Piero Melograni
Responsabilità. La dimensione etica dello sviluppo
"Liberal"
agosto-settembre 2005, pp. 110-113

Il termine «responsabilità» serve a definire la capacità di agire in modo equilibrato valutando le conseguenze delle proprie azioni ed evitando di danneggiare gli altri. La responsabilità può quindi equivalere a termini come assennatezza, avvedutezza, prudenza, coscienza e perfino scrupolosità. Abbiamo l'impressione che le persone responsabili e avvedute non siano mai state molto numerose neppure nei secoli trascorsi, durante i quali tanti individui ancora ritenevano di avere accanto un angelo custode pronto a turbarsi se ci si comportava male. Fin da bambini veniva insegnato come rivolgersi a lui: «Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. E così sia». Molti temevano di essere accompagnati anche dai diavoli in base all'insegnamento dell'Apostolo Pietro: «Fratelli, siate sobri e vigilate perché il demonio, vostro avversario, come leone feroce, gira sempre attorno a voi, cercando di divorarvi». Inutile aggiungere che nel passato di cui parliamo moltissimi credevano sia alle fiamme dell'Inferno, dove le anime dei dannati sarebbero bruciate in eterno, sia alle terribili punizioni del Purgatorio, che per fortuna avrebbero avuto una minor durata. Il maggiore poeta italiano compose nel Trecento un capolavoro suddiviso in tre parti che si intitolavano per l'appunto Inferno, Purgatorio e Paradiso. E nella Cappella Sistina o nel Camposanto di Pisa tutti possono ancora osservare alcune straordinarie e impressionanti raffigurazioni di questi aldilà. Ma anche gli analfabeti di Napoli o di altre città potevano vedere nelle strade ammonitrici bacheche di cristallo all'interno delle quali le anime delle persone prive di senso della responsabilità si dibattevano in mezzo al fuoco. Eppure, nonostante questi avvertimenti terrificanti, i peccatori irresponsabili formavano una numerosissima schiera, perfino superiore a quella di oggi. I crimini contro la persona (omicidi, infanticidi e percosse) erano assai più frequenti. La violenza regnava sovrana dapertutto e ogni notte le porte delle città venivano chiuse per motivi di sicurezza, mentre i cittadini si rinserravano nelle loro case. Giacomo Leopardi, in una lettera del marzo 1832, spiegava al padre che a Roma non passava sera senza che accadesse un qualche assassinio «fino sul Corso stesso o in Piazza di Spagna». Le statistiche dimostrano che nell'Italia agricola del 1880, il numero degli omicidi, in proporzione al numero degli abitanti, era cinque volte superiore a quello dell'Italia industriale del 1985. La diminuzione degli omicidi è stata resa possibile dallo sviluppo economico e sociale. La violenza legale si aggiungeva a quella privata. La Santa Inquisizione torturava gli eretici, le streghe e gli stregoni posseduti dal demonio, straziandone i corpi anche dopo la condanna a morte. Negli Stati Pontifici, tra il 1796 e il 1864, il solo Mastro Titta - il famosissimo boia Giambattista Bugatti - giustiziava con le sue mani 514 persone. Molte erano state condannate non per omicidio, ma per colpe minori come il furto, l'aggressione a mano armata o un reato politico. Il 1° febbraio 1800 Mastro Titta impiccò vicino a San Pietro un uomo che era stato giudicato responsabile del furto di un orologio. Il 27 di quello stesso mese impiccò e squartò un ladro sacrilego, collocandone poi i quarti in vari luoghi di Roma.

Oggi molti si turbano all'idea che un embrione umano possa essere utilizzato a scopi terapeutici. Ma nei secoli trascorsi l'infanticidio, vale a dire la soppressione di coloro che già erano nati, veniva largamente praticato senza troppe preoccupazioni. Lo storico britannico Lawrence Stone riferisce che nell'Inghilterra medievale l'infanticidio era talvolta punito con la fustigazione, ma nella maggioranza dei casi ci si accontentava di una pubblica confessione. Nel 1975 alcune contadine emiliane spiegarono a una giornalista di Rinascita, Giuliana Dal Pozzo, che quando erano giovani non rivelavano di essere incinte neppure al marito. Si accordavano con altre spose giovani e un giorno partorivano nei campi aiutate da sorelle e cognate. Una di esse soffocava il neonato e lo seppelliva immediatamente: «Qualche volta succedeva che i nostri uomini con i trattori trovassero gli scheletrini, e noi cadevamo dalle nuvole: sarà qualche zingaro, dicevamo. Invece erano i nostri figli». Quanto ai rapporti sessuali sarà bene rammentare che la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne viveva in alloggi privi di ogni conforto, in una promiscuità spesso selvaggia, condivisa con gli animali. Mancava ogni intimità dato che genitori, figli e magari alcuni estranei si ammucchiavano in una sola stanza e spesso sopra un solo giaciglio. L'Inchiesta agraria promossa dal Parlamento italiano alla fine dell'Ottocento mise in luce fino a qual punto, in Sicilia, il mondo contadino fosse caratterizzato da ratti, stupri, incesti e adulteri: «I padri vendono le figlie e i figli, verso di cui non nutrono nessun amore. Lo sposo, in generale, cerca nella moglie un gruzzolo, e non altro. I lenocini, gli incesti occulti, gli uxoricidi […], la prostituzione e la figliuolanza illegittima raggiungono proporzioni spaventevoli e, quel che è peggio, si compiono spudoratamente». Nelle altre regioni italiane la situazione non era molto diversa. Sempre verso la fine dell'Ottocento, il sociologo Alessandro Niceforo esaminò le abitudini del mondo operaio delle grandi città. Studiando i costumi del quartiere romano di San Lorenzo, Niceforo constatò che in ogni stanza si affollavano in media sei persone. I bambini assistevano ai congiungimenti degli adulti ed erano indotti a non restare passivi: «Gli amplessi - spiegò - avvengono nel fetore delle biancherie lacere, dei sacconi vecchi e scomposti; sono due corpi puzzolenti che si abbracciano nella immondezza».

