloccare le telecamere, già impostate per il rispetto dei limiti consentiti.
Questi sistemi violano lo Statuto dei lavoratori non solo per l'uso che ne viene fatto - e cioè il controllo a distanza dei dipendenti - ma anche perché l'azienda li ha installati senza mai interpellare i sindacati.
Autogrill ammette che le telecamere di sicurezza installate in alcuni locali possono essere usate per controllare abusivamente i dipendenti e decide di spegnere gli occhi-spia. "Da due giorni - dichiara l'azienda - abbiamo inviato il dirigente responsabile della sicurezza a fare una ricognizione a tappeto in tutti i locali. L'indagine dovrebbe prendere dai 7 ai 10 giorni. Ci impegnamo a garantire che alla fine di questo periodo tutte le telecamere a rischio saranno fissate in modo che nessuno possa utilizzarle per controllare i lavoratori, o, in extrema ratio, oscurate. La verifica è tesa anche a capire se, come hanno dichiarato i sindacati, nei locali in questione si fosse in assenza di precisi accordi su questi modelli di telecamere. In questo caso, i rappresentanti dei lavoratori verranno immediatamente convocati". I sindacati si dichiarano soddisfatti.

 

MIRAFIORI

"No agli esuberi, sì alla vertenza". Un grande striscione è stato appeso alla cancellata della porta 5 di Mirafiori, da dove entra la maggior parte degli impiegati della Fiat Auto. Contemporaneamente, dalle 13 alle 15, 200 impiegati e militanti sindacali hanno tenuto un presidio a cui hanno partecipato parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali dei Ds, di Rifondazione comunista e del Pdci. Dei 1000 esuberi denunciati dalla Fiat tra gli impiegati tagliati fuori dall'accordo con la General Motors, i sindacati non vogliono neppure discutere con l'azienda, la stessa che rifiuta di aprire un tavolo di trattativa sulla piattaforma per il contratto integrativo. "E' paradossale che mentre Confindustria chiede di allungare l'età pensionabile, le gerarchie aziendali cerchino di conquistare il consenso degli impiegati - denuncia la Fiom - ai tagli del personale, promettendo agevolazioni al pensionamento anticipato tramite l'utilizzo della mobilità". Proprio ieri la Fiat ha fatto circolare tra gli impiegati una tabella che tenta di convincere gli impiegati sui vantaggi che riceverebbero con la mobilità fino a tre anni come accompagnamento alla pensione.

 

24 novembre ’00

 

SCIOPERO NAZIONALE A IKEA

Qualcosa sta cambiando, nel corpo vivo dei lavoratori più a rischio che ci siano in Italia. Dopo i McDonald's e qualche call center la protesta raggiunge ora l'Ikea, la multinazionale svedese del "salotto standard". Il 25 tutte e sei le filiali saranno interessate da uno sciopero di 8 ore. La decisione è stata presa dalle Rsu e da Cgil, Cisl e Uil, visto l'andamento delle trattative sul contratto integrativo.
I lavoratori dell'Ikea sono in maggioranza a part time, con una quota rilevante a orario assai ridotto (16 ore settimanali) e salario conseguente. La prima richiesta è dunque quella di un elevamento del contratto minimo di part time a 20 ore. Il secondo punto dolente è relativo alle aperture domenicali e dei festivi in genere. L'Ikea è una società che vuole restare aperta 7 giorni su 7, il che pone seri problemi di organizzazione del lavoro (e della vita) per i 2000 lavoratori. Una prima forma di tutela è stata la conquista dell'adesione volontaria al turno festivo e la retribuzione relativa aumentata del 30%. Ma non tutti i problemi sono stati risolti.
L'ultimo punto di contesa riguarda invece il "premio di partecipazione": l'azienda è ferma al milione e 800mila lire annue, contro i 3 milioni chiesti dal sindacato. Da sottolineare, come riferiscono fonti sindacali, che tra le imprese che ricorrono sistematicamente al part time l'Ikea gode fama di essere tra quelle più "sensibili" alle buone relazioni con le rappresentanze dei lavoratori. Nel senso che la "norma", in materia di lavoro precario, è assai peggiore.

