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L’Arciduca Francesco Ferdinando e i romeni greco-cattolici nel contesto della creazione della diocesi di Hajdudorogh (1912)

 

 

Ion  Cârja,

Università degli Studi “Babeş-Bolyai” di Cluj-Napoca/

Accademia di Romania in Roma

 

La fondazione della diocesi greco-cattolica ungherese di Hajdudorogh ha coinvolto in una maniera diversa e per interessi divergenti, o perfino totalmente opposti, la Santa Sede, la Corte imperiale di Vienna, il governo ungherese, la Chiesa Greco-Cattolica Rutena e, non per ultima, la Chiesa Greco-Cattolica Romena. Numerose personalità dell’epoca sono intervenute apertamente, pronunciandosi a favore oppure contro la creazione di una nuova diocesi cattolica di rito orientale nell’Austria-Ungheria. Una voce autorevole è stata quella dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede del trono della “Duplice Monarchia”. La visione delle cose di colui che avrebbe trovato una tragica fine a Sarajevo due anni più tardi è stata singolare nella sua fermezza ma anche molto costante durante tutto il periodo del “caso Hajdudorogh”, sin dal periodo antecedente la promulgazione della bolla Christifideles graeci e fino alla nomina a vescovo di István Miklósy[1], primo titolare della nuova diocesi. D’altronde, l’attenzione dell’Arciduca non scemò nemmeno dopo che si presentò il problema di un’eventuale revisione della bolla Christifideles graeci in conformità con le rivendicazioni romene. La posizione dell’Arciduca, dichiarata in una maniera molto esplicita e schietta in favore dei romeni, è una realtà abbastanza poco conosciuta nella storiografia ecclesiastica romena, realtà però molto interessante sia per una migliore conoscenza della situazione della Chiesa Greco-Cattolica Romena nei suoi rapporti con la nuova diocesi, ma anche in quanto riguarda i rapporti fra Chiesa e Stato nell’Austria-Ungheria alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. La corrispondenza dell’Arciduca Francesco Ferdinando con la Nunziatura di Vienna e con la Santa Sede contiene delle informazioni molto interessanti riguardo a questi anni tumultuosi e ricchi in eventi, 1912-1913[2].

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La lettera indirizzata al Sommo Pontefice Pio X il 12 maggio 1913 è un primo documento[3] che prova il coinvolgimento dell’Arciduca Francesco Ferdinando nello sviluppo degli eventi che hanno raggiunto l’apice con la creazione della nuova diocesi cattolica di rito orientale in Ungheria. Con questa lettera l’Arciduca presentava al Pontefice una parte dalla corrispondenza avuta con il nunzio Scapinelli[4] sul tema della diocesi ungherese – si allegano due lettere per farle conoscere al Pontefice. La prima è indirizzata dal nunzio Scapinelli all’Arciduca (19 aprile)[5], mentre la seconda è la risposta di Francesco Ferdinando[6]. Un altro documento estremamente significativo è la lettera indirizzata allo stesso Pontefice il 20 agosto 1913[7], contenente le principali obiezioni e preoccupazioni dell’Arciduca circa la neoeretta diocesi di Hajdudorogh.

L’Arciduca prese costantemente posizione contro la creazione di questa diocesi tramite interventi presso i diversi fori coinvolti nell’applicazione della bolla, realtà confermata all’epoca anche dalla corrispondenza della Nunziatura di Vienna con la Santa Sede. Insistente e scomoda, magari soltanto tenace e persuasiva, l’opinione dell’Arciduca è menzionata anche in altri documenti della corrispondenza intorno a questo caso: le lettere del nunzio Scapinelli indirizzate al Segretario di Stato, cardinale Merry del Val[8], il 23 settembre 1912[9], l’8 marzo 1913[10] e l’8 maggio 1913[11], le lettere dello stesso cardinale in risposta a Scapinelli, del 15 marzo 1913[12] e dell’11 aprile 1913[13], senza dimenticare una lettera mandata da Demetrio Radu[14], vescovo romeno di Oradea Mare, alla Sezione per gli Affari del Rito Orientale della Congregazione “De Propaganda Fide”, datata 23 novembre 1913[15].

Queste testimonianze documentarie non esauriscono la protesta dell’Arciduca e non rappresentano nemmeno un inventario esauriente delle fonti che evocano

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indirettamente anche il suo punto di vista sulla diocesi di Hajdudorogh[16]. I documenti citati, però, contengono sufficienti informazioni per permetterci di sottolineare l’argomentazione fondamentale di Francesco Ferdinando su questo tema, argomentazione che raccoglie considerazioni ecclesiastiche e politiche nello stesso tempo. Il dialogo sul caso Hajdudorogh contenuto in questi materiali ci presenta due gruppi divergenti di argomenti: da una parte l’arringa dell’Arciduca contro la creazione della diocesi o, dopo la promulgazione della bolla, per la sua revisione, dall’altra parte la posizione della Santa Sede espressa sia dalla Segreteria di Stato, sia dalla Nunziatura di Vienna, posizione mirante a concretizzare un atto di politica ecclesiastica che aveva lo scopo di instaurare l’ordine e la pace religiosa in Ungheria.

