ARCHIE GOODWIN
RICORDA
Una intervista di J. Symon ad A. Goodwin

illustrazione di T.
Adams
ARCHIE GOODWIN
RICORDA
Una intervista di J. Symon ad A. Goodwin

alle descrizioni che avevo letto, a poco
più di trent’anni Archie Goodwin era affascinante più che bello: robusto e
muscoloso un metro e ottanta di altezza, capelli chiari tendenti al rosso,
lineamenti regolari salvati dalla banalità da un naso piatto e largo che gli
dava un’aria indipendente e un po’ spavalda.
Questo un bel po’ di tempo fa, Quando andai
a trovarlo i capelli erano grigi, ma Archie Goodwin dava ancora
un’impressione di potenza fisica tenuta sotto controllo, proprio come mi
sarei aspettato dallo stretto collaboratore di Nero Wolfe.
La stretta di mano fu energica; gli occhi
grigi mi esaminarono attentamente ma in modo amichevole. Poche cose
sfuggivano a quegli occhi, e subito colsero il rapido esame che feci della
stanza. Quando mi diressi verso il grande mappamondo che stava in un angolo,
Goodwin fece un cenno di approvazione con il capo.
“E’ proprio il mappamondo di quasi un metro
di diametro che stava in un angolo dell’ufficio”.
“Non era un mappamondo di un po’ più di
mezzo metro di diametro ? Almeno, così ho letto”.
Disse un po’ brusco: “Non ci siamo dati la
pena di misurarlo. C’è altro ?”.
“La poltrona di cuoio rosso. Forse il sofà,
in questo caso, però, è stato rifoderato, perché dovrebbe essere giallo
vivo. Quel fermacarte di legno pietrificato. Poi un paio di incisioni, per
esempio quella di Brillant-Savarin. Anche alcuni libri, immagino, perché so
che lei non è un gran lettore. Così, almeno, ha sempre detto, anche se ho
notato che conosce il significato di ‘apodittico’. Io dovetti andarlo a
cercare sul dizionario”.
“Lo usava il signor Wolfe, allora ne cercai
il significato e pensai di infilarlo in una storia”.
Sorrise. “Non male, signor Symons, potrebbe
fare il detective. Le è sfuggita la tavola di massaranduba là nell’angolo,
il quadro forato del monumento di Washington, che serviva come pannello per
origliare, e un paio di altre cose. Non male. Qualcosa da bere ? Il signor
Wolfe teneva sempre a portata di mano del porto, della birra scura di
Dublino e del madera; io non sono così fornito, ho solo birra chiara e vino
bianco”. Scelsi il vino bianco. Riempì un bicchiere di vino per me e uno di
latte per sé, poi si lasciò cadere nella poltrona di fronte alla mia. Si
moveva con destrezza e agilità, come se stesse continuamente sulla punta dei
piedi. “Sta scrivendo un articolo e vuole farmi delle domande sul signor
Wolfe, se ho capito bene ?”.
Tirai fuori il piccolo registratore.
Goodwin lo guardò di sbieco.
“Non mi piacciono questi aggeggi. Prima
parliamo un po’ di questo suo libro!”.
Per mezz’ora, nel bell’alloggio nella parte
alta di East Side, discutemmo del mio libro sui grandi detective, di quali
ne avrebbero fatto parte, e se sarebbero stati fatti dei confronti.
(Come già in un’altra occasione, Goodwin
disse che Nero Wolfe era “il migliore detective a nord del Polo Sud”).
Sottolineai che il mio intento era di dare
notizia sulla vita e il carattere dei personaggi, non di fare paragoni.
Capii di avere superato l’esame quando, sorridendo mi disse:
“Non c’è confronto. Lui era un genio, gli
altri erano detective. Vuole vedere una fotografia ?”.
