Notizie dalla lotta di classe

Novembre ’99

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APPALTI ALL'ATAC: Gli schiavi sull'autobus

Gli appalti derivano dall'esternalizzazione di una serie di lavori - manutenzione e pulizia degli automezzi - iniziata nel '92. Prima c'erano stati dei tentativi che i lavoratori avevano respinto ottenendo dall'Atac l'assunzione. Oggi la politica è quella di creare aziende "global service" e quindi esternalizzare tutti i servizi non indirizzati direttamente al cliente. Di fatto le pulizie di impianti e mezzi, nonché "i rifornimenti acqua, olio e nafta e la mobilitazione degli autobus all'interno delle rimesse (ora anche all'esterno; lungo via di Portonaccio, l'ex deposito Cotral, i Jumbo lunghi 18 metri vengono spostati dagli addetti alle pulizie)". All'Atac non restano che gli autisti e gli impiegati, in pratica, visto che anche gli autisti "non più idonei" (incaricati appunto degli spostamenti dentro i depositi) sono stati ""riaggiustati" e rimandati in linea". Per l'azienda si tratta di un risparmio notevole: il costo del lavoro delle cooperative è notevolmente più basso, sia per ragioni fiscali, sia - e soprattutto, come stiamo vedendo - per la quasi assoluta assenza di possibilità conflittuali da parte di lavoratori senza diritti, spezzettati quanto a funzioni, orari, salari.
Le condizioni del part-time sono "ovviamente" le più disagiate. "Faccio 26 notti al mese. Attacco alle 23 e stacco alle 4 di mattina, dal lunedì al sabato, quindi finisco per lavorare anche di domenica. Questo ha comportato un pò di problemi a livello familiare e molte rinunce". E' una turnazione "normale" in un'organizzazione del lavoro grottescamente rigida, dove il solo elemento flessibile è il lavoratore. I dipendenti dell'Atac fanno 3 turni di lavoro, ma le Coop non permettono l'adeguamento a questa turnazione. Rispondono che è difficile, quasi impossibile, perché non tutti hanno lo stesso orario di lavoro. Ci sono lavoratori che stanno a 20 ore, a 24, a 30, a 36; pochi a tempo pieno. In tutti gli appalti l'organizzazione del servizio è strutturata così. La mattina si fanno i lavori di ufficio, pulizia dei bagni e vetture. Di notte i lavori a catena, che servono per far uscire le vetture la mattina dopo.
Il rapporto di lavoro dominante negli appalti è la cooperativa, e gli appalti Atac sono in mano a Coop 2001, Crm 80, Manutencoop 2000. Tutte e tre legate alla Lega delle cooperative. Con due sole varianti: i soci-lavoratori e i dipendenti. I primi in teoria hanno più diritti, in pratica nessuno. Qual'è la differenza? Racconta un "cooperante": "Le cooperative all'Atac non rispettano la legge 300, il contratto nazionale. I primi sette giorni di malattia non vengono pagati, i manovratori non sono inquadrati al terzo livello, i soci-lavoratori non fanno assemblee sindacali, non scioperano, sono "flessibili" perché se la cooperativa dice "devi fare due ore qua e cinque ore là" lui ci deve andare". Avrebbero il diritto di votare e presenziare alle assemblee sociali, ma "le fanno in ore assurde, quando molti lavorano". Memorabile resta un'assemblea della Crm 80 di qualche tempo fa, il cui "ordine del giorno diceva "pacco di natale, eventuali e varie"; tra le eventuali e varie c'era la ricapitalizzazione della cooperativa, che portava la quota sociale - quella che ognuno è tenuto a versare - da 2 a 10 milioni a testa". Il presidente è "un ex segretario provinciale della Uil trasporti, Vincenzo Baldassarre".
Paradossalmente, dunque, si è un tantino meno schiavi restando semplici dipendenti. "Ho visto soci fare 12-14 ore al giorno, staccare alle 4 della mattina per riattaccare alle 6 da un'altra parte. Essendo dipendente mi sento più tutelato, tramite l'organizzazione sindacale cerchiamo di resistere, anche se alla fine vincono sempre loro, ma almeno posso reagire. Penso che parecchi soci vivano una condizione psicologica disastrosa".

