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LA FORZA DELL’INSTABILITA’:
“L’AVVENTURA INCOMPLETA” DEL BAUHAUS IMMAGINISTA
di Sandro Ricaldone

“Être artiste signifie qu’on est un individu isolé. Mais le développement de la base créative de chaque artiste encombre de plus en plus les problèmes generaux d’une époque” (1). Con queste parole Asger Jorn tratteggia – qualche anno dopo le vicende che costituiscono il tema di questo scritto – la condizione dell’artista contemporaneo. E sottolinea: “Les formules artistiques s’epuisent trés vite et pourtant – lorqu’il developpe sa base propre – l’artiste parvient à toucher chaque jour davantage les problèmes de son temps. Les chemins se croisent, et le sol même de l’époque commence à se retourner” (2). Gli elementi che emergono da queste frasi sono, proprio perché schematici, particolarmente nitidi e significativi. L’isolamento dell’artista, anzitutto, che si configura come presupposto insopprimibile della libertà creativa. Quindi il carattere incessante della sua ricerca, imposto dal deperimento dei modelli invalsi, che lo porta necessariamente a misurarsi - attraverso “nuovi pensieri in nuova forma” (3) - con i problemi del suo tempo. Infine l’incrociarsi dei percorsi individuali in una rete che inizia a sovvertire il fondamento stesso dell’epoca.
Particolarmente marcato risulta l’accento posto sulla soggettività. L’artista, secondo Jorn, procede tramite l’esperimento di sé stesso (ovvero, per riportarci alle sue esatte parole, “è il suo stesso esperimento” (4)) con l’obiettivo, certamente paradossale, “di rendere possibile l’impossibile” e – in ogni caso - di rivelare “una verità che non esiste al di fuori di lui, perché lui stesso è la verità artistica” (5).
Ma altrettanto incidente, sul piano fattuale, è l’attenzione ai “sentieri che s’incrociano” ed al confronto con i problemi dell’epoca. Così, non appena riemersa - dopo la conclusione nel 1951 dell’esperienza di Cobra ed i lunghi mesi di inattività forzata, prima a Silkeborg, poi a Villars-Chesières, dovuta ad una grave affezione polmonare – “la voglia di disputare e criticare” (6), Jorn riprende i contatti con alcuni membri di CoBrA, come Alechinsky, Götz, Österlin, raccoglie le adesioni di critici come René Renne e Claude Serbanne” (7), attivi sulla rivista “Cahiers du Sud”, entra in rapporto, attraverso Baj, con il Movimento Nucleare, con lo scopo di creare un nuovo gruppo.
L’idea di fondo, esplicitata in una lettera ad Alechinsky del marzo 1954, consisteva nella ripresa e nel superamento di quella che era stata la piattaforma di Cobra. “Une révolution dans n’importe quel domaine est le résultat brusque d’une transformation profonde causée par une longue évolution. C’est nous du Cobra qui avec Dubuffet, Lam et Matta avons fait ce travail préparatoire et si l’on ignore l’évolution qui a créé la revolution on oublie les veritables forces de base de la révolution, et si ils sont paralysés, la révolution retombe en une mode temporaire” (8).
Agli occhi di Jorn si rendeva quindi necessario strappare alla paralisi gli agenti attivi della rivoluzione artistica, coloro che possedevano la chiave della “nuova combinazione” ed erano in grado, perciò, di oltrepassare la superficie del fenomeno.
Gli strumenti individuati dall’artista danese per compiere questo tentativo non si diversificavano, nella sostanza, da quelli già utilizzati nel periodo Cobra. Anche nel periodo d’incubazione del M.I.B.I. Jorn puntava in primo luogo – come si è visto – a formare un nuovo raggruppamento composto da autori di varie nazionalità, legati da affinità di ricerca (9). E si proponeva di creare, a supporto, una nuova rivista, “Delta” (10), “riservata a lavori interamente teorici e rivolta agli artisti ed ai teorici dell’arte anziché al pubblico più vasto” (11). A questi - ed alla mostra, usuale modalità di manifestazione dei gruppi artistici – si aggiungerà più tardi l’idea di un “congresso” (12), ideato per mettere a fuoco, in un confronto dal vivo, le tematiche cruciali dell’arte e della contemporaneità.
Uno dei fattori nuovi, per quanto specificamente concerne Jorn, era dato dagli esiti della sua riflessione sull’arte, condensata, nel periodo trascorso in sanatorio a Silkeborg, nel volume “Held og hasard (Dolg ok guitar)” (13) che – come egli stesso dice – “est un étude sur le malsain, le criminel et nouveau dans l’art” (14) e lo conduce da un lato a concepire l’arte “come un’eterna lotta fra estetica ed etica” (15) ed a stabilire un’essenziale distinzione fra il metodo scientifico e l’approccio artistico alla conoscenza, collocando quest’ultimo, per evitare che gli esiti si palesino “altrettanto complicati e incomprensibili come la vita stessa”, sotto il segno di una forma organica, capace di rappresentare graficamente il pensiero.
Senza dubbio, però, l’aspetto più caratterizzante era costituito dall’individuazione di un obiettivo, non più identificato nell’affermazione di un’area di ricerca sperimentale, geograficamente localizzata nei paesi nordeuropei, ma nella polemica contrapposizione all’industrial design ed alla sua incarnazione più visibile: il nuovo Bauhaus di Ulm (16).
La polemica fra Jorn e Max Bill si era venuta instaurando attraverso uno scambio epistolare ancora non reso pubblico (17). La sequenza di battute riportata in “Pour la forme” (18) documenta nondimeno una contrapposizione frontale. All’affermazione dell’artista danese, secondo cui “Bauhaus è il nome di una ispirazione artistica”, Bill ribatte asserendo che “Bauhaus non è il nome di un’ispirazione artistica, ma il significato di un movimento che rappresenta una dottrina ben definita”. E Jorn replica: “Se Bauhaus non è il nome di un’ispirazione artistica, è il nome di una dottrina senza ispirazione, cioè morta”.
Non stupisce perciò che egli scrivesse a Baj nel dicembre 1953: “Je ne sais pas si vous connaissez le Bauhaus, academie allemande d’avant Hitler. Maintenant on veut le refaire, et c’est un architecte suisse, Max Bill, qui doit s’occuper de cela, il veut faire de cette academie où était le professeur Klee et Kandinsky, une academie sans peinture, sans recherches dans le domaine de l’image, des fictions, signes, symboles etc., purement technique : instruction. J’ai declaré la guerre au nom de tous les peintres experimentales et recherchants et j’ai declaré que je vais faire une organisation internationale de recherche dans le domaine de la fiction et des images et le nommer “Bauhaus imaginaire” (19) de ce que le groupe “Movimento pittura nucleari” (20) veut joindre cette organisation internationale” (21).
Tuttavia la prima attività del M.I.B.I. non fu polemica. Si concretò invece in una sessione di lavoro d’un gruppo di artisti che avevano aderito o simpatizzavano con il nascente movimento, organizzata da Jorn ad Albisola, cittadina del Ponente ligure nota per la plurisecolare tradizione ceramistica, dove si era trasferito nella primavera del ‘54 (22).
L’iniziativa si ispirava, come testimonia Sergio Dangelo (23), all’esempio della riunione tenuta dagli artisti Cobra nel settembre 1949 a Bregnerod, una località presso Copenhagen, dove pittori, scultori e architetti (24) avevano soggiornato prendendo parte alla decorazione di una casa. Rispetto al “cantiere” danese nella nuova esperienza sarebbero emerse valenze in parte differenti, derivate per un verso dalla scelta di appoggiarsi all’artigianato locale e legate sotto altro profilo alla necessità di affermazione del nuovo movimento. Ma oltre a segnare “la ripresa dei contatti” con gli esponenti di Cobra, peraltro “su una base più avanzata”, l’incontro del ’54 evidenzia la consapevole scelta da parte di Jorn di un modello “in cui le condizioni favorevoli all’arte si manifestino con una forza estrema” (25), che evolverà in seguito verso la fisionomia del “laboratorio”.