Non so più che cosa mi aspettassi,
probabilmente un uomo mostruosamente grasso, visto che Wolfe giunse a pesare
più di centoventi chili. Restai sorpreso. La faccia era larga e squadrata,
ma non aveva le guance cascanti né la pappagorgia; era il volto di un uomo
enorme, non grasso. Capelli scuri, occhi scuri dalle palpebre spesse, bocca
carnosa e mobilissima, espressione abbastanza amichevole anche se un po’
intimidatoria; certo non il volto di un uomo che sopportasse, per non dire
gradisse, gli sciocchi. Era la faccia di un peso massimo, e coloro cui
piacciono i pesi massimi avrebbero potuto addirittura definirlo bello. Le
fotografie erano tre, tutte molto simili, tranne una che lo mostrava chino
sopra un’orchidea e rivelava grandi mani armoniose. Nessuna lo ritraeva
tutto, forse quindi le fotografie non mi diedero la giusta impressione delle
sue dimensioni. Le restituì senza fare commenti.
“Ora, signor Symons, passiamo pure al sodo.
Ha domande da farmi ? Bene, farò del mio meglio, ma se c’è qualcosa cui non
intendo rispondere mi limiterò a dire ‘No comment’, come i politici, e lei
non insisterà. Altrimenti, le chiederò di fermare il registratore. Se mi
scappa qualche cosa che non dovrei dire e le chiedo di cancellarlo, lei lo
cancellerà seduta stante. Non che non mi fidi di lei, ma se fidarsi è bene,
non fidarsi è meglio. D’accordo ?”.
Accettai, e quanto segue è il testo del
nostro dialogo a botta e risposta. Alla fine viene data una spiegazione alla
domanda, spesso posta, di che cosa sia successo di Nero Wolfe, sebbene la
risposta lasci un certo alone di mistero.
JS
Vorrei innanzitutto che mi descrivesse la
casa della 35° Strada, la disposizione delle stanze e la divisione delle
mansioni.
AG
Va bene, ci proverò. La casa era una
vecchia brownstone. Il numero si aggirava tra il 500 e il 900. Allora
c’erano buone ragioni per non dare il numero esatto, penso che valgano
ancora oggi. Era …
JS
Mi scusi. Questo libro sarà pubblicato in
Gran Bretagna e in altri paesi oltre che negli Stati Uniti, e ci sono molti
lettori che non sanno che cosa sia una brownstone. Persino i
detective. Hercule Poirot chiese una volta: ‘Enfin, che cos’è una
brownstone? Non sono mai riuscito a capirlo’.
AG
Non ho mai pensato che i detective francesi
fossero molto bravi. D’accordo, belgi, lo so che era belga. Se era così in
gamba, perché non ha tentato la sorte negli Stati Uniti?
JS
Non saprei dire.
AG
Io sì. Ma lasciamo perdere. Che cos’è una
brownstone? Non sono mai stato un esperto in architettura, ma dicono
che queste brownstone sono l’orgoglio e la gioia della città e non si
dovrebbero demolire; come invece capita a New York, dove tutto è demolito e
sostituito ogni vent’anni. Una berownstone è… beh, la maggior parte
fu costruita a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo.
Hanno preso il nome dalla faccia rivestita di arenaria. Furono costruite a
schiera, come nella 35° Strada, con tre piani più il seminterrato, sicchè
dal marciapiede, c’è sempre una rampa di gradini. Non credo di andare più in
là.
La nostra brownstone aveva sette
gradini ed era una casa doppia. Si entrava dalla porta principale, posto che
si potesse, perché, tranne quando il signor Wolfe si immischiò con Arnold
Zeck, era sempre sprangata. Sulla destra c’era un attaccapanni, un vero
mostro, largo due metri e mezzo, non so da dove venisse. Poi l’ascensore,
minuscolo, un metro e venti per un metro e ottanta, sufficiente però a
contenere il signor Wolfe. Le scale e, subito dopo, la porta della sala da
pranzo. Una stanza grande, ricavata dalla fusione di due, lunga dodici
metri. Questo è il lato destro della casa. Sulla sinistra, appena entrati,
c’era una camera che dava sulla strada e che non era molto usata. Sul retro
lo studio, dove passavamo la maggior parte del tempo. Vuole che descriva lo
studio?
JS
Si, per piacere. Vi sono successe così
tante cose: clienti che sparavano o minacciavano di sparare, che venivano
messi fuori combattimento, che addirittura morivano lì dentro. In un caso,
persino due.