I soci hanno un "vantaggio": poter lavorare di più!

L'insieme delle pratiche usate configurerebbe l'ipotesi di reato per interposizione di manodopera, violazione della legge 602 (le cooperative potrebbero fare solo il lavoro di pulizia e facchinaggio, ndr) e irregolarità sui contributi. E in effetti l'ispettorato del lavoro si è mosso in questo senso, entrando nei depositi per verificare condizioni di lavoro e rispetto delle norme contrattuali.
In condizioni di lavoro tanto precarie e disagiate il controllo sulla manodopera ha ripreso modalità e comportamenti che sembravano scomparsi con l'800. Non si contano le "lettere di richiamo" per i motivi più banali e pretestuosi. E, raggiunto un certo limite di "richiami", scatta il licenziamento. Racconta ancora il lavoratore della cooperativa: "Ne ho ricevuta una - poi ritirata - quando la trasmissione "Pinocchio" ha effettuato un collegamento dal deposito di Portonaccio. Si parlava di lavoro nero, guarda caso. Mi ero avvicinato alle telecamere, dove c'era il capannello dei compagni del Cnl (il sindacato di base dei dipendenti Atac, ndr). Il supervisore mi ha intimato di andarmene. Gli ho fatto presente che ero fuori dall'orario di lavoro e che mi era stato consentito dalla Cnl di stare lì ad ascoltare; che lavoro lì e sono anche delegato sindacale e in quel momento stava parlando il mio segretario generale. In sintesi: sono stato scortato fuori dell'impianto dall'ispettore, dal supervisore, dal caposquadra, da un ingegnere. Stavano lì solo per non far entrare l'unico che poteva intervenire e dire qualcosa. Quelli della Cnl mi hanno espresso tutta la loro solidarietà, commentando "Qui siamo tornati ai tempi del fascio". La cooperative mi ha anche mandato una lettera di sospensione di 3 giorni, perché secondo loro avevo violato il contratto andando sul posto di lavoro prima dell'orario!".

 

MICRON di AVEZZANO

Per far passare i turni di 12 ore, piegando le resistenze e i dubbi del sindacato ogni mezzo è lecito. Per i padroni, naturalmente. Compreso il vecchio sistema del bastone e della carota che consiste nel promettere un grandioso futuro se i lavoratori saranno bravi e produttivi e minacciare la chiusura della fabbrica se ci sarà resistenza all'introduzione di forme esasperate di flessibilità.
Nel documento "confidential" inviato il 30 ottobre "to Avezzano team manager", Brian Shields, il nuovo responsabile della Micron Technology di Avezzano (che nel sistema-mondo della multinazionale statunitense è definita "Fab9") non usa mezzi termini: "ci sono molti posti in cui investire". Come dire: se non raggiungeremo una posizione di primato, il gruppo di Boisc considererà il "wafer fab" di Avezzano un cattivo affare e si regolerà di conseguenza, perchè Micron "è una compagnia basata sui risultati".
Shields sembra avere idee chiare su quello che la multinazionale vuole dallo stabilimento abruzzese: "il compito che abbiamo davanti - manda a dire - è di fare di Avezzano uno dei siti più produttivi, se non il più produttivo, del mondo". E, a scanso di equivoci, Shields spiega "sappiamo prendere decisioni difficili per poter sopravvivere; reagiamo velocemente ai cambiamenti nel mercato e nell'industria per rimanere competitivi. Il nostro addestramento e i nostri metodi sono basati su questi principi e queste aspettative si applicano al Fab9". Insomma, le forze sindacali ora sanno che la multinazionale ha gettato sul piatto della bilancia il destino della fabbrica, cioè la sopravvivenza di 1.500 dipendenti. Che per mantenere il loro posto di lavoro dovranno accettare senza fare tante storie la turnazione a 12 ore. Se i lavoratori faranno i bravi ("se noi performiamo", come scrive Shields) "mi aspetto supporto da Boise". "Se non performiamo non mi aspetto per "Fabb9" di ricevere alcun supporto".

