GIOVAN BATTISTA MARINO

(1569-1625)


Heraclito e Democrito

Levate il guardo al vostro albergo eterno,
Anime curve, e'n quest'Abisso immerse,
che nome ha Mondo, ed è più tosto Inferno.
O cecità mortal, menti perverse,
s'a la luce del Ciel non vi volgete,
ben a gran torto il Sol gli occhi v'aperse!
Deh come, prigioniero entro una rete,
che tante morti in poca vita aduna,
può l'uom sempre in travaglio aver quiete?
Soggiace il poverel fin da la cuna,
agitato dal piè de la nutrice,
a l'agitazion de la Fortuna.
Nato in un punto istesso ed infelice
va lagrimando le miserie estreme,
che l'umana natura gli predice,
e ne' vagiti suoi sospira e geme
la lunga serie de' futuri affanni,
che con tal tronco han la radice insieme.
Che gravi incarchi ne' più debil'anni,
mentre vaneggia e pargoleggia infante,
a mille rischi esposto, a mille danni!
Tenero sovra il suolo e vacillante,
stampa dubbie vestigia, e non ben pote
senza le braccia altrui fermar le piante,
Le membra avinte e d'ogni forza ha vòte,
e de' vasi materni il cibo chiede
con lingua balba e mal distinte note.
Cresciuto il senno, e stabilito il piede,
in più perfetta età, di quanti mali
fatto gioco e bersaglio ognor si vede?
Ecco con duri e velenosi strali
incominciando a saettarlo Amore,
gli fa piaghe pestifere e mortali.
Vien rabbia, gelosia, speme e timore
con l'altre cure e passion' nemiche,
anzi Furie tiranniche del core.
Succedono i disagi e le fatiche,
degl'ingordi desir' l'avide brame,
che quanto acquistan più, più son mendiche,
de l'òr la sete, e de l'onor la fame,
de' sozzi morbi la perpetua guerra,
e del giogo servil l'aspro legame.
Chi può dir poi gl'incommodi che serra
de la pigra Vecchiezza il peso greve,
che già mira il sepolcro, e pende a terra?
De' dolci dì la Primavera è breve,
tornan freddi gli spinti, i corpi lassi,
dove spuntava il fior, fiocca la neve.
Tardi il tremulo piè distende i passi:
né merlo intorno ha più che ben sussista
la corona de' denti, e rara fassi.
Solca ruga senil la guancia trista,
infossan gli occhi, e fosca nebbia involve
d'importuna caligine la vista.
Alfin pur si distempra, e si dissolve,
questa fragil testura d'elementi,
e ritorna la carne in trita polve.
Fermate il passo, o Peregrin' dolenti,
voi che quaggiù cercate ombra di bene,
né trovate già mai se non tormenti.
E conchiudete pur, che ben conviene
che 'n un mar la cui fede è tanto infida,
fra tante or liete, or dolorose Scene,
l'un Filosofo pianga, e l'altro rida.


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