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NERO WOLFE, UN PICCOLO GRANDE UOMO

Rex Stout nella sua vita è risultato essere un misto di Salinger ed Hemingway, ma per sua fortuna con un pizzico di umorismo che gli ha reso la vita più facile. Prima marinaio e poi inventore insieme al fratello di un sistema di risparmio bancario da applicare alle scuole, che gli permise una agiatezza economica, che non ha mai rimpianto.

Esordì con un romanzo sperimentale "più o meno" ingiustamente poco considerato. DUE RAMPE PER L'ABISSO (1929), e si affermò poi con LA TRACCIA DEL SERPENTE (1934) fino ad NERO WOLFE APRE LA PORTA AL DELITTO (1975).

Nella mia vita di lettore di gialli, quasi mai sono rimasto impressionato dagli intrecci di Rex Stout, possiamo dire in tutta tranquillità che sono sterili eppure il suo successo letterario è rimasto immutato ...

.... in fondo io amo i gialli di Rex Stout e Nero Wolfe, non certo per i suoi intrecci sterili ed ingenui, ma esclusivamente perché amo respirare l’atmosfera di quella casa in arenaria e per spiare a quale antipatica rottura delle regole, l’autore obbligherà quel pachiderma di investigatore o il suo fido assistente Archie.

Riccardo Affinati

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Rex Stout, narratore statunitense (Noblesville, Indiana, 1886-Danbury, Connecticut, 1975). Autore di numerosi romanzi polizieschi, S. deve la sua fama all'invenzione del personaggio di Nero Wolfe, un investigatore privato che svolge le proprie indagini senza uscire di casa, assorto negli hobbies delle orchidee e della buona tavola, con l'aiuto del giovane Archie Goodwin. In Italia, il personaggio di Nero Wolfe è stato portato sugli schermi televisivi dall'attore Tino Buazzelli.

 

per l'elenco completo dei romanzi clicca qui >>

 

ARCHIE GOODWIN RICORDA

Una intervista di J. Symon ad A. Goodwin

illustrazione di  T. Adams

ARCHIE GOODWIN RICORDA

Una intervista di J. Symon ad A. Goodwin

 

 


 

D

alle descrizioni che avevo letto, a poco più di trent’anni Archie Goodwin era affascinante più che bello: robusto e muscoloso un metro e ottanta di altezza, capelli chiari tendenti al rosso, lineamenti regolari salvati dalla banalità da un naso piatto e largo che gli dava un’aria indipendente e un po’ spavalda.

Questo un bel po’ di tempo fa, Quando andai a trovarlo i capelli erano grigi, ma Archie Goodwin dava ancora un’impressione di potenza fisica tenuta sotto controllo, proprio come mi sarei aspettato dallo stretto collaboratore di Nero Wolfe.

La stretta di mano fu energica; gli occhi grigi mi esaminarono attentamente ma in modo amichevole. Poche cose sfuggivano a quegli occhi, e subito colsero il rapido esame che feci della stanza. Quando mi diressi verso il grande mappamondo che stava in un angolo, Goodwin fece un cenno di approvazione con il capo.

“E’ proprio il mappamondo di quasi un metro di diametro che stava in un angolo dell’ufficio”.

“Non era un mappamondo di un po’ più di mezzo metro di diametro ? Almeno, così ho letto”.

Disse un po’ brusco: “Non ci siamo dati la pena di misurarlo. C’è altro ?”.

“La poltrona di cuoio rosso. Forse il sofà, in questo caso, però, è stato rifoderato, perché dovrebbe essere giallo vivo. Quel fermacarte di legno pietrificato. Poi un paio di incisioni, per esempio quella di Brillant-Savarin. Anche alcuni libri, immagino, perché so che lei non è un gran lettore. Così, almeno, ha sempre detto, anche se ho notato che conosce il significato di ‘apodittico’. Io dovetti andarlo a cercare sul dizionario”.

“Lo usava il signor Wolfe, allora ne cercai il significato e pensai di infilarlo in una storia”.