La polemica del principe erede al trono della monarchia danubiana con la Nunziatura e anche con la Santa Sede sul tema della nuova diocesi s’iscrive nel dibattito generale ingaggiato dalle parti interessate: infatti l’argomentazione portata avanti dall’Arciduca conteneva una serie di elementi che lo mettevano in relazione di incontestabile solidarietà con la Chiesa Romena Greco-Cattolica. L’idea che la diocesi di Hajdudorogh costituisse un pericolo di destabilizzazione per la Chiesa cattolica e per la dinastia rappresenta l’argomento centrale della corrispondenza svolta da Ferdinando su questo tema. Lo affermava esplicitamente nei materiali firmati lui stesso, ne facevano menzione poi quelli che presero atto del suo atteggiamento, il nunzio Scapinelli e il Segretario di Stato, il cardinale Merry del Val. Esprimendo il dispiacere perché le sue richieste “più fondate” non avevano avuto nessuna eco, l’Arciduca ammoniva il nunzio sui “gravi pericoli per la Chiesa, che sarebbero sorti dalla prevista fondazione della diocesi di Hajdudorogh in un gran popolo fervente cattolico e fedele alla dinastia”[17]. Riprendendo sulle “conseguenze negative” per la Chiesa e per la dinastia, che potevano scaturire dalla fondazione della nuova diocesi, Ferdinando insisteva, nella stessa lettera, sulla sua posizione dichiarando che egli non faceva altro che servire gli interessi della Chiesa e della dinastia: “ripetendo la mia protesta di prima, con ogni risolutezza contro la fondazione del nuovo vescovato, sono persuaso di servir così non meno la Chiesa che la monarchia, delle quali, ambedue, la salute e l’incremento mi devono essere poste in cuore in un modo specialissimo”[18].

Nella lettera indirizzata l’8 maggio 1913 al cardinale Merry del Val, il nunzio Scapinelli fa riferimento ad un scambio di lettere con l’Arciduca ereditario sul problema della nuova diocesi ungherese di rito orientale. Il nunzio afferma che aveva provato a spiegare i gravi motivi in base ai quali la Santa Sede dovette nominare il primo vescovo di Hajdudorogh e che ebbe come risposta da parte dell’Arciduca una lunga lettera nella quale esso esprimeva il suo dispiacere per il fatto che non erano state prese in

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considerazione le sue osservazioni, mantenendosi sulla ben conosciuta posizione dei fori pontifici: “dichiara di ritenere questa istituzione come sommamente pericolosa per gli interessi della Chiesa e della monarchia e protesta, come figlio devoto della Chiesa, contro i gravi danni che, secondo lui, ne verranno”[19].

Nella lettera indirizzata a Pio X, il 20 agosto 1913, Francesco Ferdinando elenca i principali argomenti al sostegno dell’idea dell’inopportunità e dei rischi comportati dalla promulgazione della bolla Christifideles graeci dell’8 giugno 1912. La lettera è, nella sua essenza, una difesa della revisione della bolla pontificia in conformità con le richieste indirizzate dai romeni. Ferdinando considera la revisione parziale del documento pontificio come la soluzione unica per risolvere questo “affare difficile”: “mi permetto di porgere alla Vostra Santità i miei devotissimi ringraziamenti per la considerazione delle mie continuate relative preghiere e d’aggiungere a queste il mio desiderio, che la determinata revisione della suddetta bolla non venga ritardata, ma bensì quanto prima effettuata”[20]. L’Arciduca sostiene il suo punto di vista in base ad alcuni argomenti veramente interessanti per il problema che stiamo trattando. Il primo di questi riguarda le relazioni interconfessionali e non soltanto; i sentimenti filo-russi osservabili nel Regno di Romania di quel periodo si verificano anche nelle fila dei romeni dall’Austro-Ungheria, i quali potevano essere propensi a ritornare all’ortodossia: “Il rivolgimento subentrato momentaneamente nel contegno del Regno di Romania in favore della Russia fa temere che le simpatie per la Russia si estenderanno anche fra i Romeni dell’Ungheria, in qual caso l’estensione dell’ortodossia fra questi troverebbe un maggior appoggio”[21]. Il secondo argomento mette in risalto una percezione molto realista da parte dell’Arciduca circa il valore simbolico che ha l’identità nazionale nel rapporto con l’appartenenza confessionale; Francesco Ferdinando afferma che il rinvio della revisione della bolla allontanerà i romeni dalla fede cattolica, questi volendo piuttosto la preservazione della propria nazionalità: “ogni giorno di prolungazione allontana dalla Santa Religione migliaia di fedeli, quali non vogliono sacrificare la loro convinzione nazionale a nessun costo”[22]. Riprendendo il discorso sugli interessi della Chiesa cattolica l’Arciduca ricordava al Pontefice che i rischi dell’allontanamento dei romeni dal cattolicesimo diventavano sempre più grandi a causa dei piani del governo magiaro di fondare una diocesi ortodossa “di nazionalità magiara”: “Del danno, che soffrirebbero gl’interessi della Santa Chiesa nel caso in cui l’ortodossia riuscirebbe a penetrare nell’Ungheria orientale, sono convinto che la Vostra Santità è in piena cognizione, poiché anche l’intenzione del governo ungherese di creare un Vescovato ortodosso di nazionalità ungherese per scongiurare questo pericolo, potrebbe divenire non meno pericoloso per la Chiesa cattolica”[23]. Tutti questi “fattori aggravanti” sostengono la necessità dell’accelerazione della revisione della bolla Christifideles e la

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trasformazione della diocesi di Hajdudorogh in conformità con i desideri espressi dai romeni.