Nonostante la breve preparazione, gli “Incontri Internazionali della Ceramica” si svolsero senza intoppi fra il luglio e l’agosto di quell’anno. La statura dei partecipanti (Appel, Baj, Corneille, Dangelo, Fontana, Jorn, Matta, Scanavino ed i poeti Edouard Jaguer, Roland Giguère e Théodor Koenig) (26), e la qualità dei lavori realizzati, grazie ad accordi con Tullio d’Albisola (27), presso i forni della fabbrica di ceramiche Mazzotti, ne hanno fatto – retrospettivamente – un episodio saliente della vicenda artistica della seconda metà del ‘900. All’epoca, tuttavia, la risonanza dell’evento sembra sia stata più che altro locale: un limite che si cercò, senza esito, di sormontare con l’esposizione alla X Triennale di Milano di un insieme di opere realizzate nell’estate ad Albisola, nell’ambito di una mostra intitolata “Ceramiche. Incontro Internazionale di Albisola” (28). Anche la rassegna milanese, infatti, passò quasi inosservata, mentre la sua organizzazione compromise i rapporti con Tullio e Dangelo (29). Né sorte migliore ebbe il tentativo jorniano di saldare il “modo pratico” degli Incontri ad una nuova piattaforma teorica. Il congresso immaginato da Jorn a chiusura della manifestazione (30) rimase sulla carta così come la pubblicazione dei “discorsi” che vi si sarebbero dovuti tenere. Non ottenne successo neppure il tentativo di far apparire un catalogo in occasione della mostra alla Triennale. La sola pubblicazione di stretta attinenza alla manifestazione albisolese che rimanga consiste nel quaderno pubblicato da Jorn stesso nell’ottobre 1954, sotto il titolo “Immagine e forma” (31). In questo saggio l’artista danese riprende le tematiche legate all’idea del Bauhaus, sviluppando una serrata critica del funzionalismo, letto come contraltare di Dada e dell’Espressionismo e giudicato, come tale, portatore di una “parola (che) ha perso il suo mordente” (32), cui occorre controbattere con la scoperta di “nuove jungle caotiche attraverso esperienze inutili o insensate”.
Le tesi di “Immagine e forma” vengono riprese, quasi letteralmente, nell’intervento pronunciato da Jorn al Congresso Internazionale dell’Industrial Design (32), in diretta polemica con Max Bill, che riaffermava nella sua relazione una visione della forma come unità armonica di tutte le funzioni, il cui risvolto sociale consiste nella produzione industriale di oggetti di qualità estetica elevata. In questa sede Jorn enuncia sinteticamente la problematica che sarà più tardi alla base del “Primo Congresso mondiale degli Artisti liberi”. “La question de base posée par l’artiste à tous les hommes d’aujourdhui est celle-ci: comment éviter un automatisme complet, une transformation de notre intelligence en un reflexe instinctif et standardisé? (…) Est-ce que nous pouvons garder la liberté et le desir experimental dans les nouvelles conditions historiques?” (33)

Le successive “esperienze” (34) del M.I.B.I. costituiscono approfondimenti di problematiche più specifiche: la seconda, “décoration libre d’une centaine de piéces de vaisselle en terre blanche par un groupe d’enfants”, mette in questione il mestiere decorativo, emulato dalla felicità inventiva dei bambini in età prescolare (35) e contestato per l’insufficienza d’un substrato e di apporti conoscitivi; la terza (“Tapisseries de Jorn et Wemaëre”) introduce il tema della “dissimmetria”, elaborato successivamente in “Mouvement et forme” (uno dei testi raccolti in “Pour la forme”), come “equilibrio dinamico”, in cui coagiscono il bilanciamento statico (simmetria) ed il suo opposto (asimmetria) (36).
L’avanzata lungo la direttrice principale tracciata con gli “Incontri Internazionali della Ceramica” riprende nel 1955, con una svolta significativa nella configurazione del movimento. L’incontro di Jorn con Piero Simondo e Pinot Gallizio (37) ad Albisola, dove questi ultimi avevano allestito una mostra - pur non introducendo variazioni di rilievo nella strategia dell’artista danese, che rimarrà imperniata sui tre cardini già sperimentati con Cobra e replicati, con alterna fortuna, come si è visto, nella prima fase del M.I.B.I.: ricerca, rivista, congresso – porta alla creazione di una struttura maggiormente orientata all’operatività, più snella e con una base logistica definita. Al centro del nuovo corso si pone il “primo laboratorio di esperienze imaginiste del Movimento Internazionale per una Bauhaus Imaginista”, fondato il 25 settembre 1955, meglio conosciuto come “Laboratorio sperimentale di Alba”, che assume, stabilizzandolo, il ruolo svolto in precedenza dagli “Incontri”. Nata sul terreno comune rappresentato dall’interesse per la metodologia della ricerca scientifica (38), l’idea del laboratorio si articola diversamente nei tre protagonisti. Per Jorn si tratta essenzialmente di un luogo dove condurre (e condividere) libere esperienze creative. Nella visione di Simondo si caratterizza invece come spazio per un autoapprendimento aperto ma rigoroso, volto ad instaurare una pratica artistica diffusa, a consentire a ciascuno di “farsi la propria arte”. Gallizio, infine, vi convoglia i suoi estrosi – e ostinati – affondi sui nuovi materiali, immergendosi nella “grande era delle resine" (39), affannandosi a dominare “le macromolecole dei colloidi”. Sotto il profilo della reale operatività, secondo la concorde testimonianza di Piero Simondo e Giorgio Gallizio (40), il Laboratorio di Alba solo a tratti (41) ospitò esperienze collettive e funzionò prevalentemente come studio di Pinot. Nondimeno, rimane il riferimento ideale attorno a cui si raccolgono le iniziative ed i principali contributi del periodo che si estende sino alla fondazione dell’I.S.: dal Congresso, che sancisce attraverso la “Plate-forme d’Alba” la stretta collaborazione con Debord e Wolman, alla progettazione da parte di Constant dell’“Accampamento per gli zingari” (42). E si pone, storicamente, come esempio fondativo di un nuovo modo di concepire l’attività artistica, che troverà negli anni ’60 nell’ambito delle correnti cinetiche sviluppi di rilievo sebbene non del tutto conformi all’archetipo albese, o – su lunga altra direttrice - come prefigurazione d’una “soggettività collettiva” che pure ha seguito un suo percorso serpeggiante nella vicenda contemporanea delle arti. Parafrasando una delle affermazioni di Jorn citate più sopra si può quindi argomentare, con una certa verosimiglianza, che il Laboratorio sperimentale sia stato in realtà “l’esperimento” del M.I.B.I., la cui riuscita – al di là di ogni valutazione quantitativa (43) – si è realizzata nella sua stessa creazione.