 

CORNEGLIANO OGNI ANNO 200 FERITI

Quattro operai all'ospedale con ustioni è il bilancio dell'incidente avvenuto il 2 novembre alle Acciaierie Ilva-Riva di Cornigliano a Genova. E' stata una colata di acciaio liquido incandescente, fuoriuscita da un impianto fusorio (probabilmente l'altoforno) a ustionare i quattro uomini. Tra qualche settimana il guaio di ieri finirà accantonato tra i duecento infortuni che accadono ogni anno a Cornigliano. E, dal 1997 ad oggi, sono due gli operai morti a causa di incidenti sul lavoro negli impianti di padron Riva. il 3 novembre le Rsu hanno indetto uno sciopero di due ore sui tre turni.
Come succede quasi sempre, dei fatti di ieri non era neppure stata data notizia alla centrale operativa del 118. A intervenire sul luogo dell'incidente e a trasferire gli operai negli ospedali della città ci pensano le squadre di soccorso interne. Talvolta nemmeno le forze dell'ordine vengono a sapere degli incidenti.
Ma alle 10 di ieri mattina la fuoriuscita di acciaio incandescente poteva finire con un bilancio ben più grave. Due operai sono già stati medicati e dimessi dall'ospedale di Sampierdarena, con prognosi tra i sette e i dieci giorni. Gli altri due sono ancora ricoverati: il più grave ha riportato una grave ustione alla mano, ne avrà per un mese. L'acciaio liquido è infatti riuscito a bruciare il guanto da lavoro (antifiamma) e ad assalire la mano dell'operaio.
Negli ultimi anni, affermano alle Rsu, il numero degli incidenti medio-gravi è diminuito ma è aumentato quello degli incidenti sotto i tre giorni di prognosi. Gli stessi delegati di fabbrica non sono in grado di tenere il conto degli infortuni: "Se facciamo una stima di 200 all'anno ci teniamo bassi". La causa è per lo più sempre la stessa e l'aumento dei lievi incidenti lo dimostra perché è sintomo di stanchezza e stress da lavoro, come ammettono le stesse Rsu. In pratica, dicono gli operai, "i ritmi restano eccessivi, soprattutto dopo la chiusura (Cig) degli impianti nei primi 4 mesi dell'anno: ora bisogna recuperare per tenere in piedi i bilanci e si deve galoppare".
Il tutto succede nella totale incertezza sul futuro da parte dei 3.000 dipendenti genovesi di Riva. L'accordo di programma firmato da un anno per la conversione dell'arca a calco delle Acciaierie a spese dello stato sembra impantanato tra i mille interessi di imprenditore, fazioni politiche e burocrazia.

 

