Fair Trade projects in Africa Luca Palagi |
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Il risveglio della terra rossa testo e foto di luca palagi
Frammenti dalla missione in Kenya febbraio - marzo 2003 Circolare Ctm ▪ aprile 2003
[Nella foto: Lavoratrici di ebuyangu con Luca Palagi, responsabile africa, unita progetti ctm altromercato]
Abbiamo percorso il Kenya in risveglio da ovest a est, in compagnia degli artigiani con cui lavoriamo da anni. Non lontano dal Lago Vittoria, sulle colline riposanti che già raccontano quelle verdi e fertili della vicina Uganda e i paesaggi intricati del Congo orientale, ci sono le donne di Ebuyangu che fabbricano cesti in fibra di banano. Ci accolgono. È un incontro molto particolare, non hanno tutta l'attenzione per gli stranieri e i visitatori: parliamo ma loro continuano ad intrecciare, hanno da fare. Mi pongono subito un problema di prezzi: per tre nuovi prodotti, sviluppati insieme ad un nostro designer, ci hanno indicato dei prezzi troppo bassi, chiedono se possiamo rivederli. Ci sediamo sul prato, è un argomento della massima importanza, per loro sono scellini che fanno la differenza, per noi... è il momento di applicare i principi del prezzo equo, passando dalla teoria alla pratica. E subito mi accorgo che le stesse donne non sanno stabilirlo. Occorre spaccare il prezzo a pezzi, capire i costi che lo compongono, dare un valore al lavoro e al materiale, ricomporre il tutto e finalmente valutare il prezzo che ne esce: se sia equo o no lo possono dire solo loro, noi non lo discutiamo. E così iniziamo: quanta fibra di banano serve per fare il prodotto? Quanto tempo ci hanno messo? Quanto aggiungere per l'imballaggio? Poi dobbiamo trovare le cifre da affiancare ad ogni voce: la materia prima costa 20 scellini, il lavoro di una giornata di un impiegato ne costa 150 ed è già una buona paga, riportando alle ore usate dalle donne (che oltre ad intrecciare curano la casa, i figli, la shamba, nel fittissimo calendario di impegni di una donna africana) stabiliscono che 120 scellini sono un salario equo per il lavoro. Sommiamo tutto, il nuovo prezzo è 170 scellini (2,1 curo) invece dei 100 (1,2 euro) che ci avevano proposto prima. Come mai il loro primo prezzo era così basso? Le donne di Ebuyangu sono un gruppo di base, vivono in un'area rurale, la scolarizzazione è bassa e poche sanno scrivere. Pochissime sanno fare i conti, e ancora meno sanno analizzare i costi di un prodotto, scomporre i costi della produzione, calcolare un prezzo corretto. È un problema molto diffuso tra i gruppi di artigiani più marginali, che infatti si fanno ingannare dagli intermediari e da commercianti esperti. Per questo l'anno prossimo faremo un corso con le donne di Ebuyangu sull'analisi dei costi e sulla costruzione del prezzo.
Scendiamo da queste colline e risaliamo sulla costa orientale del lago, dove una terra fertilissima circonda le cave di pietra saponaria di Tabaka. Potremmo dire che qui la natura ha nascosto appena sotto terra un tesoro, e molto tempo fa l'uomo ha iniziato a scavarlo. Il tesoro è la pietra saponaria, questa è una delle poche zone del mondo dove la si trova. I filoni sono appena sotto terra, le condizioni di estrazione nelle miniere sono rimaste le stesse dal primo giorno: miniere a cielo aperto, poco profonde, senza nessuna sicurezza per gli operai né puntelli per la roccia. Il padrone di una delle cave non ha fatto nulla in nove anni: lui paga solo i minatori, e vende i blocchi di pietra agli intagliatori che lavorano in alto sulla collina di Tabaka, del resto rispetta le leggi locali. Anche qui, come in tante attività artigianali, esiste una filiera produttiva iperspecializzata, che porta la materia prima dalla cava fino al prodotto finito e distribuisce il reddito in modo capillare e - in genere - senza grandi sperequazioni: c'è il minatore, c'è il padrone della cava, chi trasporta i blocchi dalla cava, chi taglia i grandi blocchi in fette e blocchetti, l'intagliatore che trasforma fette e blocchetti negli oggetti che conosciamo. L'intagliatore poi venderà ai piccoli negozianti di Tabaka, che a loro volta venderanno ai grossisti che porteranno i prodotti in tutto il Kenya, oppure direttamente ai grossisti, o finalmente a Undugu. Che li venderà, aggiungendo un margine per coprire i costi di trasporto e del servizio di marketing, ai suoi clienti, tra cui il consorzio Ctm. Questa è la filiera, e gli intagliatori stavolta sono ben consapevoli del valore del loro lavoro, i prezzi sono equi. Infatti qui a Tabaka stiamo sostenendo questi gruppi di intagliatori fornendo strutture per lavorare e per immagazzinare i prodotti durante la lavorazione. Passiamo tutta la giornata a vedere le strutture, che non vanno bene così come sono. Occorre fare delle modifiche, ma quali? Iniziamo a raccogliere le indicazioni, sono