Dopo la fondazione del Laboratorio gli sforzi della nuova equipe si concentrano, in prima battuta, sulla pubblicazione di una nuova rivista, “Eristica” (44), che esce, dopo non poche difficoltà, nel luglio 1956. Il programma, nella sintesi di Simondo, recita: “Gli artisti soffrono oggi di un’annosa, secolare, deficienza linguistica: la eristica, come metodo del linguaggio aperto – ad – ogni – possibilità, è forse lo scilinguagnolo?”. L’impianto degli articoli si collega alle tesi svolte in “Immagine e forma”, che Jorn rielabora nel nuovo testo “Forma e struttura” (45) senza una marcata evoluzione, limitandosi a ribadire la sua ribellione contro il “carattere neutro” dell’architettura funzionalista e l’asserto secondo cui “le forme novelle precedono le destinazioni nuove”. Del termine “struttura” Simondo analizza l’uso, attribuendo al modo prescrittivo e valutativo il costume estetico-critico ove il rapporto forma-struttura “implica un inconfessato finalismo, precisamente una prescrizione, per usare un termine Dewjano”; al modo descrittivo e classificatorio il costume tecnologico, che considera la struttura come compimento di un processo senza riconoscerle alcuno “specifico valore di qualità” ed, infine, al modo strumentale e tecnico di controllo il costume metodologico, che agisce attraverso ipotesi di lavoro intenzionalmente formulate ed in cui “la struttura finita può essere oppure no lo strumento di controllo di una prossima operazione – il tessuto complesso assunto come elementare di una nuova opera”. Elena Verrone (46) propone infine in “Funzioni architettoniche di destinazioni democratiche” una critica pressante del discorso di Walter Gropius per l’inaugurazione della Hochschule fur Gestaltung di Ulm (47), in cui fa carico all’architetto tedesco ddi sostenere un programma pedagogico volto ad adeguare - attraverso il lavoro condotto in team con altri specialisti di settore e la competizione con i tecnici della funzionalità - la professione dell’architetto “al mondo della produzione industriale”.
Proprio sul rapporto fra le arti libere e le attività industriali si focalizza l’altra manifestazione organizzata nel 1956, il “1° Congresso Mondiale degli Artisti Liberi” (48). Accompagnato da polemiche che nella prima giornata determinano il ritiro di Baj e del Movimento Nucleare, il dibattito congressuale non sembra aver fornito risposte convincenti alla questione affrontata. Gallizio, nel discorso inaugurale, si limita a deprecare il fatto che “la macchina ci sta soffocando” e ad auspicare “una parola novella che dia fiato agli annoiati, ai castrati, agli urlanti”. Dal canto proprio, Jorn imputa al primo Bauhaus di essersi rinchiuso nel dominio ristretto dell’artigianato “insignifiant en comparaison de celui de l’industrie et de celui de l’art libre” e di non aver osato rimpiazzare anche le accademie di belle arti, “qui, contrairement aux facultés scientifiques des Universités, sont restés des entreprises purement speculatives et formalistes” (49). E rileva la necessità della creazione di un istituto di esperienze e teorizzazioni artistiche che, dice, “est notre but précis et direct”.
A fronte dell’impasse registrata nella discussione del tema generale il Congresso vede emergere, intorno alla situazione dell’architettura, nuovi orientamenti che volgono in positivo la critica formulata da Jorn.
Constant, che si unisce in questa occasione al M.I.B.I., esprime una posizione di ottimismo tecnologico, affermando che “aujourd’hui l’architecture voit à sa disposition une technique de construction d’une richesse infinie. (…) Elle sera capable d’intégrer dans son esthètique le maniement de volumes et de vides comme l’entend le sculpteur, le colorisme spatial issu de la peinture, afin de créer un art des plus complets, qui sera à la fois lyrique par ses moyens, et social par sa nature même” (50). Analogamente Ettore Sottsass jr. afferma che “Tutte le possibilità espressive del mondo plastico devono contribuire alla creazione di una nuova e finalmente vera “struttura” che non è più l’insieme dei pilastri e delle travi a reggere la costruzione ma la struttura di uno spazio intenso, modulato, aperto e continuo” (51).
La novità di maggior rilievo, in questo orizzonte, è però rappresentata dall’intervento del delegato dell’Internationale Lettriste, Gil J. Wolman, che – pur collimando in larga misura con le posizioni già espresse in precedenza da Jorn - pone un accento più diretto su “un’arte rivolta a produrre innovazioni non immediate nella realtà effettiva della vita” nel cui ambito “tutto ciò che si può realizzare d’ora in poi … ha valore solo nella misura in cui risponde al problema dello stile vitale, e nella misura in cui tale risposta è giusta”. Così le “sperimentazioni prive di utilità e di senso” proposte dall’artista danese (52) vengono collocate in una prospettiva di azione comune, rappresentata dall’“Urbanisme unitaire (che) deve diventare, con ogni mezzo, il quadro e l’occasione per dei giochi eccitanti” (53).
Nel contesto della contrapposizione al funzionalismo razionalista, che aveva dato origine ai contatti fra il M.I.B.I. e l’I.L. (54), lo scarto rispetto alle enunciazioni di Jorn si profila più netto di quanto non appaia ad un primo sguardo. Perché, nonostante la costante preoccupazione “d’etablir le contact le plus étroit avec le peuple et le milieu intellectuel en general”, la battaglia avviata da quest’ultimo rimaneva pur sempre entro i confini dello specialismo artistico, ponendosi come espressione delle ragioni di un’avanguardia “inapplicabile” nei confronti dell’ascesa di tendenze sostenitrici di un’arte “applicata” alle esigenze del mondo industrializzato. Le tesi dell’Internationale Lettriste, che Debord e Wolman venivano puntualizzando in quel torno di tempo nei testi concernenti la derive ed il détournement apparsi sulla rivista surrealista belga “Les levres nues” (55), spiazzavano già allora, prima che fosse esplicitata la tensione verso il superamento dell’arte, l’impostazione jorniana, comunque incentrata sulla “forma”, dispiegandosi in pratiche e comportamenti calati direttamente nella sfera urbana e nei rapporti interpersonali o di gruppo. Venivano in sostanza accantonate - a favore del gioco e, più tardi, della “situazione costruita” – le problematiche legate ad una concezione tradizionale (e, per così dire, “materiale”) dell’opera (56). Nella maturazione di un simile approccio si intrecciavano componenti surrealiste – il desiderio, le passioni, l’hasard objectif – ed altre di matrice lettrista – l’“opposizione completa a tutto il movimento estetico conosciuto” (57); le “insopportabili provocazioni … lanciate (poesia ridotta alle lettere, racconto metagrafico, cinema senza immagine) (58)” estranee nella sostanza sia alla posizione di Jorn che del Surrealismo riteneva principalmente l’ispirazione automatista sia a quella di Simondo, la cui opera aveva all’epoca declinazioni espressioniste (59). La loro convergenza, quindi, sebbene non rappresenti per Debord quel “pas en arrière” evocato da Vincent Kaufmann (60), è senza dubbio una intesa, od una piattaforma, provvisoria, un’alleanza non destinata a perdurare, contro un avversario comune.
Lo stesso uso del termine sperimentazione sembra darsi in due accezioni differenti: l’una derivata da parte dei membri del Laboratorio di Alba dalla ricerca scientifica e dai relativi protocolli; l’altra identificata da Debord nella tendenza dei “comportements que nous aimons … à établir toutes les conditions favorables à leur complet développement” ma impegnata nel contempo a “faire passer les règles du jeu d’une convention arbitraire à un fondement moral” (61). Lo iato fra l’affermazione teorica e le concrete realizzazioni consentirà successivamente a Debord di ironizzare su “la pensée italo-experimentale”, espressione della prima delle posizioni sopra illustrate, senza peraltro affrontarne l’effettiva articolazione (62). In ogni caso, sia pure a posteriori, questa presa di posizione (di stampo tipicamente lettrista) evidenzia come l’incontro fra il M.I.B.I. e l’I.L. non abbia implicato un reale dibattito, ma si sia realizzato sulla base di una più modesta intesa operativa, quale è quella adottata in chiusura del Congresso, incentrata sull’“Urbanisme unitaire” (63).