Agli interventi fatti presso il Sommo Pontefice e presso la Nunziatura si aggiungono quelli intrapresi presso altri vertici, dai quali si poteva sperare un cambiamento della situazione nel senso voluto dall’Arciduca. Così, un altro documento che contrassegna l’implicazione di Francesco Ferdinando nella vicenda, la lettera indirizzata dal nunzio Scapinelli al cardinale Merry del Val il 23 settembre 1912 ci rivela che l’Arciduca si era rivolto al primo ministro magiaro chiedendogli la riorganizzazione della diocesi di Hajdudorogh in conformità con le richieste della parte romena: “Pare che il Principe abbia scritto in proposito al Presidente del Consiglio Ungherese, ma che ne abbia avuto risposta poco soddisfacente, affermando il Governo essere impossibile tornare sopra ad una decisione già sanzionata dalla S. Sede e dal Re”[24].

Anche l’ambasciatore dell’Austria-Ungheria presso la Santa Sede era stato destinatario delle richieste dell’Arciduca. Ferdinando scrisse al rappresentante diplomatico imperiale presso la Santa Sede, prima della convocazione del Congresso mondiale eucaristico di Vienna (12-15 settembre 1912), chiedendo di procurargli, con questa occasione, un incontro con il cardinale Segretario di Stato Merry del Val, “per potergli parlare delle tristi condizioni ecclesiastiche che regnavano in Ungheria”[25]. I giorni del Congresso eucaristico, d’altronde, furono utilizzati dal vescovato romeno unito e dalle comunità come una occasione favorevole per nuove azioni di protesta. Nella lettera già citata, del 23 settembre 1912, il nunzio Scapinelli scriveva al cardinale Merry del Val che i vescovi romeni avevano chiesto l’aiuto dell’Arciduca Ferdinando durante il Congresso: “I Vescovi romeni, in questi stessi giorni del Congresso, insistettero nuovamente presso S. A. I. R. l’Arciduca ereditario, pregandolo ad interporsi ancora a loro favore”[26]. Gli sforzi dei vescovi furono rafforzati, in questo contesto, dalle azioni dei parroci e delle comunità romene: “Intanto precisamente Domenica scorsa, giorno della solenne processione Eucaristica, cominciarono ad arrivare alla Nunziatura molti telegrammi di parrochi romeni, che coi loro fedeli protestavano vivamente e con termini poco rispettosi ed anche insolenti verso la S. Sede e la Nunziatura, contro l’erezione della nuova diocesi, dichiarando di non voler assolutamente distaccarsi delle loro diocesi attuali”[27]. I telegrammi di protesta indirizzati alla Nunziatura (un vero “scandalo”, nell’opinione del nunzio) cessarono soltanto dopo l’intervento del metropolita Victor Mihalyi[28] e del vescovo Radu, presenti anche loro a Vienna nel periodo 12-15 settembre 1912[29]. Francesco Ferdinando, però, continuò a scrivere

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all’ambasciatore dell’Austria-Ungheria presso la Santa Sede “chiedendogli di fare tutto il possibile per evitare la creazione di questo «vescovato sciovinista»”[30].

