Piero Melograni
Via dalla "microstoria"
"Mondo Economico"
17 aprile 1993

Che cosa accade nel mondo degli storici? Il quotidiano francese Le Monde, in un supplemento del 18 marzo interamente dedicato all'argomento, sostiene che il mondo degli storici si trova oggi immerso in un mare di dubbi. Sono svanite le antiche certezze, ma anche i nuovi orientamenti hanno rilevato i loro limiti.

Fino a pochi anni fa sembrava essersi affermata una storia totale, strutturale, quantificata, fondata su leggi di tipo matematico. Poi era stata la volta della "microstoria", che pretendeva di ricostruire i rapporti sociali attraverso l'esame di situazioni assai particolari e circoscritte. Ora, viceversa, c'è chi torna ad affermare il primato della storia politica, considerata elemento centrale e dominante di tutte le vicende umane. Ma c'è pure chi nega a tutta la storia - indipendentemente dal fatto che sia politica, sociale o culturale - la sua dignità di scienza e afferma senza mezzi termini che un saggio storico non consente di conoscere la realtà più di un romanzo. Le ragioni per le quali il mondo degli storici vivrebbe un'epoca di smarrimento sarebbero dunque numerose.

Non c'è da meravigliarsi che questo possa accadere. L'intera società contemporanea, infatti, e non soltanto la corporazione degli storici, è entrata da tempo in una lunga fase di crisi culturale perché gli antichi modi di pensare della società delle élite si sono infranti, e quelli nuovi, adatti alla società delle masse, non si sono ancora ben formati. Inoltre, gran parte della storiografia, soprattutto in Italia, si nutriva fino a poco tempo fa di sicurezze ideologiche, che oggi sono dimenticate e derise, non costituendo più un faro per nessuno.

Invece di sobbarcarsi alla dura fatica di ricercare il nuovo, molti storici continuano ad affidarsi alle mode di un tempo, e magari le rimescolano fra loro con risultati assai spesso deludenti. Gran parte della recente produzione storiografica, almeno in Italia, è pertanto di scadente qualità e sembra avere come unico scopo quello di far vincere agli autori un concorso universitario, in base alla supposizione - magari infondata - che in taluni concorsi i titoli dei candidati siano valutabili a peso.

E il pubblico? I consumatori, ogni qualvolta entrano in libreria in cerca delle novità, rischiano di essere turlupinati. Gran parte della nuova saggistica storica non possiede un vero mercato. Molto spesso gli autori diventano tali grazie al fatto di ricevere sovvenzioni - per le spese di stampa - da istituzioni culturali. E gli editori se ne accontentano poiché devono far marciare a pieno regime le loro costose macchine editoriali, con la riserva, dopo aver stampato il libro, di risparmiare risolutamente sulle spese di distribuzione. C'è da supporre che molti titoli della nuova saggistica storica non siano affatto distribuiti nelle librerie, se non su esplicita richiesta di qualche singolo cliente. I titoli giudicati più affidabili, che di solito raggiungono i banchi dei librai in uno sparuto numero di copie, sono quelli che, salvo eccezioni, rischiano appunto di deludere il pubblico, come dicevamo prima. D'altra parte, nella società delle masse, non si può affermare che queste ultime siano grandi consumatrici di saggistica storica. La maggior parte delle persone leggono qualche testo di storia soltanto negli anni della scuola e, se si iscrivono in una facoltà umanistica, anche in quelli dell'università. Dopodiché la saggistica storica continua a essere apprezzata soltanto da un pubblico colto di dimensioni ridotte. Perfino i testi di buona divulgazione, popolare, come ad esempio quelli di Indro Montanelli e dei suoi collaboratori, sono letti da una percentuale relativamente modesta di italiani. Nelle società di massa, la storiografia riguarda un'élite. Questa élite, di solito, si disinteressa delle mode storiografiche, bada molto più concretamente ai risultati, è stimolata dalle più varie curiosità e si pone domande alle quali vorrebbe che gli storici fossero capaci di rispondere. Se le informazioni che abbiamo raccolto sono esatte, sembra che negli ultimi tempi l'interesse dei lettori si sia in larga misura rivolto ai classici e alle storie di carattere generale, soprattutto nelle edizioni economiche. Non c'è da meravigliarsene e per almeno due ragioni. Innanzitutto perché i testi considerati "classici" sono di solito scritti bene e i libri di storia - molti autori purtroppo se lo dimenticano - dovrebbero essere sempre di gradevole lettura, se non addirittura opere d'arte in secondo luogo perché molti testi classici continuano a rispondere, nonostante il passare degli anni, a tante domande attuali. Jacob Burckhardt, per esempio, pubblicò nel 1860 la sua Civiltà del Rinascimento in Italia proprio per capire quali fossero le origini della cultura moderna, vale a dire la cultura delle società che nel 1860 già si stavano tecnologizzando. Come ha scritto Felix Gilbert in uno stimolante libretto sui problemi della storiografia tradotto in questi giorni (Storia: politica o cultura? Riflessioni su Ranke e Burckhardt ed. Il Mulino), Burckhardt provava ripugnanza per i profondi cambiamenti indotti dalla industrializzazione ottocentesca e quindi studiava il Rinascimento proprio per ritrovare in esso quelle pericolose ambiguità che più tardi, con l'avvento delle società tecnologiche, si sarebbero manifestate in modo esplosivo. Si può dissentire da molte tesi di Burckhardt, il quale era un conservatore che non credeva nel progresso dell'umanità. Ma non vi son dubbi sul fatto che le società materialmente progredite stiano oggi vivendo quella crisi culturale che tutti conosciamo e che è stata richiamata anche all'inizio di questo nostro scritto per spiegare come un certo grado di smarrimento sia oggi presente in tutti e non soltanto negli storici. Il libro di Burckhardt intendeva spiegare che il Rinascimento italiano aveva rappresentato un momento altissimo della cultura europea, ma conteneva in sé vari pericoli, poiché conduceva ad atti politici spietati, a un comportamento egoistico privo di freni, a una cultura corrotta e amorale. In tempi come quelli che l'Italia sta oggi attraversando, contrassegnati da sconvolgenti rivelazioni sulla immoralità e la corruzione di politici e cittadini, non si può certo dire che gli interrogativi di Burckhardt risultino inattuali.

Leggere dunque i classici dimenticando la storiografia più recente? Niente affatto. Il consiglio è piuttosto quello di rivolgersi sia ai classici sia alla storiografia più recente, distinguendo tra ciò che è d'interesse per il pubblico colto e ciò che può incuriosire al massimo qualche specialista.