IL SALARIO PERDE PUNTI

Dal dicembre del '92 a quello del '98 il salario contrattuale operaio ha perso quasi 2 punti percentuali nei confronti dell'inflazione: più 23,9% per i salari, più 25,7% per il costo della vita, un saldo negativo dell'1,8%. Questo è il dato che emerge da uno studio - a cura della Fiom - su 10.000 buste paga dei metalmeccanici bresciani. In altre parole, la politica dei redditi non ha difeso il potere d'acquisto dei lavoratori, che hanno dovuto attingere alla contrattazione aziendale (almeno chi ha potuto farlo) per garantirsi ciò che l'accordo del 23 luglio '93 prometteva senza poter mantenere.
Questa indagine intacca profondamente i precetti stessi della filosofia portata avanti da sindacati e sinistra di governo.
L'imminente stagione contrattuale (quella aziendale, che interessa oltre 5.000 aziende) deve "partire dalla condizione materiale del lavoro per fondare l'iniziativa sindacale su una base di realtà". Nonostante i vantaggi ottenuti dalla compressione del costo del lavoro e i grandi profitti di questi anni, Confindustria e Federmeccanica insistono per cancellare il doppio livello contrattuale: fallito l'affossamento del contratto nazionale, ora vanno all'assalto di quello aziendale chiedendo il completo vincolo dei premi di produzione alla redditività d'impresa. E' il versante salariale di una strategia che vuole imporre il modello americano e che si articola su relazioni individuali tra lavoratore e impresa, su un orario sempre più flessibile (lo straordinario in questi ultimi otto anni è raddoppiato, passando dalle 23 alle 46 ore medie annue), su una saturazione della prestazione che elimina ogni "tempo morto" (in otto ore di lavoro prima si producevano 100 pezzi, oggi 125). E sul terreno dell'organizzazione aziendale tutto questo si traduce in esternalizzazioni e terziarizzazioni che trasformano le fabbriche in una sorta di puzzle in cui convivono figure produttive radicalmente diverse e gonfiano il lavoro "atipico", quello privo - o quasi - di diritti e garanzie.
Il segretario generale della Fiom, Claudio Sabattini, ha sottolineato come i metalmeccanici possano affrontare tutte le difficoltà del prossimo confronto con le aziende perché hanno "riconquistato" sul campo il contratto nazionale che Federmeccanica voleva svuotare di senso durante la vertenza della scorsa primavera. Un contratto - volutamente - giocato sul piano dell'orario, più che del salario, proprio per contrastare il disegno politico della controparte, che ora prova a inseguire l'obiettivo del dominio incontrastato sul lavoro proprio durante la contrattazione aziendale. Che, per Sabattini, dovrà proporsi di contrattare i diritti per tutti (anche per quei lavoratori, in appalto o atipici, che sempre più affollano le fabbriche metalmeccaniche). Da questo punto di vista, il segretario della Fiom ha voluto ricordare che sono le condizioni di lavoro a stabilire il livello dei poteri in fabbrica: soprattutto per questo è inaccettabile l'ipotesi aziendale (quella della Fiat in primo luogo) di legare il salario aziendale agli indici di bilancio, cancellando così qualunque rapporto con la prestazione (l'ultimo integrativo Fiat dimostra quanto siano aleatorie le previsioni di bilancio e i conseguenti "premi").

13 novembre 1999"

PADRONI PAGATI PER ASSUMERE

Un'ispezione della direzione provinciale di Cosenza del Ministero del lavoro ha appena accertato che "presso i grandi magazzini Standa di Rossano i lavoratori dovevano accettare, quale condizione per l'assunzione e il mantenimento del posto di lavoro, una retribuzione di 500mila lire al mese e sottoscrivere prospetti paga con l'indicazione di importi superiori a quelli ricevuti". Inoltre i dipendenti "erano costretti a effettuare prestazioni di lavoro per dieci ore giornaliere", e "non ricevevano l'indennità durante i periodi di malattia".
La denuncia viene da lavoratori LSU del paese calabrese di Cropalati: "moltissimi da noi sono costretti a versare gran parte del loro stipendio come condizione per essere assunti, è successo anche a lavoratrici della Standa...". Altre segnalazioni di "assunzioni con ricatto" praticate anche nel Frusinate da diverse aziende: qui i lavoratori per essere assunti dovrebbero "firmare cambiali con le quali assicurare al datore di lavoro parte del loro stipendio come forma di risarcimento dei contributi versati". Sempre nel frusinate risulta che "numerose aziende, pur registrando retribuzioni contrattuali, di fatto corrispondono importi retributivi inferiori ai lavoratori": che dunque per questa via a quanto pare pagano ugualmente di tasca propria i datori di lavoro.