Di frequente udiamo uomini politici e filosofi lamentarsi del fatto che bisogna restaurare i «Valori» del passato. Evidentemente non conoscono la storia di quel passato, con tutti i suoi orrori, e non ricordano neppure una istruttiva poesia di Eugenio Montale per l'appunto intitolata La caduta dei valori, la quale inizia così: «Leggo una tesi di baccalureato / sulla caduta dei valori. / Chi cade è stato in alto, il che dovevasi / dimostrare, e chi mai fu così folle?». Basta rileggersi i classici, da Giovenale a Balzac per capire fino a qual punto le epoche trascorse fossero corrotte e popolate da individui assai poco preoccupati delle loro responsabilità verso il prossimo. Nel più significativo dei romanzi italiani, i Promessi sposi, incontriamo del resto il giovane Renzo Tramaglino, ingannato o perseguitato da personaggi privi di senso della responsabilità come Don Abbondio, come un avvocato soprannominato Azzecca Garbugli o come don Rodrigo uomo prepotente e senza scrupoli. Nel mondo agricolo di ieri la dominante psicologica era quella della rassegnazione. Nella vita di tutti giorni c'erano il male, la violenza, le crudeltà e bisognava rassegnarsi a questa realtà. Nel mondo sviluppato di oggi la rassegnazione si è praticamente spenta e di conseguenza la sensibilità al male, alla violenza e alle crudeltà si è di molto accresciuta, facendoci per esempio credere che gli omicidi siano più numerosi di ieri, mentre le statistiche dimostrano il contrario. Oggi le persone sono diventate sensibili perfino alle violenze praticate sugli animali, un fenomeno che in passato sarebbe apparso inconcepibile. Sono convinto che il mondo sviluppato, composto da quelle regioni della Terra nelle quali la rivoluzione industriale e tecnologica ha ridotto ai minimi termini la percentuale degli addetti all'agricoltura, abbia risolto i problemi materiali assai meglio dei problemi spirituali. Tuttavia sono anche certo che, da un punto di vista etico, e nonostante la perdita di molte norme di condotta codificatesi nel tempo, la situazione dei popoli sviluppati sia preferibile a quella dei loro antenati agricoli. Tra l'altro il mondo agricolo di ieri era anche il mondo delle guerre, che periodicamente lo sconvolgevano, facendo entrare gli individui in quell'universo psicologico a causa del quale uccidere non soltanto era permesso, ma addirittura imposto. Il nemico perdeva la sua condizione di uomo, di donna o di bambino e doveva essere soppresso per il semplice fatto di appartenere al campo avverso. Venivano altresì distrutte le loro città, case e chiese. Emblematico il caso di Sigmund Freud che nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, perse la testa per l'eccitazione, si sentì tedesco per la prima volta in vita sua, avrebbe voluto distruggere subito Parigi e incitò i suoi figli a partire volontari. Eppure aveva 58 anni e avrebbe dovuto conoscere meglio di ogni altro i misteri della psiche.

Oggi i popoli sviluppati non vogliono più fare guerre. Nel mondo di ieri il modello era l'eroe che si sacrificava per la patria. Nel mondo di oggi il modello è l'obiettore di coscienza. Meglio ancora, si preferisce abolire del tutto la leva militare. I ministeri militari si chiamavano «della guerra». Oggi si chiamano «della difesa». E non si tratta soltanto di parole. Tra gli appartenenti ai popoli in via di sviluppo troviamo ancora numerose persone e perfino bambini pronti a combattere, a morire da eroi, a suicidarsi in atti terroristici per provocare la morte degli altri. Ma tra i cittadini degli Stati sviluppati questo genere di persone tende a non esserci più. Nel conflitto oggi in corso tra sviluppo e sottosviluppo possono ancora generarsi guerre. Ma gli Stati sviluppati tendono a far sì che siano soprattutto le macchine a combatterle e vorrebbero che gli scontri militari restassero ben circoscritti assumendo i caratteri di mere «operazioni di sicurezza». Anche un Papa di grande intelligenza e cultura, mi riferisco a Paolo VI Montini, allorché emanò una delle sue più famose encicliche, la Populorum Progressio (Lo Sviluppo dei Popoli), intitolò la conclusione di essa, nella versione italiana, con queste efficacissime parole: «Lo sviluppo è il nome nuovo della pace». Purtroppo l'enciclica portava la data del 26 marzo 1967. Si era dunque alla vigilia di quel turbinoso anno 1968, a partire dal quale, in molti Paesi sviluppati si sarebbe scatenata la contestazione giovanile, che avrebbe indotto larghe masse di intellettuali e studenti ad agitare il libretto rosso di Mao, a paralizzare scuole e Università, nonché a combattere «le multinazionali» e più in generale lo sviluppo, senza minimamente pensare che esso potesse essere sinonimo di pace. La Populorum Progressio di Papa Montini fu travolta dall'irrazionalità generale. Essa conteneva invece un messaggio conclusivo intelligente e ottimistico riguardo al futuro, che purtroppo fu trascurato.