AG
Qual’era? Oh sì, ricordo, The red Box.
Mentre parlo dello studio, tenga presente che in quella casa siamo vissuti
proprio a lungo, e che di tanto in tanto qualcosa cambiava. Tra parentesi,
non mi chieda quando il signor Wolfe comprò la casa (sì, era sua), o quando
decise di fare il detective privato, o quando cominciai a lavorare con lui,
o cose simili. Non ho intenzione di affrontare questi argomenti. Un po’
perché le date non sono mai state il mio forte e sto peggiorando, un po’
perché penso di avere fatto qualche confusione con le date nei libri e un
po’ perché questo genere di cose mi annoia a morte. Quindi, niente date.
Qualcosa da obiettare?
JS
Nulla.
AG
Dall’espressione non si direbbe. A che
punto ero rimasto? Ah sì, lo studio. Era una grande stanza rettangolare,
salotto oltre che studio. Mi piaceva moltissimo, e così pure al signor Wolfe.
C’erano la sua scrivania, di legno di ciliegio, e la sua sedia fuori misura,
foderata di cuoio scuro, fatta apposta per lui da Meyer. Immagino che sappia
del suo debole per il giallo. Questo divano, giallo vivo, era disposto lungo
un muro; bisognava pulirlo ogni due mesi. Pesanti tendoni gialli,
naturalmente. Poi c’era la poltrona di cuoio rosso per i clienti, quella che
ha subito adocchiato. Quando ne avevamo bisogno, cosa che capitava
abbastanza spesso perché l’ufficio a volte era affollato, andavo a prendere
delle sedie nell’altra stanza. Che altro? Ah sì, gli scaffali di libri
vicino alla scrivania, e molti altri sulla parete di fronte. Quadri di vario
tipo, oltre a quel pannello d’ascolto. Carte geografiche, stampe, ritratti
di Socrate, di Shakespeare e di un minatore. Poi c’era la mia scrivania con
una macchina per scrivere. Nell’angolo più lontano, avevamo fatto alzare due
muri per fare un piccolo bagno fornito di lavabo per Wolfe. Gli risparmiava
un po’ di passi; come lei sa, camminare non gli piaceva molto. Ha notato che
non ho più detto ‘signor? Vuol dire che mi sto abituando a lei. Vuole sapere
altro sulla casa? Va bene.
Sul retro – siamo ancora al primo piano,
quello che in Europa chiamate pian terreno – c’era la porta della cucina,
regno di Fritz Brenner. La cucina era abbastanza grande da potervi mangiare
e Wolfe vi passava un mucchio di tempo. Dopo che Fred Durkin mise l’aceto in
una salsa speciale, lo fece mangiare in cucina. Di solito, invece, Saul
Panzer e Orrie Cather mangiavano con noi nella sala da pranzo. Erano tutti
suoi collaboratori, questo lo sa, naturalmente; in ogni caso gliel’ho detto.
Sul retro c’era un piccolo cortile, dove Fritz coltivava dragoncello, erba
cipollina e cose simili.
Al piano di sotto, in una stanza che dava
sulla strada, dormiva Fritz. Di lì si poteva uscire per una porta sotto la
scalinata dell’ingresso principale. Dopo un po’, Marko Vukcic, che era il
suo miglior amico, persuase Wolfe a mettere là sotto un tavolo da biliardo;
di tanto in tanto giocavano. L’ascensore saliva fino alle serre sul tetto:
Si fermava anche ai piani intermedi, ma i tipi giovani e atletici come me
usavano le scale. Le stanze delle piante lassù… beh, il tetto era a vetri e
l’orchidario, o come diavolo si chiama, era diviso in cinque ambienti. Theo
Horstmann badava alle diecimila orchidee che erano la gioia e l’orgoglio di
Wolfe, io tenevo i registri di germinazione, sui quali era pignolissimo.
Theo doveva stare molto attento alla temperatura e all’umidità delle
orchidee. Dormiva lassù in una stanzetta.