L’adesione degli esponenti del M.I.B.I. alla risoluzione finale (presumibilmente predisposta da Wolman, che di lì a poco sarà escluso dall’I.L.), segna di fatto il trapasso della leadership da Jorn a Debord. La manifestazione successiva, una mostra all’Unione Culturale di Torino, propiziata da contatti assunti dallo scultore Franco Garelli, viene infatti organizzata da Simondo con Debord (che produce un volantino d’invito (64) con frasi detournées) all'insaputa di Jorn che è costretto in extremis a farsi carico del trasporto delle opere e non nasconde la sua profonda irritazione. “C’etait formellement convenu entre nous – scrive - que le premier pas a gagner apres le congres etait la distribution de ces resultats en dehors d’Italie. A la place de nous permettre de faire celà Debord m’annonce que vous vous permettez d’engager tous nos forces communs dans une manifestation d’apparence a Torino ... Une action commune doit etre le resultat d’un accord commun. J’ai plutot l’impression que vous me prenez pour votre valet.”
Poco dopo saranno gli albesi a dissociarsi velatamente dalla “Lettre ouverte aux responsables de la Triennale d’art industriel a Milan” (65), rei di aver negato al M.I.B.I. gli spazi per la costruzione di un padiglione sperimentale, inviata a nome del movimento per iniziativa di Jorn (ma riconducibile alla penna di Debord), un concentrato di insulti all’indirizzo di Pica, Broggini, Lombardo e Mollino che provoca le immediate dimissioni di Sottsass.
A distanza di qualche mese, sarà Jorn stesso ad essere posto sotto accusa da Debord nell’ambito del c.d. “Affaire de Bruxelles”, una strana commedia degli errori che per poco non portò ad una definitiva rottura fra i due. Dal resoconto che di quest’incidente fa Simondo (66) risulta che, in occasione della mostra alla Galerie Taptoe (67), all’inizio del febbraio 1957, Debord, Simondo – che si trovava a Parigi - e Jorn si fossero dati appuntamento nell’atrio della Gare du Nord, per partire insieme alla volta di Bruxelles. Jorn salì direttamente sul treno, mentre Debord e Simondo l’aspettavano nel punto convenuto. Debord, pare, si ostinò – per principio o puntiglio - a non cercare Jorn sul treno, così che questi partì solo. Ne seguì un convulso carteggio in cui entrambe le parti (sul versante Jorn era coinvolto anche Rumney (68)) minacciavano la rottura dei rapporti. La vicenda si concluse solo ad aprile con una rappacificazione sancita da un documento in quattro punti firmato da Jorn, Debord e Michèle Bernstein (69).
Tutte queste schermaglie rendono testimonianza d’una condizione confusa, che necessitava d’un chiarimento di fondo, che non tarderà a venire. Nel giugno 1957 il matrimonio di Simondo e di Elena Verrone è occasione di una nuova riunione ad Alba con Jorn e Debord, reduci dalla pubblicazione di “Fin de Copenhague”. I quattro si trasferiscono per qualche giorno ad Albisola, dove li raggiunge Constant: vengono messe in cantiere monografie di Gallizio e Simondo, si decide di rivedersi a Cosio d’Arroscia, dove gli sposi avrebbero trascorso l’estate. Sarà in questo remoto e antico paese del Ponente Ligure che il 27 luglio 1957 Asger Jorn, Pinot Gallizio, Walter Olmo, Piero Simondo, Elena Verrone, Michèle Bernstein, Ralph Rumney voteranno a maggioranza la liquidazione dei vecchi gruppi e la creazione dell’Internazionale Situazionista (70). Finiscono le “avventure incomplete” del Bauhaus Immaginista e dell’I.L., insieme a quella forse mai realmente iniziata del Comitato Psicogeografico di Londra. Ha principio “Une nouvelle legende” (71).


Note:

1. Asger Jorn, “Musique phénoménale” in “Asger Jorn e Jean Dubuffet” (cat. d’exp.) Venezia, Galleria del Cavallino 1961 (ried. in Asger Jorn, “Discours aux pingouins et autres écrits”, textes reunis par Marie-Anne Sichère, Ecole Nationale Superieure de Beaux-Arts, Paris 2001, pag. 374.
2. Ibidem.
3. Asger Jorn, “Nye tanker | en ny form”, dattiloscritto datato 1953, conservato negli archivi del KunstMuseum di Silkeborg, citato da Graham Birtwistle nel saggio “Looking for Structure in Asger Jorn Theory”, in “Asger Jorn. 1914-1973” (cat. d’exp.), Stedelijk Museum Amsterdam, 8.10-27.11.1994, pag. 99.
4. Ibidem.
5. Asger Jorn, lettera ad Enrico Baj, in “Baj-Jorn. Lettres 1953-1961”, Maurice Frechuret (ed.), Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne, coll. “Correspondances”, 1989, pag. 27.
6. Ibidem, pag. 24.
7. “Bref, en 1946, seules les chroniques rédigées par Renne-Serbanne pour “Les Cahiers du Sud” avaient mentionné l’existence de Jorn et des ses amis du “mouvement abstrait-surrealiste” danois et c’est là que son nom avait eveillé ma curiosité pour la première fois. (...) Claude Serbanne (né vers 1922), Niçois d’adoption, et René Renne (1925), resident à Marseille (où paraissaient “Les Cahiers du Sud”), signaient ensemble, du nom de Renne-Serbanne, des cronaques litteraires et artistiques reprèsentant alors (dé 1945 à 49) ce qu’il avait de mieux informé, de plus eclairant, dans la tristement conformistique “presse artistique” française d’aprés-guerre”. (Edouard Jaguer, “Premières rencontres aver Asger Jorn”, in “Asger Jorn” (cat. della mostra a cura di Luciano Caprile), Casa Rusca, Locarno 14/4 – 18/8/1996, pag. 445.
8. Asger Jorn, “Lettres à plus jeune”, L’Echoppe, Paris 1998, pag. 67.
9. Un gruppo, comunque, sfrondato da coloro che – pur avendo partecipato all’esperienza Cobra – “restent collés au surface” (V. nota precedente).
10. Il titolo sembra sia stato indicato da Alechinsky. La rivista immaginata da Jorn prenderà in seguito il nome di “Eristica”, proposto da Simondo.
11. V. nota 8.
12. Sarà il “Primo Congresso Mondiale degli Artisti Liberi”, tenuto ad Alba dal 2 al 9 settembre 1956. La definizione – scartando la terminologia accademica (convegno) - richiama volutamente l’ambito politico.
13. Asger Jorn, “Held og hasard. Dolk og guitar”, ed. priv., Silkeborg 1952.
14. V. nota 8. L’elaborazione teorica di Jorn si fonda sull’approfondimento della riflessione kierkiegaardiana, che – com’è noto - individuava una progressione nel percorso dell’esistenza che dalla passività dello stadio estetico, attraverso l’esercizio della scelta che connota la dimensione attiva dell’etica, approda al rapporto soggettivo con il divino, combinata con l’interazione stabilita da Charles Sanders Peirce tra le sfere dell’etica, dell’estetica e della logica. Come rileva Peter Shield questa concezione triadica troverà la sua formulazione compiuta dieci anni dopo in “Naturens Orden. De divisione naturae. Silkeborginterpretation contra Kobenhavnerinter-pretation”, Skandinavisk Institut for Sammelignende Vandalisme, Aarhus 1962, pag. 123) dove Jorn scrive: “L’estetica è orientamento e rappresenta la costante dell’orientamento, mentre l’etica è movimento e rappresenta la costante del movimento, e la logica è immobilità e rappresenta la costante dell’immobilità”. (V. Peter Shield, “Comparative Vandalism. Asger Jorn and the artistic Attitude to Life”, Ashgate/Borgen, Aldershot-Brookfield-Copenhagen 1998, pagg. 44.45. Da notare che Peirce proponeva una “community of inquirers” come essenziale per la ricerca della verità, idea che riporta sia all’“Internationale des artistes experimentaux”, sia, mutatis mutandis, al “laboratorio sperimentale” di Alba.