Sorrise. “Non male, signor Symons, potrebbe fare il detective. Le è sfuggita la tavola di massaranduba là nell’angolo, il quadro forato del monumento di Washington, che serviva come pannello per origliare, e un paio di altre cose. Non male. Qualcosa da bere ? Il signor Wolfe teneva sempre a portata di mano del porto, della birra scura di Dublino e del madera; io non sono così fornito, ho solo birra chiara e vino bianco”. Scelsi il vino bianco. Riempì un bicchiere di vino per me e uno di latte per sé, poi si lasciò cadere nella poltrona di fronte alla mia. Si moveva con destrezza e agilità, come se stesse continuamente sulla punta dei piedi. “Sta scrivendo un articolo e vuole farmi delle domande sul signor Wolfe, se ho capito bene ?”.

Tirai fuori il piccolo registratore. Goodwin lo guardò di sbieco.

“Non mi piacciono questi aggeggi. Prima parliamo un po’ di questo suo libro!”.

Per mezz’ora, nel bell’alloggio nella parte alta di East Side, discutemmo del mio libro sui grandi detective, di quali ne avrebbero fatto parte, e se sarebbero stati fatti dei confronti.

(Come già in un’altra occasione, Goodwin disse che Nero Wolfe era “il migliore detective a nord del Polo Sud”).

Sottolineai che il mio intento era di dare notizia sulla vita e il carattere dei personaggi, non di fare paragoni. Capii di avere superato l’esame quando, sorridendo mi disse:

“Non c’è confronto. Lui era un genio, gli altri erano detective. Vuole vedere una fotografia ?”.

Non so più che cosa mi aspettassi, probabilmente un uomo mostruosamente grasso, visto che Wolfe giunse a pesare più di centoventi chili. Restai sorpreso. La faccia era larga e squadrata, ma non aveva le guance cascanti né la pappagorgia; era il volto di un uomo enorme, non grasso. Capelli scuri, occhi scuri dalle palpebre spesse, bocca carnosa e mobilissima, espressione abbastanza amichevole anche se un po’ intimidatoria; certo non il volto di un uomo che sopportasse, per non dire gradisse, gli sciocchi. Era la faccia di un peso massimo, e coloro cui piacciono i pesi massimi avrebbero potuto addirittura definirlo bello. Le fotografie erano tre, tutte molto simili, tranne una che lo mostrava chino sopra un’orchidea e rivelava grandi mani armoniose. Nessuna lo ritraeva tutto, forse quindi le fotografie non mi diedero la giusta impressione delle sue dimensioni. Le restituì senza fare commenti.

“Ora, signor Symons, passiamo pure al sodo. Ha domande da farmi ? Bene, farò del mio meglio, ma se c’è qualcosa cui non intendo rispondere mi limiterò a dire ‘No comment’, come i politici, e lei non insisterà. Altrimenti, le chiederò di fermare il registratore. Se mi scappa qualche cosa che non dovrei dire e le chiedo di cancellarlo, lei lo cancellerà seduta stante. Non che non mi fidi di lei, ma se fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. D’accordo ?”.

Accettai, e quanto segue è il testo del nostro dialogo a botta e risposta. Alla fine viene data una spiegazione alla domanda, spesso posta, di che cosa sia successo di Nero Wolfe, sebbene la risposta lasci un certo alone di mistero.

JS Vorrei innanzitutto che mi descrivesse la casa della 35° Strada, la disposizione delle stanze e la divisione delle mansioni.

AG Va bene, ci proverò. La casa era una vecchia brownstone. Il numero si aggirava tra il 500 e il 900. Allora c’erano buone ragioni per non dare il numero esatto, penso che valgano ancora oggi. Era …

JS Mi scusi. Questo libro sarà pubblicato in Gran Bretagna e in altri paesi oltre che negli Stati Uniti, e ci sono molti lettori che non sanno che cosa sia una brownstone. Persino i detective. Hercule Poirot chiese una volta: ‘Enfin, che cos’è una brownstone? Non sono mai riuscito a capirlo’.

AG Non ho mai pensato che i detective francesi fossero molto bravi. D’accordo, belgi, lo so che era belga. Se era così in gamba, perché non ha tentato la sorte negli Stati Uniti?

JS Non saprei dire.