Per un certo periodo tutti e due abbiamo
avuto una stanza al secondo piano, io sul davanti, lui sul retro. Poi, mi
sono trasferito al piano di sopra. Com’era la sua camera ? Mi faccia
pensare. La prima impressione che si riceveva era che tutto fosse di quel
giallo per cui andava pazzo. Un letto giallo, di legno venato chiamato
Anselmo, che non penso abbiate in Inghilterra. Pigiama giallo. Indossava
sempre calze gialle, badi bene, e camicie gialle. Poi, grazie a Dio, un
copriletto di seta nera. Lì sopra, se ne stava tutte le mattine a bere la
sua cioccolata o a mangiare quattro pezzi di pane tostato con le solite uova
beurre noir (spero di pronunciarlo giusto), sbuffando con le labbra.
Non bisognava essere deboli di stomaco, per guardarlo la mattina. Questo è
tutto, penso. Ci sono centinaia di altri piccoli particolari, come la sedia
fuori misura per Wolfe in ogni stanza, nello studio, nella sala da pranzo,
in cucina e nella serra. C’era anche una piccola luce rossa fuori della sua
camera da letto, un allarme che suonava nella mia stanza. La discussione
ricorrente era se dovessi avere una macchina per scrivere silenziosa.
Vincevo io, perché la usavo. E così via. Se dovessi raccontarle tutte le
inezie, ci vorrebbe una settimana. Che altro vuole sapere?
JS
Come si svolgeva una normale giornata di
lavoro?
AG
C’è tutto nei libri. Vale quanto detto
prima, ci vorrebbe una settimana.
JS
Fa lo stesso. Mi serve qualche particolare
che possa aiutare l’illustratore. Le ho già detto che questo libro sarà
illustrato? L’artista si chiama Tom Adams. Le sarei grato se mi facesse
avere una copia di un paio di quelle fotografie, e anche un paio di foto
sue. Sarebbero di grande aiuto per Tom. Naturalmente, potrebbe venire qui e
ritrarla dal vivo.
AG
Non riuscirei a stare seduto e fermo abbastanza a lungo. E poi non voglio
che ritragga un vecchio barcollante. Le farò avere qualche foto, compresa
una mia nel fiore della forma fisica.
JS
Grazie mille. Passiamo ora alle vostre
giornate.
AG
Deve capire che non c’era nulla di normale,
anche se una specie di routine c’era. Wolfe consumava la colazione a letto
alle otto. Dalle nove alle undici al mattino e dalle quattro alle sei al
pomeriggio stava sempre nella serra., facendo finta di lavorare, in realtà
ammirando le sue orchidee. Pranzo intorno all’una, una e mezza, cena alle
sette e un quarto; questi erano più o meno gli orari. Un’altra
caratteristica abituale erano le bevute di birra. Bevevo troppa birra.
Incominciava quando scendeva dalle serre e, con un paio di interruzioni,
continuava serafico fino all’ora di andare a dormire. Quando dopo cena ne
aveva bevute sette, talvolta suggerivo che poteva bastare, ma non gli
piaceva che gli si dessero consigli. Mi guardava appena con quei suoi occhi
dalle palpebre spesse e schiacciava il bottone sulla scrivania per farsene
portare un’altra da Fritz. Diavolo, avevo dimenticato il bottone. Vede quel
che voglio dire, non si può fare a meno di dimenticare qualche cosa. Anche
la lettura faceva parte della routine. Wolfe spesso leggeva due o tre libri
contemporaneamente, circa trenta pagine di ciascuno per volta. Non sono un
amante della lettura, ma non credo che si trovino molti topi di biblioteca
così volubili da somigliare a una gigantesca farfalla.