La corrispondenza tra la Nunziatura e la Segreteria di Stato della Santa Sede menziona anche un argomento sollevato dall’Arciduca nel dibattito sul “dossier di Hajdudorogh”, un punto di vista che si riferisce alla nomina del primo vescovo di questa diocesi. La diocesi di Hajdudorogh, dalla sua creazione tramite la bolla Christifideles graeci (8 giugno 1912), fino alla nomina di István Miklósy come vescovo (nominato dall’imperatore il 21 aprile e dal Pontefice nel Concistoro del 23 giugno 1913[31]) fu governata da Anton Papp, vescovo della diocesi rutena di Mukačevo, in qualità di amministratore apostolico. Durante questa provvisorietà continuarono le azioni di protesta del vescovato, del clero e delle comunità della Chiesa Romena Unita. D’altra parte, per quello che riguardava la Nunziatura e la Santa Sede, l’organizzazione incompleta della nuova diocesi significava instabilità e insicurezza, una situazione che doveva rimediarsi tramite la nomina del primo vescovo titolare. Anzi, l’Arciduca si pronunciò per la perpetuazione di tale situazione, affermando che questo era preferibile al posto di un vescovo che avrebbe strumentalizzato politicamente la sua carica e avrebbe condotto una politica di magiarizzazione nei confronti dei suoi fedeli di nazionalità romena. Così, il nunzio Scapinelli, nella lettera dell’8 marzo 1913, esponeva al cardinale Merry del Val le discussioni avute con Francesco Ferdinando il 15 febbraio intorno al tema della nomina del vescovo diocesano a Hajdudorogh, riferendo che l’Arciduca aveva affermato in questa occasione che “egli desidera si mantenga ancora la diocesi in amministrazione, non perché non riconosca che un Vescovo si debba finalmente nominare, ma perché teme che il governo ungherese proponga un magiarizzatore dei romeni”[32]. L’Arciduca era convinto che il governo ungherese trovatosi allora al potere avrebbe imposto nella nuova diocesi un prelato avente un simile atteggiamento, sperando però, in conformità con le opinioni del nunzio, che insieme alla sostituzione del ministro dei culti dell’Ungheria la situazione sarebbe mutata. Commentando la posizione di Ferdinando, il nunzio sosteneva con buona ragione che la sostituzione del ministro dei culti non avrebbe significato anche un cambiamento di direzione nella politica del governo ungherese in questo affare, in quanto il vescovo era già stato scelto nella persona di István Miklósy. Il nunzio, inoltre, per mettere maggiormente in rilievo la posizione dell’Arciduca, aggiungeva che le sue opinioni erano ben diverse da quelle del governo di Budapest, quindi qualsiasi proposta ungherese di risolvere il “dossier Hajdudorogh” avrebbe avuto difficilmente il consenso di Francesco Ferdinando[33].

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Le opinioni dell’Arciduca nei confronti della nuova diocesi magiara greco-cattolica ebbero eco e vennero ritenute assi importanti presso la Nunziatura e la Santa Sede, sebbene Ferdinando non fosse un personaggio con potere politico effettivo. Lo testimonia in primo luogo il fatto che, senza raggiungere la finalità desiderata, i suoi interventi ebbero parte di repliche e contro-argomenti da parte dei fori già ricordati. Aggiungendosi all’azione di protesta del vescovato e delle comunità romene, la corrispondenza di Francesco Ferdinando col Pontefice, con il cardinale Merry del Val, con il nunzio Scapinelli o con il governo ungherese costituisce un insieme di documenti che permettono la ricostruzione dell’intero dibattito, in ciò che riguarda le idee e gli argomenti contrastanti sollevati dalla fondazione di questa diocesi.

Nelle risposte date agli interventi dell’Arciduca, tanto quanto possono essere rilevate nel limite del materiale documentario disponibile, il nunzio di Vienna e il cardinale Segretario di Stato sollevano un’idea leit-motiv intorno alla quale si accentra l’intera argomentazione: la fondazione della diocesi di Hajdudorogh era un fatto deciso dalle autorità ecclesiastiche, di conseguenza la nomina del vescovo era vitale per superare una situazione di crisi provvisoria che rischiava di degenerare.

Così, nella lettera indirizzata a Ferdinando il 19 aprile 1913, il nunzio affermava che la nomina del vescovo titolare della nuova diocesi era quanto più urgente possibile, giustificandosi con varie motivazioni. La nomina del vescovo avveniva già con grande ritardo, dopo la promulgazione della bolla Christifideles graeci e del Decreto di esecuzione di quella, emesso dalla Nunziatura (17 novembre 1912)[34]. Senza esporli necessariamente nell’ordine dell’importanza, il nunzio elencava all’Arciduca i motivi esenziali, tra i quali quelli di maggiore rilevanza erano il superamento della situazione di provvisorietà nella diocesi ed evitare il fenomeno dell’utilizzo della lingua ungherese nella liturgia, intollerabile nella prospettiva della Santa Sede: “pour empêcher que l’ordre et la discipline ecclésiastique souffrant d’une situation incertain et provisoire, et que le déplorable abus de l’usage et de la langue hongroise dans la liturgie sacrée continue et s’agrandisse, contre la volonté et les prescriptions absolues du St. Siège”[35]. Questo fatto non si può realizzare efficacemente “sans d’abord régler d’une manière définitive le régime diocésain avec la nomination d’un évêque propre, qui réside dans le diocèse”[36]. L’amministratore apostolico della nuova diocesi, Anton Papp, non riusciva affatto di tenere sotto controllo la situazione, fatto dovuto alla necessità di esercitare l’autorità vescovile in una diocesi così grande come Mukačevo[37].

Il movimento di protesta di alcune parrocchie romene destinate alla giurisdizione della diocesi di Hajdudorogh non faceva altro che sottolineare il bisogno di nominare un vescovo residente: “certaines paroisses roumaines ont exprimé le désir

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d’être détachée de l’Evêché de Hajdudorogh et d’être à nouveau incorporées dans leurs diocèses d’origine”[38]. La Santa Sede, stando alle affermazioni comprese nell’arringa del nunzio Scapinelli, doveva salvare il prestigio e la sua autorità nell’area e, di conseguenza, non poteva prendere in considerazione le richieste romene prima di esaminarle e anzitutto prima di nominare il nuovo vescovo: “le St. Siège, pour sauvegarder sa dignité et le prestige de son autorité, surtout après les inconvénients derniers, juge qu’il ne pourra prendre en examen ces désires avant que la nomination de l’évêque soit accomplie.