Pugno di ferro in guanto di velluto, è la filosofia aziendale dell'Ikea. Ingvar Kamprand, il fondatore (nel '43), era stato un disinvolto collaborazionista dei nazisti; ma poi, in Svezia, la socialdemocrazia aveva governato ininterrottamente per oltre 40 anni. Un'esperienza da cui il management Ikea ha tratto il rispetto per la presenza sindacale (ma con il blocco della "carriera" per i delegati) e l'abitudine a contrattare tutto. Ma senza regalare davvero nulla.
Adesso anche Ikea è stata attraversata da uno sciopero nazionale. Solo nella sede di Roma tutto continuava come al solito. Uno dei "capi", di guardia a una delle uscite, poteva addirittura assicurare di non aver proprio sentito parlare di scioperi. I sindacati sapevano che Roma, appena aperta e senza una struttura di delegati all'interno, difficilmente avrebbe portato una partecipazione significativa. Ma non era comunque un bel vedere. Del tutto opposta la situazione nelle altre città. A Corsico e Carugate, hinterland milanese, la percentuale di scioperanti ha toccato rispettivamente l'80% e il 60%. Se vi sembra poco, pensate che è una cifra doppia a quella registrata per lo sciopero sul contratto. A Genova si sono fermati il 70% dei lavoratori; a Brescia l'80% e a Torino il 60%. Mentre da Bologna non arrivavano cifre precise. Al centro della mobilitazione soprattutto tre punti: portare il minimo orario dei part time a 20 ore settimanali, contrattazione del lavoro domenicale in sede di filiale e l'elevazione del "premio di partecipazione" a tre milioni annui.
Il "pugno di ferro in guanto di velluto" svedese, infatti, si articola attraverso una rigida gerarchia interna ai lavoratori: solo chi diventa un "capo" può realisticamente aspirare a un impiego full time e a uno stipendio "vero". Tutti gli altri sgomitano fianco a fianco in un oceano di differenziazioni su orari e forme contrattuali. Accanto a una quota maggioritaria di part time a tempo indeterminato c'è un 17% di assunti a tempo determinato e un 13% di interinali (proprio in previsione della forte adesione allo sciopero l'Ikea aveva fatto entrare questa settimana altri "interinali" con contratto per 10 giorni, il minimo stabilito dalla legge).
Ovvio, in queste condizioni, che gli scioperanti si siano concentrati pressoché esclusivamente nella fascia dei lavoratori part time con contratto a tempo indeterminato. Il meccanismo di dipendenza stabilito dal "modello Ikea", infatti, prevede una vasta modulazione del part time, da un minimo di 16 ore settimanali fino ad oltre 30. Il "sogno", lungo il percorso di identificazione progressiva con le ragioni e le finalità dell'azienda, è arrivare alle 40 ore, allo stipendio pieno. Il problema sorge dopo qualche tempo che un "negozio" è stato aperto: l'"ascesa al cielo", per ovvi motivi di intasamento nei posti di "capo", si blocca e solo allora molti lavoratori si accorgono del trucchetto, vecchio quanto mondo. Al punto che l'azienda si è dovuta inventare un "progetto vivaio", una sorta di contenitore per "aspiranti capi" che non possono diventare tali.
Nella giornata di ieri, perciò, hanno lavorato solo "capi" e "aspiranti", oltre a interinali e contrattisti a termine.

 

25 novembre ’00

 

TOSCANA: SCIOPERO PER LA SICUREZZA SUL LAVORO

15mila lavoratori nelle piazze e nei teatri della Toscana. Per ricordare gli 85 colleghi morti, e i 64mila incidenti sul lavoro avvenuti in regione nei primi dieci mesi del 2000. I numeri dicono che lo sciopero generale di quattro ore deciso dai sindacati confederali è stato un successo: ha incrociato le braccia il 90% delle categorie tradizionalmente a maggior rischio (edili, metalmeccanici, tessili e agroalimentari), l'80% degli altri comparti produttivi, ed il 60% dei dipendenti pubblici.
Lo sciopero generale era il primo dopo 4 anni.
Nella piattaforma di rivendicazioni sono chieste garanzie alle imprese, perché i delegati dei lavoratori alla sicurezza non siano più ostacolati, come spesso accade, nell'esercizio delle loro funzioni. Alle associazioni d'impresa invece è richiesto un impegno perché ogni singolo associato rispetti le leggi sulla sicurezza e contro il lavoro nero. Infine la regione Toscana non deve concedere finanziamenti pubblici a chi non rispetta le regole, bloccando al tempo stesso gli appalti al massimo ribasso delle aziende che nei loro capitolati non prevedono piani per la sicurezza. Dal canto loro, le Asl devono recuperare i ritardi registrati negli anni scorsi, e spendere davvero il 5% del loro bilancio in attività di prevenzione e controllo. Infine i sindacati chiedono agli enti locali di far partire corsi di formazione non soltanto per i delegati alla sicurezza, ma per tutti i lavoratori.

