NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE |
Dicembre 1997 |
Gli osanna alle economie aggressive del sud est asiatico sembrano doversi spegnere oggi di fronte a quanto avviene per la Corea del Sud. Una delle tigri, forse la piu' aggressiva, ricorre oggi al salvataggio da parte del Fondo Monetario Internazionale. FMI e governo hanno firmato un accordo per un piano da 55 miliardi di dollari. Si tratta del maggiore salvataggio mai operato dal Fondo, superando, da solo, quelli di Messico e Thailandia: eppure ben sappiamo come versino in miserie questi due paesi.
Dunque il capitalismo internazionale si auta vicendevolmente, incapace di risolvere la propria crisi strutturale, dopo aver a lungo sfruttato lo sfruttabile oltre misura (l'economia aggressiva coreana si e' basata su alti livelli di produttivita', scarsa sindacalizzazione e conflittualita' e bassi salari): gia' dal gennaio scorso, con l'insorgere di un forte e combattivo movimento operaio, con eco nella societa', si e' visto che questa strada non era piu' percorribile. E cosi' l'irruenza dei "chebol" (le grandi compagnie) oggi si spegne, e ricorre alle cure del FMI. Che poi non sono altro che una estremizzazione di cio' che in Corea del Sud gia' era pienamente attuato e che solo negli ultimi mesi, proprio in virtu' di quelle lotte, aveva dovuto ridimensionarsi.
Gli aiuti sono chiaramente un modo per permettere ad altri capitali, come quello USA, di rivitalizzarsi, inserendosi in economie piu' fresche e finora molto "autarchiche". L'imperialismo si dispiega utilizzando strutture sovranazionali, come alternativa alle guerre guerreggiate.
Ah, dimenticavamo. Le cure del FMI prevedono, per la Corea, un forte aumento della disoccupazione.
Negli ultimi giorni ci sono state molte esplosioni in fabbriche a rischio, come alla Basf, e adesso e' la volta dei soliti capanni per i fuochi artificiali. Ieri e' toccato ad un giovane algerino di 24 anni lasciarci la pelle nell'esplosione avvenuta nel capannone di Nicola Fiorillo, al confine tra Napoli e Caserta. Altri lavoratori sono rimasti feriti.
Il Consorzio Cave Carrara ci tiene a definirlo un accordo storico: quello che fara' entrare i cavatori in quota nelle singole cave, stipulando accordi commerciali anche con la Imeg per la gestione dei detriti. Sono coinvolti circa 600 lavoratori.
"Effetto decisivo per la pace sociale e per il rilancio del settore", si dice, e i lavoratori approvano. Ma in questo clima di melassa qualcosa stride e resta pesantemente sospeso nell'aria: le condizioni di lavoro dei cavatori, lo strascico di infortuni anche mortali di questi ultimi anni, su cui ha sicuramente influito piu' che la conflittualita', proprio il clima di "pace sociale", che spinge i lavoratori stessi a concorrere sacrificandosi ai profitti delle aziende, senza adeguate norme di sicurezza.
Mentre Romiti fa sapere il suo interesse pre l'Ansaldo, gli occupati Fiat restano in attesa di decisioni. In particolare i 1100 precari assunti grazie agli incentivi per la rottamazione nella primavera scorsa, resteranno in sospeso per altri sei mesi. Questo e' dovuto alla proroga degli incentivi stessi, e smentisce l'ottimismo dei soliti cantastorie che credono che concedendo un pochino alle aziende queste poi ricambiano con contratti e assunzioni. Niente di piu' falso: il capitale non campa su progetti a lunga scadenza, ma alla giornata e approfitta di ogni occasione, sapendola protrarre, per spremere il massimo dalla manodopera.
Quando le cose "vanno male", secondo gli interessi del padrone naturalmente, quando sono sbagliate le politiche economiche aziendali, le decisioni di mercato ecc., la colpa deve ricadere sugli operai. Questa e' la legge del capitale. E alla Zanussi ci si fa in quattro per applicarla. Sono ormai due anni che la cosiddetta "partecipazione" mina le conquiste operaie e i piu' elementari diritti. Una partecipazione che e' tale perche' ha il consenso dei sindacati nazionali, ma non di quelli aziendali e dei lavoratori.