Le nouvel évêque étant sur place, aidé s’il est nécessaire par une commission spéciale, pourra prendre connaissance exacte des plaintes des Roumains et en référer au St. Siège, pour les dispositions du cas. Je crois que le gouvernement Royal Hongrois est dans ce même ordre d’idées”[39]. Esprimendo la sua fiducia nella “saggezza” dell’erede al trono, e nel suo spirito “di devozione agli interessi della Chiesa”, il nunzio, alla fine della sua lettera esprimeva la speranza che Francesco Ferdinando avrebbe apprezzato i motivi che imponevano alla Santa Sede la nomina immediata del vescovo di Hajdudorogh[40].

Nella lettera indirizzata al cardinale Merry del Val l’8 maggio 1913, il nunzio Scapinelli affermava che avrebbe chiesto per iscritto all’Arciduca di accettare la nuova realtà ecclesiastica come un fatto deciso dalle autorità competenti: “che la istituzione della diocesi è ormai un fatto compiuto dalle competenti autorità; che in conseguenza è necessario venire finalmente alla nomina del proprio vescovo”[41]. Nello stesso tempo le parrocchie rutene che rappresentavano, secondo il nunzio, la maggioranza nella nuova diocesi, avevano richiesto esse stesse la creazione della nuova realtà ecclesiastica e allora reclamavano la nomina del vescovo residente. Per quello che riguarda le rivendicazioni delle parrocchie dei fedeli romeni, che rappresentavano una minoranza nella nuova diocesi, Scapinelli valuta nella sua lettera che la Santa Sede le avrebbe preso in considerazione se ritenute fondate[42].

Nella lettera speditagli dalla Segreteria di Stato della Santa Sede, il 15 marzo 1913, come risposta alla corrispondenza ricevuta dalla Nunziatura di Vienna, si chiedeva al nunzio Scapinelli di spiegare all’Arciduca “i gravi motivi” che determinavano la Santa Sede di eseguire la nomina di un vescovo nella sede vescovile di Hajdudorogh. Come replica immediata ai dubbi di Francesco Ferdinando la Segreteria di Stato considerava che, al contrario, ritardare la nomina del vescovo contribuiva ad aumentare il pericolo di una possibile magiarizzazione della popolazione romena incorporata nella nuova diocesi; il fatto era dovuto anche all’impossibilità del vescovo Papp di Mukačevo di prevenire questi inconvenienti o qualsiasi altro fenomeno negativo nei confronti degli stessi fedeli[43]. Per quello che riguardava l’utilizzo abusivo dell’ungherese come lingua

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liturgica, la Santa Sede impose al nuovo vescovo di Hajdudorogh di mettere fine a questo stato di cose: “Aggiungerà pure che la Santa Sede, la quale ha sempre escluso dalla liturgia la lingua ungherese, si propone di dare precise e categoriche istruzioni al nuovo Vescovo, affinché faccia rispettare le prescrizioni già emanate in proposito e tante volte confermate e tolga qualunque abuso in contrario”[44].

In una lettera successiva inviata dalla Segreteria di Stato al nunzio, l’11 aprile dello stesso anno, epistola firmata dal cardinale Merry del Val, si comunicava al nunzio Scapinelli un incarico preciso, condizionato però dall’atteggiamento di Francesco Ferdinando: “Circa prevista Hajdu–Dorogh, se V. S. non teme qualche seria difficoltà da parte Arciduca, L’autorizzo comunicare Sig. Ministro che nomina Miklósy può seguire suo corso”[45].

Anche se alla fine la posizione dell’Arciduca nel periodo della creazione della nuova sede vescovile di Hajdudorogh si è dimostrata una vox clamantis in deserto, il suo dialogo con la Nunziatura di Vienna, con la Segreteria di Stato della Santa Sede o con i governi di Budapest ci presentano i tratti di una figura singolare, quasi fossimo davanti ad un Don Quijote moderno. Certamente gli sforzi dell’Arciduca non portarono al risultato desiderato e Hajdudorogh divenne una realtà ecclesiastica ufficiale, essendo nominato anche il primo vescovo: István Miklósy. Il vescovato greco-cattolico di Hajdudorogh contava 215.000 fedeli distribuiti in 162 parrocchie (83 provenienti dalle diocesi romene, 78 dalle rutene) e la parrocchia plurietnica di Budapest, già sotto la giurisdizione dell’Arcivescovato di Esztergom)[46]. L’azione di protesta del vescovato greco-cattolico romeno non determinò nessun cambiamento radicale della situazione. Come conseguenza delle visite a Roma del canonico Vasile Suciu (gennaio 1912) e dei vescovi Dumitru Radu e Vasile Hossu[47] (marzo 1912), il Sommo Pontefice Pio X dispose l’inizio del processo della revisione della bolla che consacrò la creazione della diocesi di Hajdudorogh[48]. Anche dopo la nomina del primo vescovo di Hajdudorogh la revisione della bolla rappresentò una rivendicazione costante dei romeni, esigenza sostenuta, come sopramenzionato, anche da Francesco Ferdinando. Un argomento di questa rivendicazione era la falsificazione da parte del governo ungherese delle statistiche della popolazione cui la bolla Christifideles aveva circoscritto il territorio della nuova diocesi, mentre le richieste romene del 1913 e 1914 proponevano il riordino di questa diocesi e la restituzione alla Provincia greco-cattolica romena di alcune parrocchie con fedeli a maggioranza di lingua romena. Una delle proposte di