15. V. nota 8.
16. La Scuola di Ulm, che riprendeva la denominazione del Bauhaus di Gropius, era concepita come un centro internazionale per “la teorizzazione, lo sviluppo e la ricerca nel campo della progettazione di prodotti industriali” (v. Herbert Lindinger, “Ulm: leggenda e idea vitale” ne “La scuola di Ulm 1953-1968”, Costa & Nolan. Genova 1988). Va notato che Max Bill, l’artista ed architetto contro cui s’appuntò la polemica di Jorn, direttore della Scuola di Ulm dal 1953 al 1956, fu estromesso appunto perché intendeva conservare alla pittura ed alla scultura un ruolo centrale, mentre la tendenza dominante – come testimonia Otl Aicher, marito della fondatrice Inge Scholl – “voleva impedire che il design tornasse in balia dell’arte applicata e delle sue soluzioni ... Ciò che si trattava di fare era non già arricchire l’arte di un paio di opere in più, bensì mostrare che oggi la cultura deve avere come tema la vita nel suo complesso ... che la cultura doveva volgersi verso la realtà” (Ibidem, pag. 128).
17. Il carteggio è depositato presso il KunstMuseum di Silkeborg e, al momento attuale, non viene reso pubblico senza il consenso degli eredi dei protagonisti per ragioni di privacy, a detrimento delle ragioni della ricerca storica.
18. Asger Jorn, “Pour la forme, Ebauche d’une methodologie des arts”, Internationale Situationniste, Paris 1957, pag.
19. La denominazione, riferisce Christian Bourseiller, in “Vie et mort de Guy Debord” (Plon, Paris 1999, pag. 95) fu poi variata in “Mouvement International pour un Bauhaus imaginiste” per suggerimento di Edouard Jaguer che gli propose l’idea di “promouvoir l’“imaginisme” en reference au groupe suedois “Image”, basé a Malmö”. Sebbene l’idea di un “Bauhaus imaginaire”, che implicitamente rinviava ad un Bauhaus delle intelligenze, senza una precisa dislocazione fisica, fosse affascinante, il termine fu poi volto in negativo contrapponendo il “Bauhaus imaginiste” al “Bauhaus imaginaire”, cioè falso, di Ulm.
20. Il Movimento Nucleare venne fondato a Milano, nel 1951, da Enrico Baj e Sergio Dangelo, che ne pubblicarono il manifesto a Bruxelles nel febbraio 1952, in occasione di una mostra tenuta presso la Galleria Apollo, che consentì loro di prendere conoscenza dell’attività di Cobra. In seguito inviarono ad alcuni artisti che erano stati partecipi di quella esperienza documentazione concernente il proprio lavoro, entrando così in contatto con Jorn. Il movimento - che pubblicò un’interessante rivista, intitolata “Il Gesto” - ebbe vita sino al 1959, con intensi rapporti con altri raggruppamenti, in particolare con il M.I.B.I. (il n. 1 de “Il Gesto” venne fatto circolare come secondo bollettino del Bauhaus Immaginista), Phases, e in seguito con il Gruppo 58 di Napoli. Nel suo ambito furono attivi, fra gli altri, Gianni Bertini, Guido Biasi, Joe Colombo, Piero Manzoni. (V. Tristan Sauvage, “Arte Nucleare”, Galleria Schwarz, Milano 1962; Martina Corgnati, “Il Movimento Nucleare”, catalogo della mostra, Refettorio delle Stelline - Galleria San Fedele - Centre Culturel Français, Milano 16 giugno – 31 luglio 1999).
21. Enrico Baj – Asger Jorn, op. cit., pagg. 40-41.
22. Enrico Baj, “Asger Jorn”, in “Ocra” n. 11, Genova, ottobre 1986. Fu appunto Baj a suggerire a Jorn il soggiorno nella cittadina della Riviera Ligure, che vanta una grande tradizione nel campo della ceramica. A partire dal 1955, Jorn risiederà alternativamente ad Albisola, dove fu dapprima ospite di Lucio Fontana e di Aligi Sassu, ed acquistò poi una casa ai Bruciati (V. Asger Jorn, “Le jardin d’Albisola”, ed. d’arte F.lli Pozzo, Torino 1974, in cui compare anche uno scritto di Guy Debord, “Sull’architettura selvaggia”; v. anche “Intervista a Berto Gambetta” in “Ocra”, cit.), a Parigi, dove nel marzo 1955 aveva comprato un alloggio al n. 28 di Rue du Tage, e la Danimarca.
23. Sergio Dangelo, “Fiorire in Eden”, in “Jorn e Albisola. Dalle ceramiche alle sculture”, a cura di Franco dante Tiglio, catalogo della mostra svoltasi al Museo Civico d’Arte Contemporanea di Albisola Marina, 1988, pag. 55.
24. I “Rencontres de Bregnerod” si tennero nell’agosto-settembre del 1949, per iniziativa di Jorn, nella Casa degli Architetti, ottenuta per un mese contro la promessa di decorarla. Vi parteciparono Hulten e Osterlin, Jaguer, Dotremont, Gilbert, Jorn, Pedersen, Dahlmann-Olsen, Jorgensen, Lilliendahl, Balle. L’atmosfera festosa e creativa è rappresentata da Dotremont nel n. 2 di “Le petit Cobra”: “À Bregnerod le non-peintres ont peint, le non-sculpteurs ont sculpté, les specialistes du chevalet sont montés sur leur grands chevaux, le non-poètes ont ecrit”…
25. La citazione è tratta da una lettera a Tullio Mazzotti dell’ottobre 1954, in Baj – Jorn, op. cit., pag. 95.
26. Secondo quanto riportato da Sergio Dangelo nello scritto “Provvista di bordo. Diario di una stagione” (in “Liguria” n. 11, novembre 1955, pag. 9), datato luglio-ottobre 1954, avrebbero fatto una rapida sortita ad Albisola anche Alechinsky e Dotremont. E’ documentata (da Theodor Koenig, in “Histoire de la peinture chez Phantomas”, Leeber-Hossmann, Bruxelles 1990, pag. 19) la presenza del belga Yves Dendal. Fra gli artisti residenti ad Albisola, oltre a Tullio Mazzotti, Antonio Siri, Eliseo Salino, Mario Rossello. Importante la presenza del gallerista Carlo Cardazzo e della sua compagna, la scrittrice Milena Dilani.
27. Tullio Mazzotti (1899-1971), conosciuto con il nome d’arte di Tullio d’Albisola, fu uno degli esponenti di rilievo del Secondo Futurismo. Poeta e ceramista, realizzò fra l’altro nel 1932 il celebre “libro di latta”, “L’anguria lirica”, contenente suoi poemi ed illustrazioni di Bruno Munari.
28. La mostra ebbe luogo fra il 27 ottobre e il 15 novembre 1954. Nell’estate 1966 Mazzotti allestì ad Albisola, con lavori realizzati l’anno precedente da Appel, Corneille, Matta e Jorn, una nuova mostra alla galleria en plein air “Il Vasaio”, documentata da una fotografia riprodotta in “Pour la forme”, op. cit., pag. 20.
29. La contesa con Tullio Mazzotti ebbe origine da un diverso modo d’interpretare l’esposizione. Il criterio adottato da Mazzotti sarebbe stato viziato da una motivazione “commerciale” negatrice del carattere di “campo d’esperienza” che, come risulta da “Contre le fonctionnalisme”, Jorn riteneva necessario preservare per le grandi esposizioni. I dissapori con Dangelo si concretarono nella richiesta di revoca a Dangelo dell’incarico di redigere il catalogo della mostra (v. cartolina di Jorn a Baj del 9 ottobre 1954, in Baj – Jorn, op. cit, pag. 103).