Anche adesso che inizia una nuova tornata di richieste della Zanussi-Electrolux, la RSU e i lavoratori sono stati informati solo il 27 novembre, mentre i vertici sindacali ne erano al corrente gia' da tempo. La Zanussi chiede un aumento di produttivita' del 12%, altrimenti ci saranno 1800 licenziamenti: questo per coprire la cattiva politica aziendale e mantenere alti i profitti dei padroni.
Si chiede: salario di ingresso per i lavoratori sotto i 32 anni, orario d'ingresso per i nuovi assunti (ossia il pagamento delle ore effettivamente lavorate, da 33 a 36 attualmente pagate 40, perche' comprensive di pause, Rol e altro); estensione della durata dei contatti a termine, flessibilita' d'orario e taglio delle pause; aumento dei ritmi di lavoro, abbattendo la soglia del "minuto per mansione"; recupero della difettosita' determinata dall'aumento della velocita' della linea; aumento del costo della mensa aziendale e, dulcis in fundo, "pagamento del servizio di distribuzione della busta paga"!
Le Rsu respingono il progetto aziendale, soprattutto la messa in discussione delle condizioni di lavoro e ribadiscono la titolarita' delle organizzazioni di base dei lavoratori a contrattare.
Uno sciopero contro lo smembramento del gruppo e per far pressione sul governo, reo di aver assunto un atteggiamento troppo notarile nei confronti dell'azienda. Oggi sciopero di 3 ore in tutto il canavese (circa 4000 dipendenti).
Il Banco di Sicilia ha preparato un piano industriale di lacrime e sangue, a fronte di un utile netto di 15 mld nel '97 e 147 nel '98. 1500 dipendenti matureranno i diritti per la pensione ( e naturalmente non si parla di assunzioni); tuttavia, "se non si abbattono i costi, il surplus e' doppio".
I dipendenti della concessionaria di pubblicita' MMP sono stati messi in liquidazione con l'azienda. I 150 dipendenti hanno proclamato giorni di sciopero. Anche in questo caso, i dipendenti pagano lo scotto di politiche aziendali, collusioni e corruzioni: a nulla serve l'incremento della raccolta pubblicitaria dell'11,2%
Per martedi' prossimo Fiom, Fim, Uilm hanno indetto uno sciopero generale comprensoriale a Pontedera, con il concentramento delle Rsu di tutta la regione, in attesa di uno sciopero generale regionale per gennaio.
L'azienda ha messo in cantiere la mobilita' aperta per 1430 dei 5050 dipendenti. Anche qui siamo di fronte ad un andamento economico positivo, con il 20% di incremento produttivo, in attesa del boom primavera - estate.
Anche le autorita' regionali e nazionali prospettano un intervento contro quelle aziende che licenziano, mentre ricevono gli incentivi per la rottamazione. La Piaggio si pone anche un problema di immagine.
L'equivoco con cui giocano un po' tutti, dai sindacati ai padroni, passando per i teorici del neo (-capitalismo, - liberismo) e del post (-fordismo, -lavoro salariato) e' quello tra il lavoro e la sua durata e la fatica e i ritmi che in esso sono contenuti.
Quando si ricorda - giustamente - che oggi si fa piu' prodotto per unita' di tempo, ci si dimentica di dire in che condizioni lo si fa. Nelle fabbriche dell'800 l'operaio non gareggiava con una macchina: il suo lavoro era pesante, avveniva in condizioni tragiche dal punto di vista della salute e delle garanzie (che saranno conquistate faticosamente con i decenni e altrettanto faticosamente difese e applicate), pero' il limite era comunque la sua stessa fatica.
L'introduzione di macchine sempre piu' veloci con cui andare a tempo ha innescato processi di deterioramento della vita operaia piu' consoni alle nuove tecnologie: sono migliorate le condizioni in fabbrica, l'ambiente e la salute (che comunque devono essere sottoposte da parte dei lavoratori ad una continua contrattazione per non farle decadere sotto dati livelli "accettabili"); ma la fatica operaia, il logoramento anche psicologico di chi e' schiavo di una macchina elettronica che detta i ritmi sono un nuovo fronte della "fatica", un elemento di concentrazione del sudore umano in un tempo piu' ristretto.