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riorganizzare questa diocesi fu anche quella di Nicolae Iorga, che aveva suggerito l’utilizzo del principio della doppia giurisdizione e di costituire parrocchie nella diocesi di Hajdudorogh dove ancora una parte dei romeni parlavano solo romeno[49]. Alla fine la nuova diocesi non sarebbe riuscita ad accontentare pienamente, così come aveva preso forma, nemmeno i suoi “beneficiari”: i governi ungheresi pretendevano che, al contrario, c’era un alto numero di fedeli cattolici di rito orientale e di lingua ungherese che erano rimasti al di fuori dei confini della nuova entità ecclesiastica[50]. Le proteste romene e l’intero dibattito sull’eventuale riorganizzazione di questa diocesi furono sopraffate dai problemi sollevati agli inizi della Prima Guerra Mondiale, ciò che portò sia la Santa Sede che l’Impero Austro-Ungarico ad avere altre priorità e interessi[51].

La creazione della diocesi ungherese a Hajdudorogh nel 1912 è soltanto l’apice di un evoluzione complessa, al limite fra il politico, l’identità nazionale e il lato ecclesiastico, fatto che spiega la difficoltà di trovare una soluzione definitiva in quell’epoca; oggi probabilmente possiamo ancor di meno permetterci di dare attraverso una prospettiva storica una ricostruzione univoca e semplicistica del caso, pur prendendo in considerazione l’argomentazione certamente valida dei romeni o il discorso sulla stessa linea dell’Arciduca Ferdinando. Il processo di magiarizzazione graduale di alcune comunità di origine slava ma anche di alcune di quelle romene del Nord-Est dell’odierna Ungheria, comunità che avevano professato la loro comunione ecclesiastica con Roma nel Seicento, e che praticavano il bilinguismo o addirittura già parlavano principalmente ungherese, portò nel corso dell’Ottocento a una sorta di bisogno di istituzionalizzare questa realtà: i greco-cattolici di lingua ungherese. Nelle chiese di questa comunità l’ufficio liturgico continuava ad essere in romeno o in slavo, pur imponendosi in una maniera sempre più persistente una nuova lingua liturgica, cioè l’ungherese. Il movimento per la creazione di un’entità ecclesiastica propria per i greco-cattolici di lingua ungherese, movimento sistematico durante il dualismo austro-ungarico, registrerà un primo successo istituzionale con la creazione del vicariato di Hajdudorogh nel 1873. Nel periodo successivo si cercò di ottenere di più, e più precisamente due cose: la creazione di una diocesi e il riconoscimento ufficiale della lingua liturgica ungherese, ufficializzando una realtà già esistente. Il movimento dei greco-cattolici di lingua ungherese per la lingua liturgica e per la creazione di una nuova diocesi era qualcosa di facilmente strumentalizzabile in maniera politica dai governi di Budapest, che di conseguenza gli hanno dato tutto il sostegno necessario. Per i governanti ungheresi “il caso Hajdudorogh” ha costituito un’altra via per arrivare ad una nazione politica ungherese, un tutt’uno in cui dovevano essere incluse anche le minoranze dell’Ungheria.

Per la Chiesa Greco-Cattolica Romena, la creazione della nuova diocesi di lingua ungherese poteva significare una possibile diminuzione della propria autonomia,

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riconosciuta dalla stessa Sede Apostolica con la bolla Ecclessiam Christi del 25 novembre 1853, documento che stabiliva la creazione della Provincia metropolitana greco-cattolica romena di Alba Iulia e Făgăraş. Ancora di più il fatto di dover rinunciare a 83 parrocchie, a favore della diocesi di Hajdudorogh, poteva significare per i romeni la prospettiva quasi certa del pericolo di perdere la propria individualità, il rischio di vedersi privati dalla loro identità anche sul piano ecclesiastico. Tutto questo avveniva nella misura in cui il rapporto nazione-confessione era un elemento importante nella coscienza dei romeni di Transilvania, che dovevano il loro sviluppo in età moderna anche alla Chiesa.