30. V. lettera a Baj del giugno 1954 (in Baj – Jorn, op.cit., pag. 81), dove Jorn scrive: “Aujourd’hui j’ai parlee avec Mazotti au sujet de cette con gres a Albisola. (…) Il faut faire 6 discours et j’ai deja ecrit a Jaguer pour le demander de faire une sur le rapport entre peintre et poete. Je compte de demander a Estienne de faire un discour sur le problème: “Pourquoi esiste t’il des critiques d’art?”. Il faut demander a Tapier aussi de faire un discour. Je pense sur l’utilité et l’inutilité des theories dans l’art”.
31. Asger Jorn, “Immagine e forma”, estratto in edizione italiana redatto, su copia manoscritta dell’autore, da Sergio Dangelo, Epi – Edizioni Periodiche Italiane, Milano. Il quaderno, finito di stampare il 30 ottobre 1954, fu pubblicato come primo numero del “Bollettino d’informazione del Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste” (su alcune copie fu poi applicata l’etichetta “Eristica. Bollettino d'Informazione del Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste, n. 1”).
32. Il “I Congresso dell’Industrial Design” si svolse a Milano, presso il Teatro dell’Arte (adiacente alla sede della Triennale) dal 28 al 30 ottobre 1954. Max Bill vi tenne una relazione su “Industrial Design e Società”.
33. Asger Jorn, “Interpellation au Congrés International de l’Industrial Design” in “Contre le fonctionnalisme” (Paris, 1957 o 1958, fascicolo poi incluso in “Pour la forme. Ebauche d’une methodologie des arts”, Internazionale situationniste, Paris 1958). Da notare come – in questo scritto – venga rimarcata la necessità di trovare una nuova base filosofica per rinnovare la ricerca artistica ed architettonica e l’esplicito riferimento alla teoria della “complementarità” formulata dal fisico danese Niels Bohr (secondo cui il dualismo riscontrato nell’ambito dei processi di misura, paleserebbe l’esistenza di aspetti della realtà fisica - come la velocità e la posizione di una particella, non determinabili se non alternativamente - che si completano escludendosi).
34. Il termine “esperienza” sottolinea la dimensione in progress e insieme sperimentale delle attività svolte.
35. In realtà si trattava di Martha e Olga Nieuwenhuys che, a seguito del matrimonio con Matje van Domselaar, erano entrate a far parte della famiglia di Jorn. All’epoca (estate 1955) avevano rispettivamente nove ed otto anni.
36. Asger Jorn, “Pour la forme”, op. cit. pag. 87-100. Da notare che la citazione da cui muove il ragionamento di Jorn appartiene a Mondrian.
37. Piero Simondo (Cosio d’Arroscia, 1928), già studente di chimica e – all’epoca - di filosofia, allievo di Francesco Casorati all’Accademia Albertina di Torino, aveva conosciuto ad Alba, in occasione di una conferenza, il Dottor Giuseppe Gallizio (Alba 1902 – 1964) detto Pinot (erroneamente menzionato in numerosi saggi come Giuseppe Pinot-Gallizio), già farmacista, partigiano, creatore di un’azienda per la produzione di caramelle, docente d’erboristeria presso il locale Istituto enologico, consigliere comunale, archeologo dilettante, versato in cultura popolare. Gallizio si valse dell’esperienza di ceramista di Simondo per ricostruire le forme di vasi del neolitico di cui aveva rintracciato dei reperti sulle rive del Tanaro e Simondo – sostenitore di una visione dell’arte come esperienza antispecialistica e diffusa - iniziò Gallizio alla pittura. Sull’incontro con Jorn Gallizio scrive nel suo diario: “1955 – Incontro con Jorn, e svolta decisiva della libertà di ricerca”. Simondo scrive invece, in “Ricordo Asger Jorn” (“Ocra. Circolare sui problemi dell’arte” n. 11, Genova, ottobre 1986): “Asger Jorn era bello, biondo, occhiazzurri, c'era, si vedeva, suonava l'ukulele e pareva non occuparsi d'altro, quella sera, oltraggiosamente, che di quel suo piccolo chitarrino, un giocattolo buffo nelle mani di un uomo grande e grosso, con mani di chi lavora con le mani. (…) Abbiamo cominciato a parlare insieme quella sera stessa, sul tardi, mentre gli altri pittori di Albisola folleggiavano a mezzanotte sulla spiaggia, in quella saletta di bar, dove esponevo occasionalmente, su invito degli amici Siri, Sciutto e Caldanzano, pitture su legno fatte con resine naturali, e abbiamo continuato per ore. Devo confessare che è stato come un innamoramento, una fascinazione intellettuale: parlavamo e pareva che avessimo cose da dire, che ci capissimo, che avessimo qualcosa in comune da fare e la disponibilità per farlo. Incredibile ancora oggi in questo silenzio pieno di parole che ci avvolge soffocante”.
38. “Noi esigiamo gli stessi mezzi e possibilità economiche e pratiche delle quali già si servono le ricerche scientifiche naturali con formidabili risultati. La ricerca artistica è identica alla ‘scienza umana’, ciò che per noi è la ‘scienza interessata’, non la scienza puramente storica. Questa ricerca deve essere condotta dagli artisti coadiuvati dagli scienziati”. (V. le “Note sulla formazione d’un Bauhaus immaginista”, nella seconda pagina della copertina di “Eristica”, Alba, luglio 1956, pubblicata anche in veste di volantino).
39. Pinot Gallizio, “Manifesto della pittura industriale. Per un’arte unitaria applicabile” (dal Laboratorio sperimentale di Alba, agosto 1959) in “Notizie – Arti Figurative” n. 9, Torino, ottobre 1959.
40. Pier Giorgio Gallizio (Alba 1935 – 2003) fece parte della Sezione italiana dell’Internazionale Situazionista sotto il nome di Giors Melanotte sino all’esclusione nell’estate 1960.
41. In un testo inedito “Guarda chi c’era! Guarda chi c’è!” (2002), Simondo sostiene altresì che parte del repertorio fotografico relativo alla vicenda del Laboratorio fu prodotto ad hoc. Sul punto concordava Giorgio Gallizio, che dal canto proprio ha testimoniato come i macchinari riprodotti nella monografia de “La Bibliothèque d’Alexandrie” dedicata a Pinot Gallizio (Internazionale Situationniste, Paris 1960) nulla avevano a che fare con la produzione della “pittura industriale”. Le effettive modalità di realizzazione dei rotoli sono state illustrate da Giorgio Gallizio nel video di Pietro Balla e Monica Repetto, “Dérive Gallizio”, (produzione Monica Repetto; co-produzione Fondazione Ferrero Onlus, Roma 2000).
42. La maquette viene realizzata da Constant fra il 1956 e l’inizio del 1957. Da notare, nonostante la diversità dei presupposti, la consonanza formale con l’opera degli artisti neoplastici olandesi (ad es. con Cesar Domela) ai cui antipodi Constant si era posto nel periodo Cobra.
43. In ogni caso, oltre alle presenze di Gallizio, Simondo, Jorn, Melanotte, Olmo, sono da registrare nel periodo del Congresso le comparse di Gil J. Wolman, Jacques Calonne (musicista dodecafonico e pittore belga, già legato a Cobra, che - secondo l’aneddotica asseverata da Simondo - teneva un coniglio nella vasca da bagno dell’albergo), Klaus Fischer (editore della rivista “Kunstwerk”), Pravoslav Rada, Jan Kotik, Enrico Baj, dello scultore torinese Franco Garelli, e del critico Agnoldomenico Pica, ed, in seguito, soggiorni di Constant, Guy Debord e Maurice Wyckaert, nonché una pluralità di visite, fra cui quella di Lucio Fontana, documentata da un intervento nel diario/libro degli ospiti di Pinot Gallizio.