AG Io sì. Ma lasciamo perdere. Che cos’è una brownstone? Non sono mai stato un esperto in architettura, ma dicono che queste brownstone sono l’orgoglio e la gioia della città e non si dovrebbero demolire; come invece capita a New York, dove tutto è demolito e sostituito ogni vent’anni. Una berownstone è… beh, la maggior parte fu costruita a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo. Hanno preso il nome dalla faccia rivestita di arenaria. Furono costruite a schiera, come nella 35° Strada, con tre piani più il seminterrato, sicchè dal marciapiede, c’è sempre una rampa di gradini. Non credo di andare più in là.

La nostra brownstone aveva sette gradini ed era una casa doppia. Si entrava dalla porta principale, posto che si potesse, perché, tranne quando il signor Wolfe si immischiò con Arnold Zeck, era sempre sprangata. Sulla destra c’era un attaccapanni, un vero mostro, largo due metri e mezzo, non so da dove venisse. Poi l’ascensore, minuscolo, un metro e venti per un metro e ottanta, sufficiente però a contenere il signor Wolfe. Le scale e, subito dopo, la porta della sala da pranzo. Una stanza grande, ricavata dalla fusione di due, lunga dodici metri. Questo è il lato destro della casa. Sulla sinistra, appena entrati, c’era una camera che dava sulla strada e che non era molto usata. Sul retro lo studio, dove passavamo la maggior parte del tempo. Vuole che descriva lo studio?

JS Si, per piacere. Vi sono successe così tante cose: clienti che sparavano o minacciavano di sparare, che venivano messi fuori combattimento, che addirittura morivano lì dentro. In un caso, persino due.

AG Qual’era? Oh sì, ricordo, The red Box. Mentre parlo dello studio, tenga presente che in quella casa siamo vissuti proprio a lungo, e che di tanto in tanto qualcosa cambiava. Tra parentesi, non  mi chieda quando il signor Wolfe comprò la casa (sì, era sua), o quando decise di fare il detective privato, o quando cominciai a lavorare con lui, o cose simili. Non ho intenzione di affrontare questi argomenti. Un po’ perché le date non sono mai state il mio forte e sto peggiorando, un po’ perché penso di avere fatto qualche confusione con le date nei libri e un po’ perché questo genere di cose mi annoia a morte. Quindi, niente date. Qualcosa da obiettare?

JS Nulla.

AG Dall’espressione non si direbbe. A che punto ero rimasto? Ah sì, lo studio. Era una grande stanza rettangolare, salotto oltre che studio. Mi piaceva moltissimo, e così pure al signor Wolfe. C’erano la sua scrivania, di legno di ciliegio, e la sua sedia fuori misura, foderata di cuoio scuro, fatta apposta per lui da Meyer. Immagino che sappia del suo debole per il giallo. Questo divano, giallo vivo, era disposto lungo un muro; bisognava pulirlo ogni due mesi. Pesanti tendoni gialli, naturalmente. Poi c’era la poltrona di cuoio rosso per i clienti, quella che ha subito adocchiato. Quando ne avevamo bisogno, cosa che capitava abbastanza spesso perché l’ufficio a volte era affollato, andavo a prendere delle sedie nell’altra stanza. Che altro? Ah sì, gli scaffali di libri vicino alla scrivania, e molti altri sulla parete di fronte. Quadri di vario tipo, oltre a quel pannello d’ascolto. Carte geografiche, stampe, ritratti di Socrate, di Shakespeare e di un minatore. Poi c’era la mia scrivania con una macchina per scrivere. Nell’angolo più lontano, avevamo fatto alzare due muri per fare un piccolo bagno fornito di lavabo per Wolfe. Gli risparmiava un po’ di passi; come lei sa, camminare non gli piaceva molto. Ha notato che non ho più detto ‘signor? Vuol dire che mi sto abituando a lei. Vuole sapere altro sulla casa? Va bene.

Sul retro – siamo ancora al primo piano, quello che in Europa chiamate pian terreno – c’era la porta della cucina, regno di Fritz Brenner. La cucina era abbastanza grande da potervi mangiare e Wolfe vi passava un mucchio di tempo. Dopo che Fred Durkin mise l’aceto in una salsa speciale, lo fece mangiare in cucina. Di solito, invece, Saul Panzer e Orrie Cather mangiavano con noi nella sala da pranzo. Erano tutti suoi collaboratori, questo lo sa, naturalmente; in ogni caso gliel’ho detto. Sul retro c’era un piccolo cortile, dove Fritz coltivava dragoncello, erba cipollina e cose simili.

