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36° Brigata Bianconcini

Per la maggior parte sono giovani antifascisti di Casola Valsenio, Brisighella, Fontanelice, Imola e borghi intorno, conoscono bene i luoghi e vivono della solidarietà delle famiglie contadine, la loro storia di lotta è iniziata nella primavera dello stesso anno. Ma ci sono anche partigiani della Bassa che hanno preso la via della montagna già con l’“8 settembre”, e sono reduci dello sfaldamento dell’“8ª Brigata Garibaldi” quando, invece di disperdersi pericolosamente, danno origine al “Battaglione Ravenna”. Hanno subito perdite dolorose e significative, anche i due leader Bruno Neri e Vittorio Bellenghi, colpiti in un agguato.

I partigiani passano per il sentiero di Cà Malanca e vengono avvistati dai tedeschi, che li attaccano da facile posizione e fanno i primi morti. Il gruppo non sbanda, risponde al fuoco dalle pendici del monte Colombo, nascondendosi tra gli alberi e restandovi per tutta la notte, qui i feriti ricevono le prime e insufficienti cure, mentre i tedeschi riportano perdite e si ritirano.

Il giorno successivo, già di primo mattino, il vicino paese di Purocielo viene occupato da autoblindo nemiche e inizia una nuova e intensa battaglia con alterne vicende, ma con un peso preponderante nel numero dei soldati tedeschi. C’è pure un bombardamento alleato, all’apparenza inspiegabile. Gli inglesi sparano con cannoni da posizioni più in basso e colpiscono proprio i costoni del Colombo: uccidono, feriscono, disorientano e si fermano solamente quando i partigiani trovano il modo di issare una bandiera italiana.

Nel pomeriggio inizia da parte tedesca una vera caccia all’uomo che continua fino al giorno seguente con scontri ravvicinati. Durante la notte la “305ª divisione”, composta da tedeschi specialisti in antiguerriglia guidati da persone del posto che conoscono bene le montagne, attacca le case che danno ristoro e ricovero momentaneo, bruciandole e uccidendo chiunque è sospetto partigiano o patriota.

Il comandante Bob, dopo una non facile analisi militare con i responsabili delle compagnie, ordina il ripiegamento a nord, unica via libera per raggiungere gli Alleati. La “Bianconcini” abbandona i morti che restano tra gli alberi, nei canaloni, in prossimità del paese, giovani colpiti in azione o da granate, e si dirige verso il crinale del Calamello.

È quel che si definisce un calvario. Gli scontri con le pattuglie tedesche sono numerosi, la pioggia è battente e mancano i viveri. In più, nel trasferimento per sentieri impervi e mulattiere, indeboliti dalle fatiche i feriti peggiorano e vengono ricoverati in un luogo ritenuto franco: la parrocchia della frazione Cavina. Ma i tedeschi li scoprono (delatori prezzolati ve li conducono) e li catturano, a nulla valgono le mediazioni di don Giuseppe Bosi e subiscono sevizie; infine le brigate nere li portano a Bologna dove proseguono gli interrogatori e poi li fucilano.

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" Alfredo Cavina, detto il Vecchio, nato il 28 maggio 1903 a Casalfiumanese, in Romagna, muratore e antifascista, come tale schedato dalla polizia, durante la seconda guerra mondiale diventò partigiano reclutatore, inquadrato in quella che poi sarebbe chiamata la 36à Brigata Garibaldi Alessandro Bianconcini. Operava, insieme al figlio Domenico detto Bill, nella zona di Imola, Riolo Terme, fra Senio e Santerno. Era mio nonno. Il 13 giugno 1944, in seguito a una delazione, fu catturato dalle Brigate Nere con la moglie Rosina Padulli e le due figlie Maddalena (mia madre), maggiore d'età, e Diana, la più piccola. Bill, in montagna, sfuggì alla retata. Furono tutti trasferiti nelle carceri di Forlì, accanto alla Rocca e consegnati ai tedeschi che li interrogarono a lungo. Il 26 luglio, sei giorni dopo che il conte colonnello Klaus von Stauffenberg aveva attentato alla vita di Adolf Hitler, Alfredo Cavina venne fucilato dai nazisti insieme ad altri nove cittadini italiani per la rappresaglia seguita all'uccisione di un caporalmaggiore tedesco. I condannati erano Don Francesco Babini, parroco di San Sepolcro, il quale aveva ospitato alcuni ufficiali inglesi, Riziero Bartolini, Antonio Luccini, Biagio Molina, William Pallanti, Edgardo Ridolfi (detto Lignon), Mario Romero, Antonio Zoli (detto Fiscin) e Luigi Zoli. "

ERALDO AFFINATI, CAMPO DEL SANGUE, MONDADORI"


Partigiani della “36ª Brigata ‘Bianconcini’” s’incamminano per il sentiero della collina di Cà Malanca (è il 10 ottobre del ’44). Riparati solo a tratti da alberi e frasche vanno verso il piano, le informazioni dicono che gli Angloamericani sono prossimi a liberare Faenza e intendono unirsi a loro nell’entrare in città. Sanno battersi ma sono stanchi e provati da mesi di clandestinità, non hanno riserve alimentari, sentono il freddo della notte ottombrina con gli abiti estivi che indossano, e i continui e durissimi scontri con i tedeschi sono sempre più sproporzionati per carenza di armi di grosso calibro.

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