 

26 novembre ’00

 

OCCUPATI I CANTIERI SEC

Hanno occupato il cantiere navale i 200 operai della Sec, per non arrendersi ad un fallimento che pensavano di aver evitato. "Avevamo fatto di tutto per tenere in vita un malato terminale - ricorda Massimo Braccini della Fiom - e quando sembrava che ce la potesse fare gli hanno tolto l'ossigeno". In piano di risanamento finanziato da un gruppo di banche creditrici aveva permesso di ottenere fondi per 53 miliardi di lire, a fronte di un'esposizione di quasi 400 miliardi, ma con due grandi navi traghetto quasi pronte per il mercato, ed una terza in costruzione. Però il tribunale di Lucca, che appena due mesi fa aveva concesso l'amministrazione controllata, non ha gradito la scoperta di un ulteriore "buco" di 5 miliardi in un'azienda controllata, la Oram di La Spezia, con il corollario di esecuzioni mobiliari e un'istanza di fallimento.
I dipendenti si oppongono al sequestro giudiziario. Sono 207 nella sede storica di Viareggio, e altri 60 tra Livorno e La Spezia. Ai quali vanno aggiunti un migliaio di lavoratori impiegati in decine di piccole e medie aziende di appalto. Il ricorso contro la sentenza di fallimento è già pronto, ma ci vorranno almeno due settimane perché sia discusso.
L'emergenza era scattata dopo la rottura di un contratto - sul quale pende da anni un contenzioso a Parigi - con l'armatore svedese Stena per la costruzione di cinque grandi navi traghetto, anche se fin dall'inizio degli anni '90 lo storico cantiere versiliese si era trovato in difficoltà a realizzare le navi di grandi dimensioni richieste dal mercato. Dei cinque traghetti, ognuno del valore di 45 miliardi, solo due erano stati venduti, uno alla Stena e l'altro alla Marina Mercantile. Mentre i ritardi per la realizzazione degli altri tre avevano già portato a casse integrazioni, e 500 mobilità nelle aziende dell'indotto.

 

28 novembre '00

 