Al piano di sotto, in una stanza che dava sulla strada, dormiva Fritz. Di lì si poteva uscire per una porta sotto la scalinata dell’ingresso principale. Dopo un po’, Marko Vukcic, che era il suo miglior amico, persuase Wolfe a mettere là sotto un tavolo da biliardo; di tanto in tanto giocavano. L’ascensore saliva fino alle serre sul tetto: Si fermava anche ai piani intermedi, ma i tipi giovani e atletici come me usavano le scale. Le stanze delle piante lassù… beh, il tetto era a vetri e l’orchidario, o come diavolo si chiama, era diviso in cinque ambienti. Theo Horstmann badava alle diecimila orchidee che erano la gioia e l’orgoglio di Wolfe, io tenevo i registri di germinazione, sui quali era pignolissimo. Theo doveva stare molto attento alla temperatura e all’umidità delle orchidee. Dormiva lassù in una stanzetta.

Per un certo periodo tutti e due abbiamo avuto una stanza al secondo piano, io sul davanti, lui sul retro. Poi, mi sono trasferito al piano di sopra. Com’era la sua camera ? Mi faccia pensare. La prima impressione che si riceveva era che tutto fosse di quel giallo per cui andava pazzo. Un letto giallo, di legno venato chiamato Anselmo, che non penso abbiate in Inghilterra. Pigiama giallo. Indossava sempre calze gialle, badi bene, e camicie gialle. Poi, grazie a Dio, un copriletto di seta nera. Lì sopra, se ne stava tutte le mattine a bere la sua cioccolata o a mangiare quattro pezzi di pane tostato con le solite uova beurre noir (spero di pronunciarlo giusto), sbuffando con le labbra. Non bisognava essere deboli di stomaco, per guardarlo la mattina. Questo è tutto, penso. Ci sono centinaia di altri piccoli particolari, come la sedia fuori misura per Wolfe in ogni stanza, nello studio, nella sala da pranzo, in cucina e nella serra. C’era anche una piccola luce rossa fuori della sua camera da letto, un allarme che suonava nella mia stanza. La discussione ricorrente era se dovessi avere una macchina per scrivere silenziosa. Vincevo io, perché la usavo. E così via. Se dovessi raccontarle tutte le inezie, ci vorrebbe una settimana. Che altro vuole sapere?

JS Come si svolgeva una normale giornata di lavoro?

AG C’è tutto nei libri. Vale quanto detto prima, ci vorrebbe una settimana.

JS Fa lo stesso. Mi serve qualche particolare che possa aiutare l’illustratore. Le ho già detto che questo libro sarà illustrato? L’artista si chiama Tom Adams. Le sarei grato se mi facesse avere una copia di un paio di quelle fotografie, e anche un paio di foto sue. Sarebbero di grande aiuto per Tom. Naturalmente, potrebbe venire qui e ritrarla dal vivo.

AG Non riuscirei a stare seduto e fermo abbastanza a lungo. E poi non voglio che ritragga un vecchio barcollante. Le farò avere qualche foto, compresa una mia nel fiore della forma fisica.

JS Grazie mille. Passiamo ora alle vostre giornate.

AG Deve capire che non c’era nulla di normale, anche se una specie di routine c’era. Wolfe consumava la colazione a letto alle otto. Dalle nove alle undici al mattino e dalle quattro alle sei al pomeriggio stava sempre nella serra., facendo finta di lavorare, in realtà ammirando le sue orchidee. Pranzo intorno all’una, una e mezza, cena alle sette e un quarto; questi erano più o meno gli orari. Un’altra caratteristica abituale erano le bevute di birra. Bevevo troppa birra. Incominciava quando scendeva dalle serre e, con un paio di interruzioni, continuava serafico fino all’ora di andare a dormire. Quando dopo cena ne aveva bevute sette, talvolta suggerivo che poteva bastare, ma non gli piaceva che gli si dessero consigli. Mi guardava appena con quei suoi occhi dalle palpebre spesse e schiacciava il bottone sulla scrivania per farsene portare un’altra da Fritz. Diavolo, avevo dimenticato il bottone. Vede quel che voglio dire, non si può fare a meno di dimenticare qualche cosa. Anche la lettura faceva parte della routine. Wolfe spesso leggeva due o tre libri contemporaneamente, circa trenta pagine di ciascuno per volta. Non sono un amante della lettura, ma non credo che si trovino molti topi di biblioteca così volubili da somigliare a una gigantesca farfalla.