dieci persone coinvolte e ognuna presenta i problemi ma non le soluzioni. Occorre mediare, facilitare l’esposizione dei punti di vista ma alla fine sintetizzare e trovare una soluzione che metta tutti d'accordo. Dobbiamo arrivare a questa soluzione, completamente da costruire, entro questa sera. ma rispettando i tempi della discussione, e del cammino, e dell'incontro. Vediamo la prima struttura con due artigiani, alla terza siamo già in 10, alla quinta il gruppo occupa tutta la strada, alla sesta la soluzione è chiara e decidiamo di convocare una riunione per il tardo pomeriggio. Il sole è tagliente (appunto, jua kali) ed è tempo di fermarsi davanti a uno splendido rnatoke e al chapati cotto alla perfezione. Finalmente la riunione, partecipano tre persone per ciascuno dei quattro gruppi di intagliatori con cui lavoriamo. Dopo una sola ora l'accordo è fatto, per adeguare le strutture decidono di pagare di tasca propria il 10% delle spese, tutti sono coinvolti ed entusiasti della soluzione, ci fermiamo a lavorare sui preventivi.
Questi artigiani sono ottimi imprenditori e hanno idee e la forza di realizzarle, non chiedono aiuti ma capiscono che possono essere sostenuti per migliorare la produzione e per mantenere il mercato, a cui vendono sia attraverso gli intermediari locali che attraverso Undugu e il fair trade.
Sono piccoli progetti, questi con gli artigiani del Kenya. Parliamo di poche migliaia di euro di budget. Parliamo di qualche decina di artigiani coinvolti. Ma, considerando le famiglie, sono migliaia di persone, quasi tutte in zone rurali dove la vista di 3.000 scellini (37 curo) scatena vera gioia, per niente nascosta. Anche le cose che facciamo sono piccole: magazzini per rendere i gruppi indipendenti dagli intermediari coyotes, formazione per aumentare il famoso empowerment, sviluppo di nuovi disegni per tenere il mercato dei prodotti artigianali.
È difficile spiegare queste cose al tassista, raccontare il senso di questa “cooperazione” con i piccoli produttori. Ma evidentemente è facile da capire, e salutandoci dice ridendo che anche questo aiuta il risveglio della sua terra rossa. |
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testo e foto di luca palagi
Frammenti dalla missione in Camerun di maggio 2003
La strada per le colline di Bamenda e' interrotta solo dai posti di blocco di una delle polizie più corrotte del mondo (secondo la classifica di Transparency International) e si lancia dalla costa malarica verso le colline a ovest, sul confine con la Nigeria; attraversiamo una foresta enorme, meravigliosa e lucente, dove un universo di piante si affolla ai bordi della strada, pronto a riprendersi lo spazio rubato. Gli ampi squarci che offendono la foresta pluviale sono le piantagioni delle solite banane e poi di palme da vino e da olio, e naturalmente le terre bruciate dai contadini per sfamare se stessi e le città. Terra ricca di acqua, nera di vulcano e rossa di argilla. Bamenda occupa una vasta piana in una terra di colline. Intorno villaggi sparsi nella zona anglofona del Camerun bilingue, ricordo della colonizzazione multipla di questo paese cerniera tra Africa Centrale e Occidentale: i portoghesi impressionati dai camarões di fiume hanno dato il nome al paese, i tedeschi appassionati di botanica hanno avviato la coltivazione delle colture coloniali che ancora oggi sono la spina dorsale dell’economia nazionale, gli inglesi poco interessati a questa piccola colonia offuscata dalla vicina Nigeria hanno lasciato il governo indiretto alle strutture di dominio tradizionali basate sui monarchi assoluti di villaggio, infine i francesi convinti della bontà della (loro) unica vera cultura hanno imposto la lingua a tutto il paese, con l'eccezione delle province occidentali da sempre ribelli al predominio francofono. Pochi anni prima dell’indipendenza (1960) un pastore protestante svizzero è venuto a Bamenda per continuare il lavoro missionario iniziato un secolo prima da altri come lui. Scopri l'enorme ricchezza culturale nascosta dagli intagliatori di legno negli oggetti di uso tradizionale, i significati e i simboli che collegano il potere terreno dei re a quello magico dell'ultraterra e degli antenati. Fondò Prescraft per conservare le capacità artigianali che si perdevano nella modernità e per creare lavoro nelle aree rurali intorno a Bamenda. Oggi il missionario fondatore, Hans Knoepfli, è tornato in Svizzera e la gestione di Prescraft è completamente in mano a camerunensi, sotto il controllo della Chiesa presbiteriana del Camerun, distaccatasi anni fa dall’omologa svizzera e senza alcun legame con quella inglese. I prodotti di artigianato nascono in 3 centri di produzione sparsi nei villaggi di Bali, Bafut e Bamessing oltre che da diversi "home producers" di Bamenda. Raphael ci accompagna alla vena di argilla