Questa dunque era la giornata di Wolfe. E
la mia? Per gran parte del tempo stavo alla macchina per scrivere
occupandomi della corrispondenza. Di questo non si parla molto nei libri,
perché c’è ben poco da dire. A volte lavoravo ai registri di germinazione,
che avevano sempre bisogno di essere aggiornati. Poi, quando c’era qualche
caso aperto, cosa che capitava molto spesso, io avevo la funzione di
un’unità mobile: interpellavo Lon Cohen, che era alla cronaca cittadina
della ‘Gazette’, facevo quattro chiacchiere con i testimoni, controllavo gli
spostamenti dei sospetti, e così via. Wolfe era il cervello, io le braccia e
le gambe; non ho mai preteso né voluto che le cose stessero altrimenti. Da
qualche parte devo aver detto che io raccoglievo i pezzi del puzzle su cui
Wolfe lavorava. Quando non avevo nulla da fare, andavo in cucina a
chiacchierare con Fritz e a guardarlo preparare le sue ricette. A modo suo,
anche Fritz era un genio; nella casa, quindi, ce n’erano due.
Si potrebbe trarre la conclusione che
questa fosse la vita di tutti i giorni; ma, come ho detto prima, sarebbe un
errore. Come emerge dai libri, la routine era continuamente interrotta:
l’ispettore Cramer che viene a lamentarsi, a cercare informazioni o a
cianciare; i clienti che vogliono assolutamente vedere Wolfe nel giro di
dieci minuti; minacce, tentativi di omicidio, cose di ogni genere. Una volta
le serre delle orchidee furono mitragliate, un’altra un uomo che aveva
chiesto ospitalità per la notte saltò per aria con una bomba. Neanche
l’affermazione di Wolfe: “Non lascio mai casa mia quando lavoro” era vera
alla lettera. Se legge i libri vedrà che l’abbandonò (provo a indovinare)
almeno una dozzina di volte. Una giornata normale, quindi, non c’era. Metta
insieme tutto quanto è scritto nei libri, quella era la nostra vita.
JS
Non proprio. Non ha parlato del cibo.
AG
(ridendo) Oh sì, c’era anche quello nei
libri. Eccome. Ma non chieda ad Archie Goodwin di parlare del cibo. Era già
abbastanza fortunato da mangiarlo.
JS
Ci sono un paio di cose su cui vorrei
indagare. Ho incominciato a stendere una lista di tutti i piatti citati nei
libri, ma non l’ho ancora portata a termine. Sono stato colpito dalla
passione di Wolfe per le salsicce sotto ogni forma. Ricorderà il suo
desiderio di averne dal “miglior salsicciaio a ovest di Cherbourg”, la
salsiccia aromatizzata con dieci tipi diversi di erbe, il gran problema di
analizzare la saucisse minuti e il trionfo quando alla fine ottenne
la ricetta. E questi non sono che cenni sulla sua passione per la salsiccia.
Le salsicce piacciono anche a me, anche se in America non ho quasi mai
trovato una salsiccia degna di questo nome, ma nessun cuoco di classe
metterebbe una portata di salsicce fra le proprie ricette migliori.
AG
No comment. Tranne che lei non ha mai
assaggiato le salsicce preparate da Fritz.
JS
E mi dispiace. Esaminando i pasti, però ho
notato una certa monotonia e pesantezza. Ecco il menu di un pranzo: focacce
di grano con filetto di maiale impanato, focacce di grano con salsa piccante
di pomodoro e formaggio, in fine, focacce di grano con miele. Troppe focacce
di grano, oserei dire. Sebbene il suo gusto in seguito si sia modificato,
Wolfe ha sempre avuto una propensione per i piatti pesanti e piccanti
piuttosto che per quelli delicati. Stufato di scoiattolo in salsa nera,
gamberetti fritti e pasticcio di molluschi di Cape Code in salsa agra con
aggiunta di funghi, goulash di capretto sono piatti tipici. Immagino che sia
il risultato delle origini montenegrine di Wolfe mescolati ai gusti
americani; ma quando si legge che mangiò un intera oca di cinque chili tra
le otto e mezzanotte, viene voglia di dargli del ghiottone piuttosto che del
buongustaio.
AG
Una voglia tutta sua. Forse mi sbaglio, ma
pensavo che fosse lei a intervistare me.
JS
Non ha un’opinione in proposito? Ho avuto
l’impressione che i suoi gusti fossero più semplici. Mentre Wolfe faceva
colazione con le solite uova cucinate in qualche modo strano, lei si
contentava di uova fritte, prosciutto abbrustolito e frittelle calde, una
colazione americana tradizionale.