Questa dunque era la giornata di Wolfe. E la mia? Per gran parte del tempo stavo alla macchina per scrivere occupandomi della corrispondenza. Di questo non si parla molto nei libri, perché c’è ben poco da dire. A volte lavoravo ai registri di germinazione, che avevano sempre bisogno di essere aggiornati. Poi, quando c’era qualche caso aperto, cosa che capitava molto spesso, io avevo la funzione di un’unità mobile: interpellavo Lon Cohen, che era alla cronaca cittadina della ‘Gazette’, facevo quattro chiacchiere con i testimoni, controllavo gli spostamenti dei sospetti, e così via. Wolfe era il cervello, io le braccia e le gambe; non ho mai preteso né voluto che le cose stessero altrimenti. Da qualche parte devo aver detto che io raccoglievo i pezzi del puzzle su cui Wolfe lavorava. Quando non avevo nulla da fare, andavo in cucina a chiacchierare con Fritz e a guardarlo preparare le sue ricette. A modo suo, anche Fritz era un genio; nella casa, quindi, ce n’erano due.

Si potrebbe trarre la conclusione che questa fosse la vita di tutti i giorni; ma, come ho detto prima, sarebbe un errore. Come emerge dai libri, la routine era continuamente interrotta: l’ispettore Cramer che viene a lamentarsi, a cercare informazioni o a cianciare; i clienti che vogliono assolutamente vedere Wolfe nel giro di dieci minuti; minacce, tentativi di omicidio, cose di ogni genere. Una volta le serre delle orchidee furono mitragliate, un’altra un uomo che aveva chiesto ospitalità per la notte saltò per aria con una bomba. Neanche l’affermazione di Wolfe: “Non lascio mai casa mia quando lavoro” era vera alla lettera. Se legge i libri vedrà che l’abbandonò (provo a indovinare) almeno una dozzina di volte. Una giornata normale, quindi, non c’era. Metta insieme tutto quanto è scritto nei libri, quella era la nostra vita.

JS Non proprio. Non ha parlato del cibo.

AG (ridendo) Oh sì, c’era anche quello nei libri. Eccome. Ma non chieda ad Archie Goodwin di parlare del cibo. Era già abbastanza fortunato da mangiarlo.

JS Ci sono un paio di cose su cui vorrei indagare. Ho incominciato a stendere una lista di tutti i piatti citati nei libri, ma non l’ho ancora portata a termine. Sono stato colpito dalla passione di Wolfe per le salsicce sotto ogni forma. Ricorderà il suo desiderio di averne dal “miglior salsicciaio a ovest di Cherbourg”, la salsiccia aromatizzata con dieci tipi diversi di erbe, il gran problema di analizzare la saucisse minuti e il trionfo quando alla fine ottenne la ricetta. E questi non sono che cenni sulla sua passione per la salsiccia. Le salsicce piacciono anche a me, anche se in America non ho quasi mai trovato una salsiccia degna di questo nome, ma nessun cuoco di classe metterebbe una portata di salsicce fra le proprie ricette migliori.

AG No comment. Tranne che lei non ha mai assaggiato le salsicce preparate da Fritz.

JS E mi dispiace. Esaminando i pasti, però ho notato una certa monotonia e pesantezza. Ecco il menu di un pranzo: focacce di grano con filetto di maiale impanato, focacce di grano con salsa piccante di pomodoro e formaggio, in fine, focacce di grano con miele. Troppe focacce di grano, oserei dire. Sebbene il suo gusto in seguito si sia modificato, Wolfe ha sempre avuto una propensione per i piatti pesanti e piccanti piuttosto che per quelli delicati. Stufato di scoiattolo in salsa nera, gamberetti fritti e pasticcio di molluschi di Cape Code in salsa agra con aggiunta di funghi, goulash di capretto sono piatti tipici. Immagino che sia il risultato delle origini montenegrine di Wolfe mescolati ai gusti americani; ma quando si legge che mangiò un intera oca di cinque chili tra le otto e mezzanotte, viene voglia di dargli del ghiottone piuttosto che del buongustaio.