SKF COME ZANUSSI

Si è costituito a Pinerolo un comitato per il referendum per abrogare e rinegoziare totalmente l'accordo firmato da Fim, Uilm e Fismic alla Skf, fabbrica metalmeccanica di cuscinetti a sfera. A maggio è stata presentata all'azienda la piattaforma sindacale unitaria per il rinnovo del secondo livello di contrattazione, votata dai lavoratori nelle relative assemblee. Prevedeva vari punti qualificanti: un aumento di 2.400.000 lire a regime in quattro anni sul premio di risultato, soldi freschi parametrati principalmente su produttività e qualità del lavoro e non solo sulla redditività come nel precedente accordo (rivalutando in questo modo il lavoro direttamente produttivo), contenimento del danno causato dai turni con una riduzione d'orario per chi fa la notte (15 turni), conferma dei lavoratori con contratto a tempo determinato e contratto week-end, passandoli a tempo indeterminato, costituzione di un comitato di sito per contrastare la terziarizzazione e tutelare i lavoratori interni alla Skf ma dipendenti di società terze.
Il 7 Luglio c'è stata la rottura con la controparte, decisa sempre in modo unitario su punti cruciali della piattaforma: salario e precarietà. Dopo quattro giorni l'azienda ha convocato Fim, Uilm e Fali-Fismic per una ripresa della trattativa, la Fiom è stata avvertita solo venti minuti prima dell'inizio. E inoltre, la direzione aziendale ha escluso di fatto dalla partecipazione i rappresentanti delle fabbriche Skf presenti nel sud Italia. In conclusione, senza il consenso della Fiom, l'accordo è stato firmato dagli altri sindacati che precedentemente lo avevano respinto insieme.
Tale accordo prevede solo un aumento di 400.000 lire, qualcosa sull'orario e una semplice commissione bilaterale su occupazione, lavoro precario e terziarizzazione, escludendo di fatto un consolidamento dei diritti per i lavoratori. Di fronte a questa situazione, la Fiom chiede il rispetto del mandato ricevuto nelle assemblee di fabbrica ed esprime un giudizio estremamente negativo alla conclusione della vicenda contrattuale e al modo in cui stata gestita la trattativa.
Il comitato promotore del referendum, appoggiato oltre che dalla Fiom da altre organizzazioni non sindacali, ha raccolto 1.038 firme davanti ai cancelli della fabbrica, permettendo di far passare l'ipotesi di un referendum per respingere l'accordo separato all'Skf che si terrà giovedì prossimo.
Il punto di riferimento è la vicenda Zanussi, dove i lavoratori hanno respinto con forza l'accordo che prevedeva la chiamata a casa dei dipendenti a totale discrezione dell'azienda. Alla Zanussi gli operai si sono battuti fino all'ultimo per impedire la logica dei bassi salari e della flessibilità selvaggia, e anche qui ora si vuole seguire lo stesso percorso. La frase più ricorrente: "l'hanno fatto alla Zanussi, facciamolo anche noi, bocciamo l'accordo e riapriamo la vertenza".
"L'Skf dice di avere incrementato i profitti del 125% rispetto allo scorso anno", dice un giovane operaio, "è giunto il momento di tirarsi su le maniche e prendersi quel pezzo di utile aziendale che ci appartiene bocciando questo accordo fasullo. 1.038 firme mi sembrano sufficienti a testimoniare il forte disagio che stiamo vivendo. Dobbiamo toglierci il bavaglio che ci hanno messo e far sentire la nostra voce su salario, condizioni di lavoro, precarietà. E' fondamentale la riuscita del referendum, per dimostrare a tutti che che l'ultima parola spetta a noi".
Questi lavoratori sono consapevoli di fare una cosa giusta, c'è voglia di prendersi una rivincita, di decidere del proprio futuro in modo democratico e partecipato. Sembra che la vicenda Zanussi abbia suggerito un esempio da seguire.

 

AVIOGRILL NON RIASSUME

"Il cliente si lamenta perché la pizza è scotta. Cosa fai?". Una domanda che è costata il licenziamento a 15 dipendenti dei 5 punti ristoro Air Service dell'aeroporto di Bologna. E non è che il settore sia in crisi: anzi, con la nascita del colosso Aviogrill, dal prossimo gennaio ben 150 persone saranno assunte nei nuovi 10 ristoranti previsti in aeroporto.
Ecco quindi lo sciopero. I 44 dipendenti fanno volantinaggio, mostrano gli striscioni ai numerosi passeggeri che di solito chiedono una pizza ben cotta o un caffè caldo.
Air Service gestiva i bar grazie a una subconcessione rilasciata dalla Sab, la Società aeroportuale di Bologna. Aviogrill - detenuta per il 51% da Autogrill e per il 49% dalla Sab - ha rilevato i 5 locali e presto ne aprirà altri 5. "Appena saputo che anche la Sab avrebbe gestito i locali - dice una delegata sindacale - noi che lavoriamo da anni in aeroporto e abbiamo contribuito ai suoi profitti, ci aspettavamo di essere riassorbiti tra i 150 nuovi impiegati. E invece no. Un mese fa Autogrill ci ha sottoposto a uno strano test. Non pensavamo che sarebbe servito a selezionare 29 fortunati da riassumere e a licenziare senza appello gli altri 15".
E intanto, da oltre due settimane, si continua a scioperare in molti locali Autogrill: a Reggello (Fi), Sebino (Bs), Limena (Pd), Brembo (Bg), Scaligera (Vr). Nella nuova piattaforma dell'integrativo aziendale - che verrà presentata nei prossimi giorni dal manifesto - i sindacati hanno posto come priorità la questione della sicurezza sul lavoro.