44. Il titolo della rivista (che compare come “Bollettino d’informazione del Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista” n. 2, luglio 1956), proposto da Simondo, si riferisce all’arte di disputare per far prevalere la propria tesi prescindendo dalla verità o falsità di quanto si sostiene, insegnata dai Sofisti. Il periodico, stampato ad Alba dalla Tipografia G. Boeris appare come edito dal Dott. Giuseppe Gallizio. In copertina una litografia di Piero Simondo. Il sommario riporta inoltre: redattore capo P. Simondo, direttore E. Verrone, segretario gen. A. Jorn; comitato di redazione: avv. P. Accetti, pittore E. Baj, prof. L.U. Barberis, scrittore Chr. Dotremont, archeologo P.V. Glob, ing. W. Korun, architetti C. Hannoset, Dahlmann-Olsen, E. Sottsass jr., ceramista T. d’Albisola.
45. Da notare che dopo la Fondazione dell’Internazionale Situazionista era stata originariamente prevista la prosecuzione di “Eristica”, progetto poi sostituito, a seguito di incomprensioni con Simondo (v. lettere di Debord a Simondo del 22 agosto 1957; a Jorn, del 19 settembre 1957; a Rumney del 24 settembre 1957 in Guy Debord, “Correspondance”, volume 1 (juin 1957 – août 1960), Fayard, Paris 1999, pagg. 21, 28, 31), con la pubblicazione dell’ “Internazionale Situationniste”.
L’attenzione di Jorn verso il la relazione tra forma e struttura era stata sollecitata dalla lettura del saggio “Struttura come forma” dell’architetto Luigi Moretti, apparso sul n. 6 (dicembre 1951 – aprile 1952) della rivista “Spazio”, diretta dallo stesso Moretti in una linea di ricerca d’una rinnovata unità dei linguaggi artistici. Da notare che Moretti, nel testo richiamato, risale alla secolare triade vitruviana costituita da firmitas, venustas, utilitas per proporre una visione dell’architettura in equilibrio tra fattori tecnici, sociali ed espressivi: “Si può tentare allora di chiarire che un’opera è architettura allora che una delle n strutture (in senso costruttivo) possibili, coincide con una forma soddisfacente il gruppo di funzioni richieste e con una forma aderente ad un determinato andamento espressivo “dell’anima dell’alveare umano” quale raccolto dall’architetto”. Per Moretti, insomma, forma-struttura, forma-funzione e forma-espressione debbono essere “coincidenti, identiche, ciascuna indistinguibile dall’altra”, soluzione che si distacca tanto dalla preminenza assegnata da Bill alla funzione quanto dalla dissimmetria fra questi tre elementi invocata da Jorn.
46. Elena Verrone (Alba 1931 – Torino 2002). Di formazione filosofica (allieva di Pietro Chiodi), è stata membro del M.I.B.I. e figura tra i fondatori dell’Internazio-nale Situazionista. Sposata con Piero Simondo, ha lavorato a lungo nell’editoria e nella scuola. Del testo citato “Eristica” ospita soltanto la prima parte; la prosecuzione non risulta mai esser stata pubblicata.
47. Il discorso di Gropius è apparso in “Domus” n. 315, Milano febbraio 1956)
48. Il Congresso si svolse nel Municipio di Alba, dal 2 all’8 settembre 1956. Tra le manifestazioni a latere: la “1a mostra retrospettiva di ceramiche futuriste” anch’essa allestita nel Municipio con pezzi di Mario Anselmo, Romeo Bevilacqua, Farfa, Fillia, Alf Gaudenzi e Tullio d’Albisola, riuniti da quest’ultimo; la mostra del Laboratorio Sperimentale al Politeama Corino di Alba con opere di Jorn, Gallizio, Simondo, Constant, Rada, Kotik, Wolman e Garelli. L’allestimento accostava le opere a grandi striscioni realizzati da Wolman con frasi spiazzanti (“Toutes les toiles sont garanties coton pur”, “Les arts dignes à l’huile” ecc.) secondo un criterio che due anni prima Jorn aveva tentato vanamente di far adottare nella mostra di ceramiche ospitata dalla Triennale di Milano.
49. Il discorso di Jorn è stato pubblicato nel fascicolo “Contre le fonctionnalisme”, cit..
50. Constant, “Demain la poèsie logera la vie”, in “Documents relatifs à la fondation de l’Internationale Situationniste”, Ed. Allia, Paris 1985, pag. 595-596. Com’è noto queste posizioni porteranno Constant a concepire dapprima l’“Accampamento degli Zingari”, da realizzarsi ad Alba, di cui avrebbe dovuto anche predisporre il Piano Regolatore, ed in seguito alla progettazione di New Babylon.
51. Ettore Sottsass jr. (Innsbruck 1917), architetto di levatura e carriera internazionale operante a Milano, aveva aderito al Movimento Spaziale nel 1949. Partecipa al M.I.B.I. fra il 1954 ed il gennaio 1957. Le sue dimissioni sono causate dalla pubblicazione della polemica “Lettre ouverte aux responsables de la Triennale d’Art Industrie à Milan” datata 1 gennaio 1957 e firmata, per il M.I.B.I. da M. Bernstein, Constant, M. Dahou, G. Debord, J. Fillon, P. Gallizio, A Jorn, R. Rumney, P. Simondo, E. Verrone, G.J. Wolman. La relazione svolta al Congresso di Alba, intitolata “Per un Bauhaus immaginista contro un Bauhaus immaginario” è stata pubblicata su “Casa e Turismo” n. 12, Milano 1956.
52. in “Immagine e forma”, cit.
53. V. Gil J. Wolman, “Relazione al 1° Congresso Mondiale degli Artisti Liberi”, in Mirella Bandini “L’estetico, il politico”, Officina Edizioni, Roma 1977, pag. 266 (traduzione italiana da “Intervention von Wolman, delegierter der Lettristichen Internationale auf dem Kongress in Alba, im september 1956” in Spur, Spezialnummer über den Unitären Urbanismus, n. 5, Munchen 1960)
L’espressione “Urbanisme unitaire” viene usata per definire le teorie urbanistiche sviluppate dall’IL, a partire dal 1953 a partire dalle riflessioni di Gilles Ivain (Ivan Chtcheglov) “Formulaire pour un Urbanisme nouveau”; questa denominazione comparve però per la prima volta soltanto nel 1956, nella relazione di Wolman al Congresso di Alba; in precedenza si era invece parlato otre che di “Urbanisme nouveau”, di “Urbanisme symbolique”.
Come è noto, l’“Urbanisme unitaire” è definito nel n. 1 di “Internationale Situationniste” (giugno 1958): “Théorie de l'emploi d'ensemble des arts et techniques concourant à la construction intégrale d'un milieu en liaison dynamique avec des expériences de comportement”.
54. V. la lettera di Jorn a Baj dell’ottobre 1954 in Baj – Jorn, op. cit., pagg. 104 – 105.
55. V. G.-E. Debord - G.J. Wolman Mode d’emploi du détournement, in Les levres nues, n. 8, Bruxelles maggio 1956, pagg. 2-9. e G.-E. Debord, Théorie de la dérive, in Les levres nues, n. 9, Bruxelles novembre 1956, pagg. 6-13.
56. In questo senso ritengo non appropriata l’interpretazione proposta da Vincent Kaufmann, che nel suo “Guy Debord. La révolution au service de la poèsie” (Fayard, Paris 2001,l pag. 125 ss.), parla di “un’arte senza opere” in termini di una volontaria rinuncia e come espressione di una disposizione melanconica di fondo.
57. G.-E. Debord, “Rapport sur la construction des situations”, Paris 1957, pag. 11,
58. G.-E. Debord, Gil J. Wolman, “Pourquoi le Lettrisme”, in “Potlach” n . 22, Paris, 9 septembre 1955.
59. Diverso il caso di Pinot Gallizio, che sarà il solo ad inserirsi a pieno titolo nel filone delle provocazioni di ascendenza lettrista, capaci di scatenare “une inflation mortelle dans les arts”, con la “pittura industriale”.