La Sede Apostolica ha manifestato continuamente le sue incertezze e perplessità riguardo la creazione di una diocesi greco-cattolica ungherese, dubbi dovuti a varie ragioni. Prima di tutto accettare una nuova lingua –l’ungherese– tra le lingue liturgiche, rappresentava una vera difficoltà per il Papato, che non aveva incontrato una simile situazione dal Cinquecento in poi, cioè dai tempi della Riforma; questo fatto, contrario ai canoni della Chiesa cattolica, poteva, una volta approvato, diventare un precedente pericoloso e una prospettiva non desiderata – la rivendicazione da parte degli stessi cattolici di rito latino dell’Ungheria di utilizzare la propria lingua come lingua liturgica. Non bisogna dimenticare un altro motivo “aggravante” della vita ecclesiastica ungherese: il movimento per l’Autonomia Cattolica, non particolarmente ben visto dalla Santa Sede, che temeva che una simile formula avrebbe potuto portare ad una sorta di “Chiesa nazionale” ungherese. Non per ultimo esisteva anche il pensiero che una diocesi ungherese a Hajdudorogh poteva alimentare le tensioni nazionali nella regione e questo faceva sì che non di rado la Santa Sede bloccasse simili iniziative. Comunque dopo le insistenze ripetute della parte ungherese assisteremo finalmente alla creazione di una nuova diocesi cattolica in Ungheria, diocesi di rito orientale e, in teoria, di lingua liturgica greca (lingua liturgica ufficialmente indicata per questa diocesi dalla bolla Christifideles).

Su un piano più generale l’iniziativa di Francesco Ferdinando contro la creazione della diocesi di Hajdudorogh e più tardi per la revisione della bolla Christifideles da una parte, e la posizione della Nunziatura e dalla Santa Sede dall’altra, ci presentano due concezioni politico-ecclesiastiche distinte. Senza dimenticare l’incontestabile simpatia dell’Arciduca per la situazione dei romeni greco-cattolici, possiamo concludere che l’erede al trono capiva benissimo la forza del sentimento nazionale nell’epoca. Di conseguenza, come “figlio obbediente della Chiesa” come si considerava, Francesco Ferdinando voleva evitare un conflitto fra la coscienza nazionale e l’appartenenza al cattolicesimo dei romeni della Provincia di Alba Iulia e Făgăraş. Non bisogna sottovalutare, però, che l’Arciduca era notoriamente conosciuto per la sua visione federalista che ideava la riorganizzazione dell’Impero proteggendo le autonomie e le individualità nazionali[52]. Tutto questo, probabilmente, lo induceva ad una certa

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antipatia per le strategie politiche dei governi di Budapest, metodi che si basavano sui principi centralistici e di assimilazione della minoranze.

Il nunzio Scapinelli e il cardinale Merry del Val nel loro dialogo con l’Arciduca sostennero il desiderio della Santa Sede di normalizzare al più presto possibile la situazione religiosa dell’Ungheria Nord-Orientale. Nello stesso tempo la Santa Sede non voleva soltanto rimettere a posto un equilibro religioso e diminuire le tensioni fra romeni e ungheresi, ma intendeva anche salvaguardare il suo prestigio e la sua autorità nella regione e voleva difendere la sua immagine che, in qualche misura, poteva aver sofferto a causa del “caso Hajdudorogh”.

 

 

 

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© Şerban Marin, June 2005, Bucharest, Romania

 

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[1] Nato a Rákócz, nella regione di Zemplén, in Austro-Ungheria, il 22 agosto 1857, István Miklósy fu ordinato sacerdote il 17 aprile 1884, poi seguì una brillante carriera ecclesiastica raggiungendo la nomina a vescovo di Hajdudorogh (1912-1937).

[2] La corrispondenza dell’Arciduca Francesco Ferdinando su questo tema è stata pubblicata da Ion Dumitriu–Snagov, Le Sainte-Siège et la Roumanie moderne, 1866-1914, Roma 1989, pp. 921-923, pp. 926-927; invece la corrispondenza tra il nunzio Scapinelli ed il cardinale Segretario di Stato della Santa Sede, Merry del Val, che fa riferimenti alla partecipazione dell’Arciduca al dibattito sulle ragioni della fondazione della diocesi di Hajdudorogh, è in gran parte inedita, quindi faremo in quello che segue i riferimenti a tali fondi archivistici.

[3] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., p. 921.

[4] Raffaele Scapinelli di Leguigno (1858-1933), nunzio apostolico a Vienna (1912-1915), ebbe la porpora cardinalizia il 6 dicembre 1915.

[5] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., pp. 921-922.

[6] Ibidem, pp. 922-923. A questa lettera stilata da Francesco Ferdinando mancano il passaggio finale, il luogo e la data di stesura, nonché la firma del mittente. Il documento è pubblicato da I. Dumitriu–Snagov in conformità con l’originale esistente nell’archivio; si veda il testo originale conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano, fondo archivistico: Segreteria di Stato. Epoca Moderna (in seguito sarà citato ASV, SSEM), Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 11, ff. 91r-91v.

[7] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., pp. 926-927.

[8] Raffaele Merry del Val (1865-1930), nato a Londra il 10 ottobre 1865, diventò cardinale il 9 novembre 1903 per volontà del Sommo Pontefice Pio X, quindi fu nominato Segretario di Stato il 12 novembre 1903.

[9] ASV, SSEM, Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, ff. 19r-22v.

[10] ASV, SSEM, Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 5, ff. 29r-32r.

[11] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., pp. 918-920.

[12] ASV, SSEM, Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 5, ff. 35r-38r.

[13] Ibidem, f. 45r.