SCIOPERO ALLA FIAT

Il coordinamento dei responsabili territoriali diFiom, Fim e Uilm e Fismic del gruppo Fiat si è ricompattato su alcune iniziative di lotta in vista di una ripresa del negoziato per il contratto integrativo per tutti i lavoratori del gruppo. Sarà indetto uno sciopero di sei ore, le cui modalità di svolgimento saranno divulgate nei prossimi giorni, ed è stato confermato il blocco degli straordinari. Per quanto riguarda gli stabilimenti Sata di Melfi e Fma di Avellino, i sindacati chiedono che la ripresa del negoziato, prevista il 5 dicembre all'Unione industriali di Napoli, porti all'ordine del giorno anche la questione degli esuberi annunciati dalla Fiat e quella dei due licenziamenti di Pratola Serra, avvenuti in seguito a uno sciopero nell'impianto.

 

ACCORDO PER IL CONTRATTO AUTOFERROTRANVIERI?

 

E'stato firmato il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri tra i rappresentanti delle aziende e i sindacati confederali,. che hanno revocato lo sciopero di ventiquattro ore già indetto, anche se resta in piedi la protesta proclamata dal Comu e dai sindacati di base. Quanto ai termini economici dell'intesa, in busta paga gli addetti del trasporto locale troveranno 140 mila lire medie in più a partire dal primo gennaio 2001, oltre alla "una tantum" di 2,5 milioni, di cui un milione già erogato, un altro milione a dicembre e 500 mila lire a gennaio prossimo. L'intesa prevede inoltre l'aumento di un punto percentuale, pari a 27 mila lire, che verrà versato per la previdenza integrativa. Tale quota sarà a carico delle aziende per i dipendenti col sistema contributivo, mentre per tutti gli altri verrà scontato nel prossimo biennio economico 2002-2003. L'orario di lavoro resta immutato a 39 ore con un calcolo complessivo nell'arco delle 17 settimane: sarà compito degli osservatori regionali del lavoro monitorare i quadri orari azienda per azienda, al fine di evitare il ricorso massiccio al lavoro straordinario. L'intesa introduce anche una certa "flessibilità contrattuale". Oltre alla formazione lavoro, già attiva, è in programma una quota di nuovi ingressi sotto forma di apprendistato, con una retribuzione pari al 95% di quella tabellare. Il contratto degli autoferrotranvieri era scaduto il 31 dicembre 1999 e con l'intesa di ieri si dovrebbe chiudere - ma non per i sindacati di base - una vertenza aperta da oltre un anno.

 

OFFICINE CORNAGLIA IN SCIOPERO

Ilavoratori delle Officine Cornaglia, azienda metalmeccanica di stampaggio lamiere che ha tra i principali clienti Fiat e Iveco, hanno scioperato contro la decisione di mettere in mobilità sessanta dipendenti dello stabilimento di Beinasco (in tutto sono duecentoventi). Fiom, Fim e Uilm sottolineano che "solo per pochi lavoratori la mobilità consentirebbe la maturazione dei requisiti pensionistici" e ricordano che "da tempo è ferma la trattativa per il rinnovo del contratto aziendale".

 

 

29 novembre '00

 

FIAT: 4 ORE DI SCIOPERO IL 15

La classe operaia, data per morta e scomparsa, da segnale di vitalità. La buona riuscita dello sciopero del 20 novembre, non sufficiente però a dare una scossa alle trattative con l'azienda, ha convinto i sindacati (anche quelli un po' meno entusiasti dell'idea) a proseguire nello stato di agitazione. Oltre a richiedere un incontro con il ministro del lavoro (per informarlo sul pessimo stato delle relazioni sindacali dopo i licenziamenti di delegati e l'annuncio di "esuberi" tra gli impiegati), è stato infatti indetto uno sciopero nazionale di quattro ore per tutti i lavoratori del gruppo Fiat, con manifestazioni a livello territoriale. Altre due ore di sciopero verranno effettuate da qui al 14 dicembre, con modalità e date differenti a seconda degli impianti.