AG
No comment, tranne che non c’era e quindi
non può sapere. Ah, un’altra cosa. Non sono mai stato in Inghilterra, ma mi
hanno detto che il piatto nazionale è carne di manzo dura da rompere i denti
di una sega con cavolo stracotto. Fritz conosceva quindici modi diversi di
cucinare il cavolo, ma aveva un animo troppo nobile per farlo morte.
JS
Mi parli un po’ di Fritz e di qualcuno
degli altri.
AG
Ripeto, Fritz Brenner era un genio. Wolfe
lo pagava mille dollari al mese, più di quanto pagasse me, ma Fritz li
valeva. Era uno svizzero piccolino; aveva le funzioni di cuoco, di economo e
di vivandiere della casa. Diversamente da lei, aveva in comune con Wolfe la
passione per le salsicce. Di solito, se si faceva un complimento al suo
cibo, arrossiva. Portava scarpe da maggiordomo; veniva dalla Svizzera
francese e leggeva giornali francesi, anche dopo essere vissuto per tutti
questi anni negli Stati Uniti. Non posso dire molto di lui.
C’erano poi i collaboratori esterni.
Saul panzer era di gran lunga il migliore. Era un ometto piccolo con un gran
naso e un sigaro marrone chiaro dalla puzza orribile che spuntava dal
piccolo muso grinzoso; ma era in gamba, glielo assicuro. Non mollava mai,
quando iniziava un lavoro. Valeva quello che Wolfe lo pagava, che passò da
trenta a settanta, ottanta dollari al giorno. Gli altri non mi andavano a
genio. Orrie Cather era snello e di bell’aspetto quando venne da noi la
prima volta, in seguito perse un po’ di capelli. Non mi è mai piaciuto
molto.
JS
E non aveva tutti i torti.
AG
Può ben dirlo. Fred Durkin era irlandese, e
ho già detto delle sue abitudini culinarie. Bill Gore e Johnny Keems
andavano bene, bastava spiegare dieci volte quello che si voleva. Poi
c’erano i piedipiatti. Il tenente Rowcliffe ha sempre pensato che la mia
dimora avrebbe dovuto essere in una cella di prigione; da parte mia anch’io
lo amavo molto. Purley Stebbins era il tipo che si accetta così com’è,
oppure si evita; tutto sommato io preferivo evitarlo. La maggior parte dei
pezzi grossi era piena di buona volontà: è il complimento migliore che si
meritano. Wolfe nel colpì uno di nome Ash quando costui gli mise le mani
addosso. L’unico che si salvava era Fergus Cramer, il capo della squadra
omicidi. C’era tanto da dire in favore di Fergus, anche se non mi sono dato
molto la pena di dirlo. Era robusto, alto più o meno come me; aveva una
pella rosa e grinzosa, che diventava rosso fuoco quando andava fuori dai
gangheri, e occhi taglienti grigio-blu. Non era molto furbo, ma brillava
come un faro in confronto agli altri. E poi era onesto. Rispettava Wolfe,
direi anzi che sapeva che Wolfe era un genio. Questo lo salvava. Come va?
JS
Benissimo. Tutto serve a completare il
quadro, anche se le sembra che certe cose dovrei già saperle. Un’altra cosa.
Lei andava in giro con donne di ogni tipo e genere e naturalmente piaceva a
tutte, da Lily Rowan in giù, se così si può dire, ma non risulta che una
donna abbia mai passato la notte nella sua stanza, oppure che lei abbia
preso una camera per portare avanti una di queste relazioni. In ben venti
libri diversi lei mette in chiaro che a Wolfe non piacevano le donne. Una
volta Wolfe disse: “Sono animali sbalorditivi e abilissimi” e questo è un
commento tipico. Secondo me, ne aveva una fifa blu. Quello che vorrei sapere
è se nella 35° Strada c’era il divieto di passare la notte con una donna. E,
se le cose stanno così, che cosa ne pensava lei?