E allora, cosa significa riduzione dell'orario? A sentire tanti operai e operaie che in questi anni hanno sperimentato una riduzione contrattuale dell'orario di lavoro fabbrica per fabbrica, dietro la riduzione si e' sempre nascosto un aumento di produzione. Come mai? Le varie formule - le 32 ore pagate 40, ma con i sabati e le domeniche; i 3 giorni di lavoro piu' due di riposo, con stravolgimento dei ritmi circadiani ecc. - hanno tutte un segreto per poter essere accettate dal padrone: che si produca di piu'. E questo con un logoramento maggiore dei lavoratori. Infatti, e' chiaro che se oggi produco 100 in 8 ore, domani , in 7 ore non dovro' produrre meno di 100, e sicuramente la spinta, l'utilizzo massimale dei macchinari, e' a produrre di piu'. Allora, se lo scambio che i sindacati fanno col padrone e' meno orario/piu' produzione, risulta evidente che in quel "meno orario" c'e' piu' fatica. Nel dibattito che si e' aperto sulle "35 ore", gli esempi che vengono portati, e di cui abbiamo gia' avuto modo di scrivere hanno tutti un comune denominatore: che si lavora meno ore ma in modi e tempi che aumentano la fatica, aumentano lo sconvolgimento dei ritmi sociali, e con nessuno o minimo aumento di occupazione.
Perche', evidentemente, ci si dimentica che orario non e' uguale a ritmo, a carico di lavoro. Ridurre l'orario non significa ridurre i ritmi, se si resta in una economia capitalistica, in cui lo scopo della produzione e' il profitto privato.
La produzione, in realta', non avrebbe nessun motivo di essere aumentata, se non quello, inaccettabile, dell'aumento del profitto capitalistico. Siamo sommersi di merci, abbiamo paurose eccedenze in tutti i campi - a fronte di miserie spaventose in gran parte del mondo - : il nodo irrinviabile e' cambiare la produzione, distribuire equamente i prodotti, razionalizzare la produzione, ridistribuire la fatica e il "profitto sociale", ossia il lavoro produttivo di milioni di uomini e donne, che devono produrre non per un padrone ma per se stessi e la societa'. Produrre meglio e non di piu'. Lavorare meno intensamente.
In questo contesto in cui anche il padrone sembra - apparentemente - applicare delle riduzioni d'orario (a parita' di produttivita', bisognerebbe dire), la parola d'ordine deve essere piu' chiara: riduzione dei ritmi produttivi, ridistribuzione del lavoro su una base produttiva maggiore, mantenimento dei livelli salariali e loro miglioramento, mantenimento delle conquiste sociali e loro miglioramento. Se tutto questo "stona" con il capitalismo, allora vorra' dire che la coscienza di classe e' arrivata piu' direttamente a contatto con la "necessita' del cambiamento", della transizione ad un diverso modo di produzione.
Ma evitiamo di favorire le compatibilta' capitalistiche: a questa causa gia' si dedicano fior di intellettuali, sociologi e politici di varia schiatta.
Centro di Documentazione e Lotta Rosso 16
Anche i lavoratori delle Delphi Packard sono passati all'occupazione della loro azienda, cosi' come hanno fatto le operaie della Borletti. I 230 dipendenti della DP rischiano di restare senza lavoro: l'azienda di Quattordio, provincia di Asti, produce parti per auto e pur appartenendo alla General Motors, il suo committente principale e' la Fiat. La GM sta "ristrutturando la sua presenza in Europa", ma la spinta a chiudere Quattordio viene dalle intenzioni Fiat, per cui, evidentemente il costo dei prodotti forniti dalla ditta sono troppo alti. I padroni multinazionali su questo trovano sempre un accordo, e si rivolgono a mercati dai costi piu' bassi.