AG Una voglia tutta sua. Forse mi sbaglio, ma pensavo che fosse lei a intervistare me.

JS Non ha un’opinione in proposito? Ho avuto l’impressione che i suoi gusti fossero più semplici. Mentre Wolfe faceva colazione con le solite uova cucinate in qualche modo strano, lei si contentava di uova fritte, prosciutto abbrustolito e frittelle calde, una colazione americana tradizionale.

AG No comment, tranne che non c’era e quindi non può sapere. Ah, un’altra cosa. Non sono mai stato in Inghilterra, ma mi hanno detto che il piatto nazionale è carne di manzo dura da rompere i denti di una sega con cavolo stracotto. Fritz conosceva quindici modi diversi di cucinare il cavolo, ma aveva un animo troppo nobile per farlo  morte.

JS Mi parli un po’ di Fritz e di qualcuno degli altri.

AG Ripeto, Fritz Brenner era un genio. Wolfe lo pagava mille dollari al mese, più di quanto pagasse me, ma Fritz li valeva. Era uno svizzero piccolino; aveva le funzioni di cuoco, di economo e di vivandiere della casa. Diversamente da lei, aveva in comune con Wolfe la passione per le salsicce. Di solito, se si faceva un complimento al suo cibo, arrossiva. Portava scarpe da maggiordomo; veniva dalla Svizzera francese e leggeva giornali francesi, anche dopo essere vissuto per tutti questi anni negli Stati Uniti. Non posso dire molto di lui.

   C’erano poi i collaboratori esterni. Saul panzer era di gran lunga il migliore. Era un ometto piccolo con un gran naso e un sigaro marrone chiaro dalla puzza orribile che spuntava dal piccolo muso grinzoso; ma era in gamba, glielo assicuro. Non mollava mai, quando iniziava un lavoro. Valeva quello che Wolfe lo pagava, che passò da trenta a settanta, ottanta dollari al giorno. Gli altri non mi andavano a genio. Orrie Cather era snello e di bell’aspetto quando venne da noi la prima volta, in seguito perse un po’ di capelli. Non mi è mai piaciuto molto.

JS E non aveva tutti i torti.

AG Può ben dirlo. Fred Durkin era irlandese, e ho già detto delle sue abitudini culinarie. Bill Gore e Johnny Keems andavano bene, bastava spiegare dieci volte quello che si voleva. Poi c’erano i piedipiatti. Il tenente Rowcliffe ha sempre pensato che la mia dimora avrebbe dovuto essere in una cella di prigione; da parte mia anch’io lo amavo molto. Purley Stebbins era il tipo che si accetta così com’è, oppure si evita; tutto sommato io preferivo evitarlo. La maggior parte dei pezzi grossi era piena di buona volontà: è il complimento migliore che si meritano. Wolfe nel colpì uno di nome Ash quando costui gli mise le mani addosso. L’unico che si salvava era Fergus Cramer, il capo della squadra omicidi. C’era tanto da dire in favore di Fergus, anche se non mi sono dato molto la pena di dirlo. Era robusto, alto più o meno come me; aveva una pella rosa e grinzosa, che diventava rosso fuoco quando andava fuori dai gangheri, e occhi taglienti grigio-blu. Non era molto furbo, ma brillava come un faro in confronto agli altri. E poi era onesto. Rispettava Wolfe, direi anzi che sapeva che Wolfe era un genio. Questo lo salvava. Come va?

JS Benissimo. Tutto serve a completare il quadro, anche se le sembra che certe cose dovrei già saperle. Un’altra cosa. Lei andava in giro con donne di ogni tipo e genere e naturalmente piaceva a tutte, da Lily Rowan in giù, se così si può dire, ma non risulta che una donna abbia mai passato la notte nella sua stanza, oppure che lei abbia preso una camera per portare avanti una di queste relazioni. In ben venti libri diversi lei mette in chiaro che a Wolfe non piacevano le donne. Una volta Wolfe disse: “Sono animali sbalorditivi e abilissimi” e questo è un commento tipico. Secondo me, ne aveva una fifa blu. Quello che vorrei sapere è se nella 35° Strada c’era il divieto di passare la notte con una donna. E, se le cose stanno così, che cosa ne pensava lei?