[14] Dumitru Radu, vescovo della diocesi romena greco-cattolica di Lugoj (1897-1903), quindi vescovo della diocesi greco-cattolica di Oradea Mare (1903-1920).

[15] ASV, SSEM, Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 7, ff. 154r-156v.

[16] Oltre quelle che abbiamo scelto per la nostra analisi ci sono ancora due lettere che fanno riferimento agli interventi di Francesco Ferdinando a favore dei romeni; queste lettere furono inviate dal cardinale Nagl al cardinale Merry del Val, il 9 aprile e il 1 maggio 1912; si veda in tal senso I. Dumitriu–Snagov, op. cit., pp. 861-862, pp. 875-876.

[17] Ibidem, p. 922.

[18] Ibidem, p. 923.

[19] Ibidem, p. 920.

[20] Ibidem, p. 926.

[21] Ibidem.

[22] Ibidem, p. 927.

[23] Ibidem.

[24] ASV, SSEM, Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 20r.

[25] Cfr. Gábor Adriányi, Lo Stato ungherese ed il Vaticano (1848-1918), in Mille anni di cristianesimo in Ungheria, a cura di Pál Cséfalvay e Maria Antonietta De Angelis, Budapest 2001, p. 120.

[26] ASV, SSEM, Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 20r.

[27] Ibidem, ff. 20r-f. 20v.

[28] Victor Mihályi de Apşa, vescovo della diocesi greco-cattolica romena di Lugoj (1875-1895), metropolita della Chiesa Romena Greco-Cattolica (1895-1918).

[29] ASV, SSEM, Anno 1913, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 20v.

[30] Cf. G. Adriányi, op. cit., p. 120.

[31] Cyrille Korolevskij, Liturgie en langue vivante (Orient et Occident), Parigi 1955, p. 62; si veda anche István Pirigyi, A Hajdúdorogi Egyházmegye története, in Jubileumi emlokkonyve 1912-1987: a Hajdudorogi bizanci katolikus Egyhazmegye, Nyregyhaza 1987, p. 22.

[32] ASV, SSEM, Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 5, f. 31r.

[33] Ibidem, ff. 31r-31v.

[34] Si veda il testo del Decreto della Nunziatura in Brevis notitia historica dioecesis Hajdudorogensis, in Schematismus venerabilis cleri Dioecesis graeci rit. cath. Hajdudorogensis ad Annum Domini 1918, Nyiregyháza 1918, pp. 40-42.

[35] I. Dumitriu–Snagov, op. cit., p. 921.

[36] Ibidem.

[37] Ibidem, p. 922.

[38] Ibidem.

[39] Ibidem.

[40] Ibidem.

[41] Ibidem, p. 920.

[42] Ibidem.

[43] ASV, SSEM, Anno 1914, Rubbrica 247, fascicolo 5, ff. 35v-36r.

[44] Ibidem, ff. 36r-36v.

[45] Ibidem, f. 45r.

[46] Si veda l’elenco delle parrocchie che componevano la diocesi di Hajdudorogh nel testo della bolla Christifideles, pubblicato nell’allora rivista greco-cattolica di Blaj “Cultura creştină”, II, no. 13, 1912, pp. 390-404 (testo latino con traduzione romena); si veda Schematismus venerabili cleri dioecesis greci rit. cath. cit., pp. 31-40.

[47] Vasile Hossu, vescovo della diocesi greco-cattolica romena di Lugoj (1903-1912), quindi di quella di Gherla (1912-1916).

[48] C. Korolevskij, op. cit., pp. 59-60; si veda anche Ioan Georgescu, La diocesi magiara di Hajdudorogh, Blaj 1940, pp. 19-22.

[49] C. Korolevskij, op. cit., p. 61.

[50] G. Adriányi, op. cit., p. 120, afferma che dopo la creazione del vescovato di Hajdudorogh sono rimasti nelle diocesi romene 120.000 fedeli greco-cattolici ungheresi.

[51] Sulla riorganizzazione della diocesi di Hajdudorogh alla fine della Prima Guerra Mondiale e nel periodo seguente, si vedano C. Korolevskij, op. cit., pp. 63-66; I. Georgescu, op. cit., p. 63.

[52] L’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este (1863-1914), erede al trono austro-ungarico, era favorevole alla riorganizzazione della Duplice Monarchia su principi federali, riconoscendo l’autonomia e l’individualità delle entità nazionali che la componevano; questo orientamento lo avvicinò all’élite delle nazionalità non-ungheresi dell’Ungheria, élite molto sensibile ai progetti di riforma dello Stato che avrebbe permesso una maggiore affermazione delle diverse identità nazionali. L’attentato di Sarajevo impedì all’Arciduca di mettere in atto i suoi progetti, che saranno in qualche misura riproposti troppo tardi dal futuro imperatore Carlo I; è ben nota l’amicizia tra Francesco Ferdinando e il politico romeno Aurel Popovici, teorico del federalismo dell’Impero, autore del libro Die Vereinigten Staaten Gross-Österreichs (Gli Stati Uniti della Grande Austria), Vienna 1906.