nascosta nel bosco di Bamessing, da dove vengono le ceramiche smaltate in azzurro, grigio e verde. L'argilla scavata a mano viene portata al centro di produzione, dove il lavoro di setacciatura e filtraggio viene fatto da uomini ciechi - la cecità n questa zona colpisce frequente e improvvisa. Un magazzino sotterraneo conserva freschi e umidi i panetti da 10 kg di argilla pronta all'uso; Martin Bekiebang, coordinatore del centro, dice che i 30 artigiani lavorano a pieno ritmo grazie agli ordini delle organizzazioni di commercio equo europee e nordamericane. Le mani di Raphael hanno la capacità magica di dare forma all'argilla inerte: dal tornio a pedale - anzi a pedata - la materia prende vita animale, schizza in alto quasi a ribellarsi e serve una mano decisa per ridurla addomesticata all'altezza voluta, fino ad aprirla stupita nel mezzo in forma pulita e perfetta - la ciotola è pronta, un filo ne recide la base, il forno le dona struttura. Immersi a mano nello smalto, i pezzi finiti passano una seconda cottura a temperatura più alta - ci sono 6 forni che superano i mille gradi per 24 ore - prima di iniziare il lungo viaggio fino da noi. Ueli Knecht, l'artigiano-designer che ogni anno lavora alcuni mesi nel centro di Bali per creare nuovi prodotti in legno e fibre vegetali, conferma che i prodotti usati per smaltare le ceramiche sono comprati in Svizzera e che sono già stati testati in laboratorio per verificare che rispettino la normativa relativa ai prodotti per alimenti. L'organizzazione svizzera con cui collabora da 7 anni sostiene un progetto di sviluppo di nuovi prodotti a favore di Prescraft, con artigiani e designer svizzeri che lavorano per mesi insieme agli artigiani di Prescraft per rinnovare in continuazione la gamma dei prodotti offerti. Su un'altra collina, in un laboratorio a bordo strada, Mama Oumarou allinea per terra le materie prime all'origine degli oggetti in ottone che raffigurano con ironia donne partorienti, dentisti feroci e uomini al lavoro in vari ambienti: un blocco di profumatissima cera d'api, argilla, vecchi rubinetti o radiatori o altri oggetti di recupero in ottone, argilla filtrata, carbone di legna, prosaico sterco di cavallo. Ogni singolo oggetto deve essere prima modellato con la cera, poi ricoperto con l'argilla mescolata allo sterco fino a formare un blocco informe dotato di canali di sfiato e di un imbuto dove viene messo il metallo di recupero. Il calore del forno fa il resto: scioglie la cera che cola fuori dal blocco e fonde il metallo che cola nel vuoto lasciato dalla cera, formando la stessa sagoma. E' la tecnica antichissima della "cera persa", usata da millenni da culture e in territori diversi, che qui si sposa con l'arte del recupero e con la creatività di questi artigiani, anche grazie alla formazione fatta da Prescraft in oltre vent'anni. Tutti i materiali sono locali: la cera è venduta a un prezzo variabile tra i 3 e i 7 Euro al kg da una locale cooperativa di apicoltori, il metallo viene recuperato a Douala e comprato a 1,5 Euro al kg, l'argilla costa meno di 1 Euro al sacco, il carbone oltre 7 Euro al kg e lo sterco di cavallo, per niente a buon mercato, si paga 4,5 Euro al sacco. Nella sua casa fuori città Emmanuel Che, 40 anni, e' considerato l'artigiano più preciso nel dare forme e dettagli alla cera. Nel 1980 ha imparato il mestiere nel laboratorio di Prescraft, con il tempo il laboratorio centrale si è dimostrato non efficiente e gli artigiani hanno avviato la produzione in piccoli laboratori privati, facendo sempre capo a Prescraft per la commercializzazione verso l’estero, oltre a produrre bellissime statue in ottone di tipo tradizionale per il mercato locale. Emmanuel ci mostra il forno che si e' costruito: ha due mantici invece di uno e ci spiega che così può battere il tempo e cantare, come su un tamburo. Chiaro, invece di annoiarsi a soffiare sul fuoco si diverte lui con i bambini. Nella sede di Prescraft lavoriamo alcuni giorni con lo staff che si occupa di smistare gli ordini agli artigiani, di raccogliere i prodotti nel magazzino di Bamenda, di impacchettarli e di spedirli ai clienti: e' la struttura marketing, come spesso succede con le organizzazioni da cui importiamo artigianato, che rende possibile l'accesso al mercato estero ai prodotti degli artigiani delle colline. O che, in caso di inefficienze, provoca dei ritardi nella produzione, disguidi nella spedizione o altri problemi. Proprio per risolvere questi problemi pratici, dovuti principalmente al mancato uso del computer da parte dello staff, l'Unita' Progetti ha avviato un piccolo progetto di cooperazione con Prescraft: alla donazione di un computer Prescraft ha affiancato il proprio contributo facendo fare un corso di formazione a 4 dipendenti sull'uso del computer, che e' stato poi perfezionato durante la missione.