AG Spenga quell’aggeggio maledetto

   Ubbidii. Archie Goodwin si alzò e si mise a passeggiare su e giù per la stanza a pugni stretti. Mi schivava con lo sguardo; cominciai a sentirmi un po’ imbarazzato. Poi mi chiese se avrei gradito un altro bicchiere di vino. Risposi di sì. Quando ebbe portato il vino e dell’altro latte per sé, si sedette di nuovo e mi fissò corrucciato. Alla fine riprese a parlare; il tono era tranquillo.

   “Speravo che non avrebbe fatto domande di questo tipo. Quando ricevetti la sua lettera, in cui diceva che le avrebbe fatto piacere visitarmi, mi informai sul suo conto, perché sinceramente il suo nome non mi diceva niente”. Mi somministrò uno dei suoi sorrisi affascinanti.

“le dirò anche quello che ho scoperto. Che lei è uno scrittore inglese di grido di libri gialli, e anche una specie di storico del crimine. Che ha un mucchio di pregiudizi, che spesso fa insinuazioni offensive. Ho qui qualcosa di cui vorrei una spiegazione”. Estrasse di tasca un pezzo di carta e lesse: “ ‘Sembrava che ci fosse qualcosa di sessualmente ambiguo nella casa di Nero Wolfe e Archie Goodwin’. Questo l’ha scritto lei”. Feci cenno di sì con il capo. “Che diavolo vuole dire? Che Wolfe e io eravamo dall’altra parte, che io ero il suo amichetto, è questo che vuole dire?”

   Inghiottii la saliva. “Vuole dire quello che c’è scritto. Praticamente tutti alla sua età, ela maggior parte della gente all’età di Wolfe, hanno una vita sessuale. Secondo lei, Wolfe non l’aveva; o se l’aveva, lei non ne ha mai parlato. La sua vita sessuale, poi, se c’èstata, non si è mai svolta nella vecchia browntone. La vostra era una coppia sessualmente ambigua; mi sono chiesto che cosa faceste con il sesso. Tutto lì”.

   Per qualche istante temetti la sua reazione. Poi mi ammannì il suo solito sorriso.

   “Se Wolfe fosse qui, e per lei sarebbe il signor Wolfe, direbbe che lei è impertinente, e avrebbe tutte le ragioni. Il nostro rapporto era di padre e figlio, posto che lei riesca a capire qualcosa di così semplice. Aveva ventiquattro anni più di me, avrebbe potuto essere mio padre, anche se in realtà il mio vecchio si chiamava Titus e faceva l’agricoltore nell’Ohio. Wolfe si prendeva cura di me come un padre, e tutto quello che sono lo debbo a lui. Aveva l’arte di farmi impazzire, ma non mi sono mai stancato di dire che il cuore mi batteva più forte quando diceva: ‘Soddisfacente, Archie’. Quello che succedeva fra me e Lily, o qualsiasi altra ragazza, sono fatti nostri e lo sa solo il letto a baldacchino. Per quanto riguarda Wolfe, può aggiungere nei suoi appunti la parola celibato. Anche se mi dirà che questo non risponde alla sua domanda, è tutto quello che mi tirerà fuori”.

   “Le seccherebbe se inserissi questa parte di conversazione nel libro?”.

   A questa uscita scoppiò in una risata. “Che sia dannato se non ha una bella faccia tosta. Va bene. Argomento chiuso”.

   “ancora una domanda. Sposò Lily Rowan?”.

   Scosse la testa in segno di diniego. “Né lei né altre. Molto tempo fa dissi che avevo conosciuto dozzine di ragazze che non mi strenne spiaciuto sposare; tutte le volte che ne incontro una nuova sono interessato e aperto a qualsiasi possibilità. Ma non mi innamoro mai, neppure oggi. Argomento definitivamente chiuso”.

   Accesi di nuovo il registratore.