La chiusura della Delphi coinvolgerebbe anche 150 lavoratori dell'indotto.
Un atto di civilta', sostenuto anche dagli operai della Valsella, cui e' stato assegnato il Nobel per la pace, come la fine della produzione di armi micidiali come le mine antiuomo, ha un prezzo da pagare. ma non per i padroni che si sono arricchiti sui drammi delle guerre. Sono sempre gli operai a dover sopportare i costi delle ristrutturazioni.
Cosi' la Valsella chiude perche' giustamente non si debbono piu' produrre mine. Certo i padroni (Borletti e Fiat, guarda caso) non battono ciglio: i profitti non vengono intaccati. Figurarsi se si mettono a riconvertire. Ora gli operai e le operaie della Valsella sono rimasti solo con la loro coscienza: che e' pulita, mentre altrettanto non si puo' dire dei loro padroni.
"La mia coscienza si e' messa in movimento", dice Franca Faita delegata della Valsella, che ha scritto una lettera alla commissione per il Nobel, spiegando perche' preferiva restare con le sue compagne di lavoro piuttosto che presenziare alla cerimonia. La battaglia e' stata vinta solo per meta': le mine non si fanno piu', pero' 47 persone sono senza prospettive, perche' i padroni dimostrano di volersi dedicare solo alla produzione di morte. Il pensiero di Franca va alle vittime della produzione Valsella: "siete sempre nei miei pensieri e i miei occhi vi vedono dappertutto... in questo momento di soddisfazione nessuno puo' permettersi di esultare perche' so che ci sono ancora milioni di mine sparse per il mondo". Certo Agnelli e Romiti non tremano per il potere distruttivo che hanno voluto produrre. per l'alto prezzo di vite umane pagato ai loro profitti. E Giovanni Borletti, presidente della Valsella ha saputo solo impuntarsi: o le mine o niente, senza tener conto dei progetti di ristrutturazione ideati dagli stessi laboratori Valsella.
Come dire: impariamo sempre che dei padroni si puo' e si deve fare a meno.
Non e' una novita' nella storia del capitalismo, e la "modernità" non l'ha epurato di questo vizio, come pensano sia avvenuto - o possa avvenire - coloro che sostengono le "magnifiche sorti e progressive" di questo sistema sociale. Ci riferiamo al lavoro infantile, al nero, sottopagato, senza nessuna condizione di sicurezza. Tutte cose che, messe insieme, incrementano enormemente i profitti padronali, e squalificano la presunta "umanità" e le prospettive che gli apologeti del capitale attribuiscono al loro pupillo.
Questo sfruttamento intensivo della manodopera dalla piu' tenera eta' - magari per fabbricare giocattoli con cui questi bambini non potranno mai giocare - non e' tipico di societa' poco sviluppate, del cosiddetto terzo mondo. E' in casa nostra, in Italia come negli USA.
L'industria tessile che opera in nero nel Catanese, per esempio, darebbe lavoro ad almeno 3000 persone, di cui solo 300 con contratto regolare, e fattura circa 15 mld l'anno. Altre 2500 lavorano per queste fabbriche ma nelle proprie abitazioni, e riconsegnano il prodotto finito all'azienda che si limita a cucire l'etichetta.
Un esempio: una impresa tessile con 100 operai, distribuiti in due diversi capannoni. Soltanto 20 operai, maschi adulti, sono in possesso di contratto (chissa' quale): il resto erano 80 donne tra i 14 e 24 anni, pagate in nero e meno di quanto fissato dal contratto. Le minorenni sono reclutate tra i parenti di altri dipendenti. Elvira, 14 anni, lavora da circa 2 anni, interrompendo gli studi dell'obbligo. I carabinieri hanno controllato 12 aziende, di cui solo 2 erano in regola. A parte le solite denunce, nessuna e' stata sequestrata.