60. V. Kaufmann, op. cit., pagg. 150 ss..
61. G.-E. Debord, “L’Architecture et le Jeu”, in “Potlach” n. 20, Paris, 30 mai 1955.
62. E’ lecito domandarsi per quale motivo Debord abbia continuato (sebbene non a lungo) a tollerare nell’I.S. la presenza di altri artisti le cui opere potevano anch’esse venir giudicate “plus « déjà vus », plus prévisibles encore que des tableaux actuellement à la mode à la Galerie Stadler” (V. G.-E. Debord, “Remarques sur le concept d’art experimental”, documento interno destinato ai membri dell’Internazionale Situazionista, datato 15 ottobre 1957, nell’appendice documentaria del volume di Mirella Bandini “L’estetico, il politico”, Officina Edizioni, Roma 1977, pag. 297). Ma va ricordato che secondo la dichiarazione di Michèle Bernstein a Greil Marcus a proposito dell’esclusione di Wolman, “Ci sono sempre due ragioni per qualsiasi cosa. C’è sempre il motivo buono e c’è sempre il vero motivo”. (V. G. Marcus, “Tracce di rossetto”, Leonardo Editore, Milano 1991, pag. 387)
63. Résolution finale du Congrés (documento dattiloscritto con correzioni ed integrazioni a mano qui riprodotte in corsivo, firmato per approvazione da Debord, conservato nell’Archivio Gallizio presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino).
“Les personnes soussignées, en leur nom propre et au nom des groupes qu’elles representent, s’accordent actuellement sur les point suivants:
I - Necessité d’une construction organique (prec.: intégrale) du cadre de la vie par un urbanisme unitaire qui doit utiliser l’ensemble des arts et des techniques modernes, tenus pour des simples moyens.
II - Caractère perimé d’avance de toute rénovation apportée à un art dans ses limites traditionelles. Ouverture d’une experience illimitée dans les arts particulier en rapport dialectique avec un emploi commun.
III - Reconnaissance d’une interdépendance essentielle entre l’urbanisme unitaire et un style de vie à venir, qui doit être dés à present indiqué (prec.: defini) et defendu.
IV - Affirmation de ce style de vie dans la perspective d’une liberté réelle plus grande et d’une plus grande domination de la nature et de l’univers.
V – Décision de combattre l’urbanisme fonctionnaliste retrograde et d’experimenter des constructions revolutionnaires et organiques.
VI - Unité d’action entre les signataires sur ce programme, par l’echange de publications et de courier, la preparation d’entreprises collectives, le soutien reciproque dans les manifestations et polemiques qu’ils engagent, l’élaboration commune des formes nouvelles.
J. Calonne, Constant, G. Gallizio, A. Jorn, Kotik, Rada, Piero Simondo, E. Sottsass jr., Elena Verrone, Wolman”.
(Il testo della risoluzione è riportato anche, con qualche abbreviazione ne “La plate-forme d’Alba”, in “Potlach” n. 27, Paris, 2 novembre 1956).
64. Nel volantino "Manifestate a favore dell'Urbanesimo unitario" viene citata per la prima volta la "pittura industriale di Pinot Gallizio, che non fu peraltro esposta in quella sede. La manifestazione, inaugurata il 10 dicembre 1956, includeva opere di Constant, Cherchi, Debord, Fillon, Gallizio, Garelli, Jorn, Olmo, Simondo. Non risulta aver partecipato Wolman, benché menzionato nell'invito. Contrariamente a quanto indicato da Mirella Bandini ne "L'estetico, il politico", dalla corrispondenza fra Jorn, Simondo e Debord risulta che quest'ultimo non venne per la prima volta ad Alba e Torino in occasione di questa iniziativa ma nei mesi precedenti. La difficoltà a reperire il rifornimento di carburante gli impedì infatti di essere presente. Sempre dalla corrispondenza (inedita) si rileva come la conferenza sull'Internationale Lettriste (che non ebbe luogo) dovesse svolgersi secondo la tipica modalità “discrepante” spesso utilizzata in seguito da Debord, ossia mediante la diffusione di una registrazione su nastro magnetico.
65. In una lettera inviata in copia al Laboratorio di Alba, Sottsass scrive: “Caro Ferraris, ti mando copia della lettera che ho spedito a Jorn. Credo che non occorrano altre parole per spiegare le mie idee a proposito di quanto è successo: l’unica cosa che ti devo far sapere è che da Alba mi hanno telefonato i componenti italiani del movimento pregandomi di notificarti che sono totalmente estranei alla cosa e assolutamente contrari al tono della lettera inviata da Parigi. Mi hanno assicurato che scriveranno direttamente alla Triennale”.
Nella copia di una lettera indirizzata dagli “albesi” a Debord si legge: “Nous ne voulons pas discuter l’efficace de cette façon d’agire mais on voit que la methode d’insulter est seulement en fonction negative. En plus l’attaque direct et personnel empêche la possibilité de poursuivre la polemique positive des idées et l’action envers les institutions”.
Successivamente, in una lettera inedita, inviata a Simondo il 23 febbraio 1957, Debord scriverà: “Oscar a d’abord nié tant ce qu’il a pu. Puis enfin il a avoué qu’il nous avait manouvré, vous et nous, dans l’histoire de la Triennale”.
66. In “Guarda chi c’era! Guarda chi c’è”, cit..
67. La mostra “Première exposition de psychogéographie presentée par le Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste, l’Internationale Lettriste et le Comité Psychogéographique de Londres” ebbe luogo dal 2 al 26 febbraio 1957. Dopo l’inaugurazione della mostra, Jorn si recò a Londra con Rumney.
68. Rumney riferisce concisamente l’episodio, attribuendo a Debord la decisione non esplicitata di non recarsi a Bruxelles (v. “Le Consul”, Editions Allia, Paris 1999, pag. 49).
69. “Le 2 avril 1957, Debord, Jorn et Michèle Bernstein ont conclu l’affaire de Bruxelles en s’accordant sur les points suivants:
1° Toute action personelle, dans le mouvement, doit etre soumise à un accord préalable.
2° Tout désaccord eventuel doit être réglé par une discussion ouverte dans le cadre du mouvement. Tout obstacle apporté à la discussion, entre nous, est a priori erroné.
3° Les soussignés reconnaissent l’importance de notre action commune , souhaitent que dure l’accord déjà etabli entre les groupes actuels, et l’extension future d’un tel accord sur ces bases, dans la perspective d’une efficacité plus vaste.
4° Tous les désaccords précédents, toutes les manoeuvres précédentes doivent être considérés comme sujets d’experiences révolus. Tous les reproches avancés à ce sujet sont annulés.
Asger Jorn, G.-E. Debord, M. Bernstein”.
70. Rumney e Simondo concordano nel riferire che il “Rapport sur la construction des situations” non fu discusso a Cosio (V. Rumney, op. cit., 46; e Simondo, op. cit., pagg. 35-36). Anche la lettera del 4 aprile 1958 di Debord a Pinot Gallizio a proposito della pubblicazione del “Rapport” in Italiano corrobora questa tesi. Scrive infatti Debord: “Ce Rapport peut être présenté comme l’expression théorique adoptée à la conférence de fondation de l’Internationale Situationniste à Cosio d’Arroscia – et on peut dire qu’il exprime la pensée des dirigeants de l’Internationale” (v. G. Debord, “Correspondance”, cit., pag. 81).
71. V. la lettera ad Asger Jorn del primo settembre 1957 in G. Debord, “Correspondance”, cit., pag. 24.

(2003)

 

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