AG
Spenga quell’aggeggio maledetto
Ubbidii. Archie Goodwin si alzò e si
mise a passeggiare su e giù per la stanza a pugni stretti. Mi schivava con
lo sguardo; cominciai a sentirmi un po’ imbarazzato. Poi mi chiese se avrei
gradito un altro bicchiere di vino. Risposi di sì. Quando ebbe portato il
vino e dell’altro latte per sé, si sedette di nuovo e mi fissò corrucciato.
Alla fine riprese a parlare; il tono era tranquillo.
“Speravo che non avrebbe fatto domande
di questo tipo. Quando ricevetti la sua lettera, in cui diceva che le
avrebbe fatto piacere visitarmi, mi informai sul suo conto, perché
sinceramente il suo nome non mi diceva niente”. Mi somministrò uno dei suoi
sorrisi affascinanti.
“le dirò anche quello che ho scoperto. Che
lei è uno scrittore inglese di grido di libri gialli, e anche una specie di
storico del crimine. Che ha un mucchio di pregiudizi, che spesso fa
insinuazioni offensive. Ho qui qualcosa di cui vorrei una spiegazione”.
Estrasse di tasca un pezzo di carta e lesse: “ ‘Sembrava che ci fosse
qualcosa di sessualmente ambiguo nella casa di Nero Wolfe e Archie Goodwin’.
Questo l’ha scritto lei”. Feci cenno di sì con il capo. “Che diavolo
vuole dire? Che Wolfe e io eravamo dall’altra parte, che io ero il suo
amichetto, è questo che vuole dire?”
Inghiottii la saliva. “Vuole dire quello
che c’è scritto. Praticamente tutti alla sua età, ela maggior parte della
gente all’età di Wolfe, hanno una vita sessuale. Secondo lei, Wolfe non
l’aveva; o se l’aveva, lei non ne ha mai parlato. La sua vita sessuale, poi,
se c’èstata, non si è mai svolta nella vecchia browntone. La vostra
era una coppia sessualmente ambigua; mi sono chiesto che cosa faceste con il
sesso. Tutto lì”.
Per qualche istante temetti la sua
reazione. Poi mi ammannì il suo solito sorriso.
“Se Wolfe fosse qui, e per lei sarebbe
il signor Wolfe, direbbe che lei è impertinente, e avrebbe tutte le ragioni.
Il nostro rapporto era di padre e figlio, posto che lei riesca a capire
qualcosa di così semplice. Aveva ventiquattro anni più di me, avrebbe potuto
essere mio padre, anche se in realtà il mio vecchio si chiamava Titus e
faceva l’agricoltore nell’Ohio. Wolfe si prendeva cura di me come un padre,
e tutto quello che sono lo debbo a lui. Aveva l’arte di farmi impazzire, ma
non mi sono mai stancato di dire che il cuore mi batteva più forte quando
diceva: ‘Soddisfacente, Archie’. Quello che succedeva fra me e Lily,
o qualsiasi altra ragazza, sono fatti nostri e lo sa solo il letto a
baldacchino. Per quanto riguarda Wolfe, può aggiungere nei suoi appunti la
parola celibato. Anche se mi dirà che questo non risponde alla sua domanda,
è tutto quello che mi tirerà fuori”.
“Le seccherebbe se inserissi questa
parte di conversazione nel libro?”.
A questa uscita scoppiò in una risata.
“Che sia dannato se non ha una bella faccia tosta. Va bene. Argomento
chiuso”.
“ancora una domanda. Sposò Lily Rowan?”.
Scosse la testa in segno di diniego. “Né
lei né altre. Molto tempo fa dissi che avevo conosciuto dozzine di ragazze
che non mi strenne spiaciuto sposare; tutte le volte che ne incontro una
nuova sono interessato e aperto a qualsiasi possibilità. Ma non mi innamoro
mai, neppure oggi. Argomento definitivamente chiuso”.
Accesi di nuovo il registratore.
JS
Quanto mi ha detto dà un’idea
dell’ambiente. Chi vuole sapere tutti i minimi particolari, come il numero
di volte che lei fu arrestato. O quanta gente morì nel vostro ufficio (circa
una dozzina secondo i miei calcoli), può leggersi i libri e i racconti.
