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Il presidente dell'Europarlamento PAT COX | ||||||||
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Alla vigilia del Consiglio Europeo di Atene, Pat Cox discute con Sergio Nava il futuro della politica estera europea, alla luce delle recenti divisioni sull'Iraq. C: Penso che sia estremamente importante far sì che la strada che abbiamo davanti ci veda uniti, come un'unica Europa, e non come tante Europe divise. Per questo ritengo che dobbiamo prendere spunto dall'energia e dal potenziale racchiusi in questi momenti per avere la saggezza e la serenità di cogliere un'opportunità: quella di dare all'Europa una vera voce in capitolo negli affari mondiali, e per vedere l'Europa come qualcosa di più grande e sostanziale di un mercato comune allargato. Quanto è fiducioso che i lavori della Convenzione daranno all'Europa la forza politica di cui ha bisogno? C: Devo rimanere ottimista nel rispondere alla sua domanda. La Convenzione non ha ancora concluso il suo lavoro, e la bozza finale della Costituzione non è ancora disponibile. Al vertice di Atene il presidente della Convenzione Valery Giscard d'Estaing potrà ascoltare le risposte che io e i leader nazionali daremo alle domande che ci sono state poste. Ciò che posso dirle è che finora c'è stato un importante grado di consenso a livello della Convenzione, di natura più sostanziale di quanto visto sia prima del Trattato di Amsterdam o prima del Trattato di Nizza. E questa è la causa del mio ottimismo. Penso che abbiamo capito la sfida della nuova Europa, che ci chiede di mettere in atto un cambiamento radicale. E' un dato di fatto però che un momento così storico per l'Europa giunga in un periodo di profonda divisione dell'Unione. La crisi politica è evidente, in buona parte a causa dell'Iraq. La nuova Europa nasce già divisa? C: Accetto il fatto che il caso Iraq non sia stata l'ora migliore dell'Europa. Nè in un'Unione a 15, nè in una a 25. Da questo esempio possiamo però scegliere di intraprendere due strade. La prima è quella di dire: "non riusciremo mai fare in modo che l'Europa agisca insieme, quindi l'Europa è destinata a non avere mai un'influenza significativa". L'altra strada, quella che io sceglierei di seguire, è quella di riconoscere e accettare che questo è stato un passo indietro. Ma solo per considerare questo passo indietro come un incentivo a osare di più, per trovare una voce unica europa sul palcoscenico mondiale, sui temi della pace e della guerra, ma anche su altri temi importanti. Quale ruolo dovrebbe giocare l'Unione Europea nella ricostruzione dell'Iraq? C: Spero che nel corso della Conferenza Europea, alla presenza del segretario generale dell'Onu Kofi Annan, riusciremo a trovare un consenso sui temi sostanziali, come il processo di ricostruzione... ricostruzione della stessa nazione irachena. E trovare il modo di farlo sotto l'egida dell'Onu, organismo che rimane per gli europei uno strumento indispensabile e appropriato di politica mulilaterale a livello globale. Che Europa a 25 ha in mente lei? Dipendente dagli Stati Uniti o attore politico autonomo e dotato di autorità su scala globale? C: Dobbiamo fare passi avanti. La Convenzione ci può aiutare in questo senso, creando un Ministro degli Esteri forte per il futuro dell'Europa. Potrebbe essere un passo avanti utile e importante. Ma un Ministro degli Esteri senza un Ministero degli Esteri e un Ministro degli Esteri senza una politica estera condivisa dagli Stati membri, sarebbe come un pub irlandese senza birra. E in Irlanda questo rappresenterebbe una grande calamità. Io faccio lo stesso paragone per l'Europa: l'ingrediente assente, in questo caso, è la volontà politica. Non importa quale Costituzione costruiamo: sarà sempre un contenitore vuoto se non lo riempiremo di volontà politica. Questa è la lezione dell'Iraq: muoviamoci quindi dall'attuale e caotica non-politica a una politica genuinamente comune. Una politica comune potrà sempre avere gradi di flessibilità e di preferenza, ma sarà una pietra miliare fondamentale verso una voce globale europea coerente sul palcoscenico mondiale. 15 aprile 2003 |
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