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Circolare Ctm – aprile 2001 Le Vie dei canti – racconti di viaggi a sud
di Luca Palagi*
« ... Dall'alto, immaginate il sole che scende rapido e illumina radente una nuvola di polvere che nasconde una carovana di mezzi, aggrappata ad una pista di terra rossa e polverosa, immersa nel verde brillante delle foglie di banano e della foresta equatoriale di montagna.
Accanto alla pista, a tratti, delle radure accolgono abitazioni in argilla e piccole folle che al passaggio dei mezzi si allineano come spettatori, mentre gruppi di donne e ragazze con i bambini più piccoli legati dietro alla schiena si fermano di ritorno dai campi, con gli attrezzi in mano.
C'è fermento e attesa ai bordi della pista: bambini di tutte le età si affollano correndo e urlano dietro alla carovana, donne ed uomini seduti seguono i mezzi con gli occhi e alzano le due mani aperte in segno di saluto: jambo!
Dentro i matatus, minibus da 12 posti in su lanciati a sfidare una pista apparentemente impossibile, ci sono 300 bianchi, una quantità mai vista da queste parti.
Tra di loro nessuno si aspetta quello che sta per succedere: dove la pista si allarga ed entra in città, un'enorme folla li attende, circonda e blocca i mezzi, una banda musicale in divisa verde-oro punta decine di ammaccatissimi strumenti a fiato direttamente dentro i matatu e sgrana una marcetta assolutamente pazza contro gli sguardi allibiti dei viaggiatori, mentre gruppi di donne in abito tradizionale e un popolo in festa danno il loro benvenuto - karibu!»
All'ingresso in Butembo migliaia di persone ci hanno regalato un'accoglienza indescrivibile per intensità, quasi con la speranza di vederci portare la pace o almeno la fine della guerra.
Non è stato così, ma a voler tracciare un bilancio i risultati dell'azione di pace sono stati assolutamente straordinari: il signorotto della guerra che controlla la zona si è fermato ed è venuto ad ascoltare vescovi e cittadini coraggiosi, che gli hanno detto chiaro in faccia la volontà di pace, un no chiaro ai suoi arruolamenti di bambini e ragazzine ed alla "pace dei cimiteri"; il coprifuoco è stato sospeso, almeno per i giorni in cui siamo stati ospitati in città; increduli, abbiamo sentito lo stesso signore della guerra chiedere "perdono" di fronte alla popolazione per gli ammazzamenti, le ruberie e gli stupri fatti anche dalle sue truppe negli ultimi anni - là dove non si era mai visto un "capo" chiedere perdono pubblicamente, ovvero umiliarsi.
A cosa è servito andare a Butembo?
Prima di tutto a rispondere ad un invito, rivolto a noi cittadini europei dai cittadini congolesi attraverso le associazioni e le chiese locali.
Poi a dare un sostegno forte e pubblico a chi sostiene la via nonviolenta e per questo rischia la vita, a causa del contrasto con le autorità militari locali.
E ancora, come sempre, viaggiare è servito al viaggiatore, che ha conosciuto un'accoglienza straordinaria e ha incontrato una società civile attiva e intraprendente nella povertà di mezzi e ricca di azioni di solidarietà interna. E ha imparato il coraggio da chi lo pratica ogni giorno, su quella terra rossa.
*Luca Palagi lavora in Ctm, divisione progetti, e si occupa in particolare dei rapporti con l'Africa. Ha svolto questo viaggio come esperienza personale e ce ne ha regalato un prezioso resoconto. |
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