La deregolamentazione del lavoro in cui sta eccellendo il governo Prodi, in nome della sacra virtu' del profitto, non e' altro che la legalizzazione di una situazione di fatto, la flessibilita' della manodopera, secondo i gusti del padrone. Una flessibilita' che v da queste punte piu' estreme - ma non affatto rare - a quelle piu' "normali" dei posti di lavoro ordinari. Cosi', mentre al Sud e nel nord-est (o in qualunque lido d'Italia) si lavora al nero per produrre capi di marca (immaginiamoci come sara' la produzione per quei capi che compriamo al mercato a 2000 lire!), nella fabbriche medie e grandi, nel nord industriale, si licenziano a centinaia i lavoratori, si chiudono le fabbriche per spostarle dove si puo' sfruttare meglio la manodopera. E' un elenco lungo che parla di dismissioni e deindustrializzazioni, di licenziamenti e nel migliore dei casi mobilita' e prepensionamenti: Borletti e Valsella, Philips, Delphi Packard, Mandelli e Belleli, TMM solo per citare alcuni degli stabilimenti chiusi in questi ultimi sei mesi, con centinaia di lavoratori direttamente messi per strada, senza contare "l'indotto" che una fannrica ha sempre attorno a se.
In Italia il dato piu' vicino al vero parla di 230mila bambini, tra i 5 e i 14 anni che lavorano. Pero' secondo la Cisl internazionale, che ha denunciato l'Italia al Parlamento europeo, sono tra 300 e 500 mila. Nei paesi in via di sviluppo sarebbero 250 milioni i bambini che producono per il capitale locale e multinazionale. Negli USA, uno studio ha registrato 290mila bambini di cui 59mila sotto i 14 anni al lavoro illegalmente.
Fiom-FIM-UILM hanno siglato l'accordo per la ristrutturazione dell'Alenia, azienda aeronautica del gruppo Finmeccanica. L'accordo prevede il rientro in fabbrica di 120 lavoratori in CIGs e l'assunzione di 80 nelle officine aeronavali di Venezia e Napoli. Decisa la proroga per altri 6-8 mesi dei contratti di 160 lavoratori provenienti dalla Piaggio aeronautica e da altri paesi europei.
La Boeing prospetta una riduzione di 12mila lavoratori del proprio organico, entro la meta' del prossimo anno, la maggioranza sara' ottenuta bloccando il turnover.
Quattordici giorni di occupazione della fabbrica e il blocco - ieri - della ferrovia Genova Torino, non sono bastati ai lavoratori della Delphi Packard per evitare la chiusura dello stabilimento.
Entro 4 o 6 mesi lo stabilimento di Quattordio sara' smantellato. La Packard, gruppo General Motors, lavora per la Fiat e all'azienda dicono che "la volonta' del cliente e' imprescindibile".
E la volonta' FIAT non e' chiudere perche' non serve piu' quel prodotto, perche' c'e' sotto consumo; bensi' perche' puo' permettersi di far fare la stesa produzione in Polonia, a costi nettamente inferiori. Diritti e salari vanno a farsi benedire, per il buon gioco della logica del profitto.
Un altro modo per dire che il capitalismo non ha piu' niente da dare, am solo da togliere.
A pochi giorni dalla formalizzazione dell'acquisto da parte della Pirelli di una consistente quota finanziaria della Sirti (39% ceduto da Telecom), la direzione dell'azienda ha comunicato un ulteriore esubero strutturale per 450 lavoratori, l'80% dei quali al centro-sud.
Secondo la Fiom, cio' e' in palese contrasto con la situazione produttiva, che ha visto l'acquisizione di commesse per migliaia di miliardi. Questo conferma quanto sopra: non c'e' investimento o aumento di profitto che produca occupazione, se i padroni decidono che devono aumentare solo i loro interessi.
L'epoca del servizio ferroviario garantito e' finita da un pezzo: con lo scopo di far soldi si sacrifica la qualita' e il livello tecnico. Puo' quindi succedere che in una settimana due Pendolini non arrivino a destinazione. I guasti tecnici si susseguono su queste linee che servono soprattutto l'utenza commerciale e danarosa, ma che sono stati realizzati sacrificando le linee per l'utenza normale e turistica.