JS Quanto mi ha detto dà un’idea dell’ambiente. Chi vuole sapere tutti i minimi particolari, come il numero di volte che lei fu arrestato. O quanta gente morì nel vostro ufficio (circa una dozzina secondo i miei calcoli), può leggersi i libri e i racconti. Passiamo alla personalità di Wolfe. E al suo peso. Non sembra che abbia mai fatto dell’esercizio fisico, inoltre basta dare un’occhiata ai menu di FRitz per vedere che mangiava cibi che ingrassavano, tuttavia pare che fosse sempre in buona forma fisica. E’ sicuro di non avere esagerato il suo peso?

AG Nessuna esagerazione, era quello e basta. Può sembrare strano, ma è proprio così: rimaneva in perfetta forma. Probabilmente le leggi naturali non valevano per Nero Wolfe.

JS Va bene. Passiamo alla sua vita e alla sua personalità. So che non le piace parlare di date, tuttavia: nacque nel Montenegro, località sconosciuta; andò a scuola là; conobbe Marko Vukcic sin dall’infanzia; durante la prima guerra mondiale fece parte del servizio segreto austriaco; ricominciò a fare il detective verso la fine degli Anni Venti, forse nel 1928. E’ d’accordo?

AG Certo che no. Non posso essere d’accordo, perché non c’ero e non lo so. Posso solo confermare che aveva dei parenti giovani a Belgrado, perché mi faceva battere a macchina le lettere per loro. Lei ha letto i libri e sa che cosa diceva la gente. Una teoria è che Marko non fosse un amico di Wolfe ma suo fratello gemello, che fossero nati a Trenton nel New Jersey e che fossero emigrati in Montenegro da molto piccoli. C’è anche la teoria che Wolfe fosse il figlio illegittimo di Sherlock Holmes e di Irene Adler. Secondo me, la maggior parte di queste teorie sono stravaganti se non del tutto assurde. Io, però non so, e con me nessuno.

JS Wolfe disse di essere stato in una lurida prigione di Algeri. Può confermarlo?

AG No. E non so neppure se avesse veramente una casa in Egitto. Diceva di averla; una volta minacciò addirittura di andare a vivere laggiù, ma può darsi che fosse solamente un’uscita d’effetto. Aveva l’abitudine di dire tutto e di fare ogni genere di scherzi durante le indagini. Non le sarà certo sfuggito.

JS L’ho notato. E sulla sua personalità? Diceva di se stesso: “Sono mordace e pungente in maniera congenita”, e spesso parlava del proprio genio. Nei suoi libri ci sono parecchie occasioni in cui è maleducato, villano, dispotico; in quasi tutte le storie, parlando di lui, usa una frase tipo: “presuntuoso e infinitamente borioso”. Tutto ciò dà un’immagine d’insieme piuttosto sgradevole, tuttavia la maggior parte della gente che lo conosceva bene sembrava amarlo.

AG Tranne Cramer e un vasto assortimento di poliziotti. Non so spiegarlo, non saprei da che parte cominciare.

JS Sembra una contraddizione.

AG Qualcuno che non ricordo bene ha detto: “Mi contraddico? Molto bene, allora mi contraddico”. Posso solo dire come stavano le cose. Mangiava troppo, a volte era maleducato se non addirittura brutale, era pigro. Ricordo di avere scritto che la sua idea di paradiso era non prendere lavori per mesi di fila, starsene tranquillo a leggere e moltiplicare le orchidee. Tuttavia, Fritz, credo saul panzer, e forse un’altra mezza dozzina di persone avrebbero volentieri sacrificato la propria vita per lui. Per non dire di me.

JS Credo di avere esaurito le domande. Grazie mille, signor Goodwin. Ci sono un sacco di altre cose che potrei chiedere, per esempio perché in un punto dice che c’erano solo due persone e che lo chiamavano Nero, e in un altro che erano tre, ma penso che domande di questo tipo creerebbero solo confusione. Mi piacerebbe invece parlare di una questione che non è mai resa pubblica. Nero Wolfe è morto ? Penso di sì.

AG Non potrei dirlo.

JS Allora è vivo?

AG Non so nemmeno questo. Ad ogni modo… Non conosco la verità, e sono sicuro che non la saprò mai, ma mi piace pensare che sia lassù, a caccia di libellule sul tetto della Iugoslavia.[1]


 

[1] Il passo Cakot, il tetto della Iugoslavia.

 




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