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DIARIO DA STRASBURGO | ||||||||||||
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Il 14 febbraio 2006 migliaia di sindacalisti provenienti da tutta Europa hanno sfilato a Strasburgo per contestare il progetto originario della Direttiva Servizi e chiederne una profonda revisione. Richieste in gran parte accolte nel voto dell'Europarlamento di due giorni dopo. In questo "Diario Da Strasburgo" Sergio Nava racconta i tre giorni che hanno deciso le sorti del futuro mercato unico dei servizi in Europa. |
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L'Europarlamento di Strasburgo |
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DIARIO DA STRASBURGO (14-16/2/2006) di Sergio Nava Cartelli, bandiere, slogan e un rumore di fondo spesso e volentieri assordante: il mondo sindacale di un'Europa che non intende rinunciare al tanto celebrato "modello sociale continentale" è sfilato martedì 14 febbraio per le vie di una Strasburgo coperta dalle nuvole e bagnata da qualche goccia di pioggia. Nessuna tempesta, però: la manifestazione è scivolata pacifica da place du Fabourg de Pierre a Boulevard de Dresde, davanti all'Europarlamento, aperta dallo slogan "Servizi per il popolo". In 30mila, 50mila per gli organizzatori, hanno protestato contro il progetto di direttiva per la liberalizzazione dei servizi. E' stato anche il primo atto ufficiale di una settimana decisiva per le sorti della normativa. I lavoratori dell'ovest hanno reclamato la difesa degli standard sociali e salariali acquisiti, quelli dell'est invece li hanno chiesti anche per sé. Sergio Nava ha raccolto le loro storie. Come quella di Rolf Welle, lavoratore della Bosch e iscritto alla IG Metall, uno dei maggiori sindacati tedeschi. Lui vede una contrapposizione tra est e ovest dell'Europa: "La teoria Bolkestein significa solo un chiaro dumping sociale in tutta l'Europa occidentale. Non ce lo possiamo permettere. Tutta l'Europa occidentale perderebbe posti di lavoro. Tutti noi finiremmo negli uffici di collocamento, o affidati ai servizi sociali. Non ci interessa se i lavoratori polacchi vengono a lavorare da noi, ci opponiamo solo al fatto che vengano applicati loro standard di lavoro polacchi". Dall'ovest all'est del Vecchio Continente cambiano i punti di vista ma non la sostanza della protesta. Andrzey Gronkowsy appartiene a un sindacato polacco, Solidarnosc, che ha fatto la storia del suo Paese: "Vogliamo le stesse condizioni di lavoro e gli stessi salari degli altri lavoratori europei, dice, aggiungendo: se un lavoratore polacco va a lavorare in Occidente deve avere lo stesso stipendio dei lavoratori locali, non la metà. Gronkowsy spiega anche perché i sindacati dell'est e dell'ovest lottano insieme: Quando combattiamo uniti otteniamo dei successi. Se i lavoratori dell'est e dell'ovest lottassero divisi non avremmo possibilità.G abor Kerpen è vicepresidente del sindacato ungherese Liga: "Vogliamo difendere i diritti dei lavoratori, ci spiega. Poi aggiunge: la direttiva Bolkestein va contro questi diritti. La legislazione ungherese in materia di lavoro è buona, vogliamo mantenerla. Kerpen nega una divisione in due dell'Europa sul dumping sociale: Non c'è una divisione tra est e ovest Europa. Quando lottiamo contro la Bolkestein lottiamo per i diritti di tutti i lavoratori. All'Europarlamento, intanto, le giornate di martedì e mercoledì sono trascorse nell'affannosa ricerca del consenso su un compromesso che ha smontato quasi completamente la filosofia originaria della direttiva, al punto che qualcuno comincia già a chiamarla la "Ex-Bolkestein". Il pacchetto di emendamenti concordati dai leader popolari e socialisti abolisce il principio del Paese d'origine, che permetterebbe a un prestatore di servizi di un Paese membro di lavorare in un altro Stato avvalendosi delle leggi casalinghe, e restringe ulteriormente il campo d'applicazione della direttiva, escludendo numerosi settori, quali le agenzie di lavoro interinali, i tassisti, il settore sanitario e farmaceutico, i notai. Il management, la pubblicità, gli architetti, gli agenti immobiliari e il turismo restano invece coperti. Alla relatrice, l'eurodeputata socialista Evelyne Gebhardt, Sergio Nava ha chiesto di spiegare -con un esempio pratico- come la direttiva così riscritta possa comunque rilanciare la competitività europea salvaguardando il nostro modello sociale. Gli abbiamo posto il caso di un'impresa di idraulici slovena che decide di estendere le proprie attività al Friuli Venezia Giulia: "l'idraulico sloveno che va a prestare servizi in Italia entrerebbe in primo luogo in contatto con uno sportello unico, dove gli sarebbero fornite tutte le informazioni necessarie. Lo sportello lo aiuterebbe anche a svolgere le pratiche e gli adempimenti formali. In pratica, sparirebbe per lui il pellegrinaggio in quattro o cinque uffici diversi. Una volta iniziato il suo lavoro, lo svolgerebbe pagando i suoi eventuali dipendenti come stabilisce la legge italiana, e sarebbe obbligato a rispettare le vostre leggi. Questo rappresenterebbe un vantaggio per i suoi clienti italiani, che avrebbero la garanzia di potersi rivolgere a un prestatore di servizi -in questo caso un idraulico- che adempie alle vostre normative. Ciò faciliterebbe anche una migliore comprensione e fiducia reciproca. L'organizzazione europea degli imprenditori, l'Unice, ha contestato la cancellazione del principio del Paese d'origine, sostenendo che il mercato interno europeo ne uscirebbe frammentato, tradendo così gli scopi originari della direttiva. Giovedì, dopo giorni di trattative, si è arrivati al voto, dove ha prevalso il compromesso sostenuto da popolari e socialisti. Il nuovo testo torna ora alla Commissione, prima di un voto al Consiglio dei Ministri. Questi due passaggi saranno decisivi per definire la sua impostazione generale: nella miglior delle ipotesi la direttiva servizi non sarà comunque approvata prima del 2007, con un'entrata in vigore, ultimate le necessarie procedure di trasposizione nelle leggi nazionali, successiva al 2009. |
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ASCOLTA LA PUNTATA DI "FOCUS ECONOMIA" DEL 16 FEBBRAIO 2006 |
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