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SPECIALE TURCHIA: LAMASSOURE |
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Eurodeputato con lo schieramento conservatore dell'Ump e già Ministro francese per gli Affari Europei, Alain Lamassoure è uno dei politici europei dichiaratamente più contrari all'adesione turca. Sergio Nava lo ha intervistato. LAMASSOURE: La mia posizione -critica verso l'ingresso della Turchia- non è solamente personale, ma rappresenta quella ufficiale del mio partito, che a sua volta riflette il sentimento dominante dei francesi, contrari all'ingresso della Turchia in Europa. Perché? Per due ragioni. La prima: in Francia stiamo per ratificare la costituzione europea. Se i nostri cittadini intenderanno il quesito referendario come un "siete a favore di una partecipazione della Francia a un'unione politica senza confini, che comprenda la Turchia?", chiaramente la risposta sarebbe "no". Seconda ragione: se la Turchia entra in Europa, quali ragioni potremmo opporre alle candidature di altri Paesi che a malapena possono essere considerati facenti parti del Vecchio Continente? Sappiamo bene che dopo la Turchia, ci potrebbero essere altri candidati: Georgia, Bielorussia, Ucraina, Moldova, forse la Russia o il Marocco... un'Europa politica senza confini sarebbe la fine del progetto originale comunitario, che voleva creare un nuovo tipo di entità politica, capace di prendere l'iniziativa comune su scala mondiale. NAVA: Curiosamente il presidente Jacques Chirac, il massimo esponente del vostro partito, non sembra opporsi -almeno personalmente- all'ingresso della Turchia. Come giustifica la sua posizione? Sì, è una situazione strana, quella del nostro partito. Noi siamo tutti contro l'ingresso della Turchia, a parte il presidente della Repubblica, che è anche il leader del nostro schieramento. La conseguenza è che non esiste una maggioranza politica in Francia in grado di ratificare un trattato di adesione della Turchia. Se a dicembre il Consiglio Europeo si esprimerà per l'apertura dei negoziati, alcuni Governi -tra cui quello francese- si troverebbero nell'imbarazzante posizione di non poter ratificare questa decisione. E' molto probabile che questa sarà la situazione in Francia nei prossimi 10 o 20 anni. Quindi Chirac presenterà una posizione personale al vertice di dicembre? E' questo il rischio. L'idea più recente, quella del referendum da tenere in Francia al termine del processo di adesione, può invece far sì che a decidere saranno gli stessi francesi. A lanciare questa idea sono stato io, solo poche settimane fa. I nostri partner devono sapere che in Francia esiste un'opinione pubblica molto forte contro l'adesione turca, il che farà sì che le nostre autorità -a dicembre- non saranno nella posizione di impegnarsi a nome della Repubblica Francese. Se lo faranno, si sappia che non sono appoggiati dai loro cittadini, gli stessi che saranno invece chiamati a dire l'ultima parola alla fine dell'intero processo. L'impressione è che l'ostilità contro l'adesione turca sia più diffusa in Europa di quanto non sembri. Perché? Scarsegggiano gli argomenti per un "no", o c'è più la paura di dire "no"? Lei ha ragione. Ciò che mi colpisce è che nessuno abbia aperto un dibattito, nè a livello europeo, nè a livello nazionale, sull'adesione turca. Nè è stato aperto un dibattito sull'argomento ultimo dei confini dell'Europa. Ciò non è successo neppure all'interno delle stesse istituzioni comunitarie. Io ritengo che appena un dibattito sarà aperto, le cose cambieranno. Molte più persone esprimeranno le loro riserve, e cominceremo a ragionare oltre il caso turco. Il nostro problema è che quando esaminiamo una candidatura all'adesione, dobbiamo sì necessariamente indagare, per verificare che il candidato soddisfi i requisiti d'ingresso, ma dobbiamo anche rovesciare la prospettiva verso l'Europa. L'Unione è in grado di accettare nuovi Paesi, come la Turchia domani, o la Russia dopodomani, oppure no? La risposta dipende dalle nostre aspettative e dalla nostra visione dell'Europa. Il dibattito deve iniziare. Sarebbe stato meglio se fosse iniziato anni fa, ma ora deve iniziare, prima di dicembre. Non pensa che un "no", o un "no" accompagnato da un'altra proposta, possa portare a una pesante crisi nei rapporti tra l'Unione e Ankara, e forse -quel che è peggio- a un rischio di destabilizzazione interna allo stesso Stato turco? Sì, e allora? Ci sarà una crisi, ma questa crisi è stata resa inevitabile dalla decisione presa nel 1999 dal Consiglio Europeo di Helsinki, quando i capi di Stato cambiarono la loro posizione sulla questione. Senza accertarsi prima se questa decisione fosse sostenuta dai propri Parlamenti e dalla propria opinione pubblica. Se un dibattito pubblico avesse avuto luogo prima di Helsinki, la decisione sarebbe stata differente. La crisi con la Turchia è stata programmata cinque anni fa. Dovremo ora gestire questa situazione. Una crisi comunque è probabile: se sarà una crisi tra Europa e Turchia, o se sarà una crisi interna all'Europa, o interna alla Francia, non lo so. Ma ci sarà una crisi da superare. In Francia, però, una cosa è chiara: non riusciremo a far passare un referendum sulla costituzione europea puro e semplice. Sarà o un referendum sulla costituzione senza la Turchia in Europa, oppure sulla Turchia in Europa senza la costituzione. La domanda a questo punto diventa: cosa è meglio per la Francia e per l'Europa? La costituzione senza la Turchia o la Turchia senza la costituzione? MILANO, 29/9/2004 |
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Alain Lamassoure, Ump | |||||||||