Passiamo alla personalità di Wolfe. E al suo peso. Non sembra che abbia mai
fatto dell’esercizio fisico, inoltre basta dare un’occhiata ai menu di FRitz
per vedere che mangiava cibi che ingrassavano, tuttavia pare che fosse
sempre in buona forma fisica. E’ sicuro di non avere esagerato il suo peso?
AG
Nessuna esagerazione, era quello e basta.
Può sembrare strano, ma è proprio così: rimaneva in perfetta forma.
Probabilmente le leggi naturali non valevano per Nero Wolfe.
JS
Va bene. Passiamo alla sua vita e alla sua
personalità. So che non le piace parlare di date, tuttavia: nacque nel
Montenegro, località sconosciuta; andò a scuola là; conobbe Marko Vukcic sin
dall’infanzia; durante la prima guerra mondiale fece parte del servizio
segreto austriaco; ricominciò a fare il detective verso la fine degli Anni
Venti, forse nel 1928. E’ d’accordo?
AG
Certo che no. Non posso essere d’accordo,
perché non c’ero e non lo so. Posso solo confermare che aveva dei parenti
giovani a Belgrado, perché mi faceva battere a macchina le lettere per loro.
Lei ha letto i libri e sa che cosa diceva la gente. Una teoria è che Marko
non fosse un amico di Wolfe ma suo fratello gemello, che fossero nati a
Trenton nel New Jersey e che fossero emigrati in Montenegro da molto
piccoli. C’è anche la teoria che Wolfe fosse il figlio illegittimo di
Sherlock Holmes e di Irene Adler. Secondo me, la maggior parte di queste
teorie sono stravaganti se non del tutto assurde. Io, però non so, e
con me nessuno.
JS
Wolfe disse di essere stato in una lurida
prigione di Algeri. Può confermarlo?
AG
No. E non so neppure se avesse veramente
una casa in Egitto. Diceva di averla; una volta minacciò addirittura di
andare a vivere laggiù, ma può darsi che fosse solamente un’uscita
d’effetto. Aveva l’abitudine di dire tutto e di fare ogni genere di scherzi
durante le indagini. Non le sarà certo sfuggito.
JS
L’ho notato. E sulla sua personalità?
Diceva di se stesso: “Sono mordace e pungente in maniera congenita”, e
spesso parlava del proprio genio. Nei suoi libri ci sono parecchie occasioni
in cui è maleducato, villano, dispotico; in quasi tutte le storie, parlando
di lui, usa una frase tipo: “presuntuoso e infinitamente borioso”. Tutto ciò
dà un’immagine d’insieme piuttosto sgradevole, tuttavia la maggior parte
della gente che lo conosceva bene sembrava amarlo.
AG
Tranne Cramer e un vasto assortimento di
poliziotti. Non so spiegarlo, non saprei da che parte cominciare.
JS
Sembra una contraddizione.
AG
Qualcuno che non ricordo bene ha detto: “Mi
contraddico? Molto bene, allora mi contraddico”. Posso solo dire come
stavano le cose. Mangiava troppo, a volte era maleducato se non addirittura
brutale, era pigro. Ricordo di avere scritto che la sua idea di paradiso era
non prendere lavori per mesi di fila, starsene tranquillo a leggere e
moltiplicare le orchidee. Tuttavia, Fritz, credo saul panzer, e forse
un’altra mezza dozzina di persone avrebbero volentieri sacrificato la
propria vita per lui. Per non dire di me.
JS
Credo di avere esaurito le domande. Grazie
mille, signor Goodwin. Ci sono un sacco di altre cose che potrei chiedere,
per esempio perché in un punto dice che c’erano solo due persone e che lo
chiamavano Nero, e in un altro che erano tre, ma penso che domande di questo
tipo creerebbero solo confusione. Mi piacerebbe invece parlare di una
questione che non è mai resa pubblica. Nero Wolfe è morto ? Penso di sì.
AG
Non potrei dirlo.
JS
Allora è vivo?
AG
Non so nemmeno questo. Ad ogni modo… Non
conosco la verità, e sono sicuro che non la saprò mai, ma mi piace pensare
che sia lassù, a caccia di libellule sul tetto della Iugoslavia.
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