 

17 novembre 1999"

PININFARINA

Andrea Pininfarina, come tutti sanno, prima di essere il leader degli industriali meccanici (e uno dei principali esponenti del fronte padronale) è un grande carrozziere: "veste" molti modelli Fiat, Peugeot e, ultimamente, il gippone Pajero della Nissan. Nella cintura torinese e nel Canavese, possiede tre importanti stabilimenti, che governa con lo stesso piglio che usa ai tavoli delle trattative contrattuali, a volte alzando la voce, altre volte dileguandosi. A ottobre, "Pinin" ha annunciato cinque settimane di cassa integrazione ordinaria per 400 operai di Grugliasco, sulla base delle contrazioni produttive imposte dal mercato; questo, mentre su altre linee produttive e in altri stanilimenti, continuava a chiedere straordinari e ad assumere giovani lavoratori interinali. Un vero esempio di pratica di quella flessibilità di mercato che determinerebbe il dominio incontrollato delle imprese sul lavoro. Pininfarina non è però riuscito - per ora - a mettere in pratica il suo disegno. Di fronte all'opposizione delle Rsu di stabilimento, l'azienda ha deciso di ridimensionare le sue richieste e, dopo una serie di incontri, le cinque settimane di Cig per quattrocento operai - tutti sulle linee dei modelli Fiat - si sono prima ridotte a una settimana di Cig per 150 operai e, poi, in un'intesa informale che attraverso la mobilità interna e poche ore di "cassa" riduce al minimo la perdita salariale per gli addetti considerati "esuberi a termine" da Pininfarina. Contemporaneamente, l'impresa ha bloccato le assunzioni a termine, fino a quando non saranno risolti i problemi produttivi di questa fine anno.

 

18 novembre 1999"

FINANZIARIA

Il governo ha scoperto che le entrate fiscali vanno a gonfie vele e con i maggiori introiti sarà possibile finanziare una ulteriore riduzione del costo del lavoro dello 0,8% sia nel 2000 (era previsto nel patto di Natale) sia nel 2001. Saranno aumentate le detrazioni fiscali per le famiglie. Le novità saranno contenute in un emendamento che sarà presentato dal governo alla finanziaria in discussione alla camera. Soddisfatta, naturalmente, la Confindustria.
Le maggiori entrate fiscali rilevate dovrebbero così tornare in qualche misura ai cittadini. Ma in primo luogo alle imprese, sotto forma di una riduzione del costo del lavoro dello 0,8 per cento nel 2000 e nel 2001. Non si tratta di riduzioni aggiuntive, naturalmente, ma di quanto già previsto dal patto di natale. L'unica differenza è che il riduzione degli oneri avverrà non grazie alla maggiore pressione fiscale derivante dalla carbon-tax, ma al recupero dell'evasione. O comunque a maggiori entrate fiscali tra le quali un peso non indifferente hanno il lotto e il superenalotto.
La novità assoluta, invece, è quella per le famiglie: le detrazioni per figli e familiari a carico aumenteranno oltre alle 72 mila lire previste per il prossimo anno, di 108 mila lire nel 2001 e di altre 36 mila lire nel 2002. A regime (nel 2002) le detrazioni per ogni familiare a carico risulteranno di 552 mila lire contro le attuali 336 mila lire. Il tutto è strato presentato da D'Alema come un sostegno "attraverso la riduzione del costo del lavoro" della competitività delle imprese italiane e della crescita dell'occupazione e un proseguimento "nel sostegno alle politiche sociali, alla famiglia e alla maternità".
In pratica, sostegno al profitto e al consumo, con un particolare riguardo al primo. Tutta la fascia di società che non sono padroni e non sono bambini e ragazzi subirà l'ulteriore riduzione del costo del lavoro, ossia meno potere d'acquisto del salario, accompagnata dalla riduzione dei diritti e aumento della flessibilità.
L'altro attacco al salario avviene tramite le pensioni. Assicuratori, banche e promotori finanziari battono tutti sullo stesso tasto: la previdenza privata sarebbe più sicura dell'Inps. Invece è vero l'esatto contrario: sono le tanto vituperate pensioni pubbliche a incorporare garanzie che la previdenza integrativa non offre. Infatti nessuna polizza vita, e nessun fondo pensione, assicura anche solo la semplice conservazione del potere d'acquisto di quanto versato. Un periodo di alti tassi inflattivi (in Europa ce ne sono stati comunque tre in questo secolo) potrebbe quindi avere effetti devastanti. Di fronte all'inflazione sono molte meglio le pensioni pubbliche. Per cominciare offrono un adeguamento all'inflazione, come previsto dalla riforma del 1995 del governo Dini. Ma non contano solo le garanzie giuridiche. Sono importanti anche quelle politiche ed economiche. Supponiamo infatti che l'inflazione decimi il valore reale dei titoli a reddito fisso. Ne risulterebbero massacrate le cosiddette pensioni di scorta. Capitò negli anni '70, anche se le compagnie d'assicurazione cercano ovviamente di passare sotto silenzio la cosa. Ben diverse invece le prospettive per il sistema pensionistico pubblico, proprio perché del tipo "a ripartizione" e non "a capitalizzazione". Dopo una tale batosta stipendi e salari si adeguerebbero infatti alla nuova realtà, ricreando così le condizioni per un adeguamento anche delle pensioni. Di quelle future e anche di quelle in essere. Nulla di simile capiterebbe per la previdenza privata.

