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DIRETTIVA SERVIZI | ||||||||||||||||||||
Il 22 novembre 2005 la Commissione Mercato Interno del Parlamento Europeo ha votato le modifiche alla direttiva sulla liberalizzazione dei servizi (o "Direttiva Bolkestein"), salvando in gran parte l'impianto strutturale originario. Questo accogliendo le istanze dell'asse trasversale popolari-liberali, e rigettando -di conseguenza- molte delle modifiche originariamente proposte dalla relatrice Evelyne Gebhardt (Pse, DE). In questo speciale, un faccia a faccia tra Evelyne Gebhardt e il rapporteur "ombra" Malcolm Harbour, oltre alla puntata di Focus Economia dedicata alla vicenda. | ||||||||||||||||||||
GEBHARDT: Quello di ieri è stato un voto molto difficile. Se dovessi riassumerlo,
direi che in alcuni punti abbiamo fatto proposte migliorative, in altri
abbiamo avanzato modifiche che hanno peggiorato la proposta Bolkestein.
Sul primo punto, abbiamo escluso dalla direttiva il settore sanitario,
quello delle scommesse, i servizi di interesse generale e abbiamo fatto
in modo che questa direttiva sia valida solo per i servizi
transfrontalieri. Siamo quindi riusciti a restringere l’ambito di
applicazione della normativa.
NAVA: Il principio del Paese d’origine però rimane quasi intatto, se guardiamo al voto di ieri… GEBHARDT: Sì, questi timori restano, poiché non è stato possibile –ieri- votare contro il principio del Paese d’origine. Penso dovrò lavorare in vista della plenaria, per trovare un compromesso che escluda il pericolo di dumping sociale, che protegga realmente i diritti dei lavoratori, e che fornisca maggiori assicurazioni sui diritti ambientali e dei consumatori. In molti casi i cittadini non conoscono le leggi degli altri Paesi europei. Come possono quindi tutelare i propri diritti all’estero se non ne hanno conoscenza? Ciò è inaccettabile. Penso dobbiamo fare in modo che i cittadini di un Paese e quelli stranieri godano degli stessi diritti. Il principio del Paese d’origine crea solo problemi, perché confonde le leggi. Per esempio, potrebbe portare a una situazione in cui –a causa della legislazione vigente- un’impresa italiana si vede esclusa dal prestare un certo tipo di servizi sul proprio territorio, mentre –poniamo- una concorrente tedesca può –per assurdo- sostituirsi a quella italiana poiché segue le leggi di un altro Paese. Perché un’impresa straniera dovrebbe godere di maggiori diritti? Noi dobbiamo invece garantire un livello equo di diritti e una concorrenza leale tra le imprese. Sul tema salariale, io non nego certamente che un’impresa che opera in un Paese abbia il diritto di farlo anche in tutti gli altri Stati membri. Ma quando presta servizi all’estero deve rispettare le leggi del posto. Un altro esempio: in Svezia i sindacati definiscono il livello salariale. Ciò non avviene in Lettonia. Le imprese lettoni che operano in Svezia vorrebbero poter abbassare gli stipendi. Io dico invece che il parametro salariale di riferimento deve essere il più alto. BRUXELLES, 23/11/2005 |
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Evelyne Gebhardt: il fronte socialisti-sinistra ha perso la prima battaglia all'Europarlamento | ||||||||||||||||||||
ASCOLTA LA PUNTATA DI "FOCUS ECONOMIA" DEL 23 NOVEMBRE 2005 |
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MALCOLM HARBOUR (Shadow Rapporteur Direttiva Servizi, PPE - UK): Escludendo dall’ambito di applicazione i lavoratori dislocati all’estero
e il diritto del lavoro nazionale, questa nuova proposta risolve i
timori di dumping sociale e di possibile “concorrenza” tra i vari
benefici sociali e dell’impiego. Devo ancche aggiungere che molti
colleghi di altri Paesi non accettano il concetto stessoi social
dumping. Il problema qui è l’abilità delle aziende prestatrici di
servizi di trovare mercati in altri Paesi. E’ questo il principio che
vogliamo preservare. E’ chiaro che se queste aziende assumono dipendenti
nel Paese dove forniscono servizi, è ovvio che questi lavoratori saranno
soggetti alle leggi del proprio Paese. E’ un principio già previsto
dalla legislazione comunitaria. Se guardate alle barriere che questa
direttiva combatte, troverete molte norme nazionali che di fatto
impediscono l’accesso di un prestatore di servizi straniero al proprio
mercato. Non sono nient’altro che barriere al commercio, non hanno nulla
a vedere con l’inteersse pubblico. Quando parliamo della direttiva
servizi, occorre focalizzarsi su questa prospettiva, perché è quella che
ci consente di capire il senso reale della proposta. BRUXELLES, 22/11/2005 |
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Malcolm Harbour: la sua proposta (PPE-ALDE) ha avuto la meglio al primo round | ||||||||||||||||||||