 

AVIOGRILL: RIAPERTA LA TRATTATIVA

Lo sciopero dei baristi dell'aeroporto di Bologna ha avuto successo: la Sab (Società aeroporto Bologna) ha deciso di incontrare i sindacati per discutere la situazione dei 15 lavoratori esclusi dalle 150 neoassunzioni previste nei nuovi servizi di ristorazione dell'aeroporto. La Sab, insieme ad Autogrill, inaugurerà il prossimo dicembre la catena Aviogrill, composta da 10 bar e self service.

 

ATIPICI: LI RAPPRESENTA .... IL PADRONE

Non ci sono limiti. Alla votazione per eleggere il presidente del Fondo dei lavoratori parasubordinati, che dovrà gestire i fondi speciali Inps relativi alla previdenza dei lavoratori "atipici", con un voto a sorpresa è stato nominato Paolo Tesi, 50 anni, toscano, segretario del Clacs, la struttura Cisl che si occupa del settore. La Nidil-Cgil, sostiene che "con tale esito si è stravolto il voto dei lavoratori e si infligge una grave ferita nei rapporti tra le organizzazioni sindacali". Perché? Semplice: l'elezione del cislino Tesi è avvenuta grazie al voto unanime e decisivo dei rappresentanti del padronato (Confcommercio, Confagricoltura, Confindustria, Confapi e Confartigianato). Ovvero: il padrone si sceglie anche chi deve rappresentare i lavoratori nella precidenza. Un atteggiamento che non sembra affatto "atipico".

 

 

30 novembre '00

 

SCIOPERO DI BUS E METRO

Il contratto per i 115 mila autoferrotranvieri, firmato lunedì da Cgil, Cisl e Uil, non piace ai sindacati di base, che l'hanno dimostrato con lo sciopero. Diverse le percentuali di adesioni, con un picco massimo a Milano, dove il sindacalismo di base si conferma in grado di raccogliere un vasto consenso tra autisti di superficie e macchinisti della metropolitana. A mezzogiorno l'adesione media, secondo il coordinamento nazionale dei sindacati di base, era del 39%, destinata a crescere nel tardo pomeriggio e nelle ore serali, con conseguenze sul traffico del rientro a casa. A Roma l'adesione non ha superato il 30% ma ha causato la chiusura della linea B della metro. A Milano, tra le 10 e le 15, si sono fermate tutte e tre le linee della metropolitana, in mattinata non ha viaggiato il 70% dei mezzi di superficie. Paralisi pressoché totale delle Ferrovie Nord. (m.ca.)

 

IL CONTRATTO SECONDO IL COMU

Orario e salario d'ingresso sono i punti più indigesti del contratto. "Vogliono farci lavorare di più nell'arco della giornata, nel corso dell'anno e per più anni nella vita", dice Walter Volpi, macchinista del Comu alle Ferrovie Nord, "se questo è lo sgravio per il lavoro usurante, meglio non fare i contratti". 39 ore per tutti compresi i turnisti, aggiunge, è una cosa "inconcepibile", visto che i macchinisti delle Fs ne fanno 36. Altrettanto negativo il giudizio sul nuovo inquadramento che blocca al primo livello "per nove anni con salario d'ingresso macchinisti che la formazione professionale l'hanno già fatta e a loro spese". "Sappiamo di creare disagi agli utenti", dice Rino Antonietti, Slai Cobas dell'Atm, "ma lo sciopero è l'unica arma che abbiamo per difendere la qualità del servizio e quindi la qualità della vita di tutti". Il danno i confederali l'avevano già fatto a marzo, con il preaccordo che vincola a uniformarsi al nuovo contratto anche se peggiora la situazione esistente in alcune aziende (all'Atm l'oraio era di 36 ore). "Non sono corporativo ma antiliberista", dichiara Rosario Comizzoli, impiegato Atm passato cinque anni fa dalla Cgil allo Slai Cobas. Che domanda al suo ex sindacato: "Vi va bene dare cinque salari diversi a persone che fanno lo stesso lavoro? Volete imitare l'Inghilterra, incidenti a catena compresi?". (m.ca.)