 

19 novembre 1999"

FERROVIE: SI SCIOPERA

Taglio del costo del lavoro tra il 18 e il 20 per cento (pari a 1800 miliardi annui a regime), con l'impegno a incrementare gli utili del 10-15 per cento, divisione delle Fs in due aziende dal primo gennaio, piano di risanamento da realizzare entro il 31 dicembre del 2005. Questi i punti salienti dell'accordo firmato nella notte di mercoledì dai sindacati e dalle ferrovie, alla presenza dei ministri dei trasporti e dell'economia, Tiziano Treu e Giuliano Amato. Sindacati confederali, azienda e governo si dichiarano tutti soddisfatti. I macchinisti del Comu sono contrari: non solo non hanno firmato l'intesa, ma si preparano a scioperare. Non hanno firmato, insieme al Comu, anche l'Ucs e l'Orsa (sigla di più sindacati), mentre pare non ci sia l'intenzione di andare al referendum tra i ferrovieri da parte dei sindacati firmatari. Si prospetta dunque un nuovo scontro tra l'azienda e i macchinisti, nonostante la firma dei sindacati confederali.

 

EDILIZIA: INTERINALE E MORTI SUL LAVORO
- di GREOTTI PIERO CISARRI FRANCESCO *

In questi giorni, a cinque mesi dalla scadenza, si aprono le trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro dell'edilizia, che coinvolge oltre un milione di lavoratori. Tra i punti in discussione ci sarà - sotto il titolo "Il mercato del lavoro" - il lavoro interinale per i muratori.
Sappiamo bene che anche gli altri contratti dell'industria si sono conclusi con la regolamentazione del lavoro interinale. Riteniamo però che nell'edilizia, per come il settore è strutturato, questa proposta meriti valutazioni assolutamente contrarie anche rispetto a una sperimentazione parziale di questa esperienza. Forse non tutti sanno che la gran parte dei muratori lavora in aziende sotto i 15 dipendenti, pertanto senza i diritti e le tutele sancite dallo statuto dei lavoratori. Anche le pochissime imprese sopra i 15 addetti, vedono i propri operai sparpagliati in decine di cantieri e solo chi fa il sindacalista come noi ben sa quanto sia difficile dare rappresentanza e eleggere delegati tra questi lavoratori. I muratori muoiono più di tutti gli altri, 6 volte più che nell'industria; hanno più infortuni (4 volte più che nell'industria); pagano con i postumi invalidanti per tutta la vita. A Brescia, ogni 157 ore c'è un infortunio non mortale. La sicurezza sul lavoro è ridotta al minimo: i contratti nazionali di lavoro già da tempo prevedono il licenziamento per fine fase cantiere. La stessa cassa integrazione ordinaria è ridotta a un massimo di 13 settimane consecutive, dopodiché viene tramutata automaticamente, se non avviene la ripresa del lavoro, in licenziamento e pagata solo come disoccupazione. Come ben appare, precarietà