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«La banda Carità: Dopo l'8 settembre 1943 fu costituito a Firenze un ufficio di polizia denominato "Reparto di servizi speciali (Rss), nominalmente dipendente dalla 92a legione della Milizia e diventato poi tristemente famoso come "banda Carità" dal nome del suo comandante, il seniore Mario Carità. Costui, nato a Milano nel 1904, poco più che quindicenne si era già reso noto a Lodi, ancor prima della marcia su Roma, per aver partecipato alle violenze delle squadre fasciste di Luigi Freddi. Allo scoppio della seconda guerra mondiale aveva preso parte alla campagna di Grecia al comando di una compagnia di camicie nere. Componevano lo stato maggiore della banda il capitano Roberto Lawley, il tenente Piero Koch, Ferdinando Manzella, il colonnello dell'aeronautica Guido Simini, i tenenti Armando Tela ed Eugenio Varano.
Complessivamente, con tutte le sue squadre, i servizi e i collaboratori, la banda era composta da circa 200 persone, 178 delle quali furono poi imputate per vari omicidi e torture al processo celebrato dopo la Liberazione: gente d'ogni specie, per lo più delinquenti comuni già condannati per furti, rapine, scassi e altri delitti. Facevano parte della stessa due sarcerdoti: un frate, padre Ildefonso, al secolo Alfredo Epaminonda Troia, nato ad Arcinazzo, nel 1915, che era solito assistere alle torture dei patrioti suonando al pianoforte canzonette napoletane o l'"Incompiuta" di Schubert; e don Gregorio Baccolini, cappellano delle SS e propagandista del Partito fascista repubblicano».

«Il Carità, scoperto alla fine della guerra da una pattuglia americana in una casa dell'Alpe di Siusi (Alto Adige), tentò di difendersi con le armi quando due militari entrarono nel suo appartamento, ma questi non gliene diedero il tempo, facendo fuoco prima di lui e freddandolo. Il resto dei componenti la banda venne catturato dopo la Liberazione. Processati alla Corte d'Assise di Lucca nel giugno 1951, alcuni di essi furono condannati all'ergastolo, altri a pene minori, altri ancora assolti per insufficienza di prove, o con formula piena...» (Ma intervennero condoni e amnistie varie che abbreviarono enormemente i tempi della pena, n.d.r.).

La tortura: «...Si cominciava dal mettere gli arrestati in condizione di non difendersi: ammanettati, incatenati, legati alle seggiole, appesi agli uncini; poi, su queste vittime, inermi ed inerti, cominciava la gragnuola delle percosse... Si cominciava con gli schiaffi e coi pugni, poi Carità si metteva i guanti del pugilato con liste di piombo, oppure il pugno di ferro, o il famoso anello acuminato che feriva come uno scalpello. E poi venivano gli strumenti: mazze, bastoni, frustini, staffili, fruste terminate da pallottole di piombo; e poi sul corpo denudato delle vittime il pestaggio eseguito con scarponi chiodati da veri esecutori a turno, unghie divelte e piedi e mani rovesciati; spilli infissi tra l'unghia e la carne; dita scarnite a furia di percosse, o macerate dagli scarponi; vegliare in piedi ininterrottamente per sette giorni e sette notti (Anna Maria Enriques), stare una settimana senza bere, come insieme, con tutti gli altri strazi toccò al Bocci; ingurgitare acqua bollente da un imbuto introdotto a forza nella bocca (Petrini); lobi e padiglioni delle orecchie attanagliati con pinze; labbra tagliuzzate col pugnale, stiramento dei testicoli, le piante dei piedi sistematicamente staffilate. Ognuno di quella congrega di malviventi faceva a gara per trovare sistemi più raffinati, per superare il collega in ferocia o in spirito inventivo.... Nodi insanguinati, la corda intorno alle tempie, il cerchio di ferro che stringeva la testa fino a fare svenire. La "scatolina con l'animaletto": lo scarafaggio dentro il barattolo applicato allo stomaco nudo: e le zampe uncinate e le mandibole che si scavano una strada nella carne per uscire...".

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