RISCHI TERRORISMO IN UE
INTERVISTA A MICHAEL CHERTOFF (USA)
NAVA: C'è chi sostiene che la guerra in Iraq, condotta per motivi poi rivelatisi non del tutto giustificati, abbia prodotto un incremento del terrorismo nel mondo.

CHERTOFF: Non credo si possa dire che ciò che abbiamo fatto in Iraq abbia incrementato il tasso di attacchi terroristici. L'11 settembre eravamo ben distanti da Baghdad. Anche quando siamo stati attaccati alla fine degli anni '90 nell'Africa orientale non stavamo invadendo l'Iraq. Bin Laden ci ha dichiarato guerra qualche anno prima che entrassimo in Iraq. So che esistono disaccordi sulla guerra in Iraq: ma non tuttavia è in discussione che negli anni '90 Saddam Hussein uccise decine di migliaia di persone utilizzando gas chimici e velenosi, un'arma di distruzione di massa. Esistono le prove fotografiche dei cadaveri. L'unica domanda è: aveva smesso di accumulare queste armi all'epoca dell'invasione americana? Certamente ha ingannato gli ispettori, certamente si è comportato come se avesse avuto queste armi, e aggiungo che una volta che si possiede il know-how e la volontà per produrre questi armamenti, persiste il pericolo, poiché è possibile ricostituire le scorte. Lo si può fare con materiali facilmente recuperabili persino in cucina. Possiamo dibattere se sarebbe stato possibile agire diversamente, per quanto riguarda la sua esecuzione capitale, ma suggerire che Saddam fosse una persona innocente, che si faceva gli affari suoi e trattava bene il suo popolo, è sfidare la storia. Era un dittatore brutale, che ha eseguito attacchi genocidi contro la propria gente.

Resta il fatto che in Iraq non avete trovato una sola arma di distruzione di massa.

Qui è il punto: quando sai produrre un'arma chimica, ci vogliono solo due settimane per fabbricarla. Il fatto è che quando hai la capacità produttiva di armi di distruzione di massa, la presenza o meno di una loro scorta rappresenta solo una piccola parte del problema. Guardiamo al quadro globale della situazione: non possiamo sostenere che Saddam non avesse nulla a che vedere con le armi di distruzione di massa. Abbiamo le foto dei cadaveri uccisi con questo arsenale, né conosco alcuno in Europa che neghi questo o creda alla sua conversione morale, che pensi si sia trasformato -nei suoi ultimi anni- in un moralista, in un novello seguace di Ghandi. E' rimasto fino alla fine un dittatore brutale e crudele, che ha commesso atti di genocidio e crudeltà. Non credo che gli iracheni abbiano sofferto una grande perdita, liberandosene. Certamente ci sono cose che avremmo potuto fare meglio in Iraq, col senno di poi, ma non dobbiamo dimenticare i crimini commessi dal vecchio regime, né la violenza che Saddam Hussein ha perpetrato contro la sua stessa gente.

Parliamo dell'accordo che lei ha siglato martedì a Berlino con la Germania, per lo scambio di informazioni e dati biometrici, contro il terrorismo. Può spiegarci esattamente in cosa consiste?

E' un accordo che permette lo scambio di informazioni relative a impronte digitali, Dna e notizie sui terroristi presenti nelle liste dei principali sospettati a livello internazionale. Per quanto riguarda le impronte digitali, questo accordo ci permetterà di operare su una base specifica: nella pratica, chiederemo di volta in volta informazioni su un particolare individuo, che sospettiamo essere un terrorista. Se queste informazioni non esistono, allora otterremo una risposta negativa, se invece ci sono, potremo chiedere di averle attraverso i canali di cooperazione collaudati. E' un modello di accordo molto buono: contiene sia lo scambio di informazioni, sia la protezione dei dati, e potrebbe rivelarsi un modello costruttivo anche per altri Paesi.

State già trattando con altri Stati dell'Unione Europea?

Abbiamo contattato altri Paesi per estenderlo, speriamo che alcuni di questi si aggiungano presto.

L'Italia?


Ne stiamo discutendo con il Governo italiano, siamo ovviamente interessati, abbiamo già un rapporto molto buono con Roma per lo scambio di informazioni in molte aree.

La polemica del momento riguarda le esenzioni dai visti Usa per i nuovi Paesi membri dell'Unione Europea. Le avete negoziate individualmente con Repubblica Ceca, Estonia e Lettonia, bypassando la Commissione Europea. E' la tattica del "divide et impera", quella che adottate con l'Europa?

Firmare accordi con singoli Stati europei è stata sempre la prassi. Abbiamo sempre fatto accordi a livello nazionale con i Paesi dell'Unione Europea, per ammetterli nel programma dei visti per gli Stati Uniti. Dovendo creare nuovi requisiti per i passaporti, nel 2006 abbiamo negoziato ancora una volta con i singoli Paesi. E' strano sentire ora persone che ci chiedono perché non trattiamo a livello europeo. Rispettiamo il fatto che alcune di queste questioni ricadano nell'ambito di competenza dell'Europa, né intendiamo soppiantarla. Ma le questioni di cui parliamo ora sono competenza dei singoli Stati membri, e finché si rispetta la normativa comunitaria -come ritengo facciamo- non penso ci debbano essere problemi. Penso ci sia una sensibilità eccessiva da parte di persone che ritengono che abbiamo adottato la strategia del "divide et impera". Una strategia che semplicemente non esiste.
Il segretario di Stato Usa
Michael Chertoff