e flessibilità - uniti a un posto di lavoro che cambia continuamente di cantiere in cantiere - sono il pane quotidiano dei lavoratori dell'edilizia. A tutto questo va aggiunto il dilagare del lavoro nero, che a Brescia supera ormai il 50% della forza lavoro regolare. Non è più che sufficiente tutta questa flessibilità? Pare proprio di no, visto che bisognerà discutere di lavoro interinale anche per i muratori. Nonostante il tanto parlare di Europa, non molti sanno che in Francia e in Germania, l'interinale in edilizia è assolutamente vietato, proprio per le caratteristiche che il settore presenta.
Anche in buona parte del sindacato c'è chi si dichiara a favore di una sperimentazione di questa forma di lavoro atipico. Anzi, c'è chi si sta già spingendo oltre, dicendo che questo sarà il modo di regolarizzare chi oggi lavora in nero. Premesso che la flessibilità in questo settore è tale da permettere ai padroni di liberarsi dei lavoratori a ogni fine fase lavorativa (e più interinali di così si muore) è necessario dare una risposta a quanti pensano di risolvere così il problema del lavoro nero. Da noi, esistono due categorie di lavoro nero: la prima è quella dei cottimisti super pagati, che lavorano a metro, a contratto, a volume per 4/5 milioni mensili di salario netto. Non ci pare esistano oggi agenzie di lavoro interinale disposte a pagare il triplo di quanto prevedono i contratti collettivi nazionali e territoriali. La seconda categoria è quella del mondo degli ultimi: gli extra comunitari, i cinquantenni licenziati dalle fabbriche, i lavoratori del sud disposti a qualsiasi sacrificio per la pagnotta. Lavorano oggi a salario da fame e in condizioni di invivibilità totali, il più delle volte, per 5/6 mila lire orarie. Anche qui, quale agenzia può pensare di offrire lavoro a meno della metà di quanto previsto dal solo contratto nazionale?
Introdurre il lavoro interinale, nell'edilizia, pensando di far sparire o diminuire il lavoro nero, è pura follia. Il vero effetto sarà l'esatto opposto: precarizzare ancora di più quel meno del 50% di lavoratori regolari che ancora esistono. Ai padroni del mattone e all'Ance che li rappresenta, vogliamo infine ribadire che infiltrazione mafiosa, caporalato, morti bianche e quant'altro, sono l'effetto del lavoro precario e nero oggi esistente, e che sia vergognoso il solo pensare a nuove forme di precarietà. Ai compagni del sindacato, che tutti i giorni vivono gli stessi problemi, vogliamo invece ripetere di non farsi imbrogliare dalle sirene dell'emersione del lavoro nero. C'è bisogno di altro: diritti, certezze del lavoro e rilancio della nostra iniziativa per meglio tutelare e garantire i muratori, a partire da questo rinnovo contrattuale.

 
21 Novembre 1999

From: Comitato Internazionalista Arco Iris <ale.ramon@numerica.it>
13 GIORNI DI SCIOPERO DELLA FAME

Sfortunatamente, ancora una volta Jaime Rainet, facendo uso del potere a sua disposizione, ha rifiutato l'accordo raggiunto dal Ministro del Lavoro con i lavoratori ed artisti del Teatro Comunale.
Il giorno 16 novembre per la seconda volta in pochi giorni, gli artisti ed i lavoratori hanno occupato il Teatro. Dopo poco però, i 130 occupanti sono stati fatti sgomberare dalle forze di polizia e portati al Primo Commissariato dei Carabinieri di Santiago. Dopo 5 ore sono stati comunque rimessi tutti in libertà.
Da Santiago del Cile, in tanto giungono i ringraziamenti per tutti i messaggi di solidarietà giunti dall'Italia.
" I messaggi giunti sono stati esposti dove realizziamo il nostro sciopero, molta gente ogni giorno assiste alle nostre esposizioni culturali di strada e questo ci aiuta a smascherare Jaime Rainet. Vi inviamo alcune fotografie della occupazione della sede della Concertazione e dello sciopero della fame che oggi compie 13 giorni."
Per solidarizzare con i lavoratori e gli artisti e per poter ricevere notizie direttamente da loro, potete scrivere all'indirizzo e-mail:"m16@mixmail.com

 

24 Novembre 1999

COMUNICATO LAVORATORI ESSELUNGA

NEI MAGAZZINI ESSELUNGA HANNO LICENZIATO 30 LAVORATORI DELLA COMINCOOP IN GRAN PARTE FILIPPINI PERCHE’ SI SONO ORGANIZZATI PER MIGLIORARE LE LORO CONDIZIONI DI LAVORO, DIFENDERE LE GIA’ ESIGUE GARANZIE SINDACALI, PER COMBATTERE LO SFRUTTAMENTO E LE DISCRIMINAZIONI RAZZISTE CHE DIVIDONO I LAVORATORI.
SONO PARTITE LE VERTENZE LEGALI E ORMAI DA DUE ANNI CONTINUA LA LOTTA PER COSTRUIRE ORGANIZZAZIONE E COSCIENZA TRA I LAVORATORI.
SABATO 27 NOVEMBRE ALLE ORE 10,30 ABBIAMO ORGANIZZATO UN PRESIDIO DI INFORMAZIONE PER CONTINUARE LA PRESSIONE SU ESSELUNGA, I SUOI SCHIAVISTI DELLE COOPERATIVE E PER RAFFORZARE I VINCOLI TRA LAVORATORI LICENZIATI E NON.
CHIEDIAMO LA VOSTRA PRESENZA DAVANTI AI MAGAZZINI ESSELUNGA , IN VIA GIAMBOLOGNA A PIOLTELLO (MI) SABATO 27/11 DALLA ORE 10,30.
LAVORATORI COMINCOOP - COMITATO CONTRO IL LAVORO PRECARIO

 

 

NUOVA CAMPAGNA NAZIONALE PER GLI OPERAI PROCESSATI DELLE FORGES DI CLABECQ!

Da quasi un anno si svolge a Nivelles, Belgio, il processo contro 13 operai e delegati della fabbrica siderurgica Forges di Clabecq accusati di: ribellione armata, attacco alle forze dell’ordine con bulldozer, tentativo di incendio di un commissariato di polizia, sequestro di agenti. Rischiano una condanna pesantissima. Questi operai si sono opposti alla chiusura della fabbrica in cui lavoravano, con la loro lotta hanno messo alle strette i padroni belgi, lo stato, i sindacati collaborazionisti. Siamo entrati ora nella fase conclusiva del processo: occorre far conoscere questa storia e sviluppare la massima solidarietà verso questi operai, appoggiamo la MANIFESTAZIONE OPERAIA CHE SI TIENE A NIVELLES IL 25 NOVEMBRE
Una nuova campagna nazionale è lanciata dalla Slai Cobas Ilva di Taranto e dal Cobas Dalmine di Bergamo, appoggiata dai circoli e compagni di Rossoperaio.
Per adesioni e informazioni: telefax 0997492086 035374756