 

CONTRATTO METALMECCANICO: DIVISIONI E SALARI IN CALO

I sindacati metalmeccanici italiani non riescono ancora a trovare un accordo tra loro per presentare una piattaforma unitaria sugli aumenti di salari nel rinnovo del secondo biennio economico del contratto nazionale di lavoro.
E' una situazione piuttosto deprimente per quel milione e mezzo di donne e uomini che da questo contratto vedono dipendere la possibilità di recuperare un po' di "potere d'acquisto" sull'inflazione. Tanto più che, poi, i sindacati dovranno trattare con la Federmeccanica, e l'accordo lì sarà problematico giacché il punto di vista degli industriali - rafforzato dalle posizioni del presidente della Confindustria D'Amato - è che di soldi loro semmai ne vorrebbero indietro, che il lavoro dovrebbe pagare di nuovo e ancora per un capitale in difficoltà nelle scorrerie della competizione globale.
In realtà la difficoltà sindacale appare incomprensibile al solo leggere i dati ufficiali che puntualmente ci informano della discesa di salari e stipendi: da ultimo l'Istat segnala che "le retribuzioni contrattuali continuano a perdere terreno rispetto all'inflazione", attestate nel mese di ottobre su una crescita dell'1,8% rispetto a un'inflazione pari nello stesso mese al 2,6%, che i dati successivi di ieri già facevano salire al 2,7%.
Invece si va avanti con i parametri dell'inflazione programmata fissati dal governo: cifre fittizie rispetto invece all'inflazione effettivamente attesa, che perciò programmano già in partenza una perdita dei salari, e però costringono i sindacati a una faticosa contrattazione che per definizione non può mai conseguire l'"adeguamento del potere d'acquisto". E', questa, la nota gabbia costruita nel 23 luglio del '92 che i sindacati non osano rimettere in discussione.
La Uilm ribadisce che va bene un aumento del 4,2% (122mila lire lorde in capo a 2 anni) per difendere "il salario reale di tutti", e 30mila lire in più "per quel 50% di addetti che non ha fatto la contrattazione aziendale". In realtà per questa via l'esito immediato è lo scardinamento del contratto nazionale, ridotto a pura fissazione di "salari minimi", e indirettamente della stessa contrattazione aziendale, costretta al recupero di una quota in più, e distolta dall'occuparsi delle condizioni di lavoro.Fim, Fiom, Uilm una settimana fa avevano prodotto un avvicinamento, si era avviata una discussione tra Fim e Fiom in particolare, su come andare "oltre l'inflazione". Ora la Uilm "rompe", e nell'attuale situazione dei salari non si capisce il perché di questo tentativo di riacquistare visibilità e ruolo in un gioco al ribasso.

 

APPELLO:

I lavoratori della Finsiel - azienda informatica del gruppo Telecom - hanno lanciato l'allarme circa i piani di ristrutturazione che li riguardano. Indirizzato a tutto il mondo del lavoro, al sindacato, alle Rsu, quest'appello - riprodotto in stralci - è disponibile su www.tiitanic.it
... L'informatica del gruppo Telecom rischia di essere smantellata: a pochi mesi dalla costituzione di T.i.i.t. (Telecom Italia information technology) è cominciata l'operazione di scomposizioni e ricomposizioni aziendali, di spostamenti di quote societarie e cambiamenti di ragione sociale che rischia di portare alla disgregazione del più importante presidio nazionale nel settore dell'It. Il piano industriale di Tiit, recentemente approvato dal Cda, definisce un semplice contenitore che consente a Telecom di razionalizzare i settori immediatamente utili per le tlc e tenere insieme il mosaico di imprese fino al momento della vendita all'asta. [...] Non siamo di fronte a strategie di investimento... ma a operazioni parziali e contraddittorie condizionate da una logica prettamente finanziaria. [...] In una prima fase si procede al sezionamento delle attività e nella seconda fase alla loro disarticolazione; per quelle collegate alle tlc si mantiene il legame con la casa madre, per le altre si punta al collocamento in borsa [...] Si tratta di un progetto industriale privo di prospettive e non è difficile intuire il pericolo che Telecom intenda procedere a una serie di dismissioni. L'Ict è un settore il cui sviluppo può essere sostenuto solo da una decisa politica di investimento e integrazione che preservi e rafforzi la dimensione industriale, il grado di coesione e le sinergie della rete di imprese che costituiscono il comparto.
Fim, Fiom, Uilm e Coordinamento nazionale Rsu Finsiel