Un passeggero, dopo aver denunciato che sull'ETR 500 nø 9417 (Milano - Napoli) rimasto bloccato per circa un'ora dopo poche centinaia di metri non c'e riscaldamento ne luci, ha detto che "solo dopo una quarantina di minuti il personale di servizio ha distribuito noccioline per tranquillizzare i viaggiatori".
La vicenda della Seleco, fabbrica leader nazionale del piccolo schermo, sembra aver trovato una soluzione, con il passaggio alla FORMENTI Italia. Costo: 26 mld e 560 mln, e un piano che prevede investimenti per 70 mld, la creazione di almeno 400 posti di lavoro nei prossimi 3 anni e nessun intervento pubblico. Il tutto mette fine alle afflizioni dei lavoratori Seleco, dopo che padron Rossignolo (presidente dell'Electrolux Italia e tra i papabili ai vertici Telecom) aveva abbandonato l'azienda per mancanza di liquidita' (chissa' come mai!). Gli aiuti pubblici ricevuti dalla Seleco in questi anni sono tutti andati in tasca a Rossignolo: i padroni non sanno mai stare lontani dal padre-stato, salvo poi decantare le meraviglie del libero mercato senza stato.
E a proposito di "libero mercato", l'Organizzazione dei paesi piu' sviluppati lo raccomanda come la panacea per tutti i mali... dei capitalisti. Porta ad una diminuzione dei prezzi, ad un aumento degli investimenti e, infine, crea occupazione. Naturalmente l'OCSE si guarda bene dal dire che tipo di occupazione crea, con quali garanzie, o meglio con la perdita' di quali conquiste.
Secondo l'Ocse, nelle industrie manifatturiere dell'Unione Europea, dove maggiori sono state le riforme per aumentare la concorrenza, la produttivita' del lavoro e' aumentata del doppio rispetto alle industrie che operano in ambito monopolistico (14 contro il 7,5%).
Viene preso ad esempio il settore telecomunicazioni, dove si e' verificata una liberalizzazione del mercato e una esplosione dei cellulari: un'occhiata piu' da vicino permette di vedere che il lavoro in questo comparto e' sempre piu' precario e meno tutelato, soprattutto a causa del fenomeno degli appalti.
Naturalmente l'Ocse si guarda bene dal dire dove e' aumentata l'occupazione: la tendenza, gia' in precedenza indicata in questo notiziario, e' che ad investimenti non corrisponde occupazione. Quello che era ed e' un vecchio sogno riformista, si e' ormai infranto sui duri scogli della realta'.
Circa 400 lavoratori presidiano ad oltranza da circa 2 mesi i cancelli della Enichem di Manfredonia. Secondo la Fulc, i margini per una positiva chiusura della vertenza sono molto deboli.
L'Enichem, dopo aver distrutto ambiente e occupazione, intende cancellare ogni traccia della sua presenza a Manfredonia. I lavoratori, tutti sulla cinquantina e quindi difficilmente collocabili sull'attuale mercato del lavoro, attendono una soluzione: la proprieta' ha deciso la messa in mobilita' di 210 persone.
Il sindacato vuole far leva sui progetti che interessano l'area che viene abbandonata dall'Enichem, come quello Agip per lo stoccaggio a terra dei gas, oppure un dissalatore per le isole Tremiti. L'Enichem ha condizionato tutta l'economia delle zona, privilegiando l'industria al turismo, per esempio, ed ora desertifica un territorio con un tasso di disoccupazione del 30% e una criminalita' organizzata e palazzinara che ha pervaso buona parte dell'economia (per non parlare delle fabbriche di lavoro nero).
I lavoratori assicurano che venderanno cara la pelle: quella pelle che l'Enichem aveva gia' messo a rischio e per cui e' sotto processo.
Il lavoro interinale sbarca in Italia. E il mondo del non profit cattolico si tuffa immediatamente. Il 22 dicembre le Acli, attraverso la neonata societa' Leonardo, hanno firmato un'intesa con l'americana Kelly Services, un'agenzia fondata nel 1946 per la fornitura di manodopera.
L'accordo, spiega Alfredo Maselli, responsabile delle attivita' internazionali della Kelly Services, nasce dalle "sinergie" esistenti tra le due societa': "Le Acli sono il nostro partner ideale, la loro cinquantennale presenza nel mondo del lavoro italiano, la loro esperienza, la loro organizzazione e la loro credibilita' sono una garanzia di affidabilita' e successo".
Leonardo selezionera' e orientera' i candidati al lavoro interinale da fornire alla Kelly Services, che a sua volta li fornira' alle aziende. La societa' Leonardo e' stata creata dalle Acli, con notevole tempestivita', per cogliere le occasioni di un mercato del lavoro che si va "liberalizzando". Non solo ha messo lo zampino nel lavoro interinale, ma intende anche funzionare come servizio di collocamento privato per rapporti di lavoro "tradizionali". Spiega Luigi Bobba, vicepresidente delle Acli: "La societa' consortile Leonardo rappresenta per le Acli un'occasione per modernizzare un mestiere antico, quello di promuovere e tutelare il lavoro". Il lavoro interinale in Italia sara' un notevole business. Secondo le previsioni, a regime potrebbero operare circa 30 agenzie, per un totale di 200 mila "assunzioni" all'anno. Per ora, il 23 dicembre, il ministero del lavoro ha autorizzato 11 societa' italiane e straniere (Manpower, Italia lavora, Adecco, Interiman, Tempor, Quandoccorre, Sinterim, Kelly Services, Obiettivo lavoro, Ali e Antex), iscrivendole nell'apposito albo.
Il pacchetto Treu (legge 196 del 1997), la norma che ha legittimato la manodopera in affitto, indica due forme di rapporto di lavoro con l'agenzia interinale: il lavoratore puo' essere assunto "a tempo indeterminato", percependo un'indennita' durante i periodi a disposizione, oppure puo' essere assunto dall'agenzia interinale limitatamente ai periodi di attivita', e poi licenziato. La maggioranza delle agenzie sono orientate su questo secondo modello.
Manco a dirlo!
Grazie soprattutto all'intervento del senato, sono garantiti i diritti sindacali. Teoricamente il lavoro interinale dovrebbe riguardare solo le qualifiche medio-alte. Ma naturalmente questo e' solo un primo passo verso la deregolamentazione generale del rapporto di lavoro.
Brutte notizie per i lavoratori sudcoreani. Il neoletto presidente Kim Dae-jung ha annunciato "che saranno possibili, nei prossimi mesi, migliaia di licenziamenti quale misura per far fronte al piano di 'riforma' concordato con il Fondo monetario internazionale"
"Ci sono sacrifici per tutti - ha ribadito il neopresidente ai rappresentanti dei lavoratori - sia per le grandi imprese (le chaebol) che per i lavoratori che pero' non devono essere gli unici a soffrire per i danni provocati dalla crisi economica del paese".
La Kctu - che al suo interno raccoglie piu' di un organizzazione e che fu protagonista, all'inizio dell'anno, di grandi lotte contro la richiesta delle imprese di licenziare liberamente - ha invece risposto che "il primo obiettivo della nuova amministrazione deve essere quello di ricercare i veri responsabili di questa crisi finanziaria del paese". In primo luogo hanno chiesto che venga punito il precedente capo del governo, Kim Young-sam che "sarebbe il primo responsabile dello sfascio economico del paese".
Non solo, di fronte alla prospettiva di chiusura delle imprese, il sindacato si fa gia' promotore della richiesta di "reperire fondi governativi per aiutare le famiglie degli operai disoccupati. Durante la grande manifestazione, svoltasi a Seul, la Kctu ha voluto cosi' ribadire che la ristrutturazione imposta dal Fmi non dovra' ricascare tutta sulle spalle dei lavoratori".
Ieri, da Washington, sulla questione sudcoreana e' intanto nuovamente intervenuto Stanley Fischer, l'autorevole responsabile del Fmi che, tre settimane fa, siglo' l'accordo con il "vecchio" governo sudcoreano. In particolare, Fischer ha voluto precisare che "il debito (piu' di 100 miliardi di dollari) della Corea del Sud puo' rientrare a patto che vengano rispettate tutte le consegne gia' stabilite". Inoltre si e' dichiarato convinto che "la nuova amministrazione non si opporra' al pacchetto di riforme fissato in cambio dell'aiuto di 57 miliardi di dollari riconosciuto alla Corea del Sud". Come, invece, era stato preannunciato un po' propagandisticamente durante la campagna elettorale per le presidenziali da Kim Dae-jung.
Anche in Corea governi "di destra e di sinistra" si alternano per garantire i migliori margini di profitto ai capitali, nazionali e internazionali. Ormai e' chiaro: le regole generali le stabilisci il FMI, la loro applicazione - morbida, concertata, dura, repressiva - sta ai governi che si danno il cambio.
Eppure, la Corea era una delle "tigri asiatiche": come si e' spuntata gli artigli?
Un altro marchio storico, la Caffarel di Torino, e' sul punto di passare in mani straniere. Il 30 dicembre, infatti, si riunisce l'assemblea di Caffarel per deliberare la fusione con la svizzera Lindt. I gianduiotti, emblema della casa fondata nel lontano 1826 e per tutti questi anni di proprieta' delle famiglie piemontesi Audiberti e Bachstadt, entrano cosi' a far parte della scuderia Lindt, il colosso svizzero che nel '96 ha registrato un fatturato di oltre mille miliardi per un totale di 60 mila tonnellate di cioccolato distribuito in dodici paesi.
Lo shopping delle imprese straniere in Italia prosegue quindi senza sosta, mentre i tentativi delle Generali di sbarcare in Francia trovano ostacoli insormontabili, tanto da costringere il Leone di Trieste a ripiegare in Germania sulla compagnia Amb (peraltro per gentile concessione di Allianz). A meta' dicembre e' stato ufficializzato il passaggio delle vetrerie Venini, un vanto veneziano, sotto le insegne della Royal Copenhagen, la casa di porcellane danese famosa per i suoi piatti blu. Anche in quell'occasione a vendere e' stata un'altra famiglia (un po' decaduta) i Gardini - o meglio gli eredi di Raul - Eleonora, Ivan e Maria Speranza. E quel modello di design di moda e pregio, orgoglioso sigillo del "made in Italy", e' approdato verso lidi stranieri. Ma non e' stato l'unico ne', come abbiamo visto, l'ultimo.
A attirare l'attenzione di concorrenti esteri sono stati principalmente marchi alimentari. Cosi' la birra Moretti se la sono bevuta gli olandesi di Heineken; la linea Plasmon, Scaldasole e Tonno Mareblu' e' stata inglobata nella multinazionale Usa Heinz; Burghy e' divenuto una succursale di McDonald's; il brandy italiano Stock 84 di Trieste - sponsor per decenni della trasmissione "Tutto il calcio minuto per minuto" - e' finito alla Eckes tedesca mentre le caramelle Sperlari sono della finlandese Huntamaki. La pasta Agnesi e' stata merce di scambio tra gli Agnelli e la Danone, per poi finire alla banca francese Paribas. Negli anni '80, ancora si ricordano i passaggi di marchi storici come Motta, Alemagna, Buitoni-Perugina e san Pellegrino sotto le insegne della multinazionale svizzera Nestle', anche per il disimpegno di De Benedetti dal settore alimentare dopo la sentenza che bloccava il passaggio della Sme sotto le insegne dell'Ingegnere. Ma anche i marchi Fini, Negroni, Invernizzi e Simmenthal appartengono a una multinazionale, per la precisione alla Kraft statunitense.
Non sono state risparmiate dallo shopping estero aziende motoristiche. A parte l'Alfa Romeo ceduta per "patriottismo" dalla Finmeccanica alla Fiat invece che agli americani di Ford, la Lamborghini e' stata rilevata dalla indonesiana Timor Putra mentre la bolognese Ducati e' finita un anno fa sotto il controllo dell'americana Texas Pacific Group. Cio' tuttavia non ha impedito al nuovo management di rilanciare l'immagine "italiana" dell'azienda di moto.
Infine un altro simbolo italiano, le biciclette Bianchi/Legnano, quelle di Coppi e Bartali